Vai al contenuto

auto

ANSA Libri su Nuovissimo testamento

Di Paolo Petroni (fonte)

 GIULIO CAVALLI, ”NUOVISSIMO TESTAMENTO (FANDANGO LIBRI, PP. 288 – 19,00 EURO). 

Giulio Cavalli è scrittore che ama le metafore estreme e le trasforma in romanzi che nel loro realismo disturbante hanno la forza della denuncia, assoluta e che costringe a pensare se non si vuole voltare la testa da un’altra parte.

E’ stato così con ”Carnaio” (entrato nella cinquina del Campiello 2019) ed è lo stesso ora con questo nuovo romanzo che ne è praticamente il seguito, sessanta anni dopo (nel 2070 circa?) la conseguenza se vogliamo, di un corso delle cose che non si è voluto veramente fermare, cambiare. 
    Più che racconti pessimisti, direi che i suoi sono avvertimenti, tentativi con storie ben costruite e scritte di coinvolgere il lettore e fargli capire cosa potrebbe essere il suo, il nostro futuro, nel momento in cui l’empatia umana si azzera, l’altro non suscita più alcun sentimento, ma perché questo sentimento è morto innanzitutto dentro di noi. 
    Ricordiamo allora che nel paese di DF (citato così con solo iniziali misteriose. Destino Finale? ma che ci fa pensare alla situazione di Lampedusa), dopo che per mesi sono arrivate sulla spiaggia decine di migliaia di cadaveri che, alla fine, hanno perso il loro valore umano diventando cose di cui disfarsi o da usare per la propria sopravvivenza secondo regole rigide, risposte necessarie alle accuse che arrivano dai moralisti di ogni dove, in breve si è andato instaurando un regime spietato e dittatoriale che oggi, nel nuovo romanzo, scopriamo come abbia quale nemico principale l’empatia. 
    I suoi abitanti, vaccinati alla nascita con un siero che li rende indifferenti a tutto o quasi, aboliti lacrime e sorrisi, seguono senza porsi domande una vita che un presidente e ministri ereditari, gli unici che non hanno mai avuto il vaccino chiusi nella loro cittadella, hanno organizzato per loro, prevedendo tutto, quel che devono mangiare settimanalmente o come vestirsi, un lavoro e mogli nuove assegnate ogni 5 anni, con cui è obbligatorio far figli. Siamo in un mondo senza imprevisti, dove è proibito tutto ciò che possa suscitare moti dello spirito, musica, arte ecc, tanto che sono stati vietati anche gli aggettivi. C’è persino un ufficio cromatico governativo che crea ”i colori più insignificanti, alla ricerca della perfezione di quello che avrebbe potuto notarsi di meno nella vita dei cittadini”, con preferenza per le scale di grigi. Ognuno passa la sua vita cercando di ”essere rotondo”, ché se poi nascono ”problemi di rotondità sentimentale”, la denuncia di un vicino e l’intervento della polizia e l’internamento in apposito ospedale è immediato. 
    A Fausto Albini basta avere una forte reazione trovandosi a disegnare un cerchio con un bastone sulla sabbia (arte!); a Mario Cuzzocrea il ritrovarsi inspiegabilmente a piangere; a Andrea Razzone capita invece addirittura di ridere; Angelo Siani ha incubi notturni relativi alla ”donna che mi ha fatto” e che non ha mai conosciuto. Saranno questi quattro, contattati da un contrabbandiere di cibi proibiti e una donna che spaccia libri di narrativa, a costituire il primo nucleo di una ”Brigata sentimentale” dandosi alla macchia, subito chiamati ”terroristi che vogliono riattivare la bestia che è in ogni uomo”, riuscendo a disporre di un antidoto al vaccino che progettano di usare su vasta scala, sino a un finale a sorpresa. 
    Una lettura, come si sarà capito che nasce all’ombra dei libri distopici, come si dice oggi, di Orwell e Bradbury, ma con questo suo peculiare puntare sui sentimenti umani, sull’umanità come unico vero valore complessivo che stiamo pian piano perdendo, tra America First o la chiusura dei confini, solo per fare due esempi, ma anche lo svilimento del sapere, dalla scuola ai novax, sino al relegare l’arte all’ultimo posto dei bisogni e di un sostegno pubblico. Un Nuovissimo testamento, come dice ironicamente il titolo senza speranza. (ANSA).    

