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I candidati del centrodestra alle prossime elezioni regionali: pessime notizie per il Sud e per il Paese

Lo chiamano “accordo nel centrodestra” ma i nomi che sono usciti per le prossime elezioni regionali dicono chiaramente che Salvini ha perso al tavolo delle trattative con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni e che, probabilmente, non è più l’indiscusso leader che sembrava in grado di dettare legge all’interno della sua coalizione se non addirittura di poterne fare a meno.

Giorgia Meloni riesce a candidare Francesco Acquaroli nelle Marche e l’inossidabile Fitto in Puglia lasciando al leader leghista la sola Toscana dove Susanna Ceccardi sembra non avere praticamente nessuna possibilità di vittoria. In Campania, ancora una volta, a sfidare De Luca sarà quello Stefano Caldoro che Salvini ha osteggiato fino all’ultimo minuto e che invece è riuscito a spuntarla. Si sa, del resto, che fu proprio Salvini a promettere mano libera agli alleati in cambio della candidatura delle Bergonzoni in Emilia su cui aveva scommesso tutto. Aveva scommesso tutto e ha perso. Ora paga pegno.

La politica è fatta di rapporti, rapporti che devono essere consolidati, nutriti, curati con attenzione e Salvini fin dall’inizio ha deciso di presentarsi come colui che poteva fottersene di tutto e di tutti, alleati compresi, per figurare come l’uomo forte che non aveva bisogno di nessuno. La sua pessima comunicazione in tempi di pandemia e la sua arroganza hanno finito per facilitare la crescite della sua alleata Giorgia Meloni e non è un caso che anche la sua leadership in vista delle prossime elezioni politiche sia già stata messa in discussione: “vedremo”, ha detto serafica la leader di Fratelli d’Italia.

Ma le candidature del centrodestra alle prossime elezioni regionali ci dicono anche altro: passano i decenni ma i capibastone sui territori rimangono sempre gli stessi, le elezioni sono una fotocopia di quelle precedenti come se non fosse accaduto nulla e come se non si fosse mosso il mondo intorno. La classe dirigente della Lega al sud è praticamente disastrosa ma anche gli altri partiti di centrodestra non trovano di meglio che proporre le stesse facce, con gli stessi modi, con gli stessi cognomi. E questa, comunque la si pensi politicamente, è una pessima notizia per il Paese, mica solo per il sud.

Leggi anche: De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

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In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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Preparatevi: Salvini e Meloni per il 2 giugno faranno qualcosa di grosso per farsi notare a tutti i costi

Preparatevi perché domani il duo Salvini-Meloni proverà a fare più schizzi possibile per farsi notare e per ricordarci che esistono ancora. Scomparsi dal radar dell’agenda politica, infilati nella guerra al’Europa che invece ha dimostrato di esistere nel sostegno economico all’Italia, rinchiusi nella guerra agli Stati che non vogliono italiani in vacanza dimenticandosi del loro rincorrere chiusure e frontiere e ora balbettanti di fronte a una Festa della Repubblica che vorrebbero usare per racimolare qualche minuto di attenzione. Forti Meloni e Salvini, festeggiano il 2 giugno senza sapere che non ci sarebbe stato nessun 2 giugno senza il 25 aprile. E per farsi notare un centimetro in più avevano deciso di farsi un bel video deponendo una corona d’alloro ai piedi del Milite Ignoto, sostituendosi al Presidente della Repubblica per fare una foto spalmare sui social.

Simpatica la Meloni che si dichiara inorridita per non avere ricevuto l’autorizzazione di fare la controfigura, la brutta copia, del Presidente Mattarella. Ora dovrà inventarsi in tempi brevi qualche altra sceneggiata. E forte anche Salvini che al 2 giugno non si è mai fatto vedere (l’anno scorso lo festeggiava in Polonia camuffandosi da provincialissimo uomo internazionale) e che ora si dimostra fieramente innamorato di quella stessa bandiera italiana su cui ha sputato per anni. Visti da lontano i due sono un indecente spettacolo di quello che diventa la politica quando ha bisogno di trasformarsi in recita pur di farsi notare: spettacoli che durano solo il tempo di qualche articolo su qualche giornale mentre si consuma una guerra fratricida. Eh sì, perché nel centrodestra italiano tira anche una brutta arietta mica male con gli uomini di Forza Italia europeisti che stonano con gli altri due, con Salvini terrorizzato da Giorgia Meloni lanciata nei sondaggi e pronta a oscurarlo e Fratelli d’Italia che si sforza di essere di destra senza farsi superare a destra dai partitini di destra ma che deve essere moderata per andarsi a prendere i voti dei moderati. Sullo sfondo, come sempre, i fascisti in piazza rinchiusi nelle loro piccole sigle da prefisso telefonico per risultati elettorali.

