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barcellona pozzo di gotto

I pessimi giudici amici della mafia

corruzione

Ne ha per tutti, il pentito Carmelo D’Amico, che nell’aula della Corte d’Assise, dove si celebra un processo per un omicidio di mafia, ha detto, ancora una volta, le ‘sue’ verità. Verità che adesso sono al vaglio degli inquirenti, e non quelli del tribunale di messina, ma quelli del tribunale di Reggio calabria, perchè D’Amico, stavolta, ha tirato in ballo giudici messinesi, e competenza territoriale vuole che a indagare non sia il distretto coinvolto dalle dichiarazioni.

Ha parlato con disinvoltura di fatti che, se davvero fossero accertati, sarebbero di una gravità assoluta.
“Abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale, e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante”. Così, come parlasse di quisquilie, Carmelo D’Amico, ex boss, oggi pentito, di Cosa Nostra barcellonese, ha parlato al processo che vede imputato Enrico Fumia per l’omicidio di Antonino “Ninì” Rottino, avvenuto nell’agosto 2006. Un delitto che per gli inquirenti ha segnato l’ascesa al potere del gruppo mafioso dei Mazzarroti capeggiato da Tindaro Calabrese.

Delle dichiarazioni di D’amico ne parla Nuccio Anselmo su Gazzetta del Sud.
Il pentito risponde alle domande del Pm Massara:

“Guardi – ha detto l’ex boss – io ho deciso di collaborare con la giustizia, perché sono stato sempre chiuso al 41 bis, da quando mi hanno arrestato dal 2009. Il 41 bis mi ha fatto riflettere tantissimo stando da solo, anche perché il 41 bis è un carcere duro, e niente ho deciso di cambiare vita, anche se avevo la possibilità può darsi, di uscire dal carcere, perché io ho esperienza nei processi perché abbiamo aggiustato, la nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ne ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante e quindi c’era possibilità che io potessi uscire dal carcere”.

Il processo ‘molto importante’, a detta del pentito, sarebbe stato quello scaturito dal triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino, avvenuto la notte del 4 settembre 1993 alla stazione di Barcellona: le vittime, tre ragazzi di Milazzo, furono giustiziate perchè superavano i confini territoriali del loro comune nel commettere reati, spingendosi sino a Barcellona.

D’Amico ha toccato anche l’Arma dei carabinieri con le sue ‘rivelazioni’:

“ Ho avvisato pure Carmelo Bisognano dell’operazione Icaro, l’ho avvisato io che c’era l’operazione in corso, perché avevamo saputo praticamente, tramite carabinieri corrotti che noi avevamo, che pagavamo sul libro paga dal ’90, carabinieri corrotti che era uno.. uno apparteneva alla.. alla squadra catturando latitanti, un altro era nella Dda… nella Dda che faceva la scorta.. e tanti altri carabinieri e poliziotti che sono sui libri paga, che ne ho parlato purtroppo”.

Infine, il passaggio alla Cassazione: “La nostra associazione – ha detto D’Amico – era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia, diciamo la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria. Noi siamo arrivati anche sino alla Cassazione a sistemare un processo molto noto. Abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io insieme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma, abbiamo comunque per questo le dico che io ero sicuro di uscire, perché sapevo che avevamo anche l’appoggio in Cassazione di questo giudice corrotto che era in Cassazione”.

(fonte)

I bulletti: a Barcellona i nuovi boss pascolano su Facebook

Guardateli bene sono la nuova leva della mafia a Barcellona Pozzo di Gotto: Alessio Alesci, Bartolo D’Amico e Marco Chiofalo sono tra gli arrestati dell’operazione Gotha 5 che ha mappato Cosa Nostra nel messinese. Loro tre giocavano a fare i boss anche sui social come nei peggiori stereotipi. Mentre continuiamo a parlare di ‘colletti bianchi’ e ‘mafiosi sommersi’ viviamo ancora in un Paese in cui il mafioso esibisce la propria sbruffonaggine con vanto. Per questo, forse sarebbe utile interrogarci tutti sui modelli culturali. Tutti.

Le loro gesta le ha raccontate bene Paolo Borrometi qui.

Gotha 5, operazione antimafia a Barcellona Pozzo di Gotto: i nomi, le facce.

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Dalle prime ore di oggi, in diverse località della provincia di Messina, i Carabinieri del R.O.S., della Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto ed i poliziotti del Commissariato P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto e della Squadra Mobile di Messina, stanno svolgendo una vasta operazione antimafia, coordinata dalla D.D.A. di Messina dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina Dr.ssa Maria Luisa Materia, su richiesta della medesima Direzione Distrettuale Antimafia (il Procuratore Lo Forte ed i Sostituti Cavallo e Di Giorgio).

L’operazione ha portato all’arresto di 22 soggetti per associazione mafiosa, estorsioni, rapine, porto abusivo di armi ed altri reati contro la persona e il patrimonio. Altre 5 persone sono state indagate e denunciate in stato di libertà per gli stessi reati.

I provvedimenti scaturiscono da una complessa attività investigativa, avviata nel 2013, sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a CosaNostra siciliana denominato “dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della Provincia di Messina e della sua storica diramazione territoriale cd. “dei mazzarroti”.

L’operazione antimafia, che si pone in linea di continuità con le precedenti, è stata denominata “GOTHA V”, proprio perché ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, già duramente provato dagli esiti dell’operazione “GOTHA IV”.

Le indagini, che hanno avuto inizio dalle dichiarazioni di ARTINOSalvatore (figlio di Ignazio, già esponente di primo piano e rappresentante dei mazzarroti, ucciso in agguato di mafia il 12.04.2011), che ha avviato la sua collaborazione con la giustizia dopo essere stato arrestato nel luglio del 2013 nell’ambito di “GHOTA IV”, hanno visto il contributo offerto dalle persone offese dei reati ed hanno trovato significativi riscontri nelle risultanze delle articolate attività di intercettazione.

Le dichiarazioni di ARTINOSalvatore raccolte dai Carabinieri del ROS e dalla Polizia di Stato hanno contribuito a far luce sull’evoluzione della consorteria mafiosa barcellonese e della sua articolazione dei “mazzarroti”, monitorata recentemente dagli inquirenti grazie anche all’apporto di altri collaboratori quali BISOGNANO Carmelo, CAMPISI Salvatore e GULLO Santo, che hanno fornito, accanto agli esiti delle indagini nel frattempo riaperte, ulteriori preziosi elementi di riscontro.

Ne è scaturito un panorama puntuale della nuova composizione del sodalizio mafioso, operativo nell’hinterland barcellonese, comprensivo dei consociati subentrati nei vari ruoli – secondo il collaudato meccanismo mafioso del “rimpiazzo” –  ai referenti mafiosi arrestati nelle operazioni antimafia che si sono succedute negli ultimi anni, nonché uno spaccato dell’attività pervasiva di controllo del territorio.