Le domande illegittime a un colloquio di lavoro

Ciclicamente qualcuno se ne ricorda e ne scrive ma in fondo sembra non cambiare mai niente. In nome di una certa apprensione (se non disperazione) nel cercare un lavoro spesso ci si ritrova di fronte a domande che violano la sfera personale e che potrebbero essere considerate offensive dal candidato eppure ci sono leggi come il Codice delle pari opportunità o lo Statuto dei lavoratori che da tempo le vieterebbero.

In un’epoca in cui ci si è schiacciati sull’idea che il datore di lavoro sia una sorta di benefattore universale, come se non fosse uno scambio di prestazioni ma addirittura una salvezza, si moltiplicano le domande che i candidati si ritrovano mentre dall’altra parte si apre una vera e propria inchiesta sulla vita privata.

Ci sono le donne, innanzitutto, e quella solita questione di vedere la maternità come un inghippo alla produttività. Sono forti questi capi d’azienda: si lamentano della bassa natalità in Italia (che gli deve garantire sempre nuove generazioni di consumatori) ma vorrebbero che a fare figli siano le dipendenti degli altri, mica le loro. Così la domanda sulla situazione sentimentale di una candidata (che non accetteremmo nemmeno dalla nonna durante la cena di Natale) diventa un episodio ricorrente. A ruota c’è il solito “vuole avere figli?” che qualcuno prova a mimetizzare dietro il più vago “come si vede tra 5 anni?” (temendo la risposta “mamma”): peccato che per l’articolo 27 del decreto legislativo 198 del 2006, il Codice delle pari opportunità fra uomo e donna, «È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale». Il secondo comma dell’articolo spiega che la discriminazione è proibita anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza.

Se ci sono figli si accavallano anche le domande come “Hai la nonna che li gestisce?”, “Ma quanti anni hanno i tuoi figli?”, anche queste illegittime. Chi cerca lavoro si organizza gli impegni famigliari senza il bisogno della consulenza o dei timori del suo capo personale. Grazie no, no grazie.

Anche sapere che lavoro facciano i propri genitori non è interessante ai fini di un colloquio, come dice il decreto 198 del 2006. Poi c’è, importante, l’articolo 8 dello Statuto lavoratori, secondo cui: «È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». Lo stesso Statuto dei lavoratori vieta la domanda su un’eventuale iscrizione a un eventuale sindacato, con buona pace di qualche nuovo idolo del liberismo. Un datore di lavoro non può basare le sue decisioni su una persona in base alla sua nazionalità. Chiedere a qualcuno le sue origini viola il decreto legislativo 215 del 2003 “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.

Ci sono regole già chiare (e giuste) scritte per evitare discriminazioni. Ogni tanto capita di rileggerle e accorgersi che il mondo là fuori invece non si è modificato per niente come sperava il legislatore. E allora vale la pena ricordarle.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

“Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch

Di questa storia, fidatevi, ne leggerete poco in giro perché l’anestesia istituzionale sul tema degli immigrati è roba che ci trasciniamo dal governo giallorosso e che non accenna a modificarsi. Dopo il primo governo con Conte alla presidenza del Consiglio e Salvini a urlare nelle vesti di ministro, l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle Ong si è modificato nella forma ma non nei contenuti: dalla prosopopea dei porti chiusi rilanciata dappertutto si è passati a un ostruzionismo verso le navi di soccorso nel Mediterraneo che si è avvalso di carte bollate e di un po’ di insana burocrazia, senza dirlo troppo in giro. Nella desertificazione del Mediterraneo la ministra Lamorgese è riuscita ad ottenere risultati addirittura migliori di Salvini pur mantenendo le carte a posto e, chissà perché, apparendo perfino più “umana” del predecessore.

