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Mafia al chilo

Insomma, sul tema mafia questo governo sta lasciando spazio ad Angelino Alfano che rincorre la veste di “antimafioso d’etichetta” come già successe per Maroni. E ancora una volta il nostro Ministro dell’Interno ci rassicura dicendo che dovrebbero bastarci i settanta latitanti arrestati e un “impegno al fianco dei magistrati in prima linea”. Sulla trattativa “Stato-mafia” ovviamente non esce una parola che sia una, sull’autoriciclaggio nemmeno e sul dibattito che sta infiammando la questione dei beni confiscati ancora una volta si avanza l’ipotesi di venderli ai privati. Ma Angelino ci ricorda che “possono essere confiscati una seconda volta”. Ha detto proprio così, eh.

Infrastrutture Lombarde: adesso ci dovremmo stupire?

Chissà perché ci si dovrebbe stupire dei recenti arresti dei quadri dirigenziali di Infrastrutture Lombarde quando è evidente, da anni, che le scatole cinesi della Lombardia formigoniana (per niente modificata da Maroni) fossero un semplice tentativo di “mettere le carte a posto” per provare a legittimare una visione privatistica del bene pubblico. E chissà perché noi, in fondo, non siamo mai riusciti a raccontarlo analiticamente trasformando l’anomalia in uno scandalo politico. Ma niente: ancora una volta abbiamo dovuto aspettare la Procura.

E’ bufera su Infrastrutture Lombarde, la controllata della Regione Lombardia voluta da Roberto Formigoni per la realizzazione di opere quali ospedali, scuole ma anche Palazzo Lombardia, la nuova sede della giunta regionale, e lavori legati a Expo. Il direttore generale Antonio Rognoni, dimissionario ma formalmente ancora in carica, è stato arrestato insieme con altre sette persone (sei sono ai domiciliari) per accuse su fatti avvenuti dal 2008 al 2012 e che vanno a vario titolo dalla truffa alla turbativa d’asta e al falso e, per tutti, l’associazione per delinquere. E uno degli appalti contestati riguarda proprio Expo: quello da 1,2 milioni di euro sugli incarichi di consulenza legali. Di un “clamoroso conflitto d’interessi” si parla invece per la realizzazione di Palazzo Lombardia.

Sessantotto capi d’accusa. Rognoni, secondo il gip Andrea Ghinetti, sarebbe stato il “capo, promotore e organizzatore del sodalizio” fra gli otto indagati: gli sono stati contestati 68 capi d’accusa. Il responsabile dell’ufficio gare e appalti della Infrastrutture Lombarde, Pier Paolo Perez, l’altro indagato finito in carcere, è indicato come “organizzatore del sodalizio”. E Maurizio Malandra, direttore amministrativo della società della Regione Lombardia, è definito dal gip “partecipante che assicurava l’emanazione degli atti amministrativi necessari per il raggiungimento degli scopi del sodalizio, garantendo altresì l’impunità agli altri associati”.

La gestione “domestica” degli appalti. Gli altri indagati, ai domiciliari come Malandra – si tratta di Carmen Leo, Fabrizio Magrì, Sergio De Sio, Giorgia Romitelli (tutti avvocati) e Salvatore Primerano (ingegnere) – “partecipavano intervenendo stabilmente nell’espletamento delle funzioni pubbliche e dei procedimenti di gara, redigendo e falsificando atti di delibera e contratti di assegnazione nonché beneficiando essi stessi, fra gli altri, di reiterati conferimenti di incarichi, con modalità collusive e fraudolente”. Sempre secondo gli inquirenti sarebbe stata una “amministrazione a sfondo domestico” degli appalti, quella effettuata da Rognoni. Lo ha affermato durante una conferenza stampa il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che coordina l’inchiesta assieme ai pm Paola Pirotta e Antonio D’Alessio. Robledo ha spiegato che gli incarichi venivano assegnati ai professionisti “al di fuori di ogni regola, delle procedure” previste per gli enti pubblici, con gare “falsate e frazionate in maniera artificiosa” e con contratti “retrodatati”.