Preparatevi perché la pandemia e la politica europea richiedono ai due commedianti di fare qualcosa di grosso, di dire qualcosa di forte per rubare qualche inquadratura: sarà il solito indecente spettacolo. Sarà l’ennesima festa nazionale usata per scopi di propaganda. Pronti a tutto e al contrario di tutto.

Qui gli altri articoli di Giulio Cavalli

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Chi voto

Me lo chiedete in tanti. E poiché amo le preferenze le uso sempre con attenzione e parsimonia. Sulla mia scheda ci saranno i nomi di Civati, Druetti e Rinaldi. Due donne e un uomo. E il simbolo di Europa Verde. Perché i miei figli il venerdì scendono in manifestazione e mi chiedono di preparagli un mondo migliore con gli strumenti che ho a disposizione.

A voi auguro un buon voto antifascista. E di lasciare perdere la manfrina del voto utile. Ma davvero.

Prima opposizione: affilare l’attenzione

C’è stato l’aereo di Renzi, con tanto di filmatino funebre. Air Force Renzi, lo chiamavano, e ci hanno promesso che ne avrebbero fatto poltiglia. Anvedi il cambiamento, abbiamo pensato tutti. Hanno raso al suolo le case dei Casamonica. In realtà era il risultato di un percorso che andava avanti da anni, in collaborazione tra la sindaca di Roma e la Regione, ma il ministro dell’Interno ha impugnato la marcia della ruspa come se fosse un’alabarda spaziale e tutti abbiamo pensato “che duri, che fichi, finalmente”.

Ci hanno detto che i fannulloni funzionari ministeriali si divertono, oltre a non lavorare, a cambiare di notte i decreti del governo. L’avevamo sempre sospettato. Che odiosi quei privilegiati strapagati con il posto fisso nel cuore del potere. Non ci hanno detto di chi era la manina. Ma fa niente.

Hanno fatto il pieno con gli stranieri stupratori. Poi in realtà alcuni li hanno assolti. Tutto inventato. Anvedi che pugno duro però, ahò.

Ci hanno elencato portata per portata, la cena dei Benetton per dirci del ponte Morandi crollato a Genova. Finalmente qualcuno che fa i nomi e i cognomi, abbiamo pensato, addirittura che ci illustra il menù. Che forza.

Hanno detto che la domenica tutti i negozi sarebbero rimasti chiusi (ve li ricordate i negozi chiusi?) e noi abbiamo pensato finalmente qualcuno che assume posizioni impopolari, giorni e giorni a parlarne. Niente. Non se ne sa più niente.

Il ministro dell’Interno ha parlato degli ultrà e della sicurezza negli stadi. Anzi, mica della sicurezza: dei buu contro i negri che sono normale atteggiamento sportivo. Giorni e giorni a parlarne. Ha addirittura convocato i tifosi (“però”, abbiamo pensato): non si è presentato nessuno.

L’ultima boutade ieri: Lino Banfi all’Unesco per portare il sorriso in mezzo ai troppi puri laureati che inquinano il mondo.

E mentre noi ci facciamo dettare l’agenda dalle cazzate, in fondo, si muove la ferocia contro gli ultimi, l’isolamento internazionale e non si riesce a sapere esattamente se il Paese in cui viviamo sia pronto al boom economico favoleggiato da Di Maio o alla recessione che, tra gli altri, è scappata sempre a Di Maio.

