Vai al contenuto

addio pizzo

Cosa Nostra perde la faccia e le palle per lasciarle allo Zen

zenSe “il pauroso ha la bocca piena di minacce” come recita l’antico adagio del proverbio popolare, allora l’alone di Cosa Nostra che si spalma sul quartiere Zen di Palermo deve risuonare una tremarella proprio poco “onorevole” al di là di quella proiezione così eroica che i capi mafia della zona provano a rivenderci.

Entrare allo Zen di Palermo è un’agopuntura al veleno. Un vomito di (pre)potenza mafiosa che si solidifica e si arrampica a forma di palazzi. Una medusa di vigliaccheria tra vedette con le ginocchia sbucciate e per pochi euro che comunque non riesce a soffocare la dignità di alcuni; è prevedibile quindi aspettarsi una scia umida come una lingua di minacce prevedibili, noiose, banali e regolari per chi nel brodo dell’arrendevolezza continua a tenere alta la schiena e la testa. Allo Zen il pizzo è una cerimonia laica che si rispetta nella messa del racket nelle forme più primarie e ignobili: molti degli abitanti dei cosiddetti “padiglioni” del quartiere hanno occupato abusivamente gli alloggi in cui vivono e non hanno allacci regolari. Cosa nostra sopperisce al problema in cambio di denaro: consentendo l’allaccio irregolare ai pali elettrici e aprendo le condutture dell’acqua a orari prestabiliti. A raccogliere il pizzo è, generalmente, il capocondomino di ciascun complesso. A confermare quanto già i magistrati avevano scoperto tre anni fa sono nuovi pentiti nell’inchiesta denominata “Addio pizzo 3” che hanno parlato di una imposizione “di 20-30 euro per ciascun nucleo familiare”. 20 euro per vivere serenamente disperati.

Eppure negli ultimi episodi di questi giorni i guappi da quartiere (e peggio ancora quell’organizzazione puttana che li muove sulla scacchiera del mandamento) escono con il broncio patetico dei mafiusetti allo sbaraglio: Cosa Nostra ha sempre più paura della cultura e della parola, in un insostenibile (per lei) “giuoco delle parti” dove un’educazione (e un’istruzione) qualsiasi inevitabilmente la svela culturalmente alla deriva. La mafia in Palermo che allo Zen si accapiglia contro chiese e scuole come due “fimmine” appena scese per strada è grottesca come una danza della pioggia tra bambini. Chissà cosa avranno pensato loro, i guappi da due monete, mentre andavano armati di bastoni a urlare forte (ad una chiesa ed una scuola) la legge barbara della codardia intimata al quartiere.