Le pressioni per Formigoni. Dopo che l’allora governatore Formigoni si era lamentato pubblicamente della gara per la “piastra” di Expo, vinta con un ribasso del 43 per cento dalla Mantovani, i vertici del Pirellone avevano invitato Rognoni a evitare allo stesso Formigoni una brutta figura che si sarebbe tradotta in una “sconfitta politica evidente”. L’ordinanza del gip riporta una intercettazione dalla quale sono emerse “alcune sollecitazioni ricevute dai vertici della Regione Lombardia, che in sostanza sembrano rimproverare di non fare abbastanza per fornire un segnale concreto all’esterno tale da venire incontro alle preoccupazioni” di Formigoni.

La telefonata di Alli. In una telefonata del 23 luglio 2011 Alli dice: “Tutto il casino che abbiamo messo in piedi con le dichiarazioni di Formigoni… adesso noi abbiamo fatto esporre Formigoni molto pesantemente, è chiaro che se viene fuori ‘volemose bene, non c’è nessun problema’ è una sconfitta politica evidente”. E a Rognoni chiede di inventarsi “qualcosa, qualche protocollo in più” per far si che Formigoni “esca a testa alta dicendo: io ho segnalato un problema reale”. Dopo questa telefonata “Rognoni esigeva dai più fidati collaboratori iniziative tese a ottenere forzatamente dall’appaltatore (facendole invece figurare come iniziative assunte su base volontaria e responsabile) garanzie accessorie manifestamente non dovute – fa notare il gip – oltre alla rinuncia dello stesso a ricorrere a subappalti, contrariamente a quanto dichiarato in sede di gara”. Garanzie che alcuni degli avvocati indagati definiscono “illecite” e un vero e proprio “ricatto” nei confronti della Mantovani.

Il caso Robledo-Bruti Liberati. L’indagine – scaturita dalla denuncia di un imprenditore che si è ritenuto danneggiato dalle procedure di affidamento di un appalto – è una di quelle segnalate nell’esposto al Csm dello stesso Robledo. Quest’ultimo aveva segnalato “violazioni” nell’assegnazione e nella gestione dei fascicoli da parte del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati. I due magistrati hanno tenuto assieme la conferenza stampa sugli otto arresti. Bruti e Robledo erano seduti uno accanto all’altro nell’anticamera del procuratore. Alla domanda se si trattasse di uno dei fascicoli oggetto dell’esposto, Robledo ha replicato: “Non voglio rispondere a questa domanda”. E a un cronista che ha provato a stemperare la tensione con una battuta (“in queste occasioni di solito ci si stringe la mano”), Robledo ha risposto: “Non siamo capi di Stato”.

Gli indagati a piede libero. I reati sono contestati in concorso con altri indagati a piede libero: Ernesto Stajano, Giovanni Caputi, Barbara Orlando, Manuela Bellasio, Cecilia Felicetti, Nico Moravia, Francesca Aliverti, Manuel Rubino, Giuseppe De Donno, Simona Trapletti, Bruno Trocca, Elena Volpi, Alberto Chiarvetto, Paola Panizza, Roberto Bonvicini, Celestina Naclerio, Erika e Monica Daccò, Marco Caregnato, Marcello Ciaccialupi, Vittorio Peruzzi, Alberto Porro, Gianvito Prontera, Alberto Trussardi, Maria Marta Zandonà, Stefano Alvarado, Massimo Viarenghi, Stefano Chiavalon e Maurizio Massaia.

L’ex colonnello e le sorelle Daccò. De Donno è l’ex colonnello del Ros al centro della cosiddetta ‘trattativa Stato-mafia’. Dopo aver lasciato l’Arma è entrato nel settore della sicurezza privata e ora, in qualità di amministratore delegato della G-Risk, è uno dei nove indagati raggiunti da misura interdittiva, il divieto di esercitare attività direttive, disposta dal gip. Per l’accusa De Donno e la G-Risk sarebbero stati favoriti tramite le gare d’appalto truccate, tra cui quella da 140mila euro per la “rilevazione e gestione del rischio ambientale” collegati ai lavori dell’autostrada Milano-Brescia. Come si legge nel provvedimento del giudice, l’ex ufficiale del Ros il 7 agosto del 2009 era stato nominato dall’ex governatore lombardo Formigoni “componente del Comitato per la legalità e trasparenza delle procedure regionali di Expo”. Le sorelle Daccò, invece, sono figlie di Pierangelo Daccò, già condannato per la vicenda del San Raffaele.