In tale contesto sono stati individuati i responsabili di diverse estorsioni, nonché gli esecutori materiali di alcuni fatti di sangue del recente passato, come la rapina ai danni di un supermercato di Campogrande di Tripi verificatasi nel dicembre 2012, conclusasi tragicamente con la gambizzazione di un cliente che aveva opposto resistenza.

Le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto hanno delineato la nuova mappatura criminale del sodalizio mafioso barcellonese, caratterizzata dalla presenza di giovani consociati che sono riusciti ad acquisire, nonostante l’età, un ruolo di assoluto valore criminale. Il nuovo gruppo ha posto in essere diverse attività criminali quali estorsioni e spaccio di sostanze stupefacenti, portate a compimento con modalità tipicamente mafiose e definite dal GIP: “odiosi sistemi invalsi negli ambienti mafiosi”. I giovani quanto spregiudicati esponenti di tale gruppo hanno raccolto l’eredità dei consociati ormai detenuti e facendo leva sui legami familiari con gli stessi, hanno intrapreso autonome attività delinquenziali. È il caso di ALESCI Alessio o del nipote OFRIA Giuseppe, figlio di OFRIASalvatore e nipote di DISALVOSalvatore (detto Sem), considerati ai vertici della famiglia mafiosa barcellonese già tratti in arresto nell’ambito dell’operazione “GOTHA” nel giugno 2011. Oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti, il gruppo ha sviluppato il proprio controllo del territorio soprattutto attraverso attività estorsive, in particolare nei confronti dei locali notturni e delle discoteche di Milazzo. In questo settore le indagini hanno evidenziato come gli indagati, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza al sodalizio abbiano ottenuto sistematicamente l’accesso ai locali e le consumazioni all’interno in modo gratuito, con modalità violente e prevaricatrici ed abbiano imposto, altresì, l’assunzione di alcuni componenti del sodalizio quali responsabili della sicurezza, secondo il più classico dei paradigmi mafiosi.

Le modalità violente delle estorsioni contestate hanno ben delineato le capacità criminali del gruppo, come nel caso della scomparsa di una partita di droga che era stata consegnata a un minore incensurato per detenerla presso la sua abitazione; alcuni componenti del sodalizio, dopo aver fatto irruzione nell’abitazione del ragazzo e averla perquisita, non hanno esitato a picchiarlo violentemente, anche alla presenza della madre, ed a sottrargli un ciclomotore a titolo estorsivo.

L’attività del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto ha parallelamente disvelato il nuovo assetto operativo dell’agguerrita frangia dei “Mazzarroti”, un tempo retta dall’odierno collaboratore BISOGNANO Carmelo e poi da CALABRESE Tindaro attualmente detenuto in regime di “carcere duro”, nonchè i rapporti di stretta alleanza con CosaNostra barcellonese.

In particolare, gli elementi acquisiti soprattutto attraverso le attività di intercettazione, hanno consentito di accertare l’attuale impegno della cosca dei “Mazzaroti” per garantire continuità all’azione del gruppo nel settore delle estorsioni alle quali sono state sottoposte, da parte di TORRE Sebastiano, CAMMISA Giuseppe e SALVO Orazio, diverse attività imprenditoriali e commerciali del comprensorio, vittime del forte potere intimidatorio degli affiliati. I proventi estorsivi, acquisiti “con violenza e minaccia” nelle “tradizionali” rate di Natale, Pasqua e Ferragosto, garantivano il sostentamento dell’associazione mafiosa ed in questo contesto sono state accertate consegne di denaro ad ITALIANO Salvatore, in atto sottoposto agli arresti domiciliari a seguito della sua cattura nel luglio del 2013 nell’ambito dell’operazione antimafia “GOTHA IV”.

E’ inoltre emersa in tutta evidenza la pericolosità del gruppo che ha dimostrato di poter disporre di numerose armi, anche di elevato potenziale (Kalashnikov), che è pronto ad utilizzare per garantirsi il controllo delle attività criminali nel territorio di Mazzarrà S. Andrea e dei comuni limitrofi, per mezzo di cruente spedizioni punitive in danno di coloro i quali non intendono sottostare alle strategie dell’organizzazione. In una di queste occasioni soltanto il provvidenziale passaggio di una pattuglia del Commissariato di Barcellona P.G. evitava il peggio ad altra vittima designata impedendo agli affiliati (TORRE Sebastiano, PINO Giovanni e CAMMISA Giuseppe) armati ed in appostamento, di portare a termine l’agguato.

In questo contesto si inseriscono pestaggi, minacce a mano armata ed “interrogatori” di soggetti rei di aver commesso reati contro il patrimonio senza autorizzazione dei vertici dell’associazione criminale ed il progetto di aumentare il potenziale offensivo della cosca acquistando altre armi per garantirsi il pieno controllo delle attività estorsive (“se guerra vogliono, guerra sia”).

Nell’ambito dell’operazione è stato tratto in arresto per associazione mafiosa e detenzione illegale di armi da fuoco, BUCOLO Angelo sul conto del quale pesano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia CAMPISISalvatore e ARTINOSalvatore che hanno trovato numerosi riscontri e sono state ritenute attendibili dal GIP (contraddistinte, in ordine alla caratura criminale dell’indagato,da piena attendibilità intrinseca in quanto caratterizzate da precisione e coerenza logica”).

Il BUCOLO viene indicato come uno dei componenti storici del gruppo mafioso dei Mazzaroti impegnato nella riscossione dei proventi estorsivi che provvedeva a consegnare ad esponenti di CosaNostra barcellonese, partecipando ad attentati in danno di imprenditori nonché promuovendo atti incendiari, “al fine di convincerli a continuare a pagare il pizzo”, contro i responsabili della discarica di Mazzarrà S. Andrea presso cui il BUCOLO, unitamente a REALEGiuseppe e PINOGiovanni prestava attività lavorativa. Dalle dichiarazioni dei collaboratori è altresì emerso che BUCOLOAngelo, il quale si era anche occupato di custodire ed occultare alcune armi per conto di REALE Giuseppe che questi aveva utilizzato per commettere attentati, – secondo un collaboratore di giustizia – sarebbe stato contattato, senza esito, da altri sodali “affinchè convincesse il fratello BUCOLO Salvatore, Sindaco di Mazzarrà ad intervenire nei confronti della società Tirreno Ambiente (società che gestisce la discarica) affinchè quest’ultima riprendesse a pagare le somme a titolo estorsivo”.

