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abbracciato

Chi ha abbracciato Salvini?

Bisogna raccontarla bene, questa storia, senza cadere nella paura di essere ripetitivi. Bisogna raccontarla anche se ogni mattina mi chiedo quanto valga la pena ogni giorno, quasi tutti i giorni, raccontare le mala-gesta del ministro dell’inferno come se fosse lui l’unico problema del Paese ma poi mi fermo, ci penso, e mi dico che sì, che riesce a essere sempre più grave sempre ogni giorno. E non glielo si può concedere, no.

Questa storia va raccontata perché ancora una volta il trucco del ministro dell’interno ha deciso di buttarla a ridere, di sminuire, confidando nella disattenzione generale: «sono un indagato tra gli indagati!» ha detto Salvini a chi gli faceva notare la sua amichevole vicinanza (con abbraccio annesso) a Luca Lucci, capo ultrà del Milan di cui il vicepremier è assiduo tifoso. E Salvini pensava forse di cavarsela così, con una battuta sprezzante sulla giustizia italiana, per la sua confidenza con quello che viene descritto da molti giornali come semplice “condannato per droga” (come se non fosse già schifoso così) e invece è un uomo che merita di essere descritto per intero.

Luca Lucci è la persona che ha sfasciato la faccia e il bulbo oculare a Virgilio Motta durante una spedizione punitiva contro i tifosi dell’Inter (in un settore frequentato da famiglie e bambini, sempre per quella vecchia storia dei forti contro i deboli), colpevoli di avere tagliato uno striscione dei tifosi rossoneri che impediva la visione della partita. Nel 2009 Lucci viene condannato in primo grado per quel pugno che ha reso cieco da un occhio Virgilio Motta a quattro anni e mezzo di carcere e a un risarcimento di 140.000 euro. Lucci però è un furbo, uno di quelli che le condanne non le sconta perché risulta nullatenente e quindi alla sua vittima non resta che mettersi il cuore in pace. Peccato che Virgilio Motta, dopo avere perso il lavoro per la sua cecità, cade in una profonda crisi depressiva e si suicida tre anni dopo.

Ma il nome di Lucci compare anche in un altro processo, questa volta per ‘ndrangheta: durante il processo per l’omicidio dell’avvocatessa Maria Spinella il killer Luigi Cicalese confessa di avere utilizzato per l’agguato proprio l’auto di Luca Lucci, ottenuta dall’amico comune Daniele Cataldo, rapinatore e spacciatore. Solo negli ultimi anni arriva anche il patteggiamento a un anno e mezzo per questioni di droga, dopo essere stato arrestato.

Ecco chi ha abbracciato Salvini. E rimane da vedere se il ministro dell’interno sia incappato (ma davvero?) in questo funesto abbraccio per ignoranza o per commistione. In entrambi casi, sicuramente, non è all’altezza del ruolo che riveste. In entrambi i casi comunque è un ministro che dovrebbe combattere i malavitosi che scherzosamente si intrattiene con un malavitoso.

«Sono un indagato tra gli indagati!» è una risposta che funziona solo tra i travestiti che trangugiano le ampolle del Po. Ci riprovi, ministro.

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/12/18/chi-ha-abbracciato-salvini/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Non ci si scusa per il dolore che si prova

Mi hanno colpito le parole di Valeria Kadija Collina, madre di Youssef, uno degli attentatori di Londra. Mi ha colpito, moltissimo, quella loro casa a Castaello si Serravalle, paese di provincia dell’entroterra bolognese: fiori curati ai lati del vialetto in giardino.

“Mio figlio me lo ha portato via l’ignoranza e la cattiva informazione. Il cattivo Islam e il terrorismo sono questo. Ignoranza e cattiva informazione”, dice nella sua intervista a Repubblica Valeria: ha fatto una cosa “atroce”, che “non può e non deve essere giustificata”. E ha provocato un dolore talmente grande “che chiedere perdono ai familiari delle vittime sembra quasi banale”.

Racconta di come, da madre, ha perso contatto con il proprio figlio: Quando mi parlava della Siria e del fatto che voleva trasferirsi in quel Paese, non lo diceva certo perché volesse andare a combattere per l’Isis, ma perché sosteneva che in quella parte del mondo si poteva praticare l’Islam puro e perché voleva mettere su famiglia. Lo diceva sorridendo e io sorridendo gli divevo che era fuori di testa e che io non lo avrei seguito mai perché stavo bene dove sono”. Poi il cambiamento: “La radicalizzazione secondo me è avvenuta in Marocco attraverso internet e poi a Londra, frequentando gente che lo ha deviato facendogli credere cose sbagliate. Suo padre è un moderato, sua sorella non ha abbracciato la nostra fede, nessuno nella nostra famiglia è vicino in alcun modo con quel mondo fatto di stupidi radicalismi”.

E sembra, ad ascoltarla, una storia così simile alle tante che ci capita di leggere quando ci sono madri che si arrendono alla disperazione di non essere riuscite a salvare i proprio figli dalla droga, dal malaffare o dalle mafie: ha lo stesso dolore , lo stesso colore e la stessa naturale (seppur ferocissima) tragica fine.

Così, di colpo, il terrorismo assume anche una dimensione nuova e così lontana dalla retorica degli analisti di prima mano e cola una disperazione folle e pericolosa come tutte le disperazioni.

Buon giovedì.

(continua su Left)