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armi nucleari

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

(continua su Left)

All’Onu 123 Paesi firmano per un Trattato di messa al bando delle armi nucleari, l’Italia vota no.

Le Nazioni Unite hanno adottato a larga maggioranza una Risoluzione politica che chiede di avviare nel 2017 i negoziati per un Trattato internazionale volto a vietare le armi nucleari. Questa decisione storica pone fine a due decenni di paralisi negli sforzi multilaterali per il disarmo nucleare.
Nel corso di una riunione del Primo Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si occupa di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione, mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti.
Grazie a questa Risoluzione (denominata L.41) viene fissata un Conferenza tematica delle Nazioni Unite a partire dal marzo del prossimo anno: una riunione aperta a tutti gli Stati membri con il fine di negoziare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”. I negoziati a riguardo continueranno poi nel mese di giugno e luglio.
La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), coalizione mondiale della società civile attiva in 100 Paesi di cui anche Rete Italiana per il Disarmo è parte, ha salutato l’approvazione della Risoluzione come un importante passo positivo in avanti, che segna un cambiamento fondamentale nel modo in cui il mondo sta cercando di affrontare la minaccia degli ordigni nucleari.
“Per sette decenni l’ONU ha messo in guardia contro i pericoli dell’arma nucleare e tantissime persone ed organizzazioni nel mondo hanno portato avanti campagne per la loro abolizione. Oggi la maggior parte degli Stati ha deliberato di bandire queste armi” ha commentato Beatrice Fihn, Direttore esecutivo di ICAN.
Nonostante un continuo braccio di ferro a riguardo di questo percorso condotto dagli Stati dotati di armi nucleari la Risoluzione è stata adottata con una vasta maggioranza. Un totale di 57 nazioni sono stati co-sponsor (cioè primi firmatari) del testo proposto, con Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sud Africa ad essersi assunti il compito di redigere concretamente la Risoluzione.
Il voto delle Nazioni Unite è avvenuto solo poche ore dopo l’adozione da parte del Parlamento Europeo di una propria risoluzione su questo tema: 415 voti favorevoli (con 124 contro e 74 astensioni) ad un invito verso tutti gli Stati membri dell’Unione europea a “partecipare in modo costruttivo” ai negoziati del prossimo anno. Un invito non raccolto dall’Italia che si è schierata contro la Risoluzione L.41 continuando, come nei passi precedenti di questo percorso, a sostenere la posizione degli Stati Uniti e di tutte le altre potenze nucleari. Ricordiamo che l’Italia è posta sotto “l’ombrello nucleare” della NATO e, a seguito degli accordi di cosiddetto “Nuclear Sharing”, ospita sul proprio territorio ordigni di tale natura.
“Siamo davvero molto contenti del risultato dei due voti, quello all’ONU ma anche quello al Parlamento Europeo” afferma Lisa Clark dei Beati i Costruttori di Pace organismo membro di Rete Disarmo “Davvero grande e prezioso è stato il lavoro di mobilitazione della Campagna ICAN, che ha avuto lo straordinario merito di aver rilanciato il disarmo nucleare a livello di movimento popolare e non solo più come tema di discussione tra pochi addetti ai lavori”.
“Si è riusciti finalmente a formare un fronte unito tra gli Stati che da sempre di impegnano per il disarmo e tutti quelli che finora hanno rispettato il loro impegno di non dotarsi di armi nucleari (impegno presente nel TNP) a condizione che le potenze nucleari smantellassero i propri arsenali” sottolinea Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo “Un risultato ottenuto poiché molti Paesi si sono stancati di non veder realizzata la parte dell’accordo in capo agli Stati nucleari”.