Particolarmente significativa l’intercettazione ambientale che ha documentato un incontro tra rappresentanti armati della cosca dei “mazzaroti” con esponenti della mafia catanese per la reciproca “messa a posto” di imprese operanti nelle due province nell’ambito di quello che il Gip definisce un “sistema di estorsioni incrociate”. All’esito dell’incontro veniva confermato il reciproco rispetto tra le due organizzazioni mafiose (“allora da quando è … è sempre stato così, sempre così!) secondo una consolidata alleanza (“gemellaggio”) tuttora operativa.

Anche alla luce degli elementi probatori individuati dall’Arma Territoriale, dal R.O.S. e dalla Polizia di Stato, è stato poi formulato un giudizio di gravità indiziaria a carico dei detenuti, già tratti in arresto dal R.O.S., CAMPISIAgostino, padre dell’odierno collaboratore CAMPISISalvatore, CALABRESETindaro, CALCO’ LABRUZZOSalvatore e TRIFIRO’Maurizio in relazione alle estorsioni che ciascuno di loro, in periodi diversi, ha posto in essere ai danni dell’imprenditoria locale, alcune delle quali già emerse nel corso dell’indagine denominata “VIVAIO” ma ancora non contestate agli indagati.

Nessuno ne parla ma un ex (vice)presidente del Senato sbuca in un’inchiesta che scotta

NaniaE alla fine il pentito Carmelo D’Amico ha fatto il nome di Mister X: si tratta dell’ex vicepresidente del Senato Domenico Nania, già sottosegretario alle Infrastrutture, ex An, poi Pdl. Per il nuovo collaboratore, è lui il ”personaggio potente e misterioso”, ma soprattutto interno alle istituzioni, che avrebbe guidato una loggia massonica occulta, attiva tra la Sicilia e la Calabria, capace di condizionare le trame della politica e dei grandi affari, senza essere mai stato sfiorato dalle indagini.

Il nome di Nania, coperto dagli omissis, era già contenuto in due verbali depositati nei giorni scorsi, ma stamane in aula davanti alla Corte d’appello di Messina che processa l’avvocato Rosario Pio Cattafi, condannato in primo grado a 12 anni per associazione mafiosa, D’Amico per la prima volta lo ha accusato pubblicamente, facendo esplodere una vera e propria bomba nella palude di Barcellona Pozzo di Gotto, ma anche nei salotti buoni della provincia messinese, crocevia di molteplici interessi criminali finora sempre protetti da una granitica omertà.

Le accuse di D’Amico

Nei suoi verbali, il neo-pentito aveva raccontato: ”Sam Di Salvo (boss  italo-canadese condannato per associazione mafiosa, come uno dei capi del clan barcellonese, ndr) mi disse che Cattafi apparteneva, insieme a Nania, ad una loggia massonica occulta, di grandi dimensioni, che abbracciava le regioni della Sicilia e della Calabria. Sempre Di Salvo mi disse che Saro Cattafiinsieme al Nania erano fra i massimi responsabili di quella loggia massonica occulta”.

Ma non solo. Ai pm della Dda di Messina Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, il pentito D’Amico aveva fatto anche un altro nome: quello di Giuseppe Gullotti, boss e mandante dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano, nonché consegnatario (secondo il pentito Giovanni Brusca) del telecomando che nel ’92 servì ai corleonesi per commettere la strage di Capaci. ”Sam Di Salvo mi disse – racconta ancora D’Amico – che il Nania che apparteneva a questa loggia massonica, era un amico di Gullotti ma non in senso mafioso. Era cioè un conoscente di Gullotti ma non un soggetto organico della famiglia barcellonese; ciò a differenza di Cattafi. Aggiungo che Nania era un amico di Marchetta”.

A Barcellona, Maurizio Marchetta è un personaggio conosciutissimo. Architetto e titolare di un’impresa di costruzioni, dall’inizio del Duemila ha ricoperto la carica di vicepresidente del Consiglio comunale, quota An, sotto l’ala protettiva di Maurizio Gasparri. Nel 2003 fu coinvolto nell’indagine denominata “Omega”, per concorso in mafia, inchiesta poi archiviata dalla procura di Barcellona. Nel 2009 si trasformò in un ”dichiarante”, provocando l’apertura dell’indagine ”Sistema” e facendo rivelazioni sulla presunta loggia massonica ”Ausonia” che, secondo le sue accuse, Sarebbe stata coinvolta in un sistema di controllo di tutti gli affari pubblici. Marchetta denunciò anche di essere vittima di estorsioni commesse, tra l’altro, dagli uomini d’onore Carmelo Bisognano e dallo stesso Carmelo D’Amico, entrambi oggi pentiti. Le accuse di estorsione nei confronti dei mafiosi, confluirono in un processo denominato ”Sistema”, concluso in primo grado con le condanne degli imputati, poi assolti dalla Corte d’Appello di Messina in seguito alla collaborazione di Bisognano. Quest’ultimo dichiarò che Marchetta era associato al clan e che mai era stato vittima di estorsioni.

Nania, il Mister X e la ”Corda Fratres”

Ma chi è Domenico Nania? 64 anni, avvocato civilista, negli anni Settanta dirigente del Fuan, viene eletto deputato per la prima volta nell ’87 nelle file del Msi. Riconfermato nel ’92 e nel ’94, diventa sottosegretario ai Lavori Pubblici nel primo governo Berlusconi. E’ vice-capogruppo alla Camera di An tra il ’96 e il 2001, quando trasloca al Senato. Nel 2008 confluisce insieme a tutto il gruppo di Fini nel Pdl e viene eletto vice-presidente di Renato Schifani alla guida di Palazzo Madama. Arrestato a 18 anni e condannato in via definitiva a 7 mesi per lesioni, in seguito a scontri tra studenti per motivi ideologici, nel 2004 viene condannato in primo grado per abusi edilizi nella sua casa di Barcellona Pozzo di Gotto, sentenza poi annullata senza rinvio dalla corte di Cassazione.

Negli anni passati i nomi di Nania, Gullotti e Cattafi, ma anche quello del pg Franco Cassataerano saltati fuori dagli elenchi degli iscritti all’associazione culturale ”Corda fratres” spesso assimilata ad una vera e propria lobby di potere a Barcellona Pozzo di Gotto. Oltre a Nania, all’associazione risultano appartenere il cugino, l’ex sindaco barcellonese Candeloro Nania, ma anche l’ex di Pg di Messina oggi in pensione Franco Cassata e l’ex presidente della Provincia di Messina, Giuseppe Buzzanca. Una iscrizione che queste alte autorità dividono con due boss di prima grandezza: il primo è Gullotti, la persona che, secondo i magistrati, ha ordinato di uccidere il giornalista Beppe Alfano e ha consegnato il telecomando della strage di Capaci a Giovanni Brusca; il secondo è Cattafi, indicato come l’anello di congiunzione fra Cosa nostra, la massoneria e i servizi segreti deviati.