L’ultima penosa scena è accaduta porto di Augusta, domenica mattina, quando l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera ha autorizzato la nave Sea-Watch 3 a lasciare il porto dopo la quarantena di 16 giorni. Era tutto pronto per ripartire ma due ufficiali della Guardia costiera hanno voluto effettuare un’ispezione straordinaria (che nonostante il nome è diventata di sconcertante ordinarietà per le navi delle Ong) contestando due mancate comunicazioni di arrivo in porto, la mancata sicurezza sul conferimento dei rifiuti, uno sversamento dei olio da una gru e soprattutto l’incredibile accusa di avere salvato “troppe” persone: i 363 naufraghi salvati dalle onde dalla nave hanno portato al superamento della capienza della nave. Sì, avete letto bene: per non irretire i burocrati della Guardia costiera evidentemente bisognava salvarne meno, contare i salvati fino al numero massimo consentito e poi lasciare gli altri in balia delle onde. Forse sarebbero morti, è vero, ma almeno sarebbe stato tutto meravigliosamente regolare.

Puntuale come sempre è arrivata anche la contestazione kafkiana di non possedere la certificazione per svolgere una regolare attività di salvataggio: anche questa è una scena che si continua a ripetere e tutte le volte tocca riscrivere e ricordare che non esista nessun tipo di certificazione né nell’ordinamento italiano e tantomeno nell’ordinamento tedesco a cui la Sea-Watch 3 fa riferimento battendo bandiera tedesca. Come nelle commedia all’italiana dove ci sono vigili che chiedono documenti che non esistono così succede nei nostri porti. Peccato che non faccia ridere nessuno e che intanto la gente continui a morire.

Tra le carte del controllo si scorge anche un’altra gravissima irregolarità che deve avere allarmato i solerti ispettori: un tubo di gomma intralciava un’uscita di sicurezza della sala macchine e anche se è bastato dargli un colpo con un piede per rimetterlo a posto, il grave delitto è stato prontamente verbalizzato. Diciotto irregolarità in tutto che ovviamente complicano il ritorno in mare. Per quanto riguarda la mancata certificazione Sar da parte dello stato di bandiera il Tar di Palermo in realtà si è già pronunciato sospendendo il freno di un’altra nave (la Sea-Watch 4) ma evidentemente le sentenze contano solo se tornano utili.

È il sottile gioco della burocrazia usata come clava che il governo Draghi perpetua in perfetta continuità con il governo precedente, con la ministra Lamorgese in testa ma anche con la collaborazione (anche questa sempre poco raccontata) del ministero della Salute (guidato da Roberto Speranza che con il suo partito dell’accoglienza ne fa pure un vanto) che mette tutte le navi delle Ong in quarantena a differenza di ciò che accade con le navi commerciali (anche quando queste ultime compiono salvataggi con migranti perfino positivi) e del ministero dei Trasporti che ha la responsabilità delle ispezioni della Guardia costiera. A proposito: ministro dei Trasporti è proprio quel Enrico Giovannini che fino a poco tempo fa sedeva nel direttivo di una Ong (Save The Children) e chissà che lui, almeno lui, non abbia qualcosa da dire.

L’articolo “Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch proviene da Il Riformista.

Fonte

Essere Marcucci

Se qualcuno vuole toccare con mano cosa sia stato per Zingaretti guidare il Partito democratico può comodamente assistere alla sceneggiata che si consuma in queste ore con il capogruppo al Senato Andrea Marcucci.

Un attimo, faccio un passo indietro: ci si dimentica spesso quando ci si ritrova a discutere del Pd che i parlamentari che siedono in Parlamento sono figli delle liste approntate da Matteo Renzi, uno che in termini di premiazione della fedeltà come immancabile qualità politica dei suoi è praticamente insuperabile. Quando si parla di Pd, di come il Pd è cambiato in questi ultimi anni, non si può non tenere conto che la squadra parlamentare è sempre quella, figlia di quell’esperienza, figlia di quel momento.

