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Antimafia

Le domande che Giovanni Falcone avrebbe voluto fare a Roberto Fiore

(A proposito di legalità di cui tutti si sciacquano la bocca (soprattutto a destra) vale la pena leggere il pezzo di AntimafiaDuemila. E magari chiedergli le risposte. Perché oltre al nero del neofascismo c’è anche il nero delle responsabilità penali di cui troppi dimenticano di scrivere.)

Giovanni Falcone, nel 1987, avrebbe voluto interrogare Roberto Fiore, terrorista nero che oggi è diventato il leader di Forza Nuova e all’epoca si era rifugiato in Inghilterra, per porre alcune domande nell’ambito dell’inchiesta sui delitti politici, ed in particolare quello di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana ucciso il 6 gennaio 1980. A far riemergere il fatto è oggi il quotidiano La Repubblica con un articolo a firma del collega Salvo Palazzoloriportando le domande contenute in uno dei documenti che oggi sono conservati nell’aula bunker dell’Ucciardone tra le carte dell’“Ordinanza sentenza contro Greco Michele + 18, Volume 4, pagina 615”.
Falcone, all’epoca giudice istruttore, credeva che Fiore, esponente di Terza Posizione, conoscesse i termini di uno “scambio di favori” fra la mafia ed i neri.
L’ipotesi investigativa era che i terroristi dei Nuclei armati rivoluzionari, con Giusva Fioravanti in testa (anche se poi venne assolto), avrebbero ucciso Mattarella avendo come contropartita un aiuto per far evadere dal carcere il militante neofascista Pierluigi Concutelli. Un progetto, quest’ultimo, di cui proprio Fiore si sarebbe occupato alla fine del 1979, assieme a Francesco Mangiameli (poi ucciso dai Nar).

Dunque Falcone avrebbe voluto interrogare Fiore ed aveva anche avviato una rogatoria che fu ammessa dalle autorità inglesi soltanto dopo diciassette mesi e senza la presenza del giudice ucciso a Capaci nel maggio 1992.L’interrogatorio di Fiore ebbe luogo il 22 dicembre 1987 davanti alla corte londinese di Bow Street e Falcine, che lesse le risposte date da quest’ultimo, annotò: “Le risposte sono state estremamente generiche, ma purtroppo l’assenza del giudice istruttore non ha potuto colmare le evidenti lacune”.
Fiore rispose di aver incontrato Mangiameli “fra il 1978 ed il 1979”; di aver incontrato “poche volte, casualmente, in strada o al bar” Valerio e Cristiano Fioravanti; di “non ricordare” se aveva presentato Mangiameli a Valerio Fioravanti; di “aver letto sui giornali” del piano per l’evasione di Concutelli; e di“non sapere nulla sull’uccisione di Mattarella”. Risposte brevi, concise, a cui Falcone avrebbe voluto dare un seguito in particolare contestando a Fiore le parole di uno dei pentiti di Terza Posizione, Mauro Ansaldi. Questi disse che Fiore gli confidò che “dietro Fioravanti c’erano la P2 e Gelli”.

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Una dirigente comunale e un prete: le “entrature” della mafia a Milano

Ci sono anche una dirigente del Comune di Milano (fino a febbraio 2017) e un sacerdote tra i destinatari delle prime 15 sentenze a ruota degli arresti nel maggio 2017, quando la Direzione distrettuale antimafia dei pm Ilda Boccassini e Paolo Storari ottenne dal gip Giulio Fanales anche l’amministrazione giudiziaria di 4 direzioni generali dei supermercati Lidl, e il commissariamento delle società del gruppo Securpolice che sorvegliava il Tribunale.

Giovanna Afrone, dopo gli arresti domiciliari dimessasi da responsabile del «Servizio gestione contratti trasversali con convezioni centrali committenza», è stata condannata in primo grado con rito abbreviato (e attenuanti prevalenti sulle aggravanti) dalla giudice Giusi Barbara a 3 anni per corruzione: cioè per aver promesso — in cambio delle prospettive del proprio passaggio al settore Bilancio della Provincia e del trasferimento di una cugina al settore informatico del Comune — una via privilegiata sugli appalti delle pulizie delle scuole sotto soglia di 40.000 euro di valore. La funzionaria, secondo l’inchiesta del pm Storari, era uno dei contatti procurati ad alcuni referenti del clan catanese Laudani da Domenico Palmieri, cioè dal sindacalista pensionato (dopo molti anni in Provincia) che, «grazie a questa lunga militanza nella pubblica amministrazione, aveva messo una serie di relazioni a disposizione dei fratelli Alessandro e Nicola Fazio, di Luigi Alecci, Emanuele Micelotta e Giacomo Politi», intermediazione retribuita mille euro al mese. Palmieri ieri ha patteggiato per associazione a delinquere e traffico di influenze 3 anni e 4 mesi, quasi quanto (3 anni e 3 mesi) l’altro ex sindacalista e dipendente della Regione accusato dello stesso tipo di «facilitazioni», Orazio Elia.

La dipendente comunale è stata condannata anche a risarcire con una provvisionale di 10 mila euro i danni di immagine al Comune di Milano parte civile, mentre 60 mila euro è stata la provvisionale accollata in solido ad Antonino Ferraro (che per altre vicende e reati, tra cui l’associazione a delinquere, è stato condannato a 5 anni e alla confisca di 181.000 euro), a Vincenzo Strazzulla (3 anni e 4 mesi) e a Alberto Monteverdi (3 anni). La pena più alta tra quelle emesse ieri è stata di 5 anni e 4 mesi per Antonio Saracino, mentre Antonino Catania ha avuto 4 anni come Giuseppe D’Alessandro, 2 anni Luigi Sorrenti, 1 anno e 4 mesi Ivan Zaccone (ex dirigente Lidl), 10 mesi Rosario Spoto. Salvatore Esposito ha patteggiato 1 anno e 10 mesi, F. G. 1 anno e 5 mesi. Anche un prete figura tra i condannati: don Giuseppe Moscati, più noto per le sue esibizioni canore di tema religioso, ha avuto un anno e 2 mesi per aver emesso, quale amministratore unico delle Edizioni musicali Il Millennio srl, 12.000 euro di fatture false per far evadere le tasse a una società riconducibile ad alcuni degli imputati. Tra i 13 rinviati a giudizio anche l’ex n.2 del Foggia Calcio, Massimo Curci, per una evasione di 31 milioni, e l’ex dirigente Lidl Simone Suriano.

