‘Ndrangheta: il pentito Andrea Mantella parla dei legami tra i clan di Vibo e Lauerana
Un articolo importante di Giuseppe Baglivo per Zoom24:
Ci sono anche le dichiarazioni del vibonese Andrea Mantella, esponente di spicco del clan Lo Bianco di Vibo Valentia che da qualche mese ha iniziato a collaborare con la giustizia, a sostegno dell’impalcatura accusatoria messa in piedi dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Gaetano Paci e dal pm antimafia Giulia Pantano contro la consorteria dei Ferrentino e dei Chindamo di Laureana di Borrello colpite duramente giovedì dall’operazione denominata “Lex” che ha interessato pure il clan dei Lamari. Sono gli stessi magistrati a spiegare nel loro provvedimento di fermo che il collaboratore di giustizia vibonese, ex intraneo alla cosca Lo Bianco di Vibo Valentia, nell’anno 2006 aveva costituito un autonomo sodalizio mafioso nella città di Vibo Valentia, scisso da quello originario dei Lo Bianco, a base prevalentemente familiare e con omonima denominazione, vale a dire quella di “‘ndrina Mantella”. Ad avviso dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, Andrea Mantella nella sua qualità di capo clan ha conosciuto molti esponenti delle altre articolazioni territoriali della ‘ndrangheta, sia da soggetto libero che da detenuto.
Mantella e Alessandro Ferrentino. In un recentissimo interrogatorio reso il 26 settembre scorso, Andrea Mantella racconta di aver conosciuto, e fatto amicizia durante un comune periodo di detenzione a Spoleto, il 43enne Alessandro Ferrentino di Laureana di Borrello, indicato come “capo indiscusso dell’omonima cosca di ‘ndrangheta Ferrentino-Chindamo, all’epoca detenuto per l’omicidio volontario” di Pietro Morfei, il boss di Monsoreto di Dinami ucciso la sera del 17 luglio 1998 ed erroneamente indicato da Mantella come “Morfea Peppe”. Alessandro Ferrentino avrebbe raggiunto nella ‘ndrangheta la dote del “vangelo”.
Secondo quanto appreso da Andrea Mantella, a causa dell’assenza forzosa di Alessandro Ferrentino sul territorio di Laureana di Borrello, il comando della cosca sarebbe stato assunto dal di lui fratello, sulla cui figura aggiungeva che si trattava di persona che faceva la spola con il Nord Italia anche per i traffici di droga. Pure dal carcere, tuttavia, per il tramite del fratello che regolarmente si recava a fargli visita e lo manteneva economicamente, Ferrentino Alessandro “nipote del noto Giosuè Chindamo”, avrebbe dato disposizioni continuando a “comandare” il suo gruppo mafioso, servendosi del congiunto che, dopo il suo arresto, avrebbe preso le redini dell’organizzazione, dedita prevalentemente ad estorsioni e traffici di armi e sostanze stupefacenti, sia di cannabis che cocaina. Su Laureana i Chindamo-Ferrentino, alleandosi al clan dei Lamari, ad avviso di Andrea Mantella (ma ciò risulta anche dalle sentenze definitive relative alle operazioni antimafia “Tirreno” e “Piano Verde”), avrebbero soppiantato nel potere mafioso la famiglia dei Cutellè.
Andrea Mantella ed i Lo Bianco. Andrea Mantella ai magistrati della Dda di Reggio Calabria si qualifica come “imprenditore agricolo” e soggetto che aveva il “monopolio delle carni a Vibo Valentia”. Spiega quindi di aver fatto parte della cosca Lo Bianco di Vibo Valentia, clan “satellite” della potente famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi e Nicotera, avendo raggiunto il grado mafioso di “Trequartino”. “Successivamente ho fondato nel 2006 una mia ‘ndrina – rimarca il collaboratore di giustizia – per l’appunto la ‘ndrina Mantella”, un sodalizio mafioso autonomo a base prevalentemente familiare che “tuttavia è stato stroncato dopo qualche anno”. Il motivo della frizione fra Andrea Mantella e i Lo Bianco era dettato dal fatto che il futuro collaboratore di giustizia non avrebbe tollerato lo strapotere mafioso dei Mancuso anche sulla città di Vibo, con i Lo Bianco che consegnavano loro gran parte dei proventi illeciti delle attività delittuose su Vibo. “Rappresento inoltre – ha fatto mettere a verbale Mantella ai magistrati della Dda di Reggio – che sono stato un killer dei Lo Bianco, avendo commesso nel loro interesse, come diretto esecutore materiale, parecchi omicidi.