Loro si sono presentati giovedì scorso con bastoni e mazze davanti alla chiesona in cemento armato dello Zen per minacciare don Miguel Pertini, sacerdote italo-argentino, da un anno parroco della chiesa di San Filippo Neri al centro tra palazzoni cadenti dello Zen e le isole di case alte due piani chiuse da recinti e filo spinato dello Zen 2. La notizia è trapelata oggi proprio nel giorno del sedicesimo anniversario dell’uccisione di Don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio assassinato dalla mafia. L’intimidazione è avvenuta dopo una messa e la polizia è intervenuta quando ormai i giovani con le spranghe si erano dispersi raccogliendo le dichiarazioni di pochi testimoni. La procura ha aperto un’inchiesta chiedendo gli atti delle indagini svolte alla polizia. Le ragioni che hanno spinto la squadraccia dello Zen a spaventare il parroco non sono emerse. Don Miguel è turbato e non vuole parlare con i giornalisti. Dice: «Non so di alcuna inchiesta. La chiesa è chiusa non ho niente da dire». La parrocchia di San Filippo è molto grande è una struttura alta tre piani con l’enorme tetto spiovente che si apre su un grandissimo giardino che contiene anche un campetto di calcio. Tutto è chiuso da cancellate e ringhiere anti intrusione. Attorno vi sono i cortiletti delle isole abitative dove si spaccia cocaina ed eroina, e le stradelle che s’intersecano ospitando relitti di auto e ciclomotori rubati. Vicino la chiesa ci sono sei scheletri di Smart e due di Lancia Y regolarmente posteggiati da cui è stato asportato quasi tutto dal volante ai sedili, dai portacenere all’impianto elettrico. Molte case sono protette da grate e tutti i cortili comuni hanno la possibilità di essere chiusi da cancelli. Le vedette delle bande di spacciatori agli angoli delle strade hanno anche 12 anni. Proteggono la rete di pusher che si rifornisce da nuclei familiari cui la droga viene fornita da Cosa nostra. Perfino il citofono della parrocchia è blindato: una grata di ferro impedisce di asportare la placca e i pulsanti. Alcuni ragazzini giocano su uno spiazzo abbandonato saltando sulle collinette di rifiuti edili versati illegalmente da camion di imprese che non vogliono pagare la tassa e che molto più sbrigativamente gettano il materiale di risulta fra le case. L’irredimibile Zen torna alla ribalta dopo l’intervento del ministro dell’ Interno Roberto Maroni che ha assicurato al responsabile sicurezza del Pd, Marco Minniti, la sua attenzione sul quartiere dove da mesi si registrano attentati alla scuola materna, elementare, media «Francesca Morvillo – Giovanni Falcone». Dice Domenico Di Fatta, 49 anni, da tre preside: «Questo istituto ha attivato numerosi progetti, e altri sono in itinerere, per togliere bambini e ragazzi dall strada, dallo spaccio dalla delinquenza. Questo alla mafia non va bene. È l’unica ipotesi che posso fare per spiegare i gravissimi attentati degli ultimi mesi». «Il sistema di video sorveglianza – aggiunge – è stato alterato dall’interno dell’istituto per consentire atti devastanti come l’incendio delle aule di scuola materna: le porte sono state sigillate per permettere al fuoco di distruggere tutto. La videocamera che sorvegliava la scuola materna si è bloccata due giorni prima il raid. Dietro questi atti c’è una regia ben precisa, un progetto criminale». «A settembre sarebbe dovuta nascere – aggiunge il preside – una scuola calcio con un allenatore di grido. Ai ragazzi avremmo fornito la borsa, la tuta, i pantaloncini, le magliette. Un grosso richiamo. Poi i 50 mila euro stanziati dal ministero della Pubblica istruzione per questo progetto sono serviti per riparare le aule di scuola materna. Qualcuno vuole strapparci i ragazzi che devono rimanere per strada a lavorare per la criminalità organizzata. Ma il progetto è solo rinviato, si farà»

Gesualdo Bufalino diceva che la mafia si sconfigge con un esercito di insegnanti; oggi Cosa Nostra allo Zen ha un affanno a forma di spranga.

Cinquecento euro e stai messo a posto. (mettiamo l’attak al pizzo)

folla2Il testo è stato scritto e recitato in Piazza Mangione a Palermo il 15 Maggio per la 4 Festa di Addiopizzo

Cinquecento euro e stai messo a posto.

La frase rimbalza e lui continua a stare fallito. L’altro, invece,  è “a posto”.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

Non si riesce nemmeno a scriverla una scena teatrale per come rimbomba la frase. Chissà se almeno rimbalza sugli scaffali o si impiglia tra le gambe della sedia alla cassa, chissà come si stende o sta seduta. “Cinquecento euro e stai messo a posto” non è una frase per farci un pezzo di teatro in piazza, “cinquecento euro e stai messo a posto” è una bava. Una bava che scivola fuori dalla bocca del fallito, si secca sul  pavimento come una macchia mica dignitosa che non va più via e rimane a guardarti lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato mezza giornata e la domenica ti accompagna in tasca a portare fuori i bambini. Mano nella mano, vestito della festa, gelato e anche questo mese la dignità a posto. Un pompino da cinquecento euro alla dignità che, anche se si vende tutti i mesi, è una prostituta che costa. Un negozio con una macchia per terra e un postino fallito con la dignità degli altri rapita dentro la busta non sono personaggi che ci meritano un pezzo di teatro: sono personaggi appiattiti in una lettera. E allora eccola la lettera di questo mese. Francobollo con lo sputo, timbro a forma di cerchio e ve la leggo qui. Così per questo mese vi portate via anche la mia.