“E’ chiaro però che un Trattato per la messa al bando delle armi nucleari che non veda tra i propri membri le potenze nucleari non sarà sufficiente per realizzare davvero un disarmo pieno” commenta ulteriormente Lisa Clark “Quindi dobbiamo prepararci un nuovo e lungo duplice lavoro. Da un lato portare avanti, a partire dall’anno prossimo, i lavori per il Trattato di messa al bando; dall’altro trasformare questo lavoro in un enorme movimento che entri dentro i meccanismi governativi delle potenze nucleari, facendo loro capire che quelle armi nei loro arsenali non sono il simbolo della loro potenza, ma solo la medaglia della vergogna che contraddistingue gli stati canaglia”.
Le armi nucleari rimangono le uniche armi di distruzione di massa non ancora fuori legge in modo globale e universale nonostante i loro catastrofici impatti ambientali e umanitari, ben chiari e documentati.
“Un Trattato che vieti le armi nucleari rafforzerebbe la norma globale contro l’uso e il possesso di queste armi, già presente nel Trattato di Non Proliferazione, chiudendo le principali lacune del regime giuridico internazionale esistente e stimolando un’azione di disarmo che per molto tempo si è bloccata”, ha aggiunto a margine della riunione del Primo Comitato Beatrice Fihn. “Il voto di oggi dimostra molto chiaramente che la maggior parte delle nazioni del mondo considera necessario, possibile e urgente un divieto chiaro di esistenza e possesso di armi nucleari. Tali Paesi vedono questa come l’opzione più praticabile per ottenere un reale progresso sul disarmo globale”.
Le armi biologiche, armi chimiche, mine antiuomo e bombe a grappolo sono topologie di ordigni tutte esplicitamente proibite dal diritto internazionale. Attualmente per le armi nucleari esistono invece solo divieti parziali. Il disarmo nucleare è stata una delle priorità delle Nazioni Unite sin dalla creazione dell’Organizzazione nel 1945. Gli sforzi per far avanzare questo obiettivo fondamentale si sono fortemente rallentate negli ultimi anni, con le potenze nucleari che hanno deciso di investire pesantemente nella modernizzazione dei propri arsenali.
Venti anni sono passati dalla negoziazione del precedente strumento multilaterale di disarmo nucleare: il Comprehensive Nuclear-test Ban Treaty discusso nel 1996 ma che deve ancora entrare formalmente in vigore per l’opposizione di una manciata di nazioni.
La risoluzione di oggi agisce a partire dalla raccomandazione elaborata da un Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul disarmo nucleare che si è riunito a Ginevra durante quest’anno per valutare il merito di varie proposte avanzate nel consesso internazionale per realizzare un mondo senza armi nucleari.
Il risultato ottenuto deriva anche dalle tre importanti conferenze intergovernative sull’impatto umanitario delle armi nucleari tenute in Norvegia, Messico e Austria tra il 2013 e il 2014. Questi incontri hanno contribuito riformulare il dibattito concentrandosi sul danno che tali armi infliggono sulle persone. Le Conferenze hanno inoltre consentito alle nazioni non nucleari di svolgere un ruolo più assertivo nell’arena del disarmo globale. Con la terza e ultima conferenza di tale serie, che ha avuto luogo a Vienna nel dicembre 2014, la maggior parte dei Governi aveva già segnalato la loro volontà di mettere fuori legge le armi nucleari.
In tutto questo processo, le vittime e i sopravvissuti di detonazioni di armi nucleari, tra cui i test nucleari, hanno contribuito attivamente al percorso. Setsuko Thurlow, una hibakusha (cioè superstite del bombardamento di Hiroshima), ha dichiarato dopo il voto all’ONU: “Questo è un momento davvero storico per il mondo intero. Per quelli di noi che sono sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, è un’occasione molto gioiosa. Abbiamo aspettato così a lungo che questo giorno arrivasse. Le armi nucleari sono assolutamente aberranti e tutte le nazioni dovrebbero partecipare ai negoziati del prossimo anno per metterle fuori legge. Spero di essere io stessa a ricordare ai delegati del indicibili sofferenze che le armi nucleari causano. E quanto sia grande la nostra responsabilità e il nostro compito nel fare in modo che tale sofferenza non accada mai più”.
Ci sono ancora più di 15.000 armi nucleari attualmente nel mondo, in particolare negli arsenali di appena due nazioni: gli Stati Uniti e la Russia. Sette altri Stati possiedono armi nucleari: Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord.