(fonte)

Scimone e il sistema ‘ndrangheta in Toscana

Come sempre per capire vale la pena leggersi Lucio Musolino:

Il regista delle movimentazioni finanziarie della ‘ndrangheta era l’imprenditore Antonio Scimone. È lui il principale indagato, fermato oggi dalla procura di Reggio Calabria assieme ad altre 26 persone nell’ambito dell’inchiesta Martingala, condotta dal Direzione investigativa antimafia e dalla Guardia di Finanza. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari.

Un’inchiesta condotta dalla Dda di Reggio in sinergia con la procura di Firenze che, al termine delle indagini dei carabinieri e delle fiamme gialle, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare per 14 persone e il sequestro di 12 società e ingenti disponibilità finanziarieSul fronte calabrese l’inchiesta della Direzione investigativa antimafia, coordinata dal procuratore vicario Gaetano Paci, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostitutiStefano Musolino e Francesco Tedesco, ha consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale che aveva base a Bianco, nella Locride, ma che godeva di ramificazioni in molte regioni d’Italia e all’estero.

Se Antonio Scimone era l’elemento di vertice dell’organizzazione criminale, principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni, al suo fianco ci sono Antonio Barbaro (esponente dell’omonima cosca conosciuta con il soprannome de “I Nigri”), Bruno Nirta e suo figlio Giuseppe Nirta di San Luca. Il meccanismo prevedeva un gruppo di società di comodo che avevano sede in Croazia, in Slovenia, in Austria e in Romania. In realtà, secondo gli inquirenti, si trattava di società “cartiere” che servivano per mettere in piedi operazioni commerciali inesistenti grazie a documenti fiscali e operazioni di pagamento fittizie. Ecco perché, entro i due anni dalla costituzione di queste società, la sede legale veniva trasferta nel Regno Unito dove poi cessavano l’attività evitavando in questo modo accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Uno stratagemma che consentiva di schermare numerosi trasferimenti di denaro, da e verso l’estero, funzionali agli indagati per riciclare e reimpiegarei soldi sporchi della ‘ndrangheta. Ma non solo. Il meccanismo delle false transazioni commerciali serviva a instaurare articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati. Flussi che poi sarebbero stati messi a disposizione di numerosi “clienti” delle società cartiera per frodare il fisco.

Ecco quindi, che nella rete della Direzione distrettuale antimafia sono finiti imprenditori “espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei tre mandamenti, quello ionico, quello reggino e quello della Piana di Gioia Tauro. Stando alle indagini della Dia, infatti, dai conti correnti delle società “cartiere” messe in piedi da Scimone transitavano centinaia di migliaia di euro al mese. Soldi che poi rientravano in Italia mediante bonifici a società di comodo oppure finivano sui conti delle società estere da dove, in un secondo momento, venivano prelevati e portati in contanti in Calabria.

Dall’inchiesta Martingala è emerso come l’organizzazione sia stata capace di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici con la predisposizione di contratti di joint venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”. Così Scimone è stato in grado di drenare, in modo apparentemente lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici. Grazie alle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, inoltre, la Dia ha svelato l’esistenza di una folta schiera di imprenditori di Reggio Calabria che si sarebbero rivolti a Scimone per usufruire dei servizi del sodalizio criminale. Tra questi c’è Pietro Canale, socio di maggioranza ed amministratore della Canale Srl, che si occupa di costruzioni e della gestione di condutture di gas. I pm lo accusano di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita. Ma anche l’imprenditore Antonino Mordà, in passato coinvolto in procedimenti di mafia, che aveva una grossa disponibilità di liquidi reimpiegati nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. Un’attività “secondaria” per la quale Mordà si sarebbe avvalso della collaborazione di Pierfrancesco Arconte, figlio di Consolato Arconte che nel processo “Olimpia” è stato riconosciuto come elemento di vertice della cosca Araniti.

L’inchiesta di oggi è, in sostanza, il seguito dell’operazione Cumbertazione che l’anno scorso ha portato all’arresto di imprenditori, legati alla cosca Piromalli, che facevano incetta di appalti pubblici finanziati anche con i fondi europei Pisu (Piani Integrati di Sviluppo Urbano). Imprenditori come i Bagalà di Gioia Tauro e Giorgio Morabito che si sarebbero avvalsi del reticolo di imprese di Scimone. Tra gli appalti passati allo scanner dagli inquirenti c’è quello indetto dal vomune di Rosarno per il “Centro polisportivo a servizio della città-porto”. Per realizzarlo, la società che aveva vinto l’appalto, la Barbieri Costruzioni Srl, aveva ottenuto un’anticipazione dal Comune di  877mila euro. Buona parte di questi soldi, circa 670 mila euro, sono finiti dai conti dell’impresa Barbieri ai rapporti finanziari delle società italiane riconducibili a Scimone e, subito dopo sui conti delle imprese estere “Nobilis Metallis Doo” e “B-Milijon”.

