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Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi

Avete bisogno di una grande opera strategica con cui stupire i cittadini e il mondo, utile per dare l’idea di una grande ripartenza e per aprire una nuova epoca post-Covid? Volete cambiare il Paese con un atto coraggioso e significativamente utile per tutti i cittadini, davvero tutti, e volete costruire un’opera mastodontica che venga osservata e venerata dalle generazioni future? Eccola: è la scuola.

Se c’è qualcosa su cui l’Italia può e deve investire subito (siamo già in ritardo) è quella scuola a cui “servono decine di migliaia di locali in tutta Italia e calcolando che, secondo quanto riferito dal ministro, gli studenti che faranno lezione fuori dalle aule sono il 15%, circa 1 milione e 200mila, resteranno fuori 40mila classi” (lo dice il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli).

Volete mettere in sicurezza la scuola? Allora, sempre come dice Giannelli, “sarebbe anche auspicabile fare i test ai docenti con supplenze lunghe e ad un campione statisticamente significativo di alunni, che in tutto sono 8 milioni e mezzo”, possibilmente “il prima possibile e visto che le lezioni dovrebbero cominciare intorno alla data del 14 settembre, sarebbe preferibile saperlo prima di riprendere. Abbiamo visto che tra i bambini e i ragazzi si trovano più alte percentuali di asintomatici e quindi possono essere veicoli del contagio”.

E poi sarebbe il caso, ma per davvero, di rileggere i dati dell’Agcom nella sua relazione annuale che racconta come la didattica a distanza abbia esacerbato “in tutta la loro gravità le disuguaglianze sociali preesistenti” che “rischiano di compromettere il lento processo di digitalizzazione” in atto in Italia. Sarebbe il caso di aprire una riflessione sul fatto che il 25% degli studenti italiani non dispone di connessioni abbastanza stabili e veloci per seguire le lezioni a distanze e che il 10% dei ragazzi non aveva un mezzo (che fosse un pc, un tablet o un laptop) adeguato e che tutte queste difficoltà “rappresentano un ostacolo importante e una condizione inaccettabile nel caso dell’accesso a servizi essenziali come l’istruzione”. Il 10% dei ragazzi non avevano nessun mezzo per partecipare alle lezioni. 1 su 10. C’è da investire sulle strutture fisiche e sulle infrastrutture digitali. C’è da fare tantissimo. Volete essere ricordati come quelli che hanno reso l’Italia un po’ più uguale? Abbiate il coraggio di fare quello che non è mai stato fatto negli ultimi anni: investite sulla scuola.

Leggi anche: 1. Decreto Scuola, dall’esame di maturità al concorso per l’assunzione dei precari: cosa prevede il testo; 2. Azzolina a TPI: “Nelle scuole 70 milioni di euro per comprare i tablet ai ragazzi che non li hanno”/3. Scuola, i docenti precari a TPI: “La Azzolina ha bandito un concorso-truffa che moltiplica il precariato. E che ci mette in pericolo” /4. Alla scuola serve il concorso, non le “grandi infornate” (di L. Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il vero CNEL è l’Agcom

(Vincenzo Vita sull’Agcom, da Il Manifesto del 7 dicembre 2016)

“Delibera l’archiviazione dell’esposto…” In quest’ultimo caso, che risale al 24 novembre scorso, il diniego dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni riguarda l’esposto del Comitato del NO al referendum sulle revisioni costituzionali sulle violazioni della par condicio. Ripetizione seriale. Esibizione ennesima di una fuga dalle responsabilità, al cui confronto Don Abbondio appare un eroico gladiatore. Dagli atti e dalle omissioni dell’Agcom si ricava l’impressione di una malattia ormai incurabile. Cosa è avvenuto?