La pizza della camorra

ciro-slide-31Maxi operazione questa mattina all’alba della Direzione Investigativa Antimafia contro il clan camorristico dei Contini.

In Campania, Lazio e Toscana sono in corso di esecuzione ordini di arresto per 90 persone e il sequestro di beni per un valore di 250 milioni. Sono tutte accusate di far parte della famiglia camorristica considerata fra le più influenti e potenti a Napoli.

Si tratta della più importante indagine mai realizzata con riguardo alle complessive attività criminali del clan camorristico Contini ed alle operazioni di reinvestimento economico di gruppi camorristici in attività d`impresa, non solo a Napoli ed in Campania, ma anche a Roma ed in Toscana.

Roma si è svegliata con una maxi operazione in corso: coinvolte numerose attività commerciali legate alla malavita, molto frequentate, anche da turisti, perché si trovano in zone molto strategiche. Solo nel centro della capitale sono stati messi i sigilli a 25 attività, tra bar e ristoranti.

Nel mirino sono finiti la gran parte della catena “Pizza Ciro” e “Ciro pizza”, collegati al riciclaggio delle famiglie camorriste.

Uno dei 90 destinatari della misura cautelare emessa nell’ambito di indagini coordinate dalla Direzione nazionale antimafia sul reimpiego di capitali illeciti da parte del clan Contini si è suicidato. L’uomo, un
43enne che abitava in via Banfi a Roma, ha detto alle forze dell’ordine che gli notificavano il provvedimento di sentirsi male e di voler prendere un bicchiere d’acqua, ma ha aperto la finestra e si è lanciato nel vuoto.

L’operazione è coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalle Direzioni distrettuali di Napoli, Roma e Firenze. A eseguire gli ordini della Dia sono stati impiegati personale della squadra mobile della Questura e del Gico della Gdf di Napoli, dei Carabinieri di Roma, della polizia e della Gdf di Pisa.

Il clan Contini aveva trovato un modo molto singolare per riciclare i soldi del traffico di droga e della contraffazione. Oltre agli investimenti nei ristoranti e nei negozi di lusso, la cosca di Eduardo Romano e Patrizio Bosti aveva acquistato aree di servizio. Nella notte ne sono state sequestrate trenta in tutta Italia, molte delle quali sono a Napoli. Cento dei 250 milioni di euro sono stati trovati nella disponibilità degli affiliati arrestati nella notte, così come auto di lusso e soprattutto orologi preziosi.

Scuola Diaz: 11 arresti 13 anni dopo

diaz_scuola_g8_irruzione_psDopo tredici anni (13) sono stati arrestati undici dei poliziotti responsabili della “macelleria messicana” all’interno della Scuola Diaz a Genova durante il G8 del 2001. Certo che in questi tempi di nuovismo (tra anno nuovo, pd nuovo e centrodestra nuovo) la notizia è passata pressoché inosservata come un normale raffreddore invernale ma non è facile dimenticare chi con grande sicumera ci diceva che alla Scuola Diaz non era successo nulla di illecito, dimenticare Castelli che definì normale lo stato delle stanze durante una visita alcuni giorni dopo senza notare il sangue sulle pareti, oppure il Ministro dell’Interno Bobo Maroni che oggi gioca a fare la verginella lassù in Lombardia, o il Ministro della Giustizia Nitto Palma oppure Gianfranco Fini che fu presente tutto il tempo nella sala operativa della Questura. Forse vale la pena di ricordare anche il brutto errore di Tonino Di Pietro che si accodò ai berluscones per negare una Commissione d’Inchiesta sul G8. Insomma è passata un’era eppure basterebbe così poco per ricordare.

Ci sono voluti quasi tredici anni ma adesso la vicenda dell’irruzione nella scuola Diaz, che chiuse nel sangue i giorni drammatici del G8 di Genova, può dirsi finalmente compiuta.