Il giro vorticoso di denaro si è concluso con una serie di bonifici in favore degli imprenditori coinvolti nel sistema, Pietro Canale e Antonino Mordà. Prelevate in contanti e ripulite, le somme poi sono state consegnate da Scimone a Giorgio Morabito. Il cosiddetto “sistema Scimone” è stato utilizzato anche per il “Centro polifunzionale – lato sud del lungomare di Gioia Tauro” per il quale l’organizzazione è riuscita a intascarsi quasi 776mila euro a fronte di fatture emesse dalle società “cartiera”. Per gli investigatori, quindi, Scimone è un riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma di tutta la ‘ndrangheta che opera nella provincia di Reggio Calabria. Oltre ai 27 fermati, nell’inchiesta “Martingala” sono indagate e denunciate altre 46 persone. La Procura di Reggio ha, inoltre, sequestrato 51 società in Italia e all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per circa 100 milioni di euro.

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L’Italia che resiste: la lotta di Francesco contro il pizzo

PALERMO — Si sono organizzati come se dovessero assaltare il caveau di una banca. In sette, armati e incappucciati. Facendo irruzione al Bar Massaro, un famoso e popolare bar a due passi dal mercato Ballarò. Terrorizzando camerieri e turisti. Pronti a martellare una vetrata blindata e a zompare sulla cassa per arraffare appena cinquecento euro e venti stecche di sigarette. Un bottino da niente rispetto alla messa in scena dell’incursione. E cosi tutti pensano a un segnale dei boss che a Palermo tornano a pretendere il pizzo. Quello che ha deciso di non pagare il proprietario del bar, Francesco Massaro, Ciccio per gli amici, un quarantenne che ha dovuto cambiare improvvisamente lavoro. Fino a due anni fa stava in cronaca al Giornale di Sicilia, esperto di nera, schiena dritta, deciso a mollare il mestiere del padre, storico titolare di quei banconi dove si servono cannoli e arancine da primato.

Le rapine

«Non era la mia vita. Ma la vita viene a prenderti», commenta rivedendo il giro di boa al quale fu costretto quando una sera un infarto portò via il padre. E Ciccio dovette fare la scelta, «pensando anche ai 35 dipendenti che lavorano con noi». Ma, lasciando il giornale e tante cronache sul racket, una cosa giurò a se stesso: «Che non avrei mai pagato il pizzo». E per questo, subito dopo, cominciarono le rapine. Quasi una al mese. Con il giovane Massaro determinato, allora come oggi: «Potrei farmi un giro e chiedere. Quanto volete per non avere scassata la m…? Potrei domandarlo, ma non lo faccio. Qualcuno in buona fede me lo consiglia. Quello che facevano padri e nonni, che non erano mafiosi, ma soggiacevano, oggi non si può più fare, non si deve fare».

L’assalto dell’altra sera

Ed è così che, dopo una lunga pausa, si arriva all’assalto dell’altra sera: «Mi inquietano le modalità di questi novelli magnifici sette. Per attaccare il convoglio blindato di Butch Cassidy erano in quattro, compresi Robert Redford e Paul Newman. Sapevano che avrebbero racimolato poco perché i soldi vanno automaticamente in cassaforte». Ne parla mentre al telefono rassicura la moglie con la bimba di 16 mesi a casa, mentre nel bar rimbalza la solidarietà di Nello Musumeci, il governatore, e il sindaco Leoluca Orlando promette di costituirsi parte civile. Poi arrivano amici e colleghi, anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti e il suo predecessore, Giulio Francese e Riccardo Arena.

«Non mi spezzo»

A 27 anni dall’omicidio di Libero Grassi, Palermo rischia un passo indietro, come sanno quanti si lamentano di non essere stati tutelati dopo le denunce, da Alessandro Marsicano con un bar nella vicina via Basile a Vincenzo Conticello, un tempo titolare dell’Antica Focacceria. Dopo i rilievi della Scientifica e i controlli della Squadra Mobile, Massaro è fiducioso, e si scrolla il ruolo di paladino: «Sono un palermitano normale. Non punto il dito contro chi paga il pizzo, so che è difficile resistere. Ma non riusciremo a fare crescere bene i nostri figli continuando a piegarci». Un velo di mestizia trapela infine da un quesito affidato a una cronaca a sua firma, sul Giornale di Sicilia: «Non mi spezzo, dicevo tra me e me mentre sparecchiavo i tavoli, facevo accomodare i clienti, grazie e prego. Non mi spezzo. Ma guardiamoci in faccia: sono davvero in grado, intimamente dico, di mantenere fede all’impegno? Di amare, onorare e rispettare il bar finché morte, mia o sua, non ci separi?». E questa sembra una richiesta di aiuto.

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Mafia nigeriana? Ottima occasione per parlare di tutte le mafie.

Alla fine (per il solo fatto che sia nigeriana) anche la mafia torna prepotentemente alla ribalta nel dibattito politico di questa campagna elettorale: a quelli che si rivendono come difensori della povera Pamela da qualche ora è venuta la brillante idea di puntare alla “paura organizzata” blaterando con superficialità e ignoranza di una presunta mafia nigeriana (ovviamente dipinta tutta scimmiesca e impegnata nei suoi riti vodoo) pur di tenere sempre alta la paura che accende la guerra tra disperati.

E allora parliamo, di mafia. Parliamo di tutte le mafie (nigeriana inclusa, così togliamo l’alibi alla destra di non occuparci di anche di loro) partendo da un concetto semplice semplice: anche nel campo della criminalità organizzata gli stranieri (ovvero le mafie straniere) fanno i lavori che gli italiani (ovvero Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita) non vogliono più fare. La classe dirigente criminale, anche a livello internazionale, è tutta nostrana e da qualche anno è in missione all’estero per spolpare altri Paesi dopo avere mangiato il nostro. L’emergenza criminale, per intendersi, è la ‘ndrangheta italiana che sta colonizzando la Germania. Chiedete agli amici tedeschi, se vi capita. Quindi per non cadere nel patetico errore di essere forti con i deboli e deboli con i forti cominciamo ad occuparci di loro. Di tutti.

