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Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini

È tutta una questione di priorità, di scelte, di azioni: la trama di un tempo e della sua politica sta nell’agire svestito dalle parole che gli si mettono intorno per condire le sensazioni. Arriva il virus, arrivano i vaccini e decidere le priorità di chi mettere al sicuro è una cartina di tornasole che non consente troppe interpretazioni.

La Fondazione Gimbe, nella sua ultima rilevazione, racconta che oltre ai soggetti over 80 e a quelli ad elevata fragilità nella categoria “altro” dei vaccinati rientrano 572.692 dosi (il 39,6 per cento della categoria) somministrate a persone over 70 considerabili a rischio per fascia anagrafica e 873.787 (il 60,4 per cento) inoculate a soggetti di cui non è possibile rilevare altre indicazioni di priorità. Le percentuali degli “altri” sono addirittura al 19,5 per cento del totale in Sicilia, al 18,3 per cento in Calabria e al 16,4 per cento in Campania. Lì dentro, in base alle indicazioni regionali, ci sono le cosiddette professioni “a rischio” come insegnanti, magistrati, avvocati e così via.

L’essere umano è furbo in momenti di pace e diventa addirittura feroce in tempi di pandemia, quando c’è da correre per mettersi in salvo prima di tutti e in queste settimane abbiamo assistito alle diverse rivendicazioni (talvolta ridicole) delle diverse categorie professionali che smanacciano per superare la fila. 

Ora facciamo un passo di lato. Negli ultimi giorni solo a Roma sono morti due addetti alla vendita di supermercati: Rudy Reale era direttore di un Todis e prima di lui è mancato Riccardo, commesso di Carrefour. Qualche giorno prima era morta una commessa dell’IperSimply di Brescia.

Solo il 30 marzo, soltanto nella città di Roma, sono stati ufficializzati 20 nuovi contagi tra lavoratori di supermercati. E questi sono i dati ufficiali, quelli che sappiamo: «Faccio parte del Comitato Covid e nell’ultimo periodo mi hanno indicato 15 casi alla Coop di Roma Eur e altri 15 alla Coop di Roma Casilino. C’è omertà sui positivi ma questo non aiuta. E poi è saltato il tracciamento. Chi lavora nei supermercati non si ferma mai, neanche con la zona rossa. Per Pasqua rischiano di essere degli agnelli sacrificali», spiega Francesco Iacovone dei Cobas a Il Messaggero.

Ve li ricordate? Erano tra gli “eroi” della zona rossa (e lo sono ancora) eppure non vengono mai citati come priorità, non esistono nemmeno nella narrazione. Perché in fondo ci dicono che classismo sia una parola superata ma il concetto rimane sempre modernissimo: troppo poco nobili per essere prioritari.

Leggi anche: La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più (di G. Cavalli) // I lavoratori “indispensabili” ai tempi del Coronavirus sono quelli sottopagati e meno considerati (di G. Cavalli) // Sabino Cassese a TPI: “I magistrati chiedono il vaccino, ma gli autisti dei bus non mi pare abbiano mai pensato di sospendere il lavoro” // Vaccini, in Abruzzo il governatore Marsilio fa saltare la fila ai magistrati: “Voi potete vaccinarvi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Scusa, Cuba

Ve lo ricordate il 22 marzo 2020? 53 medici cubani della Brigata internazionale Henry Reeve arrivarono in Lombardia, c’erano medici, epidemiologi, anestesisti, rianimatori e infermieri specializzati in terapia intensiva. La Lombardia in quel momento era l’epicentro mondiale della pandemia nel mondo e i medici cubani, specializzati nel trattamento delle malattie infettive, vennero spediti nell’ospedale da campo di Crema. Gli “hermanos de Cuba” li chiamavano affettuosamente i colleghi italiani. La sindaca di Crema Stefania Bonaldi disse: «Ci sentiamo fortunati. All’alba siamo saliti sul loro autobus con la bandiera di Cuba tra le mani e con gli occhi lucidi per ringraziarli ancora una volta – raccontò ancora la sindaca -, ma ci piace pensare che sia stato solo un arrivederci e non un addio, perché continueremo a fare cose belle insieme». Se andate a cercare le dichiarazioni ufficiali del governo invece sono poche, rare.