D’Amico ha parlato di 45 omicidi, a molti dei quali avrebbe partecipato in prima persona, ma anche dell’uccisione di Alfano e dell’esecuzione dell’editore Antonio Mazza, autoaccusandosi di quest’ultimo delitto, e, a quanto pare, contraddicendo addirittura la sentenza della Corte di Cassazione, che ha indicato Antonino Merlino quale killer del giornalista. Ma la parte più ”blindata” delle dichiarazioni del pentito barcellonese riguarderebbe proprio il patto tra mafia e massoneria, con tutte le coperture istituzionali fornite al sistema criminale, che finora è stato solo sfiorato dalle indagini.

La parole (chiare) di Claudio Fava sul caso Manca

attilio-manca1Non usa mezzi termini Claudio Fava dopo la convocazione a Palazzo San Macuto dei magistrati di Viterbo titolari dell’inchiesta sulla morte dell’urologo Attilio Manca: il vicepresidente dell’Antimafia parla di “sciatterie giudiziarie”, di “superficialità”, e di “pregiudizi negativi” nei confronti della vittima, ma non vuole immaginare complotti, almeno ufficialmente, “per evitare di allontanarci dalla verità”. Stiamo ai fatti, dice Fava. “Ci sono due certezze: la prima è che questa inchiesta è stata fatta male, la seconda è che a Barcellona Pozzo di Gotto (città di origine di Attilio Manca, ndr.) qualcuno mente”.

Qual è l’impressione finale dopo aver ascoltato i magistrati?

“Non è una magnifica impressione. Questa inchiesta è stata gestita con eccessiva sufficienza. Non è un caso che buona parte delle attività istruttorie siano state ripetute, o siano state fatte per la prima volta soltanto su sollecitazione del Gip. Mi è sembrato (e questa la cosa più preoccupante) che ci fosse un pregiudizio negativo addirittura nei confronti della vittima, nel senso che non si riescono ad immaginare ipotesi diverse dalla morte accidentale per overdose. Di fronte ad ogni evidenza, l’atteggiamento di questi magistrati è stato quello di spazzare via il beneficio del dubbio con sufficienza, come per dire: era un tossicodipendente occasionale, ma no, forse era un consumatore frequente, il naso si è fracassato cadendo sul letto, probabilmente perché è stato in posizione supina per molte ore, insomma molte cose di fronte alle quali chiunque si sarebbe fermato un attimo a ragionare”.

Crede che dietro alla morte di Attilio Manca ci sia qualcosa di grosso?

“Attilio Manca non è morto per un’overdose accidentale. E’ un omicidio organizzato con pignola attenzione anche nei dettagli. Credo che Manca si sia trovato coinvolto, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vicenda che ha riguardato l’operazione e le cure post operatorie prestate a Provenzano per il tumore alla prostata, e che per questa ragione sia stato ucciso”.

Non è eccessivo che i magistrati di Viterbo – durante l’audizione in Commissione antimafia – abbiano bollato Attilio Manca come un drogato, attribuendo questo termine alla madre che, cinque giorni dopo la morte del figlio, dichiarò a verbale che Attilio, negli anni del liceo, ‘’si era fatto qualche canna’’? La Polizia, invece di scrivere marijuana, scrisse “stupefacenti”, creando da quel momento l’equivoco che Attilio Manca fosse un tossico…

“In Commissione i magistrati hanno citato la deposizione della madre, che ovviamente si riferiva a un periodo studentesco in cui il ragazzo si sarà fatto qualche spinello. Però dicono pure di avere ascoltato alcuni amici d’infanzia di Barcellona, che Attilio Manca avrebbe continuato a frequentare. Secondo costoro, quando il medico scendeva in Sicilia, si ritrovava con loro anche per fare uso di eroina. Tutto questo, però, non ha avuto alcun riscontro. I colleghi laziali di Manca, sentiti sul punto, hanno smentito tutto. Peraltro è praticamente impossibile che un chirurgo possa fare uso di eroina e al tempo stesso entrare in sala operatoria con la stessa abilità di Manca”.

A proposito dei quattro ex “amici” barcellonesi che accusano Attilio Manca di essere un drogato: appartengono al contesto del circolo paramassonico “Corda fratres”, di cui fanno parte, fra gli altri, i boss Rosario Cattafi, uomo di Santapaola e dei servizi segreti deviati, e Giuseppe Gullotti, colui che recapitò a Giovanni Brusca il telecomando della strage di Capaci e che è stato ritenuto dalla Cassazione il mandante dell’assassinio del giornalista Beppe Alfano. Fra questi ex “amici” c’è anche il cugino dell’urologo, tale Ugo Manca (coinvolto in questa storia, la cui posizione è stata archiviata a Viterbo), che risulta vicino alla mafia di Barcellona e al tempo stesso intimo amico dei Colletti bianchi della città.

“In questa indagine non è stato approfondito neanche il contesto criminale di Barcellona. Che vede insieme, in un’unica filiera, Provenzano (che trascorre periodi della sua latitanza proprio in quella città) e Cattafi (che lo ospita), legato a sua volta a Ugo Manca. Non è stata considerata la possibilità di intervenire su quel tessuto di amicizie locali, pilotandole in certe direzioni”.

In che senso?

“La donna romana, considerata dai magistrati di Viterbo come la presunta fornitrice di eroina di Attilio Manca, conduce anche lei a Barcellona. C’è un rapporto dei Ros che mette insieme Provenzano, Barcellona e Cattafi, il quale, ripeto, frequentava Ugo Manca. La cosa sbalorditiva è che i magistrati di Viterbo dicono di non conoscere neanche questo rapporto. Stessa cosa della permanenza di Provenzano a Barcellona. L’unica cosa che dicono di sapere è che Provenzano non può essere stato operato da Manca perché l’intervento non sarebbe stato eseguito in laparoscopia, tecnica nella quale era specializzato Attilio. La cosa impressionante è che sono apparsi informatissimi su alcuni dettagli e particolarmente disinformati sulla dimensione criminale di Provenzano in relazione a Barcellona”.

La famiglia Manca, in tutti questi anni, neanche è stata ascoltata dai magistrati laziali.

“Trovo davvero singolare che la famiglia non sia stata ammessa neanche come parte civile al processo, così come trovo singolare che non siano stati sentiti il padre, la madre e il fratello di Attilio. Ci si è affidati a qualche interrogatorio a distanza, condotto al Commissariato di Barcellona. Penso che sia naturale, in casi del genere, per un pubblico ministero ascoltare un genitore. Non è stato fatto neanche questo”.

