La fragilità pedagogica
Dopo il post sulla fragilità farmaceutica di oggi sono uscite analisi e commenti interessanti sia sui social (cercherò di condensarli in un post nei prossimi giorni) che nel web. Già il fatto che se ne discuta è un ottimo passo in avanti su un tema che vive spesso di certezze assolute, di qualche complottista e di interessanti dubitatori. Vale la pena ripartire dal post del blog di pedagogia Ponti e Derive:
Purtroppo la deriva di una reazione sana e legittima di una disciplina che sta ricercando una nuova ed ulteriore identità in un clima di trasformazione culturale epocale (rivoluzione web – globalizzazione ) rischia di negare il valore dell’alterità: pedagogia versus tutti, che può portare ad una poco proficua azione da Don Chiscotte, esistere contro i mulini a vento.
Eppure educazione e pedagogia sono una struttura fondamentale della civiltà umana, irresistibilmente carsiche, irresistibilmente simili ad una araba fenice che rinasce dalle proprie ceneri ad ogni svolta epocale, e questo è uno di quei momenti di rinascita, in cui l’essere Don Chiscotte non serve.
La stessa natura del cambiamento epocale dichiara che la dimensione educativa e pedagogica non può resistere in una identità “muscolare”, che si dichiara onnipotente mentre che le altre professioni e gli altri saperi sono solo feccia, ma in una esistenza liquida e capace di mostrarsi nella complessità.
Probabilmente una critica al paradigma scientifico prevalente va posta, di default, con tutta le serietà professionale che nasce dal non farne una crociata, ponendo tutta la potenza argomentativa e disciplinare laddove la medicina e la psicologia non trovano confini ed errano nell’errore e negli eccessi, e nell’eccesso di risposta farmaceutica.
Ma ogni bambino gioverà oltre che un buon supporto educativo, anche dun eventuale sostegno di musicoterapia, arteterapia, musicoterapia, psicomotricità, logopedia, consentiti e raggiungibili solo attraverso un percorso diagnostico fatto in un servizio di neuropsichiatria infantile; che per mia personale esperienza non sempre così necessariamente improntate alla scelta farmacologica quanto più spesso a scelte multidisciplinari, integrative volte al benessere complessivo del bambino.
Questa dimensione va colta e pensata da parte di chi, occupandosi di educazione, è consapevole di dovere dare significato alla dimensione complessiva del bambino, alle percezioni sociali e culturali che si creano attorno a lui, alla visione che la sua famiglia ha di lui, e di ogni suo eventuale problema, sanitario, emotivo, o altro.
Come si vadano a collocare l’educazione professionale e la pedagogia in questo scenario è sicuramente una esplorazione che va fatta, anzi che deve essere fatta.
Il post completo è qui.