Alcuni sostennero quei medici cubani addirittura come candidati al Nobel per la Pace. Peccato che l’arrivederci affettuoso che abbiamo riservato ai cubani sia uno schiaffo in faccia: nel Consiglio dei diritti umani cinque giorni fa è stata votata una risoluzione, inappuntabile giuridicamente dal punto di vista del diritto internazionale, che rilevava il pesante impatto negativo che le sanzioni, ovvero, con termine più tecnico, le misure coercitive unilaterali hanno sui diritti umani. Tra questi ovviamente c’è anche l’anacronistico embargo che gli Usa impongono a Cuba dal 1962. 59 anni di sanzioni durissime con cui lo Stato più forte impone sofferenze durissime a uno Stato più debole per piegarlo alle proprie decisioni, un bombardamento senza bombe per imporre la propria politica estera.

La risoluzione è ovviamente passata ma l’Italia è riuscita a farsi notare votando contro, in nome di un becero atlantismo che risulta assolutamente fuori tempo e che sembra essersi dimenticato dell’aiuto ricevuto in questi ultimi mesi. Un voto infame (che al momento non ha spiegazioni ufficiali) e di cui ci sentiamo di chiedere scusa. L’embargo durante la pandemia tra l’altro in campo sanitario mette a rischio anche l’approvvigionamento di macchinari indispensabili per affrontare il virus. «Potrebbe mancare qualsiasi cosa – spiegava l’Ambasciatore Josè Carlos Rodriguez Ruiz -: un componente di un apparecchio sanitario, una tecnologia o un principio attivo che potremmo reperire negli Stati Uniti, ma che non può raggiungere Cuba a causa del blocco. In quel caso saremmo costretti a rivolgerci altrove a costi molto più alti ma con grandi difficoltà. Un esempio: se volessimo acquistare una macchina della multinazionale tedesca Siemens dotata di una porzione di tecnologia statunitense non potremmo farlo…».

Scusa Cuba.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

E i tamponi?

Nell’ultimo mese il numero dei tamponi si è quasi dimezzato rispetto a novembre. E fatichiamo a inseguire le tre “t”. Mentre si festeggia per il vaccino si ha la sensazione che si sia mollata la presa sul controllo

Ci sono dei numeri su cui vale la pena riflettere e che scompaiono dalla discussione generale: nell’ultimo mese il numero dei tamponi eseguiti a settimana si è quasi dimezzato da circa 1,5 milioni di novembre ai 900mila di questo mese. La ricerca è del fisico Giorgio Sestili che a marzo di quest’anno ha fondato il progetto “Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche” e si occupa di comunicazione scientifica.

″È un calo molto importante, che può essere positivo se legato al fatto che si abbassa la curva dei contagi, in quanto se meno persone hanno i sintomi c’è meno richiesta, ma è negativo se vediamo salire il rapporto fra casi positivi e tamponi, come sta accadendo in questi giorni”, dice Sestili.

E che non sia un calo positivo lo dice l’altissimo tasso di positività del 27 dicembre che ha toccato il 14,9%, come non accadeva dallo scorso 23 novembre mentre il rapporto fra i casi positivi e i casi testati (ossia il numero dei tamponi al netto di quelli fatti più volte alla stessa persone) ha raggiunto il 36%, “in assoluto il valore più alto della seconda ondata”.

È sempre la vecchia storia delle tre “t” (trattamento, tracciamento, tamponi) che da mesi fatichiamo a inseguire. E a proposito del tracciamento il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca e direttore del laboratorio Cerba di Milano, dice: “fino a un mese fa – ha osservato – si facevano più tamponi, mentre adesso dopo 21 giorni di isolamento alle persone positive asintomatiche il tampone non viene più fatto in quanto sono ritenute non contagiose”.