Fra Natale e Capodanno, su ordine del tribunale del capoluogo ligure, sono stati infatti arrestati 11 dei poliziotti condannati in via definitiva per l’irruzione del 21 luglio 2001 nella scuola dormitorio e per l’introduzione nella stessa di prove false che erano servite a giustificare la «macelleria messicana» (la definizione è di Michelangelo Fournier, all’epoca del G8 vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma) che aveva causato 87 feriti gravi e gravissimi. Gli ultimi due funzionari per cui sono scattati gli arresti, il pomeriggio del 31 dicembre, sono stati Spartaco Mortola, ai tempi del G8 capo della Digos Genovese poi diventato questore vicario di Torino e capo della Polfer nel capoluogo piemontese, e Giovanni Luperi ex dirigente Ucigos poi passato ai servizi segreti prima della pensione.

I due, in base alla sentenza definitiva emessa dalla Cassazione nel luglio scorso, devono scontare ancora rispettivamente otto mesi e un anno di reclusione (sui quattro di condanna). Li passeranno agli arresti domiciliari e devono ringraziare il decreto «svuota carceri» del ministro della Giustizia Cancellieri se per loro non si sono aperte le porte di una cella dopo che il tribunale di Sorveglianza di Genova, nei giorni scorsi, ha respinto le richieste di affidamento ai servizi.

Stessa sorte, soltanto poche ore prima, era toccata anche a Francesco Gratteri, ex capo dello Sco ed ex numero 3 della Polizia e una carriera piena di successi e encomi nella lotta contro la mafia (fu tra i poliziotti che fecero scattare la manette ai polsi di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca) prima della sospensione dal servizio e della condanna definitiva che lo consegna adesso ad un anno di arresti domiciliari sui quattro a cui lo aveva condannato la Cassazione.

Dopo una battaglia legale durata anni, dopo tre processi, continui rinvii, silenzi, coperture istituzionali, depistaggi e infine prima la prescrizione, che ha cancellato le accuse di violenze lasciando in piedi solo quelle per la costruzione di prove false, e poi l’indulto, nei giorni scorsi è finito agli arresti anche l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, per cui la Cassazione ha respinto il ricorso con cui chiedeva la cessazione della detenzione domiciliare e l’affidamento ai servizi sociali, che deve scontare gli otto mesi restanti della condanna originaria a 3 anni e 8 mesi (ridotta grazie all’indulto).

Stesso provvedimento, visto che il tribunale di sorveglianza ha negato per tutti l’affidamento ai servizi, anche per Nando Dominici, ai tempi del G8 capo della squadra Mobile di Genova e oggi pensionato, Filippo Ferri, ex capo della squadra mobile di Firenze e oggi responsabile della sicurezza del Milan, Massimo Nucera, l’agente che finse di essere stato accoltellato all’ingresso nella scuola Diaz, Salvatore Gava, ex capo della Mobile di Viterbo che ha lasciato la divisa, Fabio Ciccimarra, ex capo della Mobile de l’Aquila, e l’ispettore capo Maurizio Panzieri.

Tutti, durante gli arresti domiciliari che varieranno dagli otto mesi all’anno di detenzione, potranno godere di alcune ore di permesso, potranno utilizzare il telefono e godere degli sconti di pena per buona condotta. E per molti di loro non ancora arrivati alla pensione, una volta terminata la sospensione del ministero dell’Interno legata all’interdizione dai pubblici uffici, la carriera in polizia potrebbe anche ripartire dopo le molte promozioni accumulate in questi quasi tredici anni.

Massimo Solani per L’Unità

Quindi quella di Lea Garofalo non è antimafia

Sono basate anche sulle dichiarazioni di Lea Garofalo, la testimone di giustizia fatta uccidere a Milano dal marito, Carlo Cosco, le indagini che hanno portato all’esecuzione di 17 arresti da parte dei carabinieri del Comando provinciale di Crotone nei confronti di affiliati alla ‘ndrangheta. Lea Garofalo, prima che il marito la facesse sequestrare e uccidere, aveva fornito un importante contributo per svelare gli affari delle cosche della ‘ndrangheta del Crotonese. Tra i criminali finiti in manette anche Nicolino Grande Aracri, ritenuto il capo dell’omonima cosca di Cutro.