Andrea Marcucci è stato un renzianissimo: a 27 anni era già deputato nel Partito liberale italiano (non propriamente un erede di Berlinguer, diciamo), ha amato il Pd di Renzi che guardava a destra (ma va?), odia da sempre il M5s (basta andare indietro nelle sue dichiarazioni per accorgersene) e quando Renzi decise di andarsene per fondare Italia viva pianse. Però rimase nel Pd. Ieri Fiano durante l’assemblea dei senatori Pd ha sottolineato che nel Pd “non ci sono ex renziani”. Apprezziamo lo sforzo, ce lo auguriamo tutti ma che qualcuno abbia indossato le vesti del “sabotatore interno” è una sensazione che è emersa più di una volta.

Marcucci comunque diventa capogruppo al Senato e quando il nuovo segretario Letta chiede che siano due donne a guidare le compagini parlamentari, mentre Delrio alla Camera accetta di fare un passo indietro l’inossidabile Marcucci si aggrappa alla poltrona. Irresistibili le sue giustificazioni delle ultime ore: «Decidiamo insieme ma no a imposizioni», dice, come se la decisione di Letta non sia figlia di un organo dirigente e puntando un po’ a fare la vittima, poi aggiunge «crediamo che la questione dell’alternanza di genere sia fondamentale per il nostro partito – si legge nella lettera di Marcucci a Letta – Crediamo anche che oltre gli atti simbolici, che pur a volte sono necessari, serva allargare il campo alle prossime elezioni amministrative, si vota in 8 importanti città, ai tanti luoghi dove un Pd declinato troppo al maschile, esercita funzioni di governo, e non ultimo nella cariche apicali del partito, dove per troppi anni le donne non sono state protagoniste», proponendo in sostanza di trovare donne per sostituire altri uomini ma non lui e infine ha rivendicato “l’autonomia dei gruppi parlamentari”, sempre per quella vecchia storia di riuscire a mostrare sempre e ovunque disunità nel partito. Ora, com’è nelle sue corde, Marcucci ha convocato l’assemblea dei senatori per giovedì. Insomma, non ce la fa, è la sua natura.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Erika Pucci su Nuovissimo testamento

(fonte)

Nuovissimo testamento (G. Cavalli, Fandango, 2021)

TRAMA

“Nuovissimo testamento” è il nuovo libro di Giulio Cavalli uscito per FandangoLibri.

Cavalli ci porta in un paese immaginario DF caratterizzato da un regime politico autoritario che ha affermato il proprio potere grazie all’eliminazione dei sentimenti, delle emozioni e dell’empatia. L’empatia, infatti, è ciò che manca ai cittadini di DF grazie a un vaccino iniettato da neonati e tenuta sotto controllo grazie a interventi mirati, quali monitoraggi, controllo minuzioso della vita delle persone dalle scelte relazionali ai regimi alimentari, tutti omologati e prestabiliti. Un apposito corpo militare, la Polizia Affettiva, vigila in accordo con le istituzioni politiche, giudiziari e sanitarie perché l’empatia non sia ristabilita. Non permettere relazioni autentiche fra i cittadini garantisce infatti una più agevole dittatura. Il punto di svolta nel romanzo è l’improvviso aumento di disturbi affettivi che affollano il pronto soccorso e l’entrata in scena di Bernardetta, una spacciatrice di libri, capace di coinvolgere un gruppo di persone come i degenti Manlio, Fausto, Andrea che stanno ritrovando percezioni, sentimenti, emozioni e la dottoressa Anna che ha pronto l’antidoto per il vaccino.  Sono proprio i libri e la musica il motore della moderna resistenza che si afferma a DF attraverso le Brigate Sentimentali la cui attività sovversiva sfocia in atti “terroristici” a base di cultura. La situazione arriva al collasso e porterà a un referendum aperto a tutti i cittadini per decidere tra democrazia e autoritarismo.