Ma occupiamocene seriamente: discutere di mafie collegandole alla cronaca nera (peggio ancora occuparsene se è nero l’assassino) è un offesa alla storia di questo Paese che nella lotta alla mafia ha perso i suoi uomini migliori. E se davvero vogliamo occuparci della “certezza della pena” (che torna sempre di moda in campagna elettorale) allora non c’è niente di meglio che punire i corrotti e i corruttori (che sono l’anello di congiunzione tra mafie e politica) e indignarsi con forza ogni volta che scorgiamo qualcuno di loro sornione, impunito o addirittura classe dirigente.

Fare le cose sul serio. Seriamente.

(Giulio Cavalli, Giuseppe Civati)

Devo darvi una notizia che una notizia non lo è: sono fatto così.

Faccio un mestiere particolare, io: troppi. Nasco stando sui palchi a limare le risate contro il prepotere dei prepotenti e per quello mi sono ritrovato in qualcosa di pauroso e pesantissimo per le persone che mi stanno intorno: a forza di affilare monologhi sono finito costretto a guardarmi le spalle. Era una cosa che faceva impazzire dal ridere Dario Fo, ogni volta che ci capitava di parlarne.

Poi non riesco a non mettermi a scrivere ogni volta che trovo una storia che non sia stata raccontata abbastanza: mi chiamano giornalista ma in realtà sono un cantastorie che in mancanza di palchi si butta sulla carta e la penna perché non sopporto che le storie rimangano sepolte dalle porte chiuse e dalle finestre abbassate. Mi chiamano giornalista ma forse sono semplicemente uno spazzacamino che stura le notizie che a qualcuno rimangono in gola.

Mi occupo di mafie. Sì. Senza aver mai pensato di esserne né l’antieroe né il nemico numero uno ma con la consapevolezza che le mafie, sì, mi hanno cambiato la vita. In peggio. La mia e quella dei miei figli. Perché in questo la mafia è come la politica: tu puoi non occuparti di loro ma loro si occupano di te. E in tutti questi anni passati ad attraversare l’Italia ho scoperto eroi quotidiani e silenziosi che mi hanno insegnato più dei saggi: tra le vittime di mafia, tra i loro famigliari e tra le centinaia di persone che dell’antimafia ne hanno fatto davvero una professione (nel senso rotondo e pulitissimo di “professare” i propri valori)  ho incontrato persone che mi hanno insegnato la virtù della schiena dritta, delle scelte difficili e ho respirato il “profumo della libertà” contro “il puzzo del compromesso”. Sarebbero quasi da ringraziare, quegli stronzi che pensavano di intimorirmi.

Poi ho i libri. I miei libri. Che alla fine sono un distillato di me. Un pinta di Giulio, per dire. E ho la fortuna di avere editori che hanno creduto in me e lettori che mi scrivono lettere che sono più belle dei miei capitoli.

Poi ho la politica. Sì. Che è una passionaccia che coltivo e che auguro ai miei figli di coltivare. In Regione insieme a Pippo Civati abbiamo raccontato le mafie e il formigonismo quando ne parlavano in pochissimi. L’ho fatto lì, in faccia a Formigoni e in faccia agli stessi politici che con la ‘ndrangheta stabilivano le cordate elettorali. Faccio politica ogni volta che scrivo, recito e presento un libro: ogni volta che qualcuno tenta di colpirmi dicendomi “sei troppo politicizzato” lo prendo come un complimento da mettere nel cassetto degli attacchi che mi fanno piacere. Mi auguro un Paese politicissimo, aborro l’apolitica (e l’antipolitica) che ha sempre aperto la strada alle truffe e agli imbonitori.

Eccolo il mio mestiere, pieno di rivoli. E ogni volta ne pago volentieri il prezzo. Per questo quando Liberi e Uguali mi ha chiesto di candidarmi alla Camera, nella mia Lombardia, ho pensato che ci vuole fegato a candidare un rompicoglioni come me, critico per indole e di natura avverso alle servitù di scuderia (nonostante il cognome), ma credo che la sinistra (sì, la sinistra, anche se qualcuno vorrebbe farla passare di moda) ogni tanto tocchi anche costruirla con qualcosa in più degli editoriali. E ho accettato. Sono candidato a Monza nel collegio plurinominale alla Camera. Sarà un mese bellissimo.

A proposito del Crotone calcio e del suo storico presidente

Qualche mese fa (era aprile del 2016) scrissi del Crotone calcio e della suo turbolenta storia (trovate tutto qui): ci du una mezza sollevazione di massa da parte di alcuni amici crotonesi che rimasero parecchio turbati di “certa stampa che vuole rovinare la favola del Crotone”.

Ora, sempre sui Vrenna, escono alcune informazioni (contenute tra le carte dell’inchiesta “Stige”) che aggiungono altri elementi. Ne scrive il sempre puntuale Lucio Musolino per Il Fatto Quotidiano:

Rifiuti ospedalieri trasportati con i camion di Raffaele Vrenna e interrati vicino a una scuola elementare. Monnezza e ‘ndrangheta, un binomio imprescindibile tanto per la cosca dei “cirotani” quanto per le altre famiglie mafiose calabresi. Non ci sono solo i rifiuti dell’Ilva di Taranto nelle carte dell’inchiesta “Stige”, condotta dai carabinieri del Ros con il coordinamento della Dda di Catanzaro.

Nell’ordinanza di custodia cautelare, che martedì ha portato all’arresto di 170 persone della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, il gip Giulio De Gregorio ha inserito anche alcuni verbali di collaboratori di giustizia che hanno consentito al procuratore Nicola Gratteri, all’aggiunto Vincenzo Luberto e ai pm Domenico Guarascio, Fabiana Rapino e Alessandro Prontera, di aprire uno squarcio sugli affari della ‘ndrangheta crotonese.