Facciamo un passo indietro. L’Autorità trae origine dalla legge 249 del 1997. Fu una scelta netta e impegnativa. Si immaginò di sottrarre al governo o alle maggioranze parlamentari l’indirizzo e la regolazione di un sistema in corso di “integrazione multimediale” secondo il linguaggio dell’epoca. Tant’è che si vergò nel testo un organismo “convergente”: composto da nove consiglieri suddivisi tra infrastrutture e reti da una parte, servizi e prodotti dall’altra. In breve, l’Agcom avrebbe dovuto presiedere a telefonia, connessioni, piattaforme, poste, editoria e radiodiffusione. Divenne una best practice in Europa, dove solo la Finlandia aveva un’omologa entità.

Si superava la figura del Garante monocratico, deciso dalle leggi sull’editoria (1981) e sulla radiotelevisione (1990), con un incipit legato solo alla carta stampata per divenire in un secondo tempo comprensivo anche dell’etere. Ecco, dunque. Entrava in scena un potenziale protagonista di un universo in continua mutazione, tale da richiedere un soggetto vigilante aperto e innovativo. Troppe leggi spesso ridondanti –le uniche decisive invece mai fatte, come l’antitrust e il conflitto di interessi- complicavano la vita invece di semplificarla. L’Autorità disponeva non a caso di un ampio potere di regolamentazione (sostitutiva di una formazione non stop) e pure di un forte ruolo di magistratura dotata di facoltà sanzionatorie, per rispondere alla velocità digitale e introdurre un adeguato contropotere nell’architettura generale.

Il prossimo anno ricorrerà il ventennale dell’Agcom. E’ tempo di bilanci. Senza giudizi sommari, perché non tutto e non tutti hanno deluso. Il Governo Monti, per di più, decise la riduzione da nove a cinque componenti, compromettendo così il funzionamento soprattutto della parte dell’editoria e della radiotelevisione, meno legata ai binari indicati dall’Unione europea assai rigidi al contrario nel campo delle telecomunicazioni. Tale taglio inutilmente burocratico ha pesato certamente sulla routine dell’ultima compagine, incapace di garantire davvero il pluralismo e la rappresentazione mediatica delle opinioni. Senza personalizzare, ovviamente, c’è da chiedersi se proprio l’esperienza del referendum, nella quale il Presidente del consiglio ha fatto il bello e il cattivo nel tempo televisivo senza ostacoli, non induca ad un serio ripensamento. Neppure la migliore intenzione giustifica il vuoto pneumatico. Ma, proprio per evitare un mero giudizio sulle persone (non si vuole mettere in causa la buona fede del Presidente Cardani, al di là delle critiche), è il perimetro normativo da riconsiderare. Insieme alla stessa composizione e alla fonte di nomina.

Si discute della legge elettorale, dopo l’evidente insuccesso dell’Italicum. Ebbene, la vigilanza sull’imparzialità dei media non è meno importante della discussione sui meccanismi di voto. Anzi. Proprio i candidati non espressi dai “potenti” hanno un’unica opportunità: essere conosciuti attraverso un’informazione corretta.

Il Manifesto, 07 Dicembre 2016

Povera Rai, cameriera del sì

Roberto Fico (Presidente del Comitato di Vigilanza Rai) dà un po’ di numeri:

«Sono stati appena pubblicati dall’Agcom i dati della settimana 14-20 novembre. Sono vergognosi.
Nei tg Rai il Sì ha goduto di 1 ora e 8 minuti in più rispetto al No (54,6% contro 42,7%). Ma questo non è nulla rispetto alla presenza del premier e del Governo: 47% del tempo di parola al Tg1, 36% al Tg2, 44% su Rainews. Tempo di notizia? 42% Tg1, 45% Tg2, 46% Rainews. Il grosso è tempo del premier, ovviamente. Ricordo ancora una volta che l’informazione dei membri del Governo in una campagna elettorale deve limitarsi, per legge, alle funzioni istituzionali, e non è ammessa la propaganda.»

In questo Paese il servilismo è immutabile: cambiano i fattori ma il risultato non cambia mai.