NOTE AL MARGINE

Il libro di Giulio Cavalli, fra i candidati al premio Strega 2021, cala in una prospettiva dispotica la già nota DF, località trovata nel suo romanzo “Carnaio”. Giulio porta in primo piano la problematica di come sia alienante vivere e sopravvivere in una società in cui le emozioni devono essere represse insieme alla curiosità, alla voglia di sognare e persino di amare. Ho apprezzato molto come l’autore abbia saputo costruire una realtà credibile in cui si ravvisano tanti aspetti e pericoli della nostra società contemporanea. Se da un lato per temi e approccio ci ricordiamo durante la lettura della lunga tradizione che va da “1984” a “I racconti dell’ancella”, dall’altra le forme di resistenza e le espressioni di voto ci riportano alla nostra storia recente ponendo l’interrogativo di come, in un contesto diverso, sarebbe il risultato di un referendum sulla democrazia.

La trama è indubbiamente scalpitante, i fatti hanno un ritmo deciso ma non mancano riflessioni e introspezioni molto interessanti soprattutto grazie ai personaggi ben delineati dal punto di vista comportamentale e psicologico le cui vicende si intrecciano e muovono gli eventi.

 Cavalli si mostra molto coraggioso dal punto di vista stilistico. Sa scegliere le parole esatte, evitando la prosopopea e al tempo stesso scegliendo una narrazione fluida, essenziale e coinvolgente. La narrazione è senza virgolette e interpunzioni proprio per far immergere il lettore nel flusso di pensieri e del contesto, mantenendo una grande scorrevolezza e capacità di coinvolgimento. Uno stile impresso di razionalità e poesia rende la lettura decisamente interessante e caratterizzata da cifre autoriali.

Al centro della storia il concetto di cultura come motore per sensibilizzare gli animi ma anche come strumento di esercizio alla democrazia, aspetti che rappresentano urgenze del nostro tempo.

IL LIBRO IN UNA CITAZIONE

“Non so della libertà, so che ci viene vietata la bellezza. Non proprio, viene vietata la vitalità in tutte le sue forme”

Erika Pucci

Leggere e rileggere su Nuovissimo testamento

(fonte)

Con “Nuovissimo testamento” edito da Fandango Libri Giulio Cavalli torna nella DF di “Carnaio” dove il Sistema ha deciso che per evitare problemi e mantenere un buon ordine sociale, i cittadini non possono sorridere, leggere, disegnare e provare sentimenti.

Per gli abitanti di questo luogo immaginario è normale vivere senza aspirazioni personali e libertà di scelta, avere mogli a rotazione e  bambini allontanati dalle famiglie fin dalla nascita.

Nel momento in cui cominciano a diffondersi focolai di empatia incontrollata, il governo e il suo presidente Bussoli si sentono minacciati perché è impossibile gestire un popolo che prova paura e desideri. 

Tutto ciò rappresenta un vero pericolo.

“Alla nascita, l’infante veniva prelevato immediatamente dalla sala parto e portato in sala vaccinazioni… Un vaccino generico per prevenire le malattie infettive, alcune anche mortali, che conteneva un particolare composto che negli anni era stato studiato per eliminare le emozioni.

I personaggi che portano lo scompiglio e mettono in discussione le regole sono descritti con ironia e una buona caratterizzazione e nel loro palesare dubbi e incertezze fanno tenerezza.

Rinchiusi nel reparto Disturbi affettivi per i loro problemi di “rotondità sentimentale” si confrontano e dai loro dialoghi emerge l’importanza dello scambio di opinioni per vedere con chiarezza la realtà dei fatti.

Fausto Albini viene ricoverato dopo essersi sentito male sulla spiaggia mentre con un bastone stava disegnando un cerchio, Manlio Cuzzocrea è in cura perché non smette di piangere. 

Andrea Razzone è considerato una minaccia perché è stato scoperto a leggere mentre Angelo Siani sogna tutte le notti la madre che non ha mai conosciuto.