Quindi mentre si festeggia per il vaccino si ha la sensazione che si sia mollata la presa sul controllo, come se la possibile soluzione futura sia diventata la panacea anche per il presente. E si ha la sensazione di incorrere negli stessi errori di leggerezza del passato. Augurandosi di sbagliarsi, ovviamente.

Buon martedì.

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I numeri e De Luca

Il presidente regionale nei mesi scorsi ha alimentato la propria immagine da inscalfibile sceriffo di ferro. Ma il Covid non si combatte con i siparietti, come indicano gli ultimi dati sull’emergenza dalla Campania

Ha funzionato tantissimo il personaggio di De Luca sceriffo durante il Covid. Non solo lui, gli sceriffi ultimamente piacciono a tanti, soprattutto se si atteggiano ma poi invece lasciano fare, ma De Luca che dava al governo lezioni di muscolare arroganza e racimolava consensi con battute divertenti contro Salvini e la sua banda è diventato un trend anche sui social, anche tra i giovani: ogni conferenza stampa aveva una drammaturgia perfetta per diventare un filmato da fare girare fino allo sfinimento. I lanciafiamme da usare per sgomberare gli assembramenti, paternalismo à gogo e quell’immagine da inscalfibile sceriffo di ferro che si porta dietro fin dai tempi in cui era sindaco di Salerno.

Ieri i nuovi contagi in Campania (quelli intercettati dal tampone) erano 757, il giorno precedente 544 e se davvero dobbiamo scavare a fondo nelle responsabilità che stanno dietro i numeri (perché questo dovremmo fare, mica solo quando c’è da impallinare giustamente Fontana e Gallera) allora si potrebbe dire anche che in Campania i tamponi continuano a essere pochi, pochissimi: una media di 7.000 tamponi al giorno con un rapporto tra testati e positivi che è in continuo aumento. Con un rapporto così alto tra persone testate e positivi evidentemente qualcosa non sta funzionando e molto probabilmente qualcosa sta pericolosamente sfuggendo.

Code chilometriche di cittadini preoccupati che aspettano fino a otto ore sotto la pioggia, gente che si presenta di prima mattina per riuscire a ottenerlo, gente che infine rinuncia. La coda di fronte al Frullone, struttura dell’Asl Napoli 1, addirittura intralcia l’ingresso dei dipendenti. Eppure la Campania dall’inizio dell’emergenza ha speso in appalti qualcosa come 204 milioni tra il primo gennaio e il 30 aprile (lo dice l’Anac in una relazione depositata in Parlamento) spendendo più del Veneto, quarta regione dopo Lombardia, Toscana e Piemonte.

Dei 3 ospedali Covid solo quello di Napoli è perfettamente operativo mentre a Salerno e a Caserta tutto per ora tace mentre la Procura indaga per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture, in relazione alle procedure di aggiudicazione e di esecuzione dei lavori.

Insomma il Coronavirus non si sconfigge con le parole e nemmeno con i siparietti (e tantomeno negandolo) ma organizzando seriamente la solita vecchia storia delle 3 “t” che qualcuno sembra avere già dimenticato: testare, tracciare, trattare.

La campagna elettorale è finita, come direbbe De Luca “le parole stanno a zero” e forse sarebbe il caso di spiegare e di rispondere. A proposito di rispondere: il presidente della Campania qualche giorno fa ha vietato agli operatori sanitari di parlare con i giornalisti. Un po’ meno tifo, per favore, e un po’ più di governo. Perché il populismo è ammaliante per tutti, a destra e a sinistra.

Buon venerdì.

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E ora Cantone smutanda il Governo

Corruzione, mafie e malaffare hanno bisogno di una tensione tenuta sempre alta per essere combattute. La storia ci insegna che ogni volta che lo Stato (ma non solo, c’entra anche la tensione della società civile) hanno allentato la presa, più o meno consapevolmente, i poteri criminali ne hanno approfittato per assestare colpi che poi abbiamo scontato per anni.