Nomine AGCOM: è la loro natura

Quasi tutti conoscono l’apologo dello scorpione e della rana. Lo scorpione chiede alla rana di portarlo dall’altra parte del fiume, giurando che non la pungerà. Ma a metà del guado, la rana sente l’aculeo velenoso. «Perché? Annegheremo tutti e due». E lo scorpione: «È la mia natura». I partiti italiani sono oggi lo scorpione della favola. Commissariati dall’Europa e dai tecnici, sfiduciati dai cittadini, minacciati a morte dall’ antipolitica, i partiti tutto avrebbero dovuto fare, tranne abbandonarsi al vecchio e odioso vizio della lottizzazione. E invece alla prima ghiotta occasione, le nomine delle Autorità delle Comunicazione e della Privacy, si sono lanciati come un’orda famelica sulla torta. Da bravi compari, detto con tristezza e non col giubilo dell’antipolitica, Pdl, Pd e Udc si sono divisi le fette.

Fra i nomi, tutti con il trattino di appartenenza e tutti piuttosto deprimenti, spicca per involontaria ironia quello di Augusta Iannini, la moglie di Bruno Vespa, l’uomo del plastico di Cogne, inopinatamente piazzata a tutelare la privacy dei cittadini. Nelle nomine non sono stati presi in considerazione i novanta curricula di personalità competenti e indipendenti che pure i presidenti di Camera e Senato avevano sollecitato, forse per farsi qualche risata alle spalle dei cittadini onesti. Si è preferito concentrarsi sull’unico curriculum che conti in Italia, la raccomandazione del partito, il solito cortocircuito politico-professionale. Nell’impeto suicida, il Senato nel pomeriggio ha concluso la gloriosa giornata votando in massa contro l’arresto del pluri indagato Sergio Di Gregorio, accusato dai magistrati di truffa ai danni dello Stato per i fondi pubblici all’Avanti!» di Valter Lavitola. In teoria soltanto il Pdl era contrario alla richiesta dei magistrati, ma nel segreto dell’urna il ceto politico ha dato prova di straordinaria coesione intorno al nobile principio dell’impunità. Ma ci sono o ci fanno? È in atto un complotto alla rovescia dei partiti per consegnare il 51 per cento al movimento di Beppe Grillo?

Sono molti gli interrogativi, anche di natura psichiatrica, che circondano il misterioso comportamento. Sembra quasi una sfida agli elettori, a metà fra il folle e il volgare. Un po’ come il tizio che imbocca un senso unico contromano e fa pure le corna. Bisognerebbe ricordare che le autorità di garanzia, tanto più in settori cruciali come le telecomunicazioni e la privacy, dovrebbero per definizione essere composte da personalità super partes. Ma che senso ha mettersi a discutere di regole con chi dimostra di disprezzarle o di applicarle soltanto agli altri, ai comuni mortali? Non resta che cercare di capire il possibile movente dei suicidi. Nel caso del Pdl è abbastanza chiaro. Il partito è allo sbando, dimezzato dal voto e nei sondaggi, sull’orlo del naufragio totale. Mentre Berlusconi intrattiene il pubblico con altre barzellette sull’euro e il presidenzialismo alla francese, il partito azienda sfrutta gli ultimi colpi per piazzare uomini negli organismi di controllo delle telecomunicazioni per i prossimi anni. L’ obiettivo, vent’ anni dopo la discesa in campo, è sempre lo stesso: evitare il fallimento dell’ azienda televisiva.

Assai meno comprensibile è la complicità del Pd. I dirigenti del partito, a cominciare da Bersani, vanno in giro per l’Europa per incontrare i nuovi leader socialisti, da Francois Hollande a Sigmar Gabriel, si riempiono la bocca di slogan sulla rinascita del centrosinistra, e poi tornano a casa e si mettono a lottizzare come bolsi dorotei democristiani. Se c’era un’ occasione felice per dare un segnale di novità agli elettori del Pd, prendere le distanze dalla moribonda partitocrazia e dimostrare ai «grillini» che destra e sinistra non sono uguali, ebbene Bersani l’ha buttata via nel peggiore dei modi. In questo caso sarebbe salutare il vecchio «contrordine, compagni» di una volta.

