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Dire “è colpa mia” ma non voler toccare nulla nei rapporti con l’Egitto (armi incluse) è una presa in giro

Conte ha detto che è colpa sua. “Ho incontrato sei o sette volte il presidente Al-Sisi. Parlarci di persona e guardarlo negli occhi, poter esercitare un’influenza diretta durante un colloquio vis-à-vis non ha portato risultati, non sono stato capace”, ha detto il presidente del consiglio durante l’audizione alla commissione d’inchiesta sull’uccisione di Giulio Regeni, ammettendo di fatto il fallimento delle trattative diplomatiche con l’Egitto e lo stallo delle trattative. L’audizione di ieri, da cui ci si aspettava di avere un chiarimento sulle eventuali evoluzioni e sulle strategie da adottare è diventata un’opportunità di comunicazione per il governo ma non ha aggiunto nulla allo sconcerto che i genitori di Regeni da mesi fanno emergere insieme a tutta la loro insoddisfazione per la mancanza di significative novità.

Che un presidente del consiglio riconosca le proprie responsabilità è, di questi tempi, una rarità da salutare con sorpresa e perfino una certa ammirazione ma nelle parole di Conte manca un punto sostanziale: quindi cosa si ha intenzione di fare con l’Egitto? Come si ha intenzione di smuovere il sultanato di Al-Sisi che continua a essere sordo? Come si pensa di sbloccare la rogatoria internazionale della magistratura italiana che da un anno giace inascoltata in qualche cassetto di qualche ufficio egiziano? Su questo nulla.

Il governo dice di sperare che qualcosa possa accadere il primo luglio quando ci sarà l’incontro tra le Procure del Cairo e di Roma. Ammettiamolo: che l’unica strategia sia quella della speranza sembra davvero pochino per poter confidare che arrivi una giustizia che ormai da anni rimane appesa. “E se quell’incontro del primo luglio dovesse saltare?”, chiedono a Conte e lui serafico risponde “a mio avviso non siamo ancora quel punto”. Ma non si sa bene a che punto siamo.

Una cosa certa c’è: da quando Conte è presidente del consiglio l’Egitto è passato dal quarantaduesimo Paese con cui l’Italia commerciava armi fino al decimo posto del 2018 e fino al primo posto di quest’anno. Italia e Egitto hanno intensificato la loro amicizia commerciale, alla faccia di Giulio Regeni. E forse non è un caso che nell’audizione di ieri non si sia trovato il tempo di parlare le due fregate Fremm e i 9 miliardi di armamenti che ancora sono sul tavolo: quella commessa è stata il convitato di pietra ma Conte non ha voluto accennarne.

In fondo la storia di Regeni è come tutte le storie in cui la verità fa a pugni con il profitto: si leggono dalle cose non dette.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni / 2. Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta) / 3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia (di A. Lanzetta)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ecco come Renzi li ha “aiutati a casa loro”: sestuplicando l’export degli armamenti

Per fortuna c’è Giorgio Beretta a rimettere in ordine le date e i numeri. Ecco qui:

Lo sa, ma non lo dice in pubblico. E la notizia non compare né sul suo sito personale, né sul portale “Passo dopo passo” e nemmeno tra “I risultati che contano” messi in bella mostra con tanto di infografiche da “Italia in cammino”. Eppure è stata la miglior performance del suo governo. Nei 1024 giorni di permanenza a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha raggiunto un primato storico di cui però, stranamente, non parla: ha sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti. Dal giorno del giuramento (22 febbraio 2014) alla consegna del campanellino al successore (12 dicembre 2016), l’esecutivo Renzi ha infatti portato le licenze per esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi ad oltre 14,6 miliardi di euro: l’incremento è del 581% che significa, in parole semplici, che l’ammontare è appunto più che sestuplicato. Una vera manna per l’industria militare nazionale, capeggiata dai colossi a controllo statale Finmeccanica-Leonardo e Fincantieri. E’ tutto da verificare, invece, se le autorizzazioni rilasciate siano conformi ai dettami della legge n. 185 del 1990 e, soprattutto, se davvero servano alla sicurezza internazionale e del nostro paese.