Loro non sono matti, ma hanno solo avuto dei pensieri che non dovevano avere.

Nel momento in cui i presunti malati si rendono conto che dietro questo timore verso l’empatia da parte dei potenti potrebbe esserci un disegno politico decidono di creare un nucleo di resistenza chiamato “le brigate sentimentali” il cui scopo è dar voce a un “nuovissimo testamento” volto a dimostrare: 

“l’arroganza che spaccia la prigionia come libertà e che la bellezza ferisce un popolo che è stato allevato sdraiato”.

Giulio Cavalli con questo suo nuovo libro si sofferma sull’importanza di ribellarsi ad un mondo che vuole privare l’individuo della voglia di sognare, di amare e di provare emozioni. 

La sua analisi è acuta, brillante e molto contemporanea. Con una scrittura precisa, ricercata, ma mai stucchevole ci dice delle verità scomode che a volte preferiremo non sentire perché come gli abitanti di DF spesso è più facile non mettesi in discussione e uniformarsi alla massa.

Un libro adatto a chi crede che “non c’è bellezza senza corrispondenza, non c’è empatia senza ritorno”.

L’ultimo record del “nuovo Rinascimento”: l’Arabia saudita è il maggior acquirente di armi al mondo

Va forte il “nuovo Rinascimento” in Arabia Saudita, non c’è che dire, se è vero che il Paese ha scalato velocemente la classifica mondiale che racconta meglio di tutto quale sia l’aria da quelle parti: lo Stato del principe ereditario Mohammed bin Salman, quello che è stato presentato al mondo come fautore di nuovi diritti e nuove primavere dal senatore Matteo Renzi, è diventato il primo Paese importatore di armi al mondo, raggiungendo l’11% dell’import mondiale di armi ricevute.

Il primo fornitore dell’Arabia Saudita – secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale della Ricerca sulla Pace – sono gli Stati Uniti, che coprono il 79% di tutti i loro acquisti: solo nel 2020 i sauditi hanno acquistato 91 aerei da combattimento.

In Europa per ben 5 volte sono state votate delle risoluzioni contro le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi: l’ultima proprio a febbraio per chiedere “un divieto a livello europeo per quanto concerne l’esportazione, la vendita, l’aggiornamento e la manutenzione di qualsiasi forma di equipaggiamento di sicurezza a destinazione dei membri della coalizione, compresi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, in considerazione delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale in materia di diritti umani commesse nello Yemen”. Una guerra che a oggi conta 133mila morti e 3,6 milioni di sfollati interni.

In Italia lo scorso 29 gennaio il governo ha deciso di revocare le autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, revocando di fatto almeno 6 diverse autorizzazioni, già sospese a luglio del 2019, tra le quali la licenza Mae 45560 decisa verso l’Arabia Saudita nel 2016 durante il Governo Renzi relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK, per un valore di oltre 411 milioni di euro.

L’atto del Governo Conte fece seguito alla mozione delle parlamentari della commissione Esteri della Camera Yana Chiara Ehm (M5s) e Lia Quartapelle (Pd), approvata il 22 dicembre 2020 dal Parlamento italiano.

L’Europa fa blocco, ma l’Arabia Saudita continua comunque a rifornirsi e a riempire gli arsenali da altre fonti. Del resto avere l’armadio stipato di missili e bombe deve essere la prima caratteristica del “nuovo Rinascimento”: quello che da quelle parti ha l’odore degli oppositori fatti a pezzi e della polvere da sparo. E forse questi numeri raccontano benissimo quali siano gli interessi del brillante principe ereditario.

Leggi anche: 1. Cinque domande a cui Matteo Renzi deve rispondere (a un giornalista) / 2. Omicidio Khashoggi, Renzi ribadisce che è “giusto avere rapporti con l’Arabia Saudita” / 3. Se Renzi vivesse in Arabia Saudita (di Selvaggia Lucarelli)

 

L’articolo proviene da TPI.it qui