La notizia di oggi è l’arresto di 17 persone grazie (anche) alle deposizioni di Lea Garofalo e fin qui tutto bello: come sappiamo ricordare e onorare i morti nessuno mai. Leggo le diverse testate e colgo subito al primo impatto che tutte parlano di “arresti mafiosi”, “colpo alla ‘ndrangheta” e così via. Tutto bene se non fosse che l’omicidio di Lea Garofalo non è stato considerato omicidio mafioso (gli imputati non sono stati condannati al 416 bis) in una preoccupante escalation di disconoscenza dell’associazione mafiosa nelle sentenze (ne aveva scritto senza peli sulla lingua Nando Dalla Chiesa qui).

Quindi hanno arrestato mafiosi senza che Lea sia stata uccisa dalla mafia, insomma, pensate che sfortuna, Lea: ha incastrato il capo cosca ‘ndrnaghetista di Cutro ed è morta per un tragico litigio di famiglia, senza mafia.

Sono stati resi noti i nomi degli arrestati e tutti i dettagli dell’operazione Filottete condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone contro presunti esponenti delle cosche locali. I nomi dei 17 arrestati resi noti nel corso della conferenza stampa tenutasi in mattinata. In totale sono state 17 le ordinanze restrittive emesse dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro, di cui 16 notificate in carcere.

Di seguito tutti i nomi delle diciassette persone destinatarie di un provvedimento restrittivo emesso in esecuzione dell’odierna Operazione Filottete condotta dalla Dda di Catanzaro:

  • Nicolino Grande Aracri nato a Cutro il 20.01.1959 Cutro
  • Giuseppe Pace nato a Crotone il 13.05.1977
  • Giuseppe Scandale nato a Petilia Policastro il 15.07.1968
  • Salvatore Comberiati nato a Petilia Policastro il 17.07.1959
  • Pietro Comberiati nato a Crotone il 24.07.1980
  • Salvatore Comberiati nato a Petilia Policastro il 05.11.1966
  • Vincenzo Comberiati nato a Petilia Policastro il 11.04.1957
  • Angelo Greco nato a San Mauro Marchesato il 16.11.1965
  • Antonio Valerio nato a Cutro il 18.07.1967
  • Salvatore Vona nato a Petilia Policastro il 08.05.1981
  • Domenico Pace nato a Crotone il 16.08.1980
  • Mario Mauro nato a Petilia Policastro il 12.10.1958
  • Salvatore Carvelli nato a Petilia Policastro il 21.07.1963
  • Giuseppe Grano nato a Milano il 31.05.1965 di Mesoraca
  • Giovanni Castagnino nato a Petilia Policastro il 31.12.1959
  • Pasquale Carvelli nato a Petilia Policastro il 16.01.1973
  • Salvatore Caria nato a Petilia Policastro il 10.01.1978

Alle 17 persone arrestate sono contestati a vario titolo reati che vanno dall’associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio aggravato, porto e detenzione di armi e materie esplodenti, produzione e traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, ricettazione. Oltre alle 17 persone arrestate in quanto destinatarie del provvedimento di custodia cautelare, i carabinieri del Comando provinciale di Crotone hanno arrestato altre due persone di Petilia Policastro perchè trovate in possesso di arma da fuoco nel corso delle perquisizioni di questa mattina. Si tratta di Fabio Dornetti e Giuseppe Vona, entrambi scampati mesi addietro ad altrettanti agguati, e tutti e due trovati con una pistola calibro 9 in casa. Fabio Dornetti, in particolare, ha subito un tentato omicidio nel mese di agosto, mentre Giuseppe Vona rimase ferito in un agguato in cui perse la vita il fratello Valentino.

Secondo quanto ritenuto dagli investigatori l’operazione Filottete ha permesso di fare luce su ben 7 omicidi di ndrangheta avvenuti tra il 1989 ed il 2007 e costati la vita a : Mario Scalise, assassinato il 13 settembre 1989 a Petilia Policastro;Cosimo Martina, assassinato il 30 settembre 1990 a Crotone; Carmine Lazzaro, assassinato il 16 agosto 1992 a Steccato di Cutro; Rosario Ruggiero, assassinato il 24 giugno 1992 Cutro; Antonio Villirillo, assassinato il 5 gennaio 1993 a Cutro; Romano Scalise, fratello di Mario, assassinato il 18 luglio 2007 a Cutro; Francesco Bruno, assassinato il 2 dicembre 2007 a Mesoraca.