Persi tra le sceneggiate popolari e populiste di queste settimane “l’affare Cantone” (con la sciagurata seduta del Consiglio dei Ministri da cui l’ANAC è uscita depotenziata) è stato messo nel cassetto delle ripicche come se non fosse il grave segnale che invece è: che sia stato per uno sgambetto (di Renzi o a Renzi) o per altro si tratta comunque di un attacco frontale (e pubblico) all’efficienza anticorruttiva dell’azione di governo.

Ieri Cantone, ospite di Giovanni Minoli, sulla nuova legge per gli appalti all’inizio è stata fatta “una rivoluzione copernicana” solo che poi “si è fatta retromarcia su molte cose e non si è data la possibilità di attuare il codice. Credo – ha detto Raffaele Cantone – che fosse una buona riforma e il fatto di andare avanti e indietro è un classico del nostro Paese. E ci sono tante opere incompiute. Il problema vero è che qualcuno ha pensato che bisogna consentire di realizzare opere pubbliche per smuovere l’economia ma non perchè servano davvero. E non smuovono nulla”.

In un Paese normale e responsabile, capace di riconoscere e rispettare le priorità, una dichiarazione del genere provocherebbe un terremoto politico, una sollevazione popolare e un unanime coro dalle associazioni impegnate nell’azione antimafia.

E invece niente.

Buon lunedì.

Cade anche foglia di fico di Cantone (il buongiorno che oggi non leggerete su Left)

(Tempi duri a Left, come potete leggere dal comunicato di redazione qui. E forse saranno tempi duri anche per il buongiorno che moltissimi di voi hanno seguito, commentato e condiviso in questi anni. Intanto quello di oggi lo appoggiamo qui.)

Dicono che per sbaglio, lo dicono i ministri di governo, hanno cancellato un comma che depotenzia l’azione di Raffaele Cantone e dell’ANAC nel controllo degli appalti. Per sbaglio, dicono loro, hanno “reciso” l’uomo che Reni ci aveva presentato come soluzione a tutti i mali, la faccia che avrebbe dovuto essere la garanzia di una seria lotta alla corruzione. Però dicono che rimedieranno l’errore quanto prima e l’Autorità Nazionale Anticorruzione potrà tornare in sella. Sembra una barzelletta, scritta così.

Raffaele Cantone è un magistrato che ha fatto moltissimo nella lotta alla camorra. Qualche anno fa, anche lui, ha ceduto alle lusinghe del corso renziano sempre in cerca di facce più che di sostanza accettando di presiedere l’ANAC convinto probabilmente di poter mettere al servizio della politica l’esperienza acquisita sul campo: non sapeva, Cantone, che la corruzione è più forte (troppo spesso) anche della propaganda.

Chi ha scavalcato il Parlamento cancellando quel comma fondamentale dalla nuova legge degli appalti durante il Consiglio dei Ministri? Si potrebbe fare come si fa con i bambini: se non viene fuori il colpevole allora fuori tutti, tutti in punizione.

È primavera ma cadono le foglie. Di fico.

Buon venerdì.

Ma nessuno ha niente da dire sull’assessora del Comune di Milano?

Ne scrive Luigi Franco per Il Fatto qui ma sembra tutto normale, chissà perché:

Il problema della sua assessora che non vuole rendere pubblica l’ultima dichiarazione dei redditi, il sindaco di Milano Giuseppe Sala lo ha derubricato a “problema personale”. Ma ora sul rifiuto di Roberta Cocco, ex top manager di Microsoft, di rispettare la legge sulla trasparenza del 2013 interviene l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. L’Anac, secondo le pagine locali di Repubblica, ha infatti aperto un’istruttoria, inviando una lettera a Palazzo Marino con tanto di richiesta spiegazioni e invito ad adeguarsi.