Tra i pentiti c’è anche Vincenzo Marino, fino al 2007 organico della cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura padrona incontrastata di Crotone. La sua attendibilità – scrive il gip –  “veniva positivamente valutata da diversi giudici e tra questi quelli del Tribunale di Catanzaro nell’ambito del processo ‘Scacco Matto’”.

Il 25 settembre 2015, Marino è di nuovo davanti ai pm di Catanzaro e a loro “riferiva dell’esistenza di un legame tra la sua cosca e quella dei cirotani”. In particolare, il pentito ha raccontato “l’ingerenza della cosca cirotana in diversi ambiti imprenditoriali con la ‘creazione’ di monopoli per il tramite della carica di intimidazione”.

Oltre che su una “grossa estorsione” ai danni di un imprenditore che a Crotone “stava costruendo la caserma dei vigili del fuoco” e su “un grosso traffico di stupefacenti” gestito “con Peppe Spagnolo e Martino Cariati”, prima che l’interrogatorio si concludesse, Vincenzo Marino si è soffermato su un giro di “rifiuti ospedalieri” che partivano da Cosenza. Ed è a questo punto che il pentito fa il nome dello storico presidente del Crotone Calcio Raffaele Vrenna, dimessosi lo scorso marzo, già assolto in Cassazione per associazione mafiosa, estorsionecorruzione e voto di scambio (nell’ambito dell’inchiesta “Puma”) e più recentemente, in primo grado, dall’accusa di intestazione fittizia.

“Con i cosentini, in particolare, con tale Bella Bella un ragazzo distinto che parlava sempre in italiano, ho gestito un traffico di rifiuti ospedalieri – fa mettere a verbale Marino – I rifiuti provenivano da Cosenza, ho incontrato questo ragazzo in una stazione di servizio carburante sita in territorio sibaritide. I rifiuti venivano presi in carico dai camion delle impresa di Raffaele Vrenna e scaricati in Crotone nei pressi della scuola elementare, vicino a casa di Pino Vrenna”. Quest’ultimo era il boss di Crotone che, nel 2010, ha saltato il fosso e ha iniziato a collaborare con la giustizia.

“Ho solo accennato a queste vicende – conclude il pentito Marino che, rivolgendosi ai pm, li ha invitati a verificare – Se scavate potete trovare ancora oggi qualcosa. Sono disponibile ad effettuare un sopralluogo per indicare il posto dove sono stati interrati i rifiuti”.

 

Operazione Stige: 169 arresti di ‘ndrangheta. I fatti e i nomi.

(da zoom24.it)

Infiltrata nel tessuto politico-sociale e in quello economico-produttivo, in Italia ma anche all’estero. Una vera e propria holding criminale quella che i carabinieri hanno smantellato all’alba di oggi tra la Calabria e la Germania. E’, in estrema sintesi, quanto viene fuori dall’operazione Stige condotta dagli 007 del Ros e dei militari del Comando provinciale dei carabinieri di Crotone sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ha portato all’arresto di 169 persone (130 in carcere e 39 ai domiciliari) e al sequestro di oltre 50 milioni di euro.

Operazione Stige . Al centro delle indagini le attività criminali della cosca Farao-Marincola di Cirò, una delle più potenti in Calabria, attiva soprattutto nelle estorsioni e nel traffico di droga e che vanta ramificazioni anche in Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Lombardia, e in Germania (in particolare – come accertato grazie alla collaborazione con la polizia tedesca – nei länder dell’Assia e del Baden-Württemberg). Gli interessi del clan andavano dal commercio di prodotti vinicoli e alimentari, alla raccolta dei rifiuti, ai servizi funebri, agli appalti pubblici oltre a poter contare su una fitta rete di connivenze da parte di pubblici amministratori.

Arresti “eccellenti”. Tra le persone coinvolte nell’inchiesta ci sono diversi sindaci e amministratori locali: il presidente della Provincia di Crotone e sindaco di Cirò Marina Nicodemo Parrillà, quello di Strongoli Michele Laurenzano. Tra gli altri figurano anche Giuseppe Berardi, vicesindaco di Cirò Marina, così come e l’ex primo cittadino Roberto Siciliani ed il fratello Nevio, ex assessore del Comune jonico. E poi: Giancarlo Fuscaldo, presidente del Consiglio comunale; Domenico Cerrelli, vicesindaco di Casabona; Angelo Donnici, primo cittadino di Mandatoriccio insieme al vice sindaco Filippo Mazza e infine, Giovambattista Benincasa, ex sindaco di San Giovanni in Fiore. Le accuse per tutti sono di concorso esterno in associazione mafiosa.

I reati contestati. L’inchiesta è stata coordinata dal Procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dai sostituti Domenico Guarascio, Alessandro Prontera e Fabiana Rapino. Ai 169 indagati vengono contestati i reati di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, autoriciclaggio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni, intestazione fittizia di beni, procurata inosservanza di pena e illecita concorrenza con minaccia aggravata dal metodo mafioso.

Le infiltrazioni nel tessuto economico. I provvedimenti scaturiscono da un’articolata investigazione che avrebbe consentito di documentare, in particolare, l’operatività, gli assetti gerarchici interni e le attività criminose della locale di ‘ndrangheta dei Farao-Marincola, secondo gli inquirenti “in posizione di sovra-ordinazione” rispetto ad altre realtà criminali, “seppure territorialmente contigue o con esso interferenti”. La cosca, in pratica, avrebbe infiltrato il tessuto economico e sociale dell’area cirotana attraverso “un radicale controllo mafioso” degli apparati imprenditoriali della produzione e commercio di pane, della vendita del pescato, del vino e dei prodotti alimentari tipici, nonché nel settore della raccolta e riciclo sia di materie plastiche sia di Rsu. L’indagine avrebbe quindi delineato il quadro complessivo degli interessi illeciti gestiti dal clan in ambito nazionale e estero, verificando anche la disponibilità di ingenti risorse finanziarie che venivano reimpiegate in numerose iniziative imprenditoriali e commerciali nel Nord-Italia e in Germania.