Renzi e il motto di Baden Powell

Un fatto è certo: è un record storico dai tempi della nascita della Repubblica. Ma, visto il totale silenzio, il primato sembra imbarazzare non poco il capo scout di Rignano sull’Arno che ama presentarsi ricordando il motto di Baden Powell: “Lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”. L’imbarazzo è comprensibile: la stragrande maggioranza degli armamenti non è stata destinata ai paesi amici e alleati dell’UE e della Nato (nel 2016 a questi paesi ne sono stati inviati solo per 5,4 miliardi di euro pari al 36,9%), bensì ai paesi nelle aree di maggior tensione del mondo, il Nord Africa e il Medio Oriente. E’ in questa zona – che pullula di dittatori, regimi autoritari, monarchi assoluti sostenitori diretti o indiretti del jihadismo oltre che di tiranni di ogni specie e risma – che nel 2016 il governo Renzi ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro, pari al 58,8% del totale. Anche questo è un altro record, ma pochi se ne sono accorti.

Il basso profilo della sottosegretaria Boschi

Eppure non sono cifre segrete. Sono tutte scritte, nero su bianco e con tanto di grafici a colori, nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento per l’anno 2016” inviata alle Camere lo scorso 18 aprile. L’ha trasmessa l’ex ministra delle Riforme e attuale Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi. Nella relazione di sua competenza l’ex catechista e Papa girlsi è premurata di segnalare che “sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come primo partner, incide una licenza di 7,3 miliardi di euro per la fornitura di 28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon realizzati in Italia”.  Al resto – cioè ai sistemi militari invitati in 82 paesi del mondo tra cui soprattutto quelli spediti in Medio Oriente – la Sottosegretaria ha riservato solo un laconico commento: “Si è pertanto ulteriormente consolidata la ripresa del settore della Difesa a livello internazionale, già iniziata nel 2014, dopo la fase di contrazione del triennio 2011-2013”. La legge n. 185 del 1990, che regolamenta la materia, stabilisce che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”: autorizzare l’esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia meriterebbe pertanto qualche spiegazione in più da parte di chi, durante il governo Renzi e oggi col governo Gentiloni, ha avuto la delega al programma di governo.

I meriti della ministra Pinotti

Non c’è dubbio, però, che gran parte del merito per il boom di esportazioni sia della ministra della Difesa, Roberta Pinotti. E’ alla “sorella scout”, titolare di Palazzo Baracchini, che va attribuito il riconoscimento di aver consolidato i rapporti con i ministeri della Difesa, soprattutto dei paesi mediorientali. La relazione del governo non glielo riconosce apertamente, ma la principale azienda del settore, Finmeccanica-Leonardo, non ha mancato di sottolinearne il ruolo decisivo. Soprattutto nella commessa dei già citati 28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon: “Si tratta del più grande traguardo commerciale mai raggiunto da Finmeccanica” – commentava l’allora Amministratore Delegato e Direttore Generale di Finmeccanica, Mauro Moretti. “Il contratto con il Kuwait si inserisce in un’ampia e consolidata partnership tra i Ministeri della Difesa italiano e del Paese del Golfo” – aggiungeva il comunicato ufficiale di Finmeccanica-Leonardo. Alla firma non poteva quindi mancare la ministra, nonostante i slittamenti della data dovuti – secondo fonti ben informate – alle richieste di chiarimenti circa i costi relativi “a supporto tecnico, addestramento, pezzi di ricambio e la realizzazione di infrastrutture”.

Anche il Ministero della Difesa ha posto grande enfasi sui “rapporti consolidati” tra Italia e Kuwait: rapporti – spiegava il comunicato della Difesa“che potranno essere ulteriormente rafforzati, anche alla luce dell’impegno comune a tutela della stabilità e della sicurezza nell’area mediorientale, dove il Kuwait occupa un ruolo centrale”. Nessuna parola, invece, sul ruolo del Kuwait nel conflitto in Yemen, in cui è attivamente impegnato con 15 caccia, insieme alla coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale. I meriti della ministra Pinotti nel sostegno all’export di sistemi militari non si limitano ai caccia al Kuwait: va ricordato anche l’accordo di cooperazione militare con Qatar per la fornitura da parte di Fincantieri di sette unità navali dotate di missili MBDA per un valore totale di 5 miliardi di euro, che però non compare nella Relazione governativa. Ma, soprattutto, non va dimenticata la visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita per promuovere “affari navali”: ne ho parlato qualche mese fa e rimando in proposito ai miei precedenti articoli.