Il controllo sulla città di Vibo ed i legami con il reggino. Il verbale non omissato da parte della Dda di Reggio Calabria permette per la prima volta di apprendere diversi particolari in ordine ad alcune dichiarazioni rese Andrea Mantella che invece i magistrati della Dda di Catanzaro hanno inteso al momento “omissare” per non compromettere le indagini in corso. Si apprende così che l’autonomo gruppo mafioso fondato da Andrea Mantella sarebbe stato “composto da circa 13 persone” e, ad avviso del pentito, sino al giorno della sua collaborazione tale sodalizio avrebbe “dominato incontrastato su Vibo Valentia”. “Dopo il mio avvento mafioso in autonomia rispetto alla ‘ndrina dei Lo Bianco – dichiara Mantella – la città di Vibo Valentia era sotto di me e del mio gruppo, esercitando noi ogni forma di potere mafioso, tramite estorsioni, controllo dei lavori pubblici e droga”. Quindi l’indicazione da parte di Andrea Mantella dei suoi rapporti intessuti con altri sodalizi mafiosi come i Piromalli ed i Molè di Gioia Tauro, i cui esponenti sarebbe andato a trovare direttamente a Gioia Tauro tramite Paolino Lo Bianco(figlio del defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”) e Paolino D’Elia, oggi 87enne, nativo di Seminara ma negli anni ’80 trasferitosi nel Vibonese per sfuggire ad una faida dopo essere stato gravemente ferito in un agguato mafioso a Seminara.
Si tratta dello stesso Paolo D’Elia, oggi imputato a Vibo per usura in un processo istruito dalla Dda di Catanzaro, che avrebbe svolto il ruolo di “paciere” – per come emerso nell’inchiesta “Nuova Alba” – fra le opposte articolazioni del clan Lo Bianco guidate dagli omonimi cugini Carmelo Lo Bianco, l’uno detto “Piccinni”, l’altro “Sicarro”. Gli stessi Mancuso, secondo il Ros, avrebbero tenuto in gran considerazione Paolo D’Elia indicandolo quale esponente autorevole della massoneria deviata ed autore, negli anni, di alleanze con altre famiglie mafiose come gli Alvaro di Sinopoli, i De Stefano di Reggio Calabria ed i Molè di Gioia Tauro.
Andrea Mantella racconta inoltre di aver avuto rapporti pure con i clan di San Luca, con i Pesce di Rosarno ed in particolare con Francesco Pesce, detto “Testuni” (in foto a sinistra), figlio dello storico boss Antonino Pesce, ed anche con Rocco Bellocco, sempre di Rosarno.
I Lo Bianco e le “proiezioni” delle dichiarazioni di Mantella. E’ il traffico di droga quello che potrebbe aprire scenari del tutto inediti sull’asse Vibo-Laureana di Borrello. Andrea Mantella indica in particolare un personaggio del clan Lo Bianco, dedito a compiere usura, danneggiamenti ed estorsioni, il quale avrebbe stretto solidi rapporti in carcere con diversi componenti dei clan mafiosi di Laureana di Borrello. Altri elementi del clan Lo Bianco-Barba, indicato da Mantella come un unico sodalizio criminale, sarebbero stati inoltre particolarmente attivi nel settore del traffico di stupefacenti. Droga che Andrea Mantella spiega che veniva indicata dai mafiosi con i termini di “shweeps”, “stoccafisso” oppure “ciciorfa”. “Spesso poi – conclude Mantella – per indicare la ndrangheta noi utilizzavamo in gergo pure il termine di “pisella”.