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Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio

Il più grave danno al garantismo, quello che dovrebbe essere assicurato in uno Stato di diritto e che è sancito chiaro chiaro nella nostra Costituzione, è proprio il garantismo quando diventa peloso, quando serve per condonare i potenti e soprattutto quando viene utilizzato non come metodo universale ma solo per alcune categorie.

Il fatto che Roberto Formigoni stia pagando i suoi debiti con la giustizia è la normale conseguenza di un giusto processo che ha stabilito delle responsabilità penali. Il fatto che si pretenda l’oblio per un danno erariale di 47,5 milioni di euro di soldi pubblici per il caso Maugeri in Lombardia e che ci si aspetti che nessuno si permetta più di scrivere che la sua rete di amicizie e il suo “mercimonio della propria funzione” (lo scrive la sentenza di Cassazione) abbiano devastato la Sanità lombarda pare, invece, davvero un po’ troppo.

E allora la vicenda del suo vitalizio da 7mila euro al mese che il “Governo dei migliori” gli sta apparecchiando forse assume una prospettiva nettamente diversa: è etico che una persona condannata per reati gravissimi (che ne hanno comportato anche l’esclusione politica e che sono diventati sentenza definitiva) possa godere degli stessi benefici di chi ha svolto con moralità il proprio ruolo?

È normale e accettabile che esistano ruoli e cariche che beneficino di trattamenti diversi rispetto ai normali lavoratori? Conoscete qualcuno che, dopo essere incappato in una grave condanna che certifichi un suo danneggiamento verso l’azienda per cui lavorava, possa godere comunque di una pensione e un vitalizio?

La delibera Grasso-Boldrini fu approvata nel 2015 in Parlamento non per “punizione” ma per garantire uguaglianza tra i parlamentari e i “normali” lavoratori: qui il punto non è il garantismo ma decidere se abbia un senso che gli italiani continuino a mantenere una persona che li ha danneggiati.

E non c’è solo Formigoni: il ricorso dell’ex presidente di Regione Lombardia sblocca la situazione di Silvio Berlusconi, di Ottaviano Del Turco e perfino di Marcello Dell’Utri.

Infine, sorge un dubbio: ma Salvini e Meloni – quelli che “butterebbero le chiavi” quando si tratta di punire (per loro: vendicarsi) un povero disgraziato che commette un reato (seppur odioso) – non hanno niente da dire con i criminali grossi e potenti quando sono loro amici?

Tintinnano le manette per i ladri di polli e poi si diventa garantisti per i colletti bianchi condannati in via definitiva? Lo chiamano garantismo e invece è solo “essere amici degli amici”.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste (di Giulio Cavalli)

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Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano

Ci sono fatti che stanno uscendo in questi giorni che messi in fila fanno spavento, notizie che vengono ingegneristicamente spezzettate per non avere il quadro d’insieme mentre la prospettiva generale è qualcosa di spaventoso, un modus che meriterebbe una riflessione larga su politica e giustizia. Forse proprio per questo conviene rivenderli come singoli casi di cronaca.

Facciamo un passo indietro: è notizia di qualche giorno fa (ormai diventata “vecchia” e quindi facile da scavalcare liscia) che tra le carte della fumosissima inchiesta del 2017 della procura di Trapani che avrebbe dovuto dimostrare i legami illeciti tra Ong e scafisti ci siano centinaia di pagine di intercettazioni trascritte e depositate che riguardano giornalisti ascoltati mentre parlano con le loro fonti, mentre discutono tra di loro, addirittura mentre parlano con i loro avvocati. Una pesca a strascico che non segue nessuna logica procedurale e che sono gravissime violazioni in uno Stato di diritto. La ministra Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori per vagliare le carte e le procedure eseguite, al fine di accertare eventuali comportamenti non consoni attuati dalla procura.