La struttura, le ‘ndrine satelliti e il riciclaggio. Le attività, condotte dai carabinieri e coordinate dalla Dda, avrebbero poi accertato una strutturazione peculiare dell’organizzazione criminale che sarebbe stata diretta dal boss ergastolano Giuseppe Farao (cl. 47) e avrebbe avuto la sua base operativa nell’area di Cirò, Cirò Marina e nei comuni circostanti. In questi territori sarebbe stata inoltre verificata l’operatività di due ‘ndrine satelliti: quella di Casabona facente capo a Francesco Tallarico, e quella di Strongoli con a capo la famiglia “Giglio”. La locale di Cirò avrebbe potuto contare inoltre su proprie promanazioni nelle regioni del Nord Italia e della Germania, dove venivano gestite attività commerciali e imprenditoriali, ritenute però come il frutto di riciclaggio e reimpiego dei capitali accumulati illecitamente.
L’assetto del sodalizio sarebbe stato l’espressione delle direttive impartite da Giuseppe Farao sarebbe stato – sempre secondo gli inquirenti – “chiaramente orientato a privilegiare lo sviluppo imprenditoriale della cosca, affidato ai propri figli e nipoti e sviluppato attraverso il reperimento di nuovi e sempre più remunerativi canali di investimento economico, limitando al massimo il ricorso ad azioni violente ed evitando gli scontri interni ritenuti pregiudizievoli per la conduzione degli affari”. Il controllo mafioso del territorio sarebbe stato invece demandato ad una serie di “reggenti”, fedelissimi del capo cosca.

La rete degli imprenditori “collusi”. Le indagini avrebbero permesso di ricostruire la ramificata rete di imprenditori considerati compiacenti e collusi che, sulla base di un rapporto perfettamente “sinallagmatico”, ovvero di reciproci scambi, avrebbero ottenuto pagamenti rapidi dalle Pubbliche amministrazioni, recuperi crediti, lavori e commesse (pubbliche e private=, riconoscendo di contro al clan i più diversificati favori: dalle assunzioni, ai finanziamenti, all’elargizione di somme di denaro, “contribuendo efficacemente e consapevolmente – affermano gli investigatori – all’accrescimento del potere mafioso sul territorio”. Fondamentale nell’inchiesta è stata anche la collaborazione con le autorità tedesche (Ika e Bka) nel ricostruire gli affari illeciti gestiti dalla cosca in Germania. In questo quadro si sarebbe documentato il controllo da parte della cosca della produzione e distribuzione dei prodotti da forno (pane e affini), per cui i commercianti al dettaglio cirotani sarebbero stati costretti ad acquistare solo il pane prodotto dal forno di uno dei sodali e, nel contempo, gli altri concorrenti, con minacce, sarebbero stati allontanati dal territorio.