Il risultato del voto.
Il risultato del voto.

La maggior parte delle nove nazioni nucleari hanno votato contro la risoluzione Onu. Molti dei loro alleati, compresa l’Italia e gli altri Paesi in Europa che ospitano armi nucleari sul loro territorio come parte di un accordo NATO, non hanno sostenuto la risoluzione L.41. Ma le nazioni dell’Africa, dell’America Latina, dei Caraibi, del Sud-Est asiatico e del Pacifico hanno votato a grande maggioranza e ritorneranno ad essere protagonisti in occasione della Conferenza di negoziazione a New York il prossimo anno.
Lunedì scorso 15 vincitori del premio Nobel per la Pace hanno esortato le nazioni a sostenere i negoziati auspicando “una conclusione tempestiva e di successo in modo che si possa procedere rapidamente verso l’eliminazione finale di questa minaccia esistenziale per l’Umanità”.
“Questo Trattato non riuscirà ad eliminare istantaneamente e con la bacchetta magica tutte le armi nucleari”, ha concluso Beatrice Fihn. “Ma con esso si stabilirà un nuovo standard giuridico internazionale potente, che andrà a stigmatizzare le armi nucleari spingendo le nazioni ad intervenire con positiva urgenza nei processi di disarmo”. In particolare il Trattato metterà grande pressione sulle nazioni, come l’Italia, che ricevono qualche forma di protezione dalle armi nucleari di un proprio alleato; uno stimolo ulteriore a porre fine a questo tipo di politica, che potrà avere come ulteriore risultato una spinta al disarmo completo degli attuali Paesi nucleari.

(fonte)

Li armano e poi li combattono /6

7e0bde0e29b0fb71ea0471224596dcaaAnche quest’anno è stato pubblicato il report annuale “Don’t bank on the bomb” a cura di PAX e dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN) con il quale le due organizzazioni intendono incrementare la trasparenza sui finanziamenti delle armi nucleari e stimolare il dibattito pubblico a sostegno della loro delegittimazione.

Come sempre il report, chiaro nelle sue argomentazioni, evidenzia una carenza di informazioni ufficiali di pubblico dominio sulla produzione e sugli investimenti delle medesime armi.

Esso non riporta ogni singolo investimento e non include gli investimenti fatti da governi, università o chiese, ma solo dalle istituzioni finanziarie, prendendo in considerazione una varietà di fonti (rapporti delle ONG, report delle istituzioni finanziarie, siti web e altre fonti pubbliche).

I nove Paesi dotati di armi nucleari (Cina, Corea del Nord, Francia, India, Israele, Pakistan, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) stanno modernizzando i propri arsenali. Alcuni di essi si giustificano dietro la pretesa della manutenzione, mentre altri annunciano apertamente la produzione di nuove tecnologie e piani di sviluppo.

Ad esempio, il Congressional Budget Office nel gennaio 2015 ha comunicato che gli Stati Uniti spenderanno circa 350 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per potenziare e mantenere il proprio arsenale nucleare. Si arriverà a 1.000 miliardi di dollari nell’arco di trenta anni. Il solo programma di radicale modernizzazione delle testate nucleari tattiche B61, di cui 70 sono sul territorio italiano, costerà circa 10 miliardi di dollari. Queste testate saranno destinate ad essere trasportate dai nuovi aerei F35, 90 dei quali saranno acquistati dall’Aeronautica italiana come è stato confermato dalla recente legge sul Bilancio dello Stato 2016” nota Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD).

Si stima che la spesa mondiale per queste armi sia di oltre 100 miliardi di dollari ogni anno. Questa spesa serve per assemblare nuove testate, modernizzare le vecchie e costruire missili, sistemi di lancio e tecnologie di supporto.

Se la maggior parte del finanziamento per le armi nucleari proviene da contribuenti che hanno sede all’interno dei Paesi nucleari, una parte consistente proviene anche da investitori privati di Paesi non-nucleari.

All’interno del report, le istituzioni che finanziano queste attività sono elencate in tre gruppi in base alla misura del loro coinvolgimento nel finanziamento dell’industria militare nucleare intesa come insieme delle aziende che producono componenti chiave per testare, sviluppare, mantenere, modernizzare e dislocare le armi nucleari:

a)   Nella cosiddetta “Hall of Fame” rientrano 13 istituzioni finanziarie a livello globale (5 in più dello scorso anno) che in maniera attiva e significativa hanno adottato, applicato e pubblicato politiche globali di prevenzione contro qualsiasi tipologia di finanziamento ai produttori di armi nucleari. Queste istituzioni finanziarie cosiddette “virtuose” si trovano in Danimarca, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito;

b)   40 istituzioni finanziarie (cc.dd. “Runners-Up”), invece, hanno intrapreso una strada di esclusione parziale dei finanziamenti;