Presto il Pd avrà un’altra possibilità di marcare la propria distanza dal sistema di casta della Seconda Repubblica, con le nomine Rai. Dove il centrodestra, Pdl in testa, spinge per l’ ennesima grande abbuffata di poltrone. Ma a giudicare dalla giornata di oggi, è puerile farsi illusioni. Nonostante il montare dell’ antipolitica, anche alle ultime elezioni milioni d’italiani hanno continuato a votare i partiti presenti in Parlamento. Nel timore di veder precipitare il Paese in un’altra avventura tragicomica, come quella appena vissuta nel ventennio berlusconiano. Nella speranza che la politica trovasse il coraggio, la forza, l’onestà per riformarsi e rispondere alle domande di trasparenza dei cittadini. Oggi quei milioni d’italiani si sentono come la rana dell’apologo e si chiedono perché. È davvero questa la natura degli attuali partiti, quella dello scorpione destinato a trascinarci tutti a fondo?

(di Curzio Maltese – Repubblica)

Il buco fuori legge e senza senso di AGCOM

Perché poi vi diranno che è colpa dell’antipolitica. Sicuro. Milena Gabanelli mette in fila lo scempio delle nomine AGCOM:

Più delle parole contano i fatti. E i fatti dimostrano ogni giorno che i vertici di questa classe politica sono da archiviare, perché perseverano nel prendere decisioni contrarie all’interesse generale. Mercoledì il Parlamento ha scelto i nuovi commissari per l’Agcom. La legge richiede indipendenza e riconosciuta competenza nel settore, poiché senza indipendenza la competenza può essere utilizzata per favorire una parte contro l’altra, e senza competenza l’indipendenza è inutile e fonte di decisioni casuali.
Da mercoledì un settore strategico per il nostro futuro come quello delle comunicazioni è nelle mani di Decina, Martusciello, Posteraro e Preto. L’indipendenza di Martusciello è dubbia, considerata la sua storia di ex dipendente Mediaset ed ex deputato Forza Italia, mentre la sua incompetenza specifica nel settore delle comunicazioni (sia sulle questioni tecniche che in quelle di prodotto) è pressoché certa. Idem per Preto (Pdl) e Posteraro (Udc). Decina (indicato dal Pd), pur essendo competente, è stato consigliere di amministrazione di Telecom Italia ed è, con le aziende di sua proprietà, consulente di moltissimi operatori soggetti alla vigilanza dell’Agcom. In sostanza 4 nomine che violano i requisiti di legge, e che danno vita ad un Consiglio pure squilibrato. È infatti ragionevole attendersi che su tutti i temi di interesse per Mediaset (la gara delle frequenze, le nuoveregole sul diritto d’autore, il destino della rete Telecom) i commissari espressi dal Pdl abbiano un punto di vista favorevole all’azienda da cui proviene il commissario Martusciello. Quindi la maggioranza sarà saldamente nelle mani del commissario Posteraro scelto dall’Udc, indipendentemente dall’opinione del presidente (che deve ancora essere indicato dal Premier Monti) e del commissario indicato dal Pd.

In sostanza il commissario Posteraro, con competenze limitate o assenti, deciderà sul futuro delle comunicazioni italiane. E questo dipenderà da dove si posizionerà Casini. Poteva andare diversamente se il Pd, dopo aver sbraitato per mesi su competenza e curricula, avesse indicato e preteso due tecnici autorevoli, indipendenti e competenti. Avremmo ora la garanzia di affrontare nel merito ogni singola questione, e con un importante ruolo “super partes” del Presidente in caso di parità tra i membri di nomina parlamentare. Purtroppo non sarà così e ce ne accorgeremo molto presto.

Bavaglio alla rete: il deserto rivenduto come regole

Tralasciando ovvie considerazioni sull’irrisoltoconflitto di interessi del Presidente del Consiglioe su una stampa che prima di essere imbavagliata siautocensura, sono sempre stato convinto che lo spazio della libera informazione esistesse e fosse nel web.

I continui tentativi di censura della libertà di espressione, che si manifesta nei blog personali, nelle pagine private e nelle testate online, sono lo specchio di un potere che si preoccupa esclusivamente di essere danneggiato nella sua immagine falsata.