Il caso è scoppiato settimana scorsa, quando i consiglieri comunali di Forza Italia e M5S si sono accorti che Cocco, cui Sala ha affidato la delega alla Trasformazione digitale, non ha ancora pubblicato sul sito del comune le informazioni sui suoi redditi e sul suo patrimonio. L’assessora dice che lo farà a partire dai redditi del 2016, ma per quelli passati non ne vuol sapere: “Nel 2015 – è la sua posizione – occupavo un’altra posizione lavorativa, i miei piani e i miei progetti erano lontani dal comune di Milano, motivo per cui non ho reso pubblica la mia situazione”. Però le norme introdotte nel 2013 impongono a chi ricopre cariche pubbliche di rendere disponibile la “copia dell’ultima dichiarazione dei redditi”, e quindi anche quella relativa all’anno precedente al mandato politico. L’obbligo deriva da uno degli obiettivi della legge sulla trasparenza, e cioè dare ai cittadini gli strumenti per capire se chi li governa ha aumentato in modo strano le proprie sostanze mentre ricopre una carica pubblica.

Visto il rifiuto dell’assessora, la segreteria generale del comune ha inviato una segnalazione al Nucleo interno di valutazione, un organismo formato da soggetti esterni all’amministrazione che ha la responsabilità di certificare la pubblicazione dei documenti sulla trasparenza e di segnalare eventuali anomalie all’Anac. Da qui l’istruttoria dell’autorità anticorruzione, che ora chiede conto a Palazzo Marino. Cocco rischia una multa di qualche migliaia di euro e una sanzione reputazionale, e cioè la pubblicazione del suo nome sul sito dell’Anac nella “lista dei cattivi”. Niente che finora l’abbia convinta a fare marcia indietro, tanto più che ha l’appoggio del sindaco Sala, anche lui inciampato in passato sulle regole della trasparenza, quando da numero uno di Expo ha omesso di dichiarare una casa in Svizzera, una in Liguria, e alcune quote societarie. Nei giorni scorsi il sindaco s’è limitato a dire cose del tipo: “Lascio alla Cocco la libertà di agire”, “vedremo cosa farà l’Anac, però è un problema personale della Cocco”, “capisco che è un obbligo di legge, ma capisco anche che, in generale, l’amministratore pubblico è sottoposto ad una attenzione che a volte non è logica. Qui stiamo parlando della situazione reddituale del 2015 e non del 2016, un momento in cui la Cocco l’ultima cosa che pensava era quella di occuparsi di cose pubbliche”.

Parole che, oltre a non tener conto delle regole, si scordano di una cosa: dietro tutta questa vicenda c’è pure un bel conflitto di interessi. Cocco infatti, prima di diventare assessore, era un’alta dirigente di Microsoft ed ha raggiunto i suoi colleghi di giunta con due mesi di ritardo proprio per chiudere tutte le pendenze che aveva con l’azienda. Pendenze non chiuse del tutto, se come ha ammesso lei stessa nei giorni scorsi attualmente è in aspettativa non retribuita, mentre “le azioni del gruppo Microsoft assegnate in precedenza ma non ancora maturate sono state congelate dal 1° settembre 2016, data del mio nuovo incarico, e lo saranno sino al 1° settembre 2017, data dopo la quale saranno definitivamente perse”. Cocco, dunque, un piede in Microsoft ce l’ha ancora. E nei prossimi mesi sarà proprio il suo assessorato a occuparsi per il comune di investimenti di 30 milioni per la gestione e il miglioramento dei sevizi informatici e di altri 2,3 milioni per la sicurezza informatica. Tutti settori di mercato in cui Microsoft è attiva.

A proposito di Cantone: avete letto che dice di Sala?

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Oggi che va così di moda sventolare Cantone per fare campagna elettorale vale la pena leggere il documento dell’ANAC da lui presieduto su EXPO 2015. Lo trovate qui. E qualcuno dovrebbe spiegarmi com’è che Sala, nonostante tutto e nonostante anche questo giudizio di Raffaele Cantone, dovrebbe essere il manager che non deve chiedere mai. Dategli un’occhiata.