Caro picciotto, o se preferisci, visto che hai imparato a pettinarti e vestirti pulito, caro estorsore, o, se preferisci, caro esattore. E poi caro al tuo capo ufficio, quello che sta seduto a contare i soldi quando alla sera raccoglie le mesate del mandamento, quei soldi che vi auguro che vi marciscano in mano. E poi cari a tutti i falliti, perché è da falliti mangiare sulla metastasi della paura degli altri, oppure, per capirsi meglio, cari a tutti gli uomini d’onore, così ci capiamo meglio, così vi prendiamo dentro tutti e entriamo subito in tema.

Sono un commerciante di parole, a volte me le pagano bene, e arrotondo sempre il peso prima di chiudere la vaschetta. Non ho mica un negozio dove potete ballare felici la vostra danza della paura, mentre lasciate la scia del vostro onore di merda sulla serranda o tutti fieri correte dopo aver acceso il fuoco del vostro segnale da vigliacchi; sono un ambulante, non so come vi organizzate in questi casi, ma siete mediamente capaci di intercettarci. Questa sera apro la saracinesca fuori orario e vi vengo a cercare io, ma mica per i cinquecento euro così sto messo a posto, ma perché avrei, dico almeno, un paio di domande, una cosa da niente, mica per capire dove non c’è niente da capire, ma per togliermi il peso. Il peso di una curiosità che alla fine cercate sempre di farci pagare nel mercato della vigliaccheria di cui siete i detentori.

Nonno Cleto mi diceva che bisogna pagare il giusto, mio nonno Cleto era uno che portava in giro le bombole del gas con la vespa che si arrampicava in montagna. Pensava solo alle cose fondamentali, impegnato com’era a mettere in prima, seconda e fare bene la curva. Ma questa storia del pagare il giusto se la ricordava ogni volta che stava per due minuti al semaforo rosso con la frizione tirata. Non diceva pagare poco, mica diceva pagare tanto. Diceva pagare giusto. E allora, cari ricattatori delle minacce pagate a rate, cosa c’è, cosa pensate a mettervi in mano la paura in moneta? Quanto vi costa un regalo ai vostri figli con i soldi dei figli degli altri?  Quanto vi sentite uomini a rosicchiare i torsoli come i vermi con le mele appena marcite? Com’è lavorare al mercato infame della minaccia?

Cinquecento euro e stai messo a posto.

La frase rimbalza e voi continuate a stare falliti. L’altro, invece,  è “a posto”.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

L’altro, nel negozio, chiuderà a chiave senza troppa attenzione. Anche questo mese ha pagato l’affitto ad una civiltà a rate. Poi sarà sera davanti al tavolo, la famiglia, l’educazione e la responsabilità stuprata anche questo mese. Tanto è il sistema, tanto è il nostro sistema per godersi il negozio e poi chi me lo fa fare di stare a fare il rivoluzionario. Tanto la mesata la pagheranno gli altri un pezzo al giorno. Tanto è la città intorno che sconta  la macchia a forma di crosta sul pavimento dov’è coagulata anche questo mese la sua voglia di stare tranquillo. E per il resto del mese si impara subito ad alzare la serranda con la leggerezza che sia tutto meravigliosamente normale e di seta. È un gioco da ragazzi: per dimenticarti un giorno del mese hai tutte le settimane di resto. Come sarebbe triste una città, una regione, una nazione con la gente che smette di essere gente, con il cielo che si stinge, con un tumore che sottovoce esce in nero dalla cassa una volta al mese. È un angelo che balla smutandato ciclicamente, è un liquido che si secca e che non lascia impuniti. Non sarete impuniti per quel cerotto che si aggiunge di nascosto.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

La frase rimbalza e voi continuate a stare falliti. L’altro, invece,  è “a posto”.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

I falliti risalgono in macchina, con i soldi che si ristropicciano nella tasca perché  comunque c’è da essere svelti. Svelti per partire, svelti per arrivare a finire il giro prima che si chiude. Svelti perché la combriccola disonorata dei falliti d’onore possa contare, appuntare, mischiare per le mani più in alto. Con questi 50 euro che si appiccicano alle mani, che si impiastricciano sul cuore. Con questi 50 euro che puzzano così che bisogna aprire i finestrini per riuscire a starci dentro. È un brodo di sangue e letame cucinato una volta al mese per pagare l’organizzazione. Un piatto unico a prezzo fisso per il banchetto del re nudo del mandamento. I falliti con il sorriso dei falliti sulla macchina veloce e con il sorriso che si svitano alla sera prima di entrare in casa a fingere male di poter essere persone onorate.