Facciamo un secondo passo. Quell’inchiesta è finita in niente, la tesi dell’accusa però è stata il copione di una narrazione politica frequentata sia dall’ex ministro dell’Interno Minniti sia da Salvini che ne fece il plot di tutta la sua campagna elettorale che l’avrebbe portato al Viminale. Anni di criminalizzazioni delle Ong che non hanno nessun riscontro giuridico, nessuna sentenza, nessuna condanna in nessun grado. E non c’è solo l’inchiesta di Trapani: in questi anni sono stati aperti ben 16 fascicoli sulle organizzazioni umanitarie e non si è mai arrivati in nessun caso al processo. Non si parla di assoluzioni, badate bene: non c’è mai stato uno straccio di prova che giustificasse nemmeno un dibattimento. Qualcuno come il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha dovuto ammettere di non essere riuscito ad andare oltre la suggestione dei suoi sospetti nonostante ne abbia parlato lungamente sui giornali, in televisione e perfino nelle sedi istituzionali della politica.

La sua inchiesta sulle Ong (la prima in ordine di tempo) è ancora oggi sventolata come “prova” nonostante sia stata chiusa dopo due anni di indagini: la confusione è talmente tanta sotto il cielo che ora basta perfino essere indagati, senza nemmeno essere accusati, per essere “sporchi”, per essere delegittimati e additati come colpevoli che sono riusciti a farla franca. In compenso in questi anni di inchieste abbiamo assistito a presunti scafisti che erano solo scambi di persona, traduzioni sbagliate che hanno incarcerato innocenti e riconoscimenti che si sono rivelati fallaci.
Facciamo un altro passo. Si scopre che tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” che ha portato all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano facendolo decadere da sindaco per poi riabilitarlo quando ormai il danno era fatto, 33 giornalisti siano stati intercettati (senza mai essere iscritti nel registro degli indagati), sono stati ascoltati 3 magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano e un viceprefetto. Nel fascicolo dell’indagine (carte praticamente pubbliche) ci sono utenze telefoniche, indirizzi mail e dati di tutti gli intercettati. Lo scopo? Sempre lo stesso: smascherare i buonisti che erano già stati condannati da certa politica.

Lo scenario quindi è questo: politica e magistratura hanno concorso per anni nell’ossessivo sostegno di una tesi che ha portato popolarità e consenso a entrambi, hanno trovato una convergenza nel dipingere una realtà che non ha ad oggi nessun riscontro e hanno usato (resta da capire se di comune accordo) metodi forse non leciti e sicuramente non etici. Una tesi politico-giudiziaria ha modificato il corso di questi anni, una tesi senza nessun riscontro. Questo è l’aspetto più spaventoso e allarmante e su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una discussione. Funziona un Paese così?

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Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo

Se mancano i dati, se mancano i riscontri reali, se mancano le spiegazioni precise allora diventa facile governare e farsi governare dall’emozione. Al netto di chi in questi mesi continua a lucrare sulla disperazione della gente con vergognose operazioni di sciacallaggio si può dire che in questo anno di pandemia abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a comunicazioni contraddittorie, confuse e molto spesso lacunose.

È un tema tutto politico: se continuano a mancare informazioni precise sulle misure prese e sugli impatti attesi dalle limitazioni che vengono imposte, l’aspetto emozionale (e il lucrare sulla limitazione di libertà) riuscirà sempre a trovare terreno fertile. 

Per capirci: le scuole sono state riaperte con dati peggiori rispetto a quando erano state chiuse e il ministro Speranza ha dichiarato, riconoscendo la cosa, che la scelta è stata fatta in correlazione con le vaccinazioni fatte (vaccinazioni ad insegnanti che sono state sospese) e per “investire sui giovani”.

La risposta, legittima, però cozza con le iniziative che non sono mai state prese sui trasporti, sulla ventilazione meccanica in classe e soprattutto con un rischio in ambito scolastico che non è mai stato spiegato lucidamente. Abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario e la scuola è solo uno dei tanti esempi possibili.

Chi per lavoro ha viaggiato in questi mesi di pandemia sa benissimo che le distanze che vengono imposte sui treni a lunga percorrenza sono molto diverse rispetto ai protocolli di un semplice volo aereo, per non parlare della drammatica situazione del trasporto locale. 