I NOMI DELLE PERSONE COINVOLTE NELL’INCHIESTA

IN CARCERE:
AIELLO Natale di Botricello
ALBANO Alessandro di Cirò Marina
ALESSIO Domenico detto “Frank” di Casabona
ALOE Francesco di Cirò Marina
ALOE Gaetano di Trissino (VI)
ANANIA Antonio di Cirò Marina
ANANIA Ercole di Cirò Marina
ANANIA Fabrizio di Cirò Marina
ANANIA Valentino di Cirò Marina
AULISI Martinonato di Bellizzi (Sa)
AULISI Sante di Bellizzi (Sa)
BARBIERI Vincenzo di Cirò Marina
BARTUCCA Antonio di Vigonza (Pd)
BASTA Francesco di Cirò (Kr)
BENINCASA Giovambattista di San Giovanni in Fiore (Cs)
BERARDI Giuseppe di Cirò Marina
BEVILACQUA Antonio Giorgio di Melissa (Kr)
BLAICH Moncef di Tarsia (Cs)
BOMBARDIERE Vittorio di Cirò (Kr)
BONESSE Francesco di Reggio Emilia
BRUNO Giuseppe di Cirò Marina
CANINO Agostino di Sellia Marina
CAPALBO Francesco di Strongoli (Kr)
CAPUTO Amodio di Crotone
CAPUTO Luiginato di Strongoli (Kr)
CARIATI Martino di Cirò Marina
CARUSO Giovanni di Mandatoriccio (Cs)
CASTELLANO Vito di Cirò Marina
CATERISANO Massimo Diego di Isola Capo Rizzuto (Kr)
CELANO Dino di Roma
CERMINARA Assunta di Cirò Marina
CERRELLI Domenico di Casabona (Kr)
CHIMENTI Aldo di Spezzano Albanese (Cs)
CHIRIACO Emanuele di Crotone
CLARA’ Giuseppe di Santa Severina (KR)
COFONE Angelo di Acri
COMBERIATI Luigino di Petilia Policastro
CORBO Robertonato di Sessa Aurunca (CE)
CRUGLIANO Gennaro di Cariati
CRUGLIANO Leonardo di Cirò
CRUGLIANO Mirco di Cirò
CUSATO Giuseppe di Crotone
D’AMBROSIO Adolfo di Rende
DE LUCA Antonio di Crotone
DONNICI Angelo di Mandatoriccio (Cs)
ESPOSITO Aniello di Teora
FARAO Francesco di Cirò Marina
FARAO Giuseppe di Silvio di Cirò Marina
FARAO Giuseppe di Cirò Marina
FARAO Silvio di Cirò Marina
FARAO Vincenzo di Cirò
FARAO Vittorio di Giuseppe di Cirò
FARAO Vittorio di Silvio di Cirò
FAZI Paolo di Pietra Marazzi (Al)
FIORITA Maria Costanza di Strongoli (Kr)
FUSCALDO Giancarlo di Cirò Marina;
GABIN Alessandro di a Marghera (VE)
GALLO Giuseppe di Aprigliano
GANGALE Donato di Umbriatico
GANGALE Vincenzo di Carfizi (Kr)
GIGLIO Giuseppe di Strongoli (Kr)
GIGLIO Salvatore di Strongoli (Kr)
GIGLIO Vincenzo di Strongoli (Kr);
GIGLIOTTI Franco di Parma
LAURENZANO Michelenato di Strongoli (Kr)
LAVORATO Mario di Mandatoriccio
LOMBARDO Maria Giulia di Cirò Marina (Kr)
LONGOBUCCO Fedele di Cariati (Cs);
MAIOLO Francesco di Isola Capo Rizzuto (Kr)
MALENA Cataldo di Strongoli (KR)
MALENA Pasquale di Cirò Marina
MALETTA Paolo di Colosimi (Cs)
MANICA Antonio di Prato
MARINCOLA Aldo nato a Kassel (Germania) di Parma
MARINCOLA Cataldo di Sulmona (AQ)
MAZZA Filippo di Mandatoriccio (Cs)
MAZZEA Francesco di Isola Capo Rizzuto (Kr)
MENOTTI Federico nato di Napoli
MIGLIO Enrico, di Strongoli
MORRONE Francesco di Cirò Marina (Kr)
MORRONE Salvatore di Cirò Marina (Kr
MUTO Carmine di Crotone
MUTO Luigi di Cutro
MUTO Santino di Cutro
NIGRO Salvatore di Cirò Marina
PALETTA Basilio di Cirò
PAPAIANNI Salvatore di Cirò
PARRILLA Nicodemo di Cirò Marina
PIZZIMENTI Giuseppe di Isola Capo Rizzuto (Kr)
POTENZA Fabio di Parma
PUTRINO Carmela Roberta di San Nicola Dell’Alto (Kr)
PUTRINO Massimo di San Nicola dell’Alto (Kr)
QUATTROMANI Eugenio di Cirò Marina (Kr)
RISPOLI Leonardo di Cariati (Cs)
RIZZO Angela di Savelli (Kr)
RIZZO Luigi di Umbriatico (Kr)
RIZZO Salvatore di Umbriatico (Kr)
ROCCA Domenico di San Mauro Marchesato (Kr)
RUSSO Francesco di Cirò Marina;
RUSSO Gaetano di Crotone
SALVATO Francesco di Crucoli (Kr)
ANTORO Vincenzo Mandatoriccio
SCULCO Michele, residente in Germania
SESTITO Giuseppe di Cirò Marina
SICILIANI Mario di Cirò Marina (Kr)
SICILIANI Nevio di Cariati (Cs)
SICILIANI Roberto di Cirò Marina (Kr)
SIENA Carmine di Cirò Marina (Kr)
SIENA Palmiro Salvatore di Cirò Marina
SPADAFORA Antonio di San Giovanni in Fiore
SPADAFORA Giovanni di Vigonza (Pd)
SPADAFORA Luigi di San Giovanni in Fiore (Cs)
SPADAFORA Pasquale di San Giovanni in Fiore (Cs)
SPADAFORA Rosario di San Giovanni in Fiore (Cs)
SPAGNOLO Giuseppe di Cirò Marina
SPROVIERI Giuseppe di Cirò Marina (Kr)
SQUILLACE Antonio di Cutro
TALLARICO Francesco di Crotone
TALLARICO Ludovico di Casabona (Kr)
TASSO Luigi di Campana
TRIDICO Giuseppe di Montalcino
TUCCI Bruno di Acri (Cs)
VASAMÌ Piero residente in Germania
ZAMPELLI Vincenzo di Rossano (Cs)
ZITO Francesco di Crucoli (Kr)
ZITO Valentino di Cirò Marina
FLOTTA Nicola di Mndatoriccio
PALMIERI Domenico, detto Tonino, residente in Germania
CAPRISTO Tommaso, residente in Germania
CAMPISO Mario, residente in Germania;
RUSSO Annibale, residente in Germania;

AI DOMICILIARI
AIELLO Maria di Corte de’ Frati (Cr)
ALOE Giuseppina di Cirò Marina
ALOE Lucia di Cirò Marina
ALOISIO Caterina di Cirò Marina
ALOISIO Laura di Cirò Marina
ARENA Tommaso di Crucoli (Kr)
BOMBARDIERI Carlo di Cirò Marina
BONIFAZIO Domenico di Cutro
BOTTI Roberto di Modena
CARDAMONE Gilda di Melissa (Kr)
CARLUCCIO Dino di Cirò Marina
CERCHIARA Gabriele di Crucoli (Kr)
CERRELLI Domenica di Casabona
CHIRIAC Alexandru di Cirò Marina (Kr)
COLA Morena di Roma
CONDORELLI Cristian di Roma
CRUGLIANO Francesco di Cirò Marina
ESPOSITO Antonio di Cirò Marina (Kr)
GAIBA Marco di Mogliano Veneto (Tv)
GIGLIOTTI Maria Francesca di Crucoli (Kr)
GRECO Nino di Cariati (Cs)
GRILLINI Andrea nato di Monterenzio (Bo)
GUARINO Domenico Nicola di Isola Capo Rizzuto (Kr)
GUARINO Giuseppe di Isola Capo Rizzuto
MALENA Elena di Cirò Marina
MASTROIANNI Maria di Casabona
NIGRO Alessandro di Cirò Marina
NIKOLLA Elton di Cirò Marina
PLACIDO Rosario di Malagnino (Cr)
POTESTIO Nicodemo di Cirò
ROCCA Antonellanata di San Mauro Marchesato (Kr)
ROCCA Francesco di San Mauro Marchesato (Kr)
SALVATOLuigi di Crucoli
SQUILLACIOTI Domenico di Isola Capo Rizzuto
VELTRI Annamaria di Isola Capo Rizzuto (KR)
VILLIRILLO Andrea di Crotone
VILLIRILLO Rocco di Crotone
CLARA’ Teresa di Crotone
SCARRIGLIA Massimo di Crotone

