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Supercoppa d’Arabia. Un calcio in faccia ai diritti

Qualcuno ha sicuramente perso la finale di Supercoppa italiana giocata ieri sera in trasferta su un campo con più soldi che erba nel cuore dell’Arabia Saudita. Ha perso – come ricorda estenuante il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury – il giornalista Jamal Kashoggi, ammazzato nel consolato saudita a Istanbul. Il 16 novembre del 2018 la Cia ha concluso che il mandante di quell’omicidio è il principe Mohammad bin Salman (nella foto) che con il pallone italiano persevera nel lavaggio della sua credibilità agli occhi del mondo.

La Supercoppa italiana si è giocata ieri sera in trasferta su un campo con più soldi che erba nel cuore dell’Arabia Saudita

Come ricorda Amnesty ha perso pure Salma al-Shehab, madre di due figli, dottoranda dell’Università di Leeds, attivista per i diritti delle donne, che ha appena terminato il terzo anno in carcere. Ne dovrà passare altri 24 dietro le sbarre per avere scritto dei tweet sgraditi al governo. Ha perso anche Muhammad al-Ghamdi, condannato a morte per “uso dei profili social per seguire e promuovere utenti che cercano di destabilizzare l’ordine pubblico” con un profilo X che conta 10 follower e da cui aveva pubblicato 5 post.

Ha perso la promessa del principe bin Salman di invertire la rotta sulla pena di morte. Promessa non mantenuta: sono 1.250 le esecuzioni, tra cui anche quelle nei confronti di bambini. Ha perso la dignità dell’Italia che insieme all’Occidente vorrebbe essere vessillo del diritto internazionale e invece si svende al miglior offerente. Perde il mondo del calcio che si propone come veicolo di valori e poi si mostra servile appena sente l’odore dei soldi. Perdono i tifosi che devono intingersi nel sangue per seguire la squadra del cuore. E perdono tutti coloro che non vorrebbero essere complici.

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