Le dichiarazioni dell’ex ministro Gentiloni

Una menzione particolare spetta all’ex ministro degli Esteri e attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. E’ lui, ex catechista ed ex sostenitore della sinistra extraparlamentare, che più di tutti si è speso in difesa delle esportazioni di sistemi militari. Lo ha fatto nella sede istituzionale preposta: alla Camera in riposta a due “Question Time”. Il primo risale al 26 novembre 2015, in riposta ad un’interrogazione del M5S, durante la quale il titolare della Farnesina, dopo aver ricordato che “… abbiamo delle Forze armate, abbiamo un’industria della Difesa moderna che ha rapporti di scambio e esportazioni con molti paesi del mondo…” ha voluto evidenziare che “è importante ribadire che l’Italia comunque rispetta, ovviamente, le leggi del nostro paese, le regole dell’Unione europea e quelle internazionali (pausa) sia per quanto riguarda gli embargo che i sistemi d’arma vietati”. Già, ma la legge 185/1990 e le “regole Ue e internazionali” non si limitano agli embarghi, anzi pongono una serie di specifici divieti sui quali Gentiloni ha bellamente sorvolato.

Nel secondo, del 26 ottobre 2016, in risposta ad un’interrogazione del M5S che riguardava nello specifico le esportazioni di bombe e materiali bellici all’Arabia Saudita e il loro impiego nel conflitto in Yemen, Gentiloni ha sostenuto che “l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti”. Tacendo però sulla Risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.

Ventimila bombe da sganciare in Yemen

Rispondendo alla suddetta interrogazione, Gentiloni ha però dovuto riconoscere le “la ditta RWM Italia, facente parte di un gruppo tedesco, ha esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente”. Un’assunzione, seppur indiretta, di responsabilità da parte del ministro. Il quale, nonostante i vari organismi delle Nazioni Unite e lo stesso Ban Ki-moon abbiano a più riprese condannato i bombardamenti della coalizione saudita sulle aree abitate da civili in Yemen (sono più di 10mila i morti tra i civili), ha continuato ad autorizzare le forniture belliche a Riad. E non vi è notizia che le abbia sospese, nemmeno dopo che uno specifico rapporto trasmesso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu non solo ha dimostrato l’utilizzo anche delle bombe della RWM Italia sulle aree civili in Yemen, ma ha affermato che questi bombardamenti “may amount to war crimes” (“possono costituire crimini di guerra”).

Nella Relazione inviata al Parlamento spiccano le autorizzazioni all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro. Tra queste figurano “bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro” e altro materiale bellico. La relazione non indica, invece, il paese destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, ma l’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare che una licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia è destinata proprio all’Arabia Saudita: si tratta, nello specifico, dell’autorizzazione all’esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Una conferma in questo senso è contenuta nella Relazione Finanziaria della Rheinmetall (l’azienda tedesca di cui fa parte RWM Italia) che per l’anno 2016 segnala un ordine “molto significativo” di “munizioni” per 411 milioni di euro da un “cliente della regione MENA” (Medio-Oriente e Nord Africa).

La legge n. 185/1990 vieta espressamente l’esportazione di sistemi militari “verso Paesi in conflitto armato e la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione”, ma – su questo punto – nessun commento nella Relazione. E nemmeno da Renzi. Men che meno da Gentiloni. Che l’attuale capo del governo si sia dato come obiettivo quello di migliorare la performance di Renzi nell’esportare sistemi militari?

(fonte)

Mentitori e guerrafondai: l’export italiano delle armi nel 2016 è cresciuto dell’85%

Le esportazioni italiane di armamenti nel 2016 hanno raggiunto 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. Lo si apprende dalla Relazione annuale al Parlamento in materia di armamenti, inviata dalla Presidenza del Consiglio. Il 50% del valore delle esportazioni (7,3 miliardi) deriva dalla fornitura di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait che sale al primo posto come mercato di sbocco per l’Italia. Seguono Gb, Germania, Francia, Spagna, Arabia Saudita (427,5 milioni), Usa, Qatar, Norvegia e Turchia (133,4 milioni).

(fonte)

Il maggior aumento di spese militari nel 2016? In Italia. Bum.