La prima opposizione che possiamo mettere in atto è affilare l’attenzione. Non farci dettare l’agenda da questa compagine d’avanspettacolo e rimanere sulle domande che riteniamo giuste. Pretendere risposte. Non entrare nella combriccola che si dà di gomito e non si accorge che mentre Lino Banfi impazza altri disperati, ancora, vengono buttati in mezzo alla strada. Perché questi non ce l’hanno con i neri. Odiano i disperati che sporcano la loro narrazione. E la disperazione, ahimé, arriva per tutti.

Buon giovedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/01/24/prima-opposizione-affilare-lattenzione/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Prima opposizione: affilare l’attenzione

La prima opposizione che possiamo mettere in atto è affilare l’attenzione. Non farci dettare l’agenda da questa compagine d’avanspettacolo e rimanere sulle domande che riteniamo giuste. Pretendere risposte. Non entrare nella combriccola che si dà di gomito e non si accorge che mentre Lino Banfi impazza altri disperati, ancora, vengono buttati in mezzo alla strada.

Femminicidio: Marianna uccisa 12 volte prima di essere uccisa davvero

“Mi ha minacciato con un coltello, non so più che devo fare: aiutatemi”. Diceva così Marianna Manduca quando implorava di essere ascoltata dalla Procura di Caltagirone, terrorizzata da un marito vigliacchetto e violento come ne leggiamo troppi nelle cronache italiane.

Dodici denunce. Dodici volte Marianna ha chiesto aiuto a un Paese che continua a derubricare i segnali di femminicidio a piccole beghe famigliari che non meritano attenzione, contribuendo al senso di impunità dei maschi che si arrogano il diritto di ritenere le proprie compagne proprietà private a cui dare un senso con le botte e con la morte.

Io non so nemmeno se si riesce a scrivere con che sguardo una donna possa uscire dalla caserma per la dodicesima volta. Non so nemmeno immaginare dove finisca la sfiducia e dove inizi la paura per chi poi alla fine di coltellate ci è morta davvero: il marito Saverio Nolfo l’ha uccisa con sei coltellate al petto e all’addome il 4 ottobre del 2007 a Palagonia.

La procura di Caltagirone per la morte di Marianna è stata condannata dalla corte d’Appello di Messina: hanno riconosciuto il danno patrimoniale condannando la presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento di 260mila euro, e riconoscendo l’inerzia dei magistrati dopo una lunga trafila giudiziaria.

Dopo dodici volte insomma Marianna è morta per davvero. E dodici anni dopo le hanno chiesto scusa.

Perché non basta quasi mai solo un assassino per compiere un femminicidio.

Buon mercoledì.

(continua su Left)

Il suicidio di Manu e quello che ci succede intorno

Dovrei scrivere un editoriale su ciò che succede. Avrei dovuto. Leggere la rassegna stampa, immaginare il tema prominente, studiare per costruirmi un’idea e poi prendere la penna che, tra l’altro, ha così poca poesia appiattita sulla tastiera di un computer. Poi avrei dovuto formare una visione cominciando da una storia minima per arrampicarmi su uno sguardo totale. Ecco. Il mio buongiorno, anche oggi, avrebbe dovuto essere così.

Invece è successo che un’amica, presenza di pomeriggi passati a casa mia, lei e la mia compagna nei pomeriggi passati a leggere insieme e poi noi a discutere del più o del meno (che è scienza popolare ma difficilissima e spesso esatta); insomma un’amica ha deciso di togliersi la vita. Suicidio. Che è una parola, il suicidio, che si tende a evitare come tumore, incidente, malattia o colpa. Una di quelle parole che attorciglia lo stomaco, chissà perché, qui da noi dove siamo abituati ala pornografia in tutti i settori.

Comunque è successo che una persona che incrociavo per casa, ultimamente sempre più silenziosa e persa, poi d’improvviso abbia smesso di essere. Così, di colpo. Si suicidano sempre quando molli la presa, le persone che conosci; come se giocassero ad allentare la corda tutto intorno per poi stringersela al collo. Ogni suicidio è un buco in un lago, un muro di traverso in un rettilineo di autostrada.

Mi domando, stamattina, se ci sia una modo di incastrare una cosa così in un lavoro, il mio, che consiste principalmente nel riordinare quello che mi succede intorno. E perdo, di fronte al suicidio di Manu. Non c’è senso, motivo, scrittura, filo rosso. Niente.

(il mio buongiorno per Left continua qui)