Vai al contenuto

amelio

Intervento di Giulio Cavalli – Piazza Navona "AGENDA ROSSA" manifestazione del 26.9.2009

agendaroma

http://www.youtube.com/watch?v=GVxTN1EZXCQ

Io sono preoccupato, ma non perché non sono lì, ma in realtà perché probabilmente ho lasciato il cuore in via D’Amelio il giorno che ho visto gli occhi di Salvatore e il giorno che ho avuto l’onore e il privilegio di assaggiare il suo abbraccio. Farò una telefonata breve, perché altrimenti sapete che Brunetta mi mette nell’elite dei fannulloni e quindi non voglio dare adito e cadere nelle grandi fauci del piccolo uomo.

Voglio raccontare e voglio ricordare che ogni volta che si parla di Paolo Borsellino e via D’Amelio, che fondamentalmente è un figlio attaccato ad un citofono, ecco, ogni volta penso che, per noi che dovremmo andare in scena e raccontare quelle storie, che in questo stato assolutamente impermeabile sembra che non riesca nemmeno a raccontarsi, raccontare che soprattutto diventa difficile, diventa una sfida, diventa un’eccezione, voler pretendere di essere normali nella propria nazione per qualcosa che esonda dalla legalità, per qualcosa che esonda dal diritto ma per una dignità di un popolo, di una nazione, che io mi auguro di poter regalare ai miei figli quando saranno adulti. La storia di Paolo è una storia che teatralmente non sta in piedi. Ci hanno regalato una favola, ma ci hanno regalato una favola scassata, come quelle macchinine che apri sotto l’albero di Natale e a cui manca una ruota e allora penso che sia venuto il tempo da parte anche degli uomini di cultura quelli che non dipendono dalle mestruazioni dell’amministratore di turno che decide come gestire i contributi a pioggia, agli uomini di cultura che professano su di un palcoscenico o su un libro o nelle parole che esprimono e poi dicono i propri ideali, allora è venuto il giorno di rendergliela la favola scassata, quel giocattolo che non vogliamo, di raccontare l’assurdità, quanto arlecchino c’è in una via in cui non si capisce bene quelli che sono venuti a mettere i fiori e quelli che mettono le bombe.

Raccontare uno stato che ha deciso di superare i propri dubbi, scavalcandoli senza farsene carico, e calpestando una dignità che qualsiasi forma culturale, qualsiasi espressione di bellezza, perché alla fine sarà la bellezza che dimostrerà la deriva delle associazioni criminali, della malapolitica, di tutto quel brodo schiumoso che sta li dove politica e mafie compiono i loro adulteri nelle alcove. E allora la dignità diventa, insieme alla bellezza, il boccone di un palco che decide di prendersi la responsabilità di fare il proprio lavoro. Io dico spesso che noi teatranti siamo poveri, facciamo pochi numeri, siamo ascoltati da pochi occhi, ci mettiamo la faccia e la paghiamo, io la sto pagando, ma la sto pagando con rabbia, la rabbia della coscienza di Salvatore come la rabbia di molti che in questo momento sono in piazza. Ebbene noi sul palco abbiamo un grandissimo privilegio, una grandissima fortuna, che a differenza della televisione riusciamo a far sentire assolutamente l’odore di merda che sta dietro al disonore di quattro pavidi che qualcuno ci vuol far credere che abbiano tenuto in scacco una nazione da soli, e saremo capaci, perché questo è un impegno, anche di far sentire il profumo, quel fresco profumo di libertà che è la colonna sonora di tutto il mio lavoro e del lavoro di tutti quelli che hanno deciso di rinnegare la normalità che qualcuno ci vuole vendere come eccezionale o addirittura come una sorta di brigatismo intellettuale.

E vorrei semplicemente chiudere con un pensiero, che è molto semplice, è molto banale, e cioè che quando si tratta di raccontare l’umanità delle persone alla fine è come alzare la coperta e quando si è tutti nudi si vede chi ha il cuore grande che è legato a doppio filo con una mente intellettualmente onesta e si vede invece chi sotto la giacca, la cravatta, i polsini, la ricotta oppure sotto i problemi di prostata del nostro caro Zio Binnu, la bava con quella faccia rossiccia di Riina U’ Curtu (che si permette di parlare il 19 luglio per l’ennesima volta, calpestando una memoria che non dovrebbe avere nemmeno il diritto di poter guardare in faccia) ecco, allora una volta che è stata tolta la coperta basta guardarli dall’alto e sorridere come faceva Arlecchino.

Caro Salvatore, stamattina mentre scrivo e ci penso già in via D'Amelio

bucoCaro Salvatore,

stavo rimasticando questi quattro fogli tutti pieghe e mezze orecchie che da qualche giorno mi chiedono di urlare. Sto scrivendo, innamorato del privilegio e la responsabilità, questo mezzo pugno da liberare in via D’Amelio che si è acceso con il  nostro abbraccio di qualche mese fa. E mentre mi ascolto in quel fiume così comodo tra la testa e il dito, ripenso a quella tua faccia serena mentre mi dicevi “io so”. E questa mattina, che si prepara alla mia nuova galera per salvarmi, mi soffia un pensiero osceno: in fondo tu hai vinto, Salvatore, comunque vada in questa partita bislacca che si è incastrata tra i silenzi bollati di quelle mila fotocopie fatte sempre storte dai tribunali. In fondo adesso rimane il resto: tutto quel calcolare, incastrare e scegliere la forma di questo diciassettesimo anniversario omicida in via D’Amelio. Dicono gli Dei della cabala che il diciassettesimo debba essere per numerologia la volta più nera, quella che pesa addosso a qualcuno per tutte le altre. E allora anche la cabala questa mattina ci sorride e ci prende sottobraccio per imbarcarsi con noi. Perchè io so, all’ombra rincuorante e fresca di quel tuo dolore mai arreso e della tua rabbia comunque educata, che resuscitare un funerale lungo diciassette anni è un rito coraggioso e vincente. Come una rincorsa lunga sedici anni per ammonire che il ricordo si esercita solo dopo aver saputo, capito e visto in faccia. Tu lo sai bene quanto ogni mattina è pieno il mondo di orfani, vedove e pendolari del lutto che spolverano il marmo; ecco, Salvatore, io dentro questi fogli vorrei metterci invece tutta la polvere degli anni prima, ed atterrare in via D’Amelio con due sacchi di iuta per farli sbuffare sul palco. Perchè la forma turpe e sconcia di quella nuvola almeno ti faccia sorridere, almeno un secondo, di ritrovare disegnata questa tua intollerabile coltre che ti si è appoggiata sul cuore, questo velo mendace che il 19 luglio ci ritroviamo tutti insieme a provare a sparecchiare. Anche io “so”, Salvatore, che quel giorno saremo lì, tutti insieme, per svestirici dal lutto, buttare le corone di fiori e, se serve, anche per mano, sporgerci senza paura per guardare dentro a quel buco.