Qui non si discute, sia chiaro, dell’importanza di arginare il virus e di non mandare in tilt il sistema sanitario ma avere un chiaro e periodico flusso di dati a disposizione permette una lucida valutazione delle proporzioni delle restrizioni: se non c’è chiarezza e accesso ai dati viene difficile anche valutare la bontà delle decisioni prese dalla politica.

USA e Gran Bretagna hanno fissato date per le riaperture sulla base di dati chiari e sottoposti ai cittadini. Non si tratta di aprire tutto e subito come chiedono gli sconsiderati ma forse Draghi dovrebbe sentire il dovere di fissare un’asticella (di contagi, di pressione ospedaliera, di numero totale di infetti) sotto la quale allentare i divieti.

Non è solo una questione di virus, è questione di controllo della democrazia, di trasparenza e responsabilità: comunicare con chiarezza tiene in equilibrio il patto sociale, altrimenti diventa solo una questione di pancia.

Leggi anche: Italia, cinema chiusi: ma va bene se un parroco apre la sala per trasmettere in streaming la messa pasquale

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L’equilibrista

Ci sono alcune novità dopo la conferenza stampa di ieri di Mario Draghi. Draghi, l’abbiamo capito bene, è uno con la stoffa democristiana, uno che le conferenze stampa le sa gestire provando ad accontentare tutti ma soprattutto stando attento a non scontentare nessuno, rimanendo sempre in bilico su quell’area di grigio che può essere scambiata per meritevole equilibrio oppure per inutile furbizia. Ognuno si costruirà la sua opinione, ognuno gli concederà la sua porzione di stima.

Draghi ha seppellito Salvini. E ha fatto bene, una volta per tutte: dire «ho voluto io Speranza nel governo e ne ho molta stima» significa togliere una volte per tutte dalle mani di Salvini e compagnia cantante la vecchia scusa di essere con Draghi ma contro Speranza, di fare opposizione a un pezzo del governo continuando a restare nel governo. Non sarà facile ora per il leader leghista raccontarlo ai suoi. Ci sarà da ridere e fa piacere che un presidente del Consiglio (ancora una volta) metta Salvini di fronte alla sua patetica doppia faccia.

Draghi durissimo su Erdogan: «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, bisogna essere franchi per affermare la propria posizione ma anche pronti a cooperare per gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto». Chiamare un dittatore “dittatore” è sempre una bella notizia, cooperare con un dittatore rientra in quella realpolitik che può piacere o meno.

Ma se qualcuno è felice per la stoccata al sultano turco, allora dovrebbe ascoltare però le giustificazioni piuttosto flebili sulla Libia. Perché Draghi ha parlato di corridoi umanitari che non esistono, al di là di qualche sparuta persona e perché ha parlato di “superamento dei centri di detenzione libici” che sono proprio quel “salvataggio” per cui aveva ringraziato la Libia. No, proprio no. Non ci siamo.

Quindi un colpo di qua e un colpo di là. Non accontentare nessuno e non scontentare tutti. Come gli equilibristi, quelli che ti stupiscono per i primi metri sulla corda e poi annoiano tantissimo, e riescono a essere pericolosi per sé e per gli altri.

Buon venerdì.

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Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa

“Prima gli italiani” ripete Matteo Salvini e tutti in coro i suoi fedelissimi. “Prima gli italiani” perché bisogna difendersi dagli interessi “altri”, quelli degli stranieri, che a detta dei leghisti depaupererebbero gli onesti. Poi accade che a Opera in provincia di Milano il sindaco leghista Antonino Nucera venga arrestato insieme alla sua compagna (capo dell’ufficio tecnico dello stesso comune di cui è sindaco) insieme a tre imprenditori.

Tra le accuse ci sono le mascherine che sarebbero servite agli anziani nelle Rsa, alla farmacia comunale per la distribuzioni ai suoi concittadini e che invece sono state tenute nascoste per l’ex moglie, gli amici, gli amici degli amici, i famigliari, i dipendenti comunali e gli agenti della polizia locale. Qualcosa come 2.800 dispositivi di protezione che il prode leghista, uno di quelli che dovrebbe difenderci dal pericolo “straniero”, ha deciso di intascarsi, secondo le accuse.