A Stoccarda pizza e vino (anche) della ‘ndrangheta

(da Il Sole 24 Ore)

Così come i tedeschi non vogliono credere, ancora oggi, che la mafia calabrese ha messo radici profondissime nella loro patria, allo stesso modo non sapevano di bere, in alcuni ristoranti, proprio il vino della ‘ndrangheta. O di mangiare pizza prodotta grazie ai semilavorati di imprese controllate dalle cosche. L’operazione Stige della Dda di Catanzaro, che ha condotto all’arresto di 169 soggetti accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, peculato, turbata libertà degli incanti, corruzione e danneggiamento, reati tutti aggravati dal metodo mafioso, rivela che la cosca crotonese Farao-Marincola può contare su diverse cellule operative in territorio tedesco.

In particolare, secondo investigatori e inquirenti, una cellula è attiva in Assia, capeggiata da un soggetto direttamente dipendente dagli esponenti di vertice della cosca, la cui principale finalità era quella di imporre in Germania, specie tra i ristoratori di origine italiana, prodotti vinicoli ed alimentari di imprese controllate dalla cosca stessa. Su tutti quelli di una cantina vinicola. Un’altra cellula è invece operativa nel Baden Wurttemberg, in particolare nella zona di Stoccarda, dove altri due soggetti promuovevano e monopolizzavano il mercato dei semilavorati per pizza, nonché dei prodotti vinicoli di un’altra società agricola, occultamente controllata dalla ‘ndrangheta di Cirò Marina.

Con tutta una serie di atti di concorrenza sleale, mediante minaccia di stampo mafioso, hanno sbaragliato la concorrenza. Non da oggi ma dalla metà degli anni Novanta.

Gli accertamenti della Polizia di Offenbach, coordinata da quella di Wiesbaden (Assia), ha anche accertato che un’associazione di Offenbach, dove era stata regolarmente registrata, era stata fondata allo scopo di sostenere e diffondere la cultura della cucina calabrese. A partire dal 16 settembre 2013, la Polizia di Offenbach, ha intercettato alcune utenze telefoniche. Il risultato è che proprio attraverso l’associazione era stata favorita la distribuzione e commercializzazione all’estero del prodotto vinicolo di una specifica cantina e altri prodotti riconducibili ad attività commerciali di soggetti affiliati alla ‘ndrangheta di Cirò. I canali distributivi dell’associazione sono stati impiegati dalla famiglia Farao come supporto per consentire alle stesse imprese ‘ndranghetiste non solo di esportare il loro prodotto da commercializzare in Germania ma anche di creare una struttura logistica composta da sede, attrezzature e veicoli, che consentivano, agli stessi affiliati, di insediarsi sul territorio tedesco.

Se è lo Stato a farsi confiscare un bene confiscato alla mafia

Riccardo Lo Verso racconta su Live Sicilia la storia dell’agrumeto che fu di Michele Greco, il “Papa” di Cosa Nostra, e di come sia stato “scippato” allo Stato:

«La prossima settimana presenterà una denuncia alla Procura della Repubblica. Romolo Resga non molla, ma neppure si illude. Sa bene che il suo progetto, bruscamente interrotto, rischia di naufragare.

Nell’immobile di Ciaculli ha investito soldi, tempo e passione. Solo che il 6 dicembre due famiglie di abusivi, probabilmente originarie del rione Brancaccio, hanno forzato l’ingresso e occupato la struttura di via Funnuta. Tra gli alberi di mandarini, il tardivo di Ciaculli, otto anni fa era nato il progetto Mandarinarte. Un bene confiscato ai mafiosi era diventato uno spazio di utilità sociale, dove si producevano marmellate, dolci e liquori, e si coltivava la memoria grazie anche a un finanziamento di 340 mila euro ricevuto dalla “Fondazione con il Sud”. Mandarinarte organizzava giornate di incontri per spiegare, soprattutto ai ragazzi delle scuole, che esiste una possibilità di riscatto in terra di mafia.

Resga, che è anche presidente dell’associazione Acunamatata, è originario di Pavia. A Palermo, però, dove ha trovato lavoro e famiglia, ha trascorso metà dei suoi 62 anni. Di Mandarinarte parla al passato. Ormai da un mese non c’è più traccia delle attività di un tempo: “È stata bruciata persino la cartellonistica e la segnaletica”. Gli abusivi hanno azzerato il progetto alla radice. Quel luogo adesso è casa loro: “Il 6 dicembre sono arrivate due famiglie. Una con tre bambini e l’altra con una donna incinta. Alle dieci di sera hanno sfondato le porte del piano superiore, dove facevamo attività con le scuole in collaborazione con l’associazione Solidaria e si sono autodenunciate”. Hanno composto il 112 per fare sapere ai carabinieri che da lì non se ne sarebbero andati. Poi, sono pure arrivate altre persone.

Resga ha scritto al Comune e alla Prefettura. Non ha ricevuto alcuna risposta: “Peccato perché si faceva antimafia vera, senza chiacchiere”. Non sembra il tipo che fa suonare inutili campanelli di allarme. Qualche domanda, però, se l’è posta. “Quello che è accaduto è strano, strano davvero”, dice Resga. Racconta del buon rapporto con la gente di Ciaculli. Mandarinarte accoglieva gli anziani, ospitava la celebrazione delle messe e, perché no, momenti si svago. Una grigliata può valere mille volte di più di noiosi discorsi. Mai ricevuto minacce o intimidazioni. L’unico episodio da segnalare è stato il furto dei cavi di rame. Che può accadere, anzi accade in mille altri posti della città.»

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