In Italia si registra il più forte aumento delle spese militari d’Europa occidentale. Lo confermano i nuovi dati appena diffusi dall’istituto SIPRI di Stoccolma (qui la tabella Excel), che mostrano un aumento (in termini reali) di oltre il 10 per cento della spesa per le forze armate nel nostro paese nel 2016 rispetto al 2015, a fronte di aumenti del 3 per cento in Germania e dello 0,6/0,7 per cento in Francia e Gran Bretagna. Un incremento maggiore anche rispetto a Stati Uniti (+1,7 per cento), Russia (+5,9 per cento) e Cina (+5,4 per cento), e che conferma quello stimato dalla NATO l’estate scorsa.

In termini di cifre, il SIPRI calcola per il 2016 una spesa militare italiana che suepra i 25 milioni di euro, distanziandosi fortemente dalle cifre calcolate dalla NATO e del Ministero della Difesa italiano (entrambi sui 20 milioni). Molto maggiore anche il dato riguardante il rapporto spese militari/PIL, che per l’Italia, secondo l’istituto svedese, risulta nel 2016 superiore all’1,5 per cento, in linea con l’1,4 per cento calcolato dall’Osservatorio MIL€X, mentre per la NATO e la Difesa è all’1,2/1,1 per cento.

La tendenza in crescita per le spese militari italiane si conferma anche per il 2017, come mostrano i dati dell’Osservatorio MIL€X pubblicati nel Primo rapporto annuale sulle spese militari italiane, così come i bilanci previsionali del Ministero della Difesa.

(fonte)

Solidali pelosi verso la Siria e intanto vendono le bombe

(il mio buongiorno pubblicato questa mattina per Left)

È arrivata direttamente dall’Arabia Saudita la nave Bahri Tabuk, fino a Cagliari per caricarsi 3000 bombe prodotte dalla RWM, azienda tedesca con base a Domusnovas in Sardegna. Diciotto container. Non so se vi sia mai capitato di vedere o se vi riesce di immaginare quanto lunghi siano diciotto container messi tutti in fila.

Un’operazione degna di un film: vigili del fuoco, forze dell’ordine e un riserbo totale. L’operazione di carico, del resto, era in “codice rosso”, assoluta segretezza: un blitz commerciale che impegna uomini della Polizia e della guardia di finanza di guardia al porto fin dalle prime luci dell’alba e poi per le successive dodici ore di operazioni di carico.

Le bombe, per intendersi, sono quelle che vengono poi sganciate sullo Yemen. “Il governo Gentiloni interrompa subito le forniture dei sistemi militari che vengono impiegati dalle forze armate saudite e dai suoi alleati nel conflitto in Yemen, in particolare le bombe aeree che hanno già causato migliaia di morti tra la popolazione civile di quel martoriato Paese” ha scritto la Rete Italiana per il Disarmo alla luce anche della decisione dell’amministrazione Obama di sospendere l’invio a Ryad di “bombe aeree” e di “munizionamento di precisione” pur perdendo centinaia di migliaia di dollari. Gli Usa si preoccupano delle vittime (oltre 4mila secondo le Nazioni Unite), nel Regno Unito il Parlamento interroga il Governo e qui niente. Niente.

Anzi. Una nota stampa del sito di intelligence militare “Tactical News” ha scritto qualche giorno fa che il Vice Principe ereditario e ministro della Difesa saudita, Mohammed bin Salman bin Abdulaziz, ha ricevuto “offerte da Fincantieri per navi militari, tra cui fregate e corvette” e subito il ricordo corre alla visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita di poco tempo fa quando la Pinotti addirittura minacciò querele a chi ipotizzava che si fosse parlato di armi. Pensa te.

Però tutti a esprimere solidarietà alla Siria. Ovviamente. Avanti così.

Buon venerdì.

Stiamo spendendo 1100 milioni di euro

Per questa:

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Il nome tecnico è LHD, ossia Landing Helicopter Dock: una portaelicotteri per il sostegno delle operazioni di sbarco.

Il prezzo finale dipenderà molto dal numero e dalla qualità di radar e armamenti. Per ora, a Fincantieri sono destinati 853 milioni di euro mentre per le forniture di cannoni, missili ed elettronica di bordo a Finmeccanica ne sono stati assegnati altri 273. La caratteristica innovativa di questo progetto è che tutto nasce dalla collaborazione diretta tra la Marina e il consorzio dei due colossi pubblici, con disegni che vengono aggiornati come un work in progress. Forse la procedura migliore perché la forza armata ottenga quello che le serve, ma che richiede anche un valido controllo istituzionale per evitare che strada facendo l’ammiraglia gonfi muscoli e costi.