Eppure il sindaco Nucera è il prototipo del perfetto salviniano: sulla sua bacheca Facebook urlacciava contro il governo Conte scrivendo che “mentre loro concordano come spartire le poltrone” lui pensava a “lavorare per le nostre comunità, come abbiamo sempre fatto”. Poi ovviamente ci sono tutte le sue arrabbiature per “i criminali”: alcuni che hanno strappato i sigilli per attraversare un ponte in costruzione, complimenti ai carabinieri che hanno tolto la patente a un ubriaco al volante, indignazione per degli uccelli avvelenati, strali contro il reddito di cittadinanza, l’immancabile post sul presepe e sulla Sacra Famiglia e così via.

La retorica, la solita retorica, di chi usa il populismo per fottere gli elettori. Imperdibile il post in cui chiede ai cittadini di restare a casa: “In qualità di Sindaco e di padre di famiglia vi chiedo vivamente di uscire solo per motivi importanti! Stiamo attraversando un periodo molto particolare… è richiesto un comportamento responsabile ad ognuno di noi..”.

Del resto è proprio il manifesto del leghismo: quel “prima gli italiani” diventa un sovranismo in cui l’unica Patria è l’io e gli interessi personali. Fregarsene degli altri rivendicando l’egoismo come diritto. Se ci pensate bene il sindaco Nucera ha eseguito il suo manifesto politico alla lettera: si è occupato solo di quelli che lui considera “prima” degli altri solo che “gli altri” alla fine diventano anche i cittadini perché a forza di disinteressarsi di più gente possibile è inevitabile che finisca così. E chissà cosa ha da dirci il prode Salvini.

Leggi anche: Salvini cambia linea per placare i malumori della Lega: “Draghi non è Conte, non stacco la spina”

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Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

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Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini

È tutta una questione di priorità, di scelte, di azioni: la trama di un tempo e della sua politica sta nell’agire svestito dalle parole che gli si mettono intorno per condire le sensazioni. Arriva il virus, arrivano i vaccini e decidere le priorità di chi mettere al sicuro è una cartina di tornasole che non consente troppe interpretazioni.

La Fondazione Gimbe, nella sua ultima rilevazione, racconta che oltre ai soggetti over 80 e a quelli ad elevata fragilità nella categoria “altro” dei vaccinati rientrano 572.692 dosi (il 39,6 per cento della categoria) somministrate a persone over 70 considerabili a rischio per fascia anagrafica e 873.787 (il 60,4 per cento) inoculate a soggetti di cui non è possibile rilevare altre indicazioni di priorità. Le percentuali degli “altri” sono addirittura al 19,5 per cento del totale in Sicilia, al 18,3 per cento in Calabria e al 16,4 per cento in Campania. Lì dentro, in base alle indicazioni regionali, ci sono le cosiddette professioni “a rischio” come insegnanti, magistrati, avvocati e così via.

L’essere umano è furbo in momenti di pace e diventa addirittura feroce in tempi di pandemia, quando c’è da correre per mettersi in salvo prima di tutti e in queste settimane abbiamo assistito alle diverse rivendicazioni (talvolta ridicole) delle diverse categorie professionali che smanacciano per superare la fila. 

Ora facciamo un passo di lato. Negli ultimi giorni solo a Roma sono morti due addetti alla vendita di supermercati: Rudy Reale era direttore di un Todis e prima di lui è mancato Riccardo, commesso di Carrefour. Qualche giorno prima era morta una commessa dell’IperSimply di Brescia.

Solo il 30 marzo, soltanto nella città di Roma, sono stati ufficializzati 20 nuovi contagi tra lavoratori di supermercati. E questi sono i dati ufficiali, quelli che sappiamo: «Faccio parte del Comitato Covid e nell’ultimo periodo mi hanno indicato 15 casi alla Coop di Roma Eur e altri 15 alla Coop di Roma Casilino. C’è omertà sui positivi ma questo non aiuta. E poi è saltato il tracciamento. Chi lavora nei supermercati non si ferma mai, neanche con la zona rossa. Per Pasqua rischiano di essere degli agnelli sacrificali», spiega Francesco Iacovone dei Cobas a Il Messaggero.