Non è un caso che a seguito delle ultime elezioni amministrative, durante le quali il web è diventato canale di comunicazione fondamentale soprattutto per i più giovani, si sia cercato di correre ai ripari ed affidare la funzione giudicante, che dovrebbe essere propria dell’autorità giudiziaria, ad un’autorità amministrativa (Agcom) di nomina politica.

Credo che la delibera 668/2010, che verrà approvata nella giornata di oggi dall’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni, non sia solo dannosa ma anche pericolosa per la tutela civile della democrazia italiana. Mi piacerebbe che, almeno per una volta, l’ossessione del controllo del nostro governo si tramutasse in una illuminata e democratica apertura verso la libera circolazione delle informazioni. Ma perché questo avvenga bisognerebbe avere buone informazioni da proporre. E non è questo il caso. Ancora una volta creano il deserto e ci vogliono convincere che sia ordine civile.

http://www.agoravox.it/Decreto-AgCom-una-manovra.html

La notte della rete

«Sapete cosa potrebbe succedere, da dopodomani? Potrebbe succedere che potranno chiudervi il blog, oppure rimuovere una quantità indeterminata di quello che ci avete messo dentro. Potranno farlo se e nella misura in cui riterranno che i vostri contenuti abbiano violato il diritto d’autore. Potranno farlo senza neanche convocarvi e sentire cosa avete da dire a vostra discolpa. Potranno farlo con un provvedimento amministrativo, senza neppure l’intervento di un giudice. In altre parole: voi scrivete una cosa e loro, zaaac, la tolgono. Oppure vi tolgono tutto. A loro discrezione. A loro arbitrio» . (Metilparaben) Domani c’è la Notte della ReteQui la videoinchiesta di Valeria Abate. per capire di che cosa si parla. Qui l’intervista a Richard Stallman. Qui un pezzo giuridico ma molto chiaro di Guido Scorza. Qui l’intervista a Luca Nicotra, che ci spiega cosa c’entrino anche Berlusconi e Mediaset. Qui si ricapitolano appelli e petizioni. Qui una riflessione su Agcom di Massimo Mantellini. Qui la protesta di questa mattina proprio davanti all’Agcom. Grazie a Alessandro.

10 domande per AGCOM

Guido Scorza pone dieci domande all’AGCOM. Semplici, chiare: perché del futuro della rete dovremo rispondere ai nostri figli e ai figli dei nostri figli, più che provare a raccontarlo ai nostri padri. E perché su questo tema (come molti altri) siamo sicuri che la lentezza della politica sia in posizione ostinata e contraria a ciò che invece è gia un comune sentire tra gli abitanti della rete. La risposta dell’onorevole Savarese si aggrappa (con le unghie) alle posizioni preconcette che (come scrive bene Guido) si superano solo con dati, informazioni, elementi certi, sicuri ed incontrovertibili ed occorre, soprattutto equilibrio e, per ora, nessuno di questi elementi è sul tavolo. Per farsi sentire intanto si sta preparando la Notte della Rete. Perché non scenda il buio.

AGCOM: una battaglia che si può vincere

Immaginate che un giorno intere sezioni della vostra biblioteca vengano rese inaccessibili. Non vi verrà  mai detto quali specifici libri, e per quale ragione sono stati rimossi, ma troverete solo un cartello che vi informa che qualcuno, da qualche parte, per qualche ragione, ha segnalato che i libri di quella sezione violano i diritti di qualcun’altro. Secondo gli ultimi aggiornamenti la sicumera dell’AGCOM per la delibera che mette a rischio la libertà della rete comincia a scricchiolare. Si potrebbe addirittura arrivare a discutere la proposta in Parlamento (che in un Paese normale sarebbe il minimo ma qui niente è normale) e finalmente aprire un dibattito. E allora oggi più che mai è importante farsi sentire firmando la petizione e chiedendo ai giornali di smettere di urlare solo per il proprio bavaglio ma raccontare anche per quello degli altri. Scrivendone. Non chiediamo altro.