(fonte)

Quel verminaio a Barcellona Pozzo di Gotto (2)

cattafirosariopioC’è un personaggio potente e misterioso, forse un uomo delle istituzioni, che avrebbe guidato una loggia massonica occulta capace di condizionare le trame della politica e dei grandi affari, senza essere mai stato sfiorato dalle indagini, nel cuore di Barcellona Pozzo di Gotto. Il suo nome è contenuto in due verbali depositati agli atti del processo d’appello denominato ”Gotha tre”, che ha tra i suoi imputati l’avvocato Rosario Pio Cattafi, condannato a 12 anni in primo grado per associazione mafiosa, e che riprende oggi pomeriggio a Messina. In quei verbali, il neo-pentito Carmelo D’Amico, 43 anni, ex irriducibile delle cosche barcellonesi, racconta: ”Sam Di Salvo (boss condannato per associazione mafiosa, come uno dei capi del clan barcellonese, ndr) mi disse che Cattafiapparteneva, insieme a… omissis.., ad una loggia massonica occulta, di grandi dimensioni, che abbracciava le regioni della Sicilia e della Calabria. Sempre Di Salvo mi disse che Saro Cattafi insieme al… omissis….. erano fra i massimi responsabili di quella loggia massonica occulta”.

Chi è questo Mister x  potente e misterioso, il cui nome al momento è omissato, che a fianco a Cattafi, considerato l’uomo cerniera tra mafia e servizi, avrebbe gestito affari e potere sotto l’ombrello della massoneria? La risposta sta nelle nuove rivelazioni di D’Amico che ai pm della Dda Messina Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio ha fatto, fra gli altri, anche un altro nome pesante: quello di Giuseppe Gullotti, boss e mandante dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano, nonché consegnatario (secondo il pentito Giovanni Brusca) del telecomando che nel ’92 servì ai corleonesi per commettere la strage di Capaci. ”Sam Di Salvo mi disse – racconta ancora D’Amico – che il ….omissis….che apparteneva a questa loggia massonica, era un amico di Gullotti ma non in senso mafioso. Era cioè un conoscente di Gullotti ma non un soggetto organico della famiglia barcellonese; ciò a differenza di Cattafi. Aggiungo che ….omissis… era un amico di Marchetta”.
A Barcellona, Maurizio Marchetta è un personaggio conosciutissimo. Architetto e titolare di un’impresa di costruzioni, dall’inizio del Duemila ha ricoperto la carica di vicepresidente del Consiglio comunale, quota An, sotto l’ala protettiva di Maurizio Gasparri. Nel 2003 fu coinvolto nell’indagine denominata “Omega”, per concorso in mafia, inchiesta poi archiviata dalla procura di Barcellona. Nel 2009 si trasformò in un ”dichiarante”, provocando l’apertura dell’indagine ”Sistema” e facendo rivelazioni sulla presunta loggia massonica ”Ausonia” che, secondo le sue accuse, sarebbe stata coinvolta in un sistema di controllo di tutti gli affari pubblici. Marchetta denunciò anche di essere vittima di estorsioni commesse, tra l’altro, dagli uomini d’onore Carmelo Bisognano e dallo stesso Carmelo D’Amico, entrambi oggi pentiti. Le accuse di estorsione nei confronti dei mafiosi, confluirono in un processo denominato ”Sistema”, concluso in primo grado con le condanne degli imputati,  poi assolti dalla Corte d’Appello di Messina in seguito alla collaborazione di Bisognano. Quest’ultimo dichiarò che Marchetta era associato al clan e che mai era stato vittima di estorsioni.

Ora la procura di Messina è al lavoro per contestualizzare le dichiarazioni di D’Amico e fare i dovuti accertamenti sull’intreccio di personaggi citati dal pentito: l’obiettivo è verificare l’esistenza di eventuali legami tra i protagonisti di una catena a compartimenti stagni che dalla borghesia imprenditoriale farebbe transitare interessi affaristici alla massoneria deviata, sostenuta da solide coperture tra gli apparati, e da qui alla mafia: lo stesso intreccio criminale che avrebbe costruito a Barcellona carriere istituzionali di altissimo profilo.

D’Amico ha parlato di 45 omicidi, a molti dei quali avrebbe partecipato in prima persona. Ma non solo. Tra le nuove e clamorose carte raccolte dalla Dda di Messina ci sarebbero i verbali che riscrivono l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, ammazzato l’8 gennaio del 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto. Una storia ancora per molti versi oscura, piena di depistaggi e buchi neri. Un fascicolo, denominato ”Alfano ter”, è ancora aperto sulla scrivania del sostituto della Dda Vito Di Giorgio con la storia singolare di una pistola calibro 22, invischiata tra vari proprietari e passaggi di mano che potrebbe essere proprio quella che ha sparato al giornalista. Il pentito avrebbe parlato diffusamente dell’uccisione di Alfano e dell’esecuzione dell’editore Antonio Mazza, autoaccusandosi di quest’ultimo delitto, e, a quanto pare, contraddicendo addirittura la sentenza della Corte di Cassazione, che ha indicato Antonino Merlino quale killer di Alfano.

Ma la parte più ”blindata” delle dichiarazioni del pentito barcellonese riguarderebbe proprio il patto tra mafia e massoneria, con tutte le coperture istituzionali fornite al sistema criminale, che finora è stato solo sfiorato dalle indagini. Nelle passate settimane, i sostituti Cavallo e Di Giorgio si sono incontrati con i colleghi palermitani che indagano sulla Trattativa: il vertice, sembra, sarebbe servito per fare il punto sulle possibili cointeressenze criminali tra mafia e ambienti deviati delle istituzioni. Adesso siamo in attesa di conoscere i retroscena del “suicidio” eccellente dell’urologo barcellonese Attilio Manca, che potrebbe essere collegato all’operazione di cancro alla prostata che il boss Bernardo Provenzano subì nel 2003 a Marsiglia. Anche in questo caso, c’è l’inquietante presenza della mafia, della politica, della massoneria e dei servizi segreti deviati.

(fonte)

Caso Manca: la Commissione antimafia convoca Pazienti e Petroselli

loraquotidiano.it_2014-12-01_18-33-38La Commissione nazionale antimafia ha convocato a Palazzo San Macuto il procuratore di Viterbo, Alberto Pazienti e il Pubblico ministero Renzo Petroselli, per un’audizione sull’indagine relativa alla morte di Attilio Manca, l’urologo di Barcellona Pozzo di Gozzo, trovato cadavere nel suo appartamento della cittadina laziale dove lavorava presso la clinica ”Belcolle”. L’indagine fu archiviata come l’overdose di un ”tossicodipendente’,’ e poi riaperta solo nei confronti di Monica Mileti rinviata a giudizio con l’accusa di aver ceduto lo stupefacente al giovane medico.  Ora l’Ufficio di presidenza della Commissione ha convocato i due magistrati che si sono detti disponibili ad essere ascoltati il 17 dicembre.