Ve li ricordate? Erano tra gli “eroi” della zona rossa (e lo sono ancora) eppure non vengono mai citati come priorità, non esistono nemmeno nella narrazione. Perché in fondo ci dicono che classismo sia una parola superata ma il concetto rimane sempre modernissimo: troppo poco nobili per essere prioritari.

Leggi anche: La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più (di G. Cavalli) // I lavoratori “indispensabili” ai tempi del Coronavirus sono quelli sottopagati e meno considerati (di G. Cavalli) // Sabino Cassese a TPI: “I magistrati chiedono il vaccino, ma gli autisti dei bus non mi pare abbiano mai pensato di sospendere il lavoro” // Vaccini, in Abruzzo il governatore Marsilio fa saltare la fila ai magistrati: “Voi potete vaccinarvi”

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Scusa, Cuba

Ve lo ricordate il 22 marzo 2020? 53 medici cubani della Brigata internazionale Henry Reeve arrivarono in Lombardia, c’erano medici, epidemiologi, anestesisti, rianimatori e infermieri specializzati in terapia intensiva. La Lombardia in quel momento era l’epicentro mondiale della pandemia nel mondo e i medici cubani, specializzati nel trattamento delle malattie infettive, vennero spediti nell’ospedale da campo di Crema. Gli “hermanos de Cuba” li chiamavano affettuosamente i colleghi italiani. La sindaca di Crema Stefania Bonaldi disse: «Ci sentiamo fortunati. All’alba siamo saliti sul loro autobus con la bandiera di Cuba tra le mani e con gli occhi lucidi per ringraziarli ancora una volta – raccontò ancora la sindaca -, ma ci piace pensare che sia stato solo un arrivederci e non un addio, perché continueremo a fare cose belle insieme». Se andate a cercare le dichiarazioni ufficiali del governo invece sono poche, rare.

Alcuni sostennero quei medici cubani addirittura come candidati al Nobel per la Pace. Peccato che l’arrivederci affettuoso che abbiamo riservato ai cubani sia uno schiaffo in faccia: nel Consiglio dei diritti umani cinque giorni fa è stata votata una risoluzione, inappuntabile giuridicamente dal punto di vista del diritto internazionale, che rilevava il pesante impatto negativo che le sanzioni, ovvero, con termine più tecnico, le misure coercitive unilaterali hanno sui diritti umani. Tra questi ovviamente c’è anche l’anacronistico embargo che gli Usa impongono a Cuba dal 1962. 59 anni di sanzioni durissime con cui lo Stato più forte impone sofferenze durissime a uno Stato più debole per piegarlo alle proprie decisioni, un bombardamento senza bombe per imporre la propria politica estera.

La risoluzione è ovviamente passata ma l’Italia è riuscita a farsi notare votando contro, in nome di un becero atlantismo che risulta assolutamente fuori tempo e che sembra essersi dimenticato dell’aiuto ricevuto in questi ultimi mesi. Un voto infame (che al momento non ha spiegazioni ufficiali) e di cui ci sentiamo di chiedere scusa. L’embargo durante la pandemia tra l’altro in campo sanitario mette a rischio anche l’approvvigionamento di macchinari indispensabili per affrontare il virus. «Potrebbe mancare qualsiasi cosa – spiegava l’Ambasciatore Josè Carlos Rodriguez Ruiz -: un componente di un apparecchio sanitario, una tecnologia o un principio attivo che potremmo reperire negli Stati Uniti, ma che non può raggiungere Cuba a causa del blocco. In quel caso saremmo costretti a rivolgerci altrove a costi molto più alti ma con grandi difficoltà. Un esempio: se volessimo acquistare una macchina della multinazionale tedesca Siemens dotata di una porzione di tecnologia statunitense non potremmo farlo…».

Scusa Cuba.

Buon martedì.

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