Tra i nomi degli arrestati dell’operazione Filottete spiccano quelli di Comberiati Vincenzo, ritenuto il capostipite e boss dell’omonima famiglia di ndrangheta, e quello di Nicolino Grande Aracri, boss di Cutro, già in carcere in regime di 41 bis perchè condannato in via definitiva per altri fatti.

La cava di Bollate, Mandalari e le coincidenze

Ha fatto molto scalpore la retata di Cascina del Sole in via La Cava che pochi giorni fa ha portato agli arresti una banda che nascondeva in un appartamento della frazione bollatese armi da guerra e droga (cocaina).

Ha fatto scalpore non solo per il fatto in sé, ma anche per il luogo in cui è avvenuta la retata: a Cascina del Sole si trova la Cava Bossi, a lungo al centro di denunce e successive indagini che hanno portato con sé il sospetto della presenza della n’drangheta legata al movimento terra (denunciata anche da un comitato cittadino bollatese che si schierò tempo fa a favore della chiusura e bonifica della cava stessa).

Inoltre Cascina del Sole è stato il “feudo” di Vincenzo Mandalari, il boss dei boss arrestato nell’operazione “Infinito”.

Emerge qualche particolare in più dalla retata dell’altro giorno: l’appartamento soggetto alla retata è intestato all’unico italiano della banda.

La polizia sospetta che la banda si stesse preparando per una guerra territoriale contro altre bande rivali (ecco spiegata tutta la potenza di fuoco rinvenuta nell’appartamento). E si sfruttava il commercio e la gestione del traffico di droga per guadagnare il necessario per autofinanziarsi.

Inoltre gli esperti stanno analizzando l’abitazione e le armi per capire se queste siano state già usate in precedenti reati.

Eppure quando ne parlavamo qui, qui o qui eravamo proprio in pochi. I professori dell’antimafia erano impegnati nei saggi, loro.

La ciclicità dello Ior

Lo scandalo di oggi è la puntata ennesima di un percorso che spaventosamente si assomiglia da sempre.

Basta leggere:

Scandali recenti

  • Scandalo Enimont

Nel 1993, negli anni di Tangentopoli, il giudice Borrelli del pool di Mani pulite appurò il transito nelle casse dello IOR di 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro destinati a quello che fu conosciuto comescandalo Enimont. In quell’occasione, in via del tutto eccezionale, lo IOR decise di rispondere ad una rogatoria richiesta dal pmAntonio Di Pietro che lavorava allora nel pool di Mani pulite ed indagava sul caso. Tuttavia i magistrati hanno poi denunciato che la banca vaticana aveva falsificato i documenti, nascondendo i conti di Giulio Andreotti e non trasmettendo la documentazione su molte altre posizioni. Successivamente, per far tornare i conti, ulteriore documentazione inviata venne ritenuta falsa. Da allora, questo risulta esser stato l’unico caso in cui lo IOR abbia risposto a rogatorie internazionali. Secondo il giornalista Peter Gomez, lo IOR risulta essere l’unica banca del mondo ad aver trasmesso informazioni false alla magistratura italiana[38]. Alti prelati e dirigenti dello IOR, tra cui il presidente Angelo Caloia[9], rimasero immuni da processo o arresto a motivo dell’articolo 11 dei Patti Lateranensi che recita: «Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano»[39] .

  • Operazione Sofia

Il giornalista Gianluigi Nuzzi nel suo libro sostiene che lo IOR fosse impegnato nella fondazione di un partito di centro destinato a sostituire la Democrazia Cristiana, crollata in seguito a Tangentopoli[19]. A tal proposito, Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto di Roma, coordinatore dell’inchiesta sul golpe bianco-porpora afferma:

« L’operazione Sofia, vale a dire il tentativo di creare il Grande Centro che avrebbe preso il potere[40]»
  • Caso Fiorani – BPI

Il 10 luglio 2007, uno dei “furbetti del quartierino” Giampiero Fiorani rivelò ai magistrati milanesi la presenza, nella BSI svizzera, di tre conti della Santa Sede da «due o tre miliardi di euro» e di aver versato in nero nelle casse dell’APSA (la Banca centrale vaticana) oltre 15 milioni di euro[9][41].