(fonte)

Mettiamo che io compri un cacciabombardiere

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Mettiamo che un giorno io decida di comprare un cacciabombardiere. Non ne ho assoluto bisogno, per carità,  ma semplicemente dopo avere fatto il tagliando e pagato l’assicurazione alla monovolume che serve alla famiglia e dopo essere riuscito anche quest’anno a stare alla pari con i pagamenti del mio fondo pensionistico ho deciso di comprarmi un caccia perché mi rassicura poi alla sera al bar con gli amici. Oggi, qui giù al paesello, comprare i nuovi f35 dà un lustro che nemmeno avere in tasca il prototipo esclusivo del nuovo iphone,  per dire. Anzi: da quando ho ordinato il mio nuovo cacciabombardiere i bulli del bar mi lanciano addirittura qualche sguardo d’intesa. Non è stato facile, eh: ho dovuto convincere mia moglie che avrei rinunciato agli interni in radica (poi le ho raccontato che erano in omaggio nell’allestimento previsto, tanto è semplice convincerla che sia stata un’occasione) e ho dovuto promettere ai miei figli che avrei assicurato comunque buoni zaini, moderne consolle e lunghe vacanze; preso dalla foga ho provato anche a convincerli che un buon cacciabombardiere fosse indispensabile per una famiglia del giorno d’oggi ma poi ci ho rinunciato perché non riuscivo comunque a stare serio mentre lo ripetevo a tutti. Così mi è stata passata come una battuta infelice e ripetitiva.
Mettiamo che poi il lavoro di mia moglie abbia avuto dei problemi non preventivati e ci ritroviamo con metà del suo stipendio: lei mi chiede almeno di rinunciare ad un’ala, al carrello e di dimostrare che ho la responsabilità del buon padre di famiglia. Ho fatto l’offeso per qualche giorno e poi l’ho rassicurata dicendo che avrei fatto qualche ora di straordinario in più.  Ora è tutto a posto. Cioè,  quasi tutto. Il concessionario che mi ha venduto il mio cacciabombardiere metallizzato mi ha detto che hanno allungato i tempi delle consegne perché qualcuno non vola. Niente di grave, eh: semplicemente il motore ha qualche annetto di progettazione e si svita qualche bullone. È il normale rischio da pagare per comprarsi un mito, no?
Mia moglie ha letto la notizia sul giornale, anche i miei figli a dire la verità, e mi ha chiesto delucidazioni. Io sono stato prontissimo: le ho risposto che gli equilibri della stima giù al bar sono roba che non può rientrare nelle chiacchierate dopo cena. È la politica, bellezza. E il mio figlio più piccolo mi ha chiesto: ‘e il buonsenso,  papà?’. Io gli ho risposto che se vuoi diventare qualcuno nella vita non puoi preoccuparti sempre solo del buonsenso, vuoi mettere la soddisfazione di andare giù al bar a prendere un aperitivo con un cacciabombardiere. O no?

Si tagliano gli armamenti per armarsi

(ANSA) ROMA, 18 MAR – “Sì al taglio degli F35 ma non in virtù del principio alla John Lennon, ‘tagliamo le armi per fare gli asili'”. Questa la posizione espressa a Radio Anch’io dal vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli che si dice completamente d’accordo con il ministro della Difesa Roberta Pinotti. “Si tratta di mettere le questioni nell’ordine giusto: prima fare un libro bianco della difesa, poi una mappatura dei rischi, quindi capire quali sono le dotazioni militari che ci servono”, ha aggiunto Pistelli.

Insomma sembra proprio che sugli F35 non riescano a dirne due buone di seguito.

Posare le armi

In risposta alla paralisi politica, 23 grandi disegnatori statunitensi (tra cui Garry Trudeau, Art Spiegelman, Tom Tomorrow) hanno prodotto un video che chiede di unire le forze contro la lobby delle armi. Le voci narranti sono di Julianne Moore e Philip Seymour Hoffman.Negli Stati Uniti il tasso di omicidi è 6,9 volte superiore rispetto agli altri paesi sviluppati. Tra i giovani (15-24 anni) è 42,7 volte superiore.