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Sul palco racconto la mafia a cento passi dal Duomo

La prima parte del titolo, «A cento passi», suona un po’ tetro ed evoca agli amanti del cinema il film-verità di Marco Tullio Giordana su Peppino Impastato, il sindacalista che pagò con la vita il coraggio di ribellarsi a Cosa nostra. La seconda parte, «dal Duomo», ha invece un effetto rassicurante ma è soltanto un’impressione. «A cento passi dal Duomo» è infatti uno spettacolo teatrale che parla di cosche in terra padana. Già. Regista, Giulio Cavalli, attore milanese da quasi un anno sotto scorta per le sue rappresentazioni di «teatro civile» contro la mafia. A Impastato, il piccolo grande eroe siciliano che sfidò don Tano Badalamenti, Cavalli si è probabilmente anche un po’ ispirato quando ha cominciato a trasmettere la sua rubrica «Radiomafiopoli» in onda sull’emittente Agoravox. Ma nel mirino di qualche mafioso, questo Saviano lombardo potrebbe esserci finito quando decise di mettere in scena, al Franco Parenti di Milano, la piéce «Do ut des», una parabola comica che sbeffeggia riti e conviti di Cosa Nostra: dalla «punciuta mafiusa», il giuramento di affiliazione dei picciotti, ai «pizzini» di provenzana memoria.
La voglia di ridere sembra essergli passata dopo le lettere anonime e il passaggio dalla «tutela dinamica» a quella «totale» da parte dei carabinieri di Lodi. La voglia di fare teatro a modo suo però, quella gli è rimasta. E allora eccolo oggi portare sul palco del Teatro della Cooperativa, in prima nazionale, il suo monologo musicale dedicato alla mafia giù al nord. Stavolta, però, niente guasconate, non ci saranno le burle di «Totò Nessuno» che da apprendista diventa sindaco di Mafiopoli. Sul palco saliranno soltanto i fatti: dati, condanne, inchieste giudiziarie e giornalistiche ricavate da atti pubblici e dall’Osservatorio milanese sulla criminalità organizzata al nord. L’io narrante di Cavalli dipingerà una mappa poco letteraria e molto neorealista delle attività della mafia (soprattutto ’ndrangheta) in terra lombarda, «che non porta la coppola ma dialoga con i colletti bianchi».
Nella sua lettura parte da lontano, «dal silenzio assordante» che accompagnò il delitto Ambrosoli, ai 103 sequestri avvenuti in Lombardia per mano di Cosa nostra tra il 1974 e il 1983, ai maxiprocessi sulle attività in padania, fino ai giorni nostri. «I giorni nostri -dice al Giornale- sono quelli delle famiglie che gestiscono il narcotraffico, come i Barbaro e i Papalia che controllano l’area di Buccinasco, i Rispoli che agiscono nell’area di Legnano, il clan Emmanuello che controlla l’hinterland meridionale. Non dimentichiamoci che Milano oggi è la capitale della cocaina e del riciclaggio. Molte società apparentemente pulite sono il frutto del lavaggio di denaro». Cavalli, però,si considera un ottimista e non ci sta a mettere il magone agli spettatori. «In realtà qui siamo ancora in una terra privilegiata perchè la società civile, e anche la politica, hanno gli anticorpi per difendersi». Sul palco l’attore fa nomi e cognomi, anche dei politici collusi. «Ma non parlo dei partiti, perchè il marcio sta dappertutto». Come pure il coraggio. «Ad esempio ho elogiato il consigliere leghista che a Lonate Pozzolo ha denunciato le infiltrazioni della famiglia Filippelli in alcuni cantieri di Malpensa. L’edilizia da queste parti fa molta gola».
Della grande torta dell’Expo, però, nello spettacolo quasi non si parla. «Non sono un populista e voglio evitare il rischio di facili strumentalizzazioni. In realtà è più utile guardarsi dietro l’angolo. Il pizzo, ad esempio, esiste ancora in Lombardia». Ma il «teatro civile» serve davvero a smuovere le coscienze? «A volte sì, e ne ho avuto conferma anche quando ho portato in scena al Piccolo la pièce sulla strage di Linate 2001 o quando, in Bambini a dondolo, ho rappresentato la piaga mondiale del turismo sessuale sui minori, di cui gli italiani purtroppo reggono la bandiera».

Mimmo Di Marzio

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