Secondo l’Antimafia di Palazzo San Macuto– recatasi il 27 e il 28 ottobre scorso a Messina per occuparsi delle commistioni fra Cosa nostra, politica, massoneria e servizi segreti deviati presenti soprattutto a Barcellona Pozzo di Gotto – l’audizione dei due magistrati si rende necessaria per chiarire i tanti perché di questa strana morte, avvenuta nelle ultime ore dell’11 febbraio 2004, e scoperta la mattina del 12 con il ritrovamento del cadavere. La stessa presidente dell’Antimafia, Rosi Bindi, ha dichiarato che “la morte di Attilio Manca a tutto è attribuibile tranne che a un suicidio da overdose”. Anche il vice presidente Claudio Fava ha manifestato tutti i suoi dubbi:“Non è da escludere che questo decesso sia un omicidio legato all’operazione del boss Bernardo Provenzano”.

La Commissione vuol sapere perché la Procura di Viterbo continua a parlare di “inoculazione volontaria” di eroina, se  i due buchi sono stati ritrovati sul braccio sinistro di Attilio Manca, che però era un mancino puro, perché sulle due siringhe trovate a pochi metri dal cadavere, la rilevazione delle impronte digitali è stata ordinata soltanto dopo otto anni (senza alcun risultato), e perché i magistrati continuano a parlare di decesso “volontario” se, dalle foto scattate dalla Polizia dopo il ritrovamento del corpo, si vede il volto di Attilio Manca pieno di sangue, il setto nasale deviato, le labbra tumefatte e i testicoli enormi, con una visibile ecchimosi sullo scroto. A questo va aggiunta la relazione del medico del 118, Giovanbattista Gliozzi, accorso dopo il ritrovamento, che ha messo in evidenza dei lividi ai polsi e alle caviglie.

Perché al cospetto di questi primi elementi, i magistrati hanno seguito una sola pista, senza porre le ipotesi alternative suggerite dalla famiglia, e cioè che Attilio Manca potrebbe essere stato immobilizzato con un colpo ai testicoli e in faccia (almeno uno), tenuto dai polsi e dalle caviglie, sedato con una dose di tranquillante (il primo buco?), e drogato con l’eroina (il secondo)? L’esame tossicologico ha infatti stabilito che nell’organismo del medico era presente una notevole quantità di eroina, mista a del tranquillante e dell’alcol, che, se somministrati contemporaneamente, secondo il parere dei docenti di Medicina legale, portano alla morte immediata. A parere deimagistrati di Viterbo (segnatamente la Procura e il Gip Salvatore Fanti), Attilio Manca, medico ed igienista di professione, dopo essersi bucato, avrebbe lavato il cucchiaio sciogli eroina, rimesso i tappi negli aghi delle siringhe, sarebbe sceso in strada, avrebbe buttato il laccio emostatico e l’involucro conserva-eroina, sarebbe risalito a casa, cenato e, prima di crollare rovinosamente sul letto, si sarebbe massacrato il volto e i testicoli, lasciando però a pochi metri gli oggetti più compromettenti: le siringhe. Una ricostruzione che dovrebbe essere chiarita dai magistrati, così come dovrebbe essere chiarito perché è stata sempre ignorata la pista dell’omicidio semplice o di mafia su cui i familiari e l’avvocato Fabio Repici (al quale da un anno si è aggiunto l’avvocato Antonio Ingroia), ha sempre chiesto di indagare.

I magistrati laziali dovrebbero spiegare perché di esame tricologico (l’analisi effettuata sul campione del capello della vittima, per accertare l’uso pregresso di stupefacenti) hanno parlato solo otto anni dopo, per giunta in conferenza stampa: né alla famiglia Manca, né al legale, era mai stato notificato un atto del genere. Altra spiegazione mai fornita è quella sul perché gli inquirenti colleghino la presunta “inoculazione volontaria” con l’altrettanto presunta positività dell’esame tricologico, quando il nesso fra questi due elementi non è affatto scontato, come la Procura di Viterbo vorrebbe invece fare intendere.

E poi c’è il capitolo legato al caso Provenzano, cioè all’operazione di cancro alla prostata alla quale il boss corleonese  fu sottoposto a Marsiglia nell’autunno del 2003, mentre era latitante col falso nome di Gaspare Troia. Diversi elementi portano in quella direzione, ma la Procura di Viterbo si è sempre ostinata ad insistere sulla morte per droga. L’antimafia vuole capire prchè questa pista noin è mai stata seriamente battuta dagli inquierenti. Una altro buco nero dell’indagine di Viterbo riguarda i tabulati telefonici dell’autunno del 2003 (chiesti più volte dall’avvocato Repici), mai acquisiti dalla procura laziale con un’incomprensibile omissione, dato che, secondo la famiglia, c’è una telefonata risalente all’ottobre di quell’anno in cui Attilio avrebbe detto ai genitori di trovarsi nelSud della Francia per “vedere un intervento chirurgico”. L’ennesimo interrogativo rimasto senza risposta riguarda il rapporto dell’ottobre del 2003, nel quale il capo della Squadra mobile di Viterbo Salvatore Gava scrive che nel periodo in cui Binnu Provenzano è ricoverato a Marsiglia, Attilio Manca non si è mosso dall’ospedale ”Belcolle” di Viterbo. Un anno fa, il programma televisivo “Chi l’ha visto”, mandò in onda un servizio che smentiva quel rapporto:  da un controllo dei registri delle presenze, infatti, risulta che Attilio Manca  proprio in quei giorni non era in ospedale.

Quel “verminaio” a Barcellona Pozzo di Gotto

Un gran pezzo di Luciano Mirone:

Da circa mezzo secolo Antonio Franco Cassata è consi­derato un potente magistrato amico dei mafiosi che prima di tre anni fa non era mai stato sfiorato da un provvedimento giudiziario. Un intoccabile.

Nel 2011 la Procura di Reggio Calabria lo ha messo sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, ma a tutt’oggi la notizia è coperta da una coltre di silenzio, cioè non sappiamo se il fasci­colo contro di lui è ancora aperto o se è stato chiuso, ed eventualmente perché.

Quel che è sicuro è che l’inchiesta è scat­tata: se è stata chiusa ce ne rallegria­mo, se è ancora in corso auguriamo all’ interessa­to di dimostrare la sua inno­cenza.