  • Caso Anemone – Grandi Opere

Nell’inchiesta sulle “grandi opere” del 2010 sugli appalti del G8 a La Maddalena (nota anche come “Caso Anemone”), è stato accertato che Angelo Balducci (ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, arrestato per corruzione) avesse un conto presso lo IOR, dove – secondo i pubblici ministeri – avrebbe trasferito buona parte delle sue rendite[42]. Nel 2006, interrogato dall’allora PM di Potenza Henry John Woodcock, aveva ammesso lui stesso l’esistenza di tale conto, usato per ripagare un debito da 380 000 euro contratto da monsignor Franco Camaldo, prelato d’onore e cerimoniere del Papa, intermediario nell’acquisto di una villa dove avrebbe dovuto avere sede un nuova loggia massonica[42][43][44]. Balducci aveva un conto allo IOR in quanto “gentiluomo di Sua Santità” nonché “consultore” e “supervisore” del patrimonio della Propaganda Fide[44], la quale ha affittato decine di abitazioni a molti dei 412 personaggi inclusi nelle liste dell’imprenditore Diego Anemone[43]. I magistrati sospettano ulteriori collegamenti con lo IOR a seguito di sequestri di documentazione contabile, in particolare a Angelo Zampolini, intermediario della “cricca” di Anemone e Balducci nell’acquisto di un appartamento a Roma per l’ex ministro Claudio Scajola[43]. Gli inquirenti ritengono altresì che parte del denaro accumulato da alcuni degli indagati con le tangenti pagate da Anemone e da altri imprenditori si trovi depositato presso IOR[43].
L’Unità di informazioni finanziarie della Banca d’Italia ha appurato che tra i beneficiari dei bonifici transitati su di un conto dello IOR presso la banca Intesa SanPaolo c’è don Evaldo Biasini, economo dellaCongregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, coinvolto nell’inchiesta e, secondo i pm perugini, custode dei fondi neri di Diego Anemone[45]. I documenti dei magistrati di Perugia e la contabilità sequestrata a Don Evaldo Biasini svelano come i soldi tenuti da Don Bancomat per conto di Diego Anemone transitassero per i conti IOR della Congregazione del Preziosissimo Sangue[46].

  • Operazioni di riciclaggio

Nel maggio 2010 la procura di Roma ha aperto un’indagine sui rapporti sospetti tra lo IOR e altre dieci banche, fra cui UnicreditIntesa SanpaoloBanca del Fucino[47]. Le quotidiane operazioni da milioni di euro fra questi istituti e lo IOR sotto forma di miriadi di assegni dagli estremi non chiari, avevano destato già nel 2009 i sospetti dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. È stato accertato dai magistrati che lo IOR utilizzava in modo cumulativo un conto aperto presso la filiale 204 della Banca di Roma in via della Conciliazione a Roma, versandovi assegni da parte dei propri clienti senza dare alcuna comunicazione in merito, violando così le norme antiriciclaggio (legge 173/1991 e D.Lgs 231/2007)[47][48]. Attraverso tale conto sarebbero transitati circa 180 milioni di euro tra il 2006 e il 2008, per poi interrompere le operazioni con l’integrazione della Banca di Roma nel gruppo Unicredit[47][48]. I PM sospettano che le transazioni attraverso conti “schermati” intestati allo IOR celino in realtà operazioni per conto di società o singoli individui con residenza fiscale in Italia, volte all’occultamento di reati vari, dall’evasione fiscale alla truffa[47][48]. La Guardia di Finanza ha inoltre accertato casi di beneficiari fittizi fra quelli comunicati agli inquirenti[47]. La magistratura italiana non ha però competenza ad indagare sullo IOR senza una rogatoria internazionale, a causa della sua natura formalmente estera[47][48].
Il 20 settembre 2010 vengono sequestrati dalla procura di Roma (su segnalazione della Banca d’Italia) 23 milioni di euro depositati su un conto del Credito Artigiano Spa intestato allo IOR, per operazioni bancarie effettuate in violazione della normativa antiriciclaggio[49][50]. Le operazioni incriminate sono trasferimenti ordinati dallo IOR di 20 milioni da un conto presso il Credito Valtellinese alla JP Morgan diFrancoforte e di 3 milioni alla Banca del Fucino[50][51]. Restano indagati il presidente dello IOR, Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani.[49]
Nel frattempo sono venute alla luce anche altre due operazioni sospette, ovvero un prelievo in contanti da 600.000 euro, effettuato nell’ottobre 2009 dallo IOR per finalità non precisate su un conto Intesa SanPaolo, e assegni per 300.000 euro incassati nel novembre dello stesso anno su un conto Unicredit. Dall’analisi degli inquirenti è risultato fittizio il nome del negoziante fornito dallo IOR, mentre la cifra proveniva in realtà da una banca di San Marino[45][52]. Alcuni dei conti di transito presso le banche italiane utilizzati dallo IOR nei recenti scandali legati al riciclaggio sono attivi dai tempi del Banco Ambrosiano.[53]

