Non stupisce nessuno che Regione Lombardia abbia deciso per l’ennesima volta di non dare il suo patrocinio al gay pride e di non illuminare Palazzo Lombardia con i colori dell’arcobaleno. Pur di tenere fede all’immagine della cattolicissima omofobia la giunta regionale l’anno scorso aveva cancellato una votazione passata in consiglio regionale (con voto segreto) contravvenendo anche alle basilari regole nei ruoli di giunta e consiglio.
In quell’occasione l’allora consigliere regionale Alex Galizzi ci spiegò che la giunta lombarda aveva “riportato l’ordine” annullando la decisione del consiglio che il leghista definì «un errore madornale che finisce per confondere gli elettori e dare uno spaccato falsato di quello che rappresentano simili iniziative». Se abbastanza occhi e abbastanza orecchie per scorgere ancora la violenza nelle parole avremmo dovuto sobbalzare sulla sedia sentendo accostare un ordine naturale alla negazione di una manifestazione di libertà. Non è accaduto. Il consigliere leghista non è stato rieletto, mangiato dalla crescita dei suoi alleati meloniani. L’ordine naturale è rimasto inalterato, sopravvivendo a Galizzi.
Ciò che colpisce però è l’inossidabile posizione di una Regione che sopravvive ai suoi dirigenti politici restando fedele ai suoi lati peggiori. Sono fortunatamente pochi quelli che confondono gli opinabili eccessi con lo spirito di una manifestazione che non riguarda solo la comunità Lgbtqia+ ma c’entra con la libertà. Il gay pride è semplicemente il randello di una destra ideologica che bastonando una minoranza vuole manifestare il proprio posto nel mondo. E nel mondo (e in Europa) il campo è lapalissiano: chi sta con i diritti e chi li opprime. Sputare sui diritti è un tic elettorale distintivo, indipendentemente dai diritti in questione. Il no al gay pride e uguale al no ai grilli, al no alle energie rinnovabili, al no ai matrimoni egualitari, al no alle auto elettriche, al no agli inglesismi, al no agli stranieri, al no al diritto all’aborto, al no all’autodeterminazione delle donne, no all’eutanasia e a un altro milione di no su svariati argomenti.
Il no è la nuce dell’identità delle destre che si annusano e si riconoscono per le loro negazioni. Un’ossessione che rivela l’ipocrisia di fondo di chi in pubblico bastona una categoria per diventare un paladino del suo campo e poi in privato, di nascosto come accadeva decenni fa, vive gli amori che condanna. Raccontare l’avanzamento dei diritti come il sintomo del declino di una società è un ragionamento truffaldino che nasconde l’incapacità di vederli, di riconoscerli e di immaginarne di nuovi. Infine c’è l’aspetto più brutale e fascista: mentre questi si dilettano con “il gioco del no” per piacere ai loro amichetti in giro per il mondo finiscono bastonati amori reali, persone vere, famiglie in bilico. Accade così che per portare avanti la propaganda della negazione a qualcuno cambi in peggio la vita.
Buon martedì.