Intanto lo scorso anno Cassata ha ripor­tato una condanna in primo grado per dif­famazione (800 Euro di multa, più il risar­cimento alla famiglia) per essere stato ri­tenuto l’autore di un dossier anonimo pie­no di veleni contro Adolfo Parmaliana, il professore universitario che denunciava il verminaio di Barcellona Pozzo di Gotto e di Terme Vigliatore, suicidatosi per le ves­sazioni subite soprattutto “dal potere giu­diziario barcellonese e messinese che vor­rebbero mettermi alla gogna”, come lo stesso Parmaliana lasciò scritto.

La pensione anticipata
Malgrado questo, l’ex Procuratore ge­nerale della Corte d’Appello di Messina gode della rispettabilità che dalle nostre parti viene riservata solo ai potenti, sia nel capoluogo peloritano, dove ha svolto per tanti anni la sua carriera, sia a Barcellona Pozzo di Gotto (pochi chilometri da Mes­sina), dove risiede da sempre e da sempre esercita la sua influenza.

In realtà Cassata un potente lo è ancor oggi, malgrado la pensione anticipata alla quale – secondo le malelingue – sarebbe ricorso per evitare lo scandalo di un’inchiesta per mafia nell’esercizio delle sue funzioni, con un possibile coinvolgi­mento di un Consiglio superiore della ma­gistratura che – malgrado le interrogazio­ni parlamentari e le denunce giornalisti­che – nel 2008 lo ha promosso addirittura alla carica più alta della Procura messine­se.

Il libro scomodo di Parmaliana
Ma perché Cassata è così potente? Da dove deriva questa potenza? Qual è il suo ruolo in una città come Barcellona Pozzo di Gotto, dove l’alleanza tra mafia, mas­soneria e servizi segreti deviati è fortissi­mo?

Per capire il potere di cui dispone que­sto ex magistrato, basta recarsi alla “Cor­da fratres” – il circolo più in della città, esclusivo e “paramassonico” (secondo una definizione della Guardia di Finanza) che ha sistemato una caterva di rampolli dell’alta società barcellonese – di cui Cas­sata è da sempre animatore e leader, e par­lare di lui con i numerosi soci.

O magari aspettare l’uscita del prossimo libro di Melo Freni – giornalista barcello­nese dalla sfolgorante carriera in Rai, il quale, alla vigilia dell’uscita del volume di Alfio Caruso sulla morte di Adolfo Par­maliana, chiese all’autore di bloccare ad­dirittura la pubblicazione – per vedere “il giudice Cassata” al tavolo dei relatori as­sieme all’avvocato Franco Bertolone, suo intimo amico e noto legale dei boss più pericolosi di Barcellona.

Il viaggio con Bertolone e Chiofalo
Certo, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia da quando (1974) il magistrato fece uno strano viaggio in Mercedes dalla Sicilia a Milano assieme allo stesso Berto­lone e al giovanissimo boss Pino Chiofa­lo, che tempo dopo (all’inizio degli anni Novanta) avrebbe scatenato una cruenta guerra di mafia contro il clan Gullotti, mentre nel ’99, ormai pentitosi, sarebbe stato contattato – secondo la Procura di Palermo – da Marcello Dell’Utri per con­vincerlo a screditare i tre collaboratori di giustizia Francesco Di Carlo, Giuseppe Guglielmini e Francesco Onorato, che ac­cusavano il fondatore di Forza Italia di es­sere vicino a Cosa nostra.

Certo, all’epoca di quel singolare viag­gio a Milano, Chiofalo muoveva i primi passi nell’ambito di Cosa nostra, ma è singolare che un magistrato preposto al persegui­mento dei mafiosi, faccia un tragitto così lungo con un mafioso e col suo avvocato.

Che un episodio del genere non sia frut­to della superficialità del personaggio sarà dimostrato ampiamente negli anni succes­sivi.

Il paradigma Barcellona
Ma per capire meglio la figura di Anto­nio Franco Cassata, bisogna delineare il contesto di Barcellona Pozzo di Gotto. Che non è un posto come tanti. C’è il traf­fico di droga sì, ci sono gli omicidi (qua­rantacinque fra il ‘90 e il ‘92) e le estor­sioni, e c’è la mega discarica di Mazzarà Sant’Andrea, sulla quale stanno lucrando in tanti, ma ciò non basta a spiegare il pa­radigma Barcellona a livello nazionale.

Barcellona è il luogo dove è stato co­struito il telecomando della strage di Ca­paci, recapitato da Gullotti a Giovanni Brusca in quel di San Giuseppe Jato per far saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.

E’ la città dove hanno tra­scorso parte della loro latitanza due boss come Nitto Santapaola e Bernardo Pro­venzano, pro­tetti per decenni da quello Stato attual­mente sotto accusa a Palermo nel proces­so Trattativa.

È la città che, as­sieme a Catania, Paler­mo e Corleone, è stata l’avamposto avan­zato dell’eversione stragista fra la fine della Prima Repubbli­ca e l’inizio della Se­conda.

Ed è proprio sul “contesto” che Antonio Franco Cassata – ottimo conoscitore di uomini e cose di quel territorio – potrebbe chiarire molte cose. Cosa?

Il boss Gullotti
Primo. Giuseppe Gullotti è il boss indi­scusso che secondo la sentenza della Cas­sazione è il mandante di tanti delitti, com­preso quello del giornalista Beppe Al­fano, ucciso perché “reo” di avere scoper­to il nascondiglio segreto di Barcellona dove Santapaola si nascondeva all’inizio degli anni Novanta (circostanza confer­mata dal­la recente testimonianza del pen­tito Carmelo D’Amico). Perché Gullotti è rimasto iscritto alla “Corda fratres” fino all’anno dell’omicidio Alfano (1993)? Cassata dice che fino a quel momento il boss era un insospettabile incensurato che veniva pure preso in giro all’interno del sodalizio.Ma è vero che negli uffici giu­diziari circolava da tempo un’informativa in cui si diceva che “l’avvocaticchio” (come veniva soprannominato) era diven­tato il referente di Santapaola a Barcello­na? Perché tempo dopo – mentre Gullotti è latitante – Cassata sente l’esigenza di mettersi a confabulare in piazza con la moglie del boss (figlia del vecchio capo­mafia Ciccio Rugolo e sorella del nuovo reggente Salvatore Rugolo), che è seguita dai Carabinieri, i quali stilano un rapporto sull’episodio? Perché Cassata al Csm di­chiara di essersi fermato per accarezzare il bambino nella carrozzella, quando i Cara­binieri, in quel rapporto, scrivono che non c’è alcun bambino né tantomeno una car­rozzella? Perché Cassata fa pressione per evitare che quel rapporto vada avanti? Ci sta che il Procuratore generale della Corte d’Appello si apparti con la moglie del boss, figlia del boss e sorella del boss?