c)   382 banche, compagnie assicurative, fondi pensione di 27 diversi paesi (“Hall of Shame”) investono significativamente nell’industria delle armi atomiche. 238 hanno sede in Nord America, 76 in Europa, 59 in Asia e nel Pacifico, 9 in Medio Oriente. Si tratta di 29 istituzioni in meno rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda l’Italia vi sono alcuni esempi virtuosi e altri meno. Banca Etica rientra nella “Hall of Fame”. Unicredit e Intesa San Paolo nella lista dei “runners-up”. Nel complesso, 11 istituti bancari italiani hanno concesso una somma totale di 4 miliardi e 149 milioni di euro a 26 società. L’azienda Finmeccanica, di cui il 30,2% è del Ministero dell’Economia e delle Finanze, fa parte della “Hall of Shame”. A partire dal 2013 è legata alla produzione di testate destinate a far parte dell’arsenale francese e attraverso la joint venture MBDA e di un programma per la consegna di veicoli di supporto al missile balistico intercontinentale dell’esercito statunitense.

La gran parte dell’opinione pubblica globale concorda sull’inaccettabilità delle armi nucleari. In che modo, dunque, è possibile facilitare la loro eliminazione? Quali pressioni si possono realisticamente effettuare? Se le nucleari sono le uniche armi di distruzione di massa a non essere ancora illegali, quali lezioni si possono trarre dalle esperienze passate sulla messa al bando di altre armi “inumane”?

Innanzitutto, delegittimare le armi nucleari e dimostrare l’opposizione della Società Civile al loro possesso aiuta gli sforzi negoziali per renderle illegali, facilitandone di conseguenza l’eliminazione. Nessuna arma, infatti, è mai stata eliminata senza essere stata messa al bando e senza essere prima stata delegittimata dalla società.

Come la società civile, anche le istituzioni finanziarie nel tempo hanno accolto questo principio, ma, come dimostra il report, la strada è ancora lunga.

Infatti, i 10 maggiori investitori, tutti con sede degli Stati Uniti, da soli hanno fornito capitali per più di 209 miliardi di dollari. Tra questi i primi 3 (Capital Group, State Street e Balckrock) hanno investito più di 95 miliardi.

In Europa, i maggiori investitori sono BNP Paribas (Francia), Royal Bank of Scotland (Regno Unito) e Crédit Agricole (Francia).

53 istituzioni finanziarie, invece, hanno pubblicamente messo in moto politiche virtuose, 18 in più rispetto al 2014.

ABP, un fondo pensione olandese, ha deciso di interrompere i rapporti con le società indiane Larsen & Toubro e Walchandnagar.

Fonds de Compensation, un fondo investimenti lussemburghese, ha deciso di bloccare definitivamente i finanziamenti ad AecomFluor e Huntington Ingalls.

Infine, Nordea, una banca svedese, ha annunciato nel maggio 2015 di voler escludere dai propri finanziamenti la Boeing, a causa del coinvolgimento della stessa nella produzione di componenti per i missili Trident D5.

SEBSwedbank (banche svedesi), Co-operative Bank (Regno Unito) e la Pensioenfonds Horeca & Catering (Olanda) hanno rafforzato politiche simili.

La pubblicizzazione delle politiche che proibiscono gli investimenti ai produttori di armi nucleari può dar vita ad un effetto domino di delegittimazione che coinvolge altre istituzioni finanziarie.

È quanto accaduto con alcune delle “Hall of Fame” e “Runners-up”  che hanno discusso diversi modi per prevenire i finanziamenti delle armi nucleari.

Questo sistema di delegittimazione, volto ad interrompere i flussi finanziari, ha trovato efficace applicazione nella precedente campagna internazionale contro le “cluster bombs”.

A differenza delle armi nucleari, queste sono state chiaramente bandite tramite uno specifico trattato internazionale, nonostante non tutti i paesi abbiano cessato di produrle o acquistarle.

Il suo successo evidenzia come la pressione economica abbia un grande ruolo nell’interrompere la produzione delle armi “inumane”, anche quando queste armi sono ancora vendute a paesi che non rientrano nel regime dei trattati.

Pertanto, secondo il Rapporto, tagliare i finanziamenti privati alle aziende del settore nucleare militare può certamente dimostrarsi una strategia efficace per bloccarne la produzione, non sostenibile da parte dei singoli stati.

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Il rapporto completo è reperibile QUI.

La sintesi del rapporto è stata curata da Emanuele Greco, Maged Srour, Maria Carla Pasquarelli.

(fonte)