A seguito di questi eventi, il Papa ha comunicato il 30 dicembre 2010 che verrà finalmente data applicazione alla convenzione monetaria firmata con l’Unione europea il 17 dicembre 2009, attraverso l’adozione di leggi antiriciclaggio che entreranno in vigore il 1º aprile 2011.[10]

Tuttavia “l’emanazione di tale normativa”, come successivamente rappresentato in una comunicazione della Banca d’Italia[54], “di per sé, non modifica il regime applicabile allo IOR quale banca insediata in uno stato extracomunitario a regime antiriciclaggio non equivalente”.

Nel Marzo 2012 la procura di Roma ha avviato una rogatoria internazionale per conoscere i movimenti di denaro del conto corrente dello IOR presso la Jp Morgan di Francoforte[55].

  • Vatileaks e dimissioni di Ettore Gotti Tedeschi
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Vatileaks.

Nel corso dei primi mesi del 2012 si è verificata una sistematica fuga di documenti riservati vaticani riguardanti i rapporti all’interno e all’esterno della Santa Sede. Tali documenti evidenzierebbero, tra l’altro, lotte di potere all’interno del Vaticano e alcune irregolarità nella gestione finanziaria dello Stato e nell’applicazione delle normative antiriciclaggio. Il 24 maggio2012Ettore Gotti Tedeschi, presidente dal settembre 2009, si presenta dimissionario al Consiglio di sovrintendenza e lascia la presidenza con la sfiducia del Consiglio. I quotidiani parlano di posizioni inconciliabili tra lui e altri interlocutori istituzionali riguardo l’attuazione delle norme di trasparenza bancaria[56]. Il giorno successivo gli subentra ad interim, come da statuto, il vicepresidente Ronaldo Hermann Schmitz, con ratifica della Commissione cardinalizia di vigilanza. La Commissione cardinalizia adotta formalmente la sfiducia votata all’unanimità dal Consiglio di sovrintendenza il giorno prima, che addebitava all’ex presidente di «non aver svolto varie funzioni di primaria importanza per il suo ufficio» e forse anche di aver fatto filtrare all’esterno notizie riservate[57]. Il 27 viene diffuso un duro comunicato del Consiglio di sovrintendenza con le motivazioni della sfiducia[58]. Il 2 giugno viene comunicato formalmente per lettera all’ex presidente il trasferimento delle sue competenze al vicepresidente, che diviene presidente ad interim [59].

Il 28 giugno2012 lo IOR ha aperto per la prima volta le porte a un gruppo di giornalisti guidati dal direttore generale Paolo Cipriani con i i quattro membri del Consiglio di Sovraintendenza, Cipriani ha affermato che nello IOR non ci sono conti cifrati e dal 1996 c’è la tracciabilità di tutti i conti, ha controlli interni e esterni antiriciclcaggio (l’Autorità di Informazione Finanziaria e la Deloitte per il bilancio), i conti sono circa 33mila, il capitale totale è di circa sei miliardi di euro, il 70% delle operazioni avvengono in Europa, il 65% è in euro, il 30% in dollari e il resto in altre valute. Dal momento che non è una banca, quindi senza scopo di lucro, gli interessi non sono superiori al 5%. I dipendenti nel 2012 erano 112, cui si aggiungono alcuni consultori esterni per casi particolari. Lo IOR supporta gli enti eccleasiastici in oltre 150 paesi del mondo[60]. (via)

Avete notato il silenzio della politica tutto intorno?