Cinquecento euro e questo mese è a posto.

Mi piacerebbe chiedere al governatore della paura che senso danno al tatto quei mucchi sistemati male di soldi. Se non sono ruvidi di quel conato che non si lava nemmeno a stare cento volte sotto l’acqua corrente del lavandino. Mi piacerebbe vedervi in faccia mentre vi leccate il dito per contare quanto valete questo mese. Mi piacerebbe starvi in tasca per registrare le risate fiacche.

Perché sono sicuro che la sentite questa febbre che vi spaventa. Questa normalità di un no davanti alla cassa che mette in buca il vostro onore di gomma piuma.

Cari postini del re, c’è una favola che ogni tanto si racconta nelle scuole di Mafiopoli. È la favola di un formichiere che si tira su per il naso, in un paese lontano, le formiche a pranzo e le formiche a cena. Un formichiere con le formiche e il muco in testa che galleggia da imperatore per le strade del paese mentre sotto è una scia di percorsi di corsa di formiche, ognuno per conto suo che si sommerge per salvarsi. Ed ogni pranzo ed ogni cena è un flipper di zampe per sfuggire almeno per oggi al naso del despota. Raccontano nella favola che un giorno passava una zanzara, una zanzara che non era mica niente di speciale, ma che come tutte le zanzare riusciva a vedere dall’alto e mica all’altezza di un buco come il resto delle formiche abitanti della città. E come sia bastato così poco perché al mattino dopo il solito formichiere, dopo essersi lavato e i denti ed essere uscito dal suo appartamento a forma di buio, il solito formichiere trovò fuori dal suo zerbino un fiume nero, con il dorso lucido e compatto che camminava in linea. Credette fosse un incubo ma era semplicemente un gruppo. Che cominciò a salire dalle gambe per spolpargli la pancia e stringergli il collo.

Perché sono sicuro che la sentite questa febbre che vi spaventa. Questa normalità di un no davanti alla cassa che mette in buca il vostro onore di gomma piuma. Perché sono sicuro che cominciate a sentirlo questo plotone di schiene che hanno deciso di stare dritte.

Caro postino fallito, questa sera ti mando una lettera da portare al piano di sopra perché mi piacerebbe avere almeno due risposte: una lettera senza i biglietti da cento piegati dentro. Una lettera per passare un po’ il tempo senza farcelo passare dagli altri. Una lettera per sentirsi vivi. Tutti i giorni di tutto il mese.

Sono passati poco meno di 20 anni. Poco meno di 20 anni che Libero Grassi vi scriveva “…volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui”.

Sono passati poco meno di vent’anni, e ne sono cresciuti di liberi se non di nome liberi per aggettivo. Sono passati poco meno di vent’anni.

Caro estortore, mentre decidi che negozio incollare appena comincia a fare notte  rimettiti pure le mani in tasca.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

La frase rimbalza e lui continua a stare fallito. L’altro, invece,  è “a posto”.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

Caro estortore, ti mando questa lettera con il bollo tutto sputacchiato. Senza soldi, sto a posto. Stiamo a posto.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

La frase rimbalza e lui continua a stare fallito. L’altro, invece,  è “a posto”.

Cinquecento euro e stai messo a posto.

Sappiamo i nomi, sappiamo le facce, vi ascoltiamo mentre decidete di incollare tutta vi dei Mille o mentre strisciate su a Milano in via Verdi. In un ponte di vermi che si spalma sull’Italia. Sappiamo dove state e sappiamo da che parte stare. Qual è il nostro di posto. Ambulanti ma con la parte chiara, la parte dove stare. Al massimo, per uscire a fare un giro, dico per divertirci, dico per stare un po’ insieme in questa notte così piena di corrispondenze, ci travestiamo da picciotti con l’onore dei clown e scendiamo anche noi, così magari ci incontriamo, tutti insieme a metterci il lucchetto e l’attak alla saracinesca del pizzo.