I contratti ai mafiosi
Secondo. Da una interrogazione del se­natore Pd Beppe Lumia risulta come il fi­glio dell’ex procuratore generale, l’avvo­cato Nello Cassata, negli anni in cui è sta­to presidente dell’Ipab (Istituto di pubbli­ca assi­stenza e beneficienza) di Terme Vi­gliatore-Barcellona (1999-2001) abbia prorogato dei contratti di locazione a im­portanti mafiosi e a persone che con San­tapaola e Gullotti ci hanno avuto a che fare. Per esempio Aurelio Salvo, “al tem­po pregiudicato – scrive Lumia nell’inter­rogazione – per favoreggiamento aggrava­to nei confronti di Giuseppe Gullotti e di Nitto Santapaola”.

La “latitanza” di Santapaola
Costui infatti è il proprietario sia dell’appartamento dove ha trovato rifugio Gullotti quando si è dato alla macchia per l’omicidio Alfano, sia della villa di Terme Vigliatore dove ha trascorso un pezzo del­la sua latitanza proprio Santapaola

A un certo punto il Ros dei Carabinieri – grazie alle intercettazioni ambientali – scopre che don Nitto trascorre la sua latitanza nel piccolo centro tirrenico, e individua la vil­la di Aurelio Salvo come luogo “sensibile” per la cattura di uno dei boss più pericolosi del mondo. Basta organiz­zare un blitz per prendere Santapaola. Niente di tutto questo.

Mentre il capoma­fia se ne sta tranquillamente a casa, il ca­pitano “Ultimo” – forse depistato da qual­cuno – inizia un rocambolesco insegui­mento con un fuoristrada a bordo del qua­le non c’è Santapaola. Il boss catanese viene messo sull’avviso e lascia il covo. Ma invece di fuggire lontano, torna tran­quillamente a Barcellona (c’era stato poco prima) dove trascorrerà un altro pezzo della sua latitanza senza essere disturbato.

L’ex procuratore Cassata sapeva dei rap­porti fra Aurelio Salvo, Gullotti e Santa­paola? Sapeva dei rapporti fra suo figlio e Aurelio Salvo?

Lui afferma che Nello ha ereditato que­sta situazione dalla preceden­te gestione Ipab. Ma cosa ha fatto Nello Cassata per porre fine a questi rapporti? Ha mai preso le distanze da determinati personaggi? E lui, Antonio Franco Cassata, che posizio­ne ha assunto nei confronti del figlio? Non avrebbe dovuto chiedere l’immediato trasferimento per incompatibilità ambien­tale? Ma questa è solo la punta dell’ice­berg. Nei due anni di gestione dell’Ipab, Cassata junior ha continuato ad affittare gli immobili dell’Istituto al fior fiore della criminalità barcellonese e ad imprenditori incensurati molto vicini a Cosa nostra.

L’elenco è lungo. Un nome fra tutti: Do­menico Tramontana, boss di primissi­mo piano (secondo i Carabinieri), crivel­lato di colpi sulla sua auto sulla quale i Carabi­nieri hanno trovato una cinquantina di vo­lantini elettorali dell’ex sindaco di Terme Vigliatore, Bartolo Cipriano, per­sonaggio transitato con disinvoltura dal centrode­stra al centrosinistra, “molto vici­no – se­condo Biagio Parmaliana, fratello di Adolfo – allo stesso Nello Cassata, di­ventato consulente legale del Comune di Ter­me Vigliatore”.

Una truffa da 35 milioni
Terzo. Risulta al dott. Antonio Franco Cassata che, mentre occupava la poltrona più prestigiosa della Procura generale, il figlio sia stato uno degli organizzatori di una maxi truffa alle assicurazioni (ingenti i capitali ricavati: solo nel 2009, 35 milio­ni di Euro, al punto da spingere le compa­gnie a “scappare” da Barcellona) in cui, oltre ad essere coinvolti diversi professio­nisti (soprattutto medici e avvocati), c’è implicata la criminalità organizzata?

Niente ricorso contro i boss
Quarto. È vero che l’ex procuratore ge­nerale – come dice l’avvocato Fabio Repi­ci – non ha presentato ricorso in Cassazio­ne contro la sentenza d’Appello del pro­cesso “Mare nostrum droga”, in cui tutti gli imputati barcellonesi, dopo pesanti condanne in primo grado, sono stati assol­ti in secondo?

È vero che non lo ha fatto – per citare sempre Repici – “per una gretta interpre­tazione giuridica delle fonti di prova”?

Fra gli assolti c’era Ugo Manca
Quinto. Fra gli imputati assolti al pro­cesso “Mare nostrum droga” figura tale Ugo Manca, personaggio molto vicino alla mafia di Barcellona e condannato in primo grado a quasi dieci anni per traffico di droga. Ugo Manca è stato coinvolto (la sua posizione è stata archiviata lo scorso anno) nella morte del cugino Attilio Man­ca, urologo allora in servizio all’ospedale di Viterbo.

Secondo diversi indizi – fra cui le re­centi dichiarazioni del pentito di camorra Giuseppe Setola – Attilio Manca sarebbe stato ucciso perché avrebbe sco­perto la vera identità del boss latitante Bernardo Provenzano (allora nascosto sot­to il falso nome di Gaspare Troia), mentre lo avreb­be curato dal tumore alla prostata da cui era affetto.

È vero che esiste una intima amicizia fra l’ex procuratore e Ugo Manca? Fino a che punto?

Cattafi e la “Corda frates”
Sesto. A proposito di amicizie. È vero che il magistrato è intimo anche del boss Rosario Pio Cattafi (oggi al 416 bis per associazione mafiosa), definito “social­mente pericoloso” dal prefetto di Messina, al punto che è stato costretto all’obbligo di dimora per cinque anni a Barcellona?

Vicino ai servizi segreti deviati, ex ordi­novista assieme al boss di Mistretta Pietro Rampulla (artificiere della strage di Capa­ci), residente a Milano per molti anni, l’avvocato Rosario Pio Cattafi è ritenuto il riciclatore del denaro sporco del clan San­tapaola e – secondo recenti inchieste – uno dei mandanti dell’assassinio del giu­dice torinese Bruno Caccia, che negli anni Settanta indagava sui proventi sporchi provenienti dal casinò di St. Vincent.

Il boss restò nella “Corda frates”
Tor­nato a Barcellona dopo il coinvolgi­mento nell’affaire dell’autoparco milanese di via Salomone (in cui era implicato il Psi di Bettino Craxi), Cattafi fu ritenuto – assie­me a Silvio Berlusconi e a Marcello Dell’Utri – uno dei mandanti esterni della strage di Capaci.

La sua posizione, assie­me a quella dell’ex presidente del Consi­glio e del fon­datore di Forza Italia, venne successiva­mente archiviata.

È vero che malgrado un curriculum di queste dimen­sioni, il boss ha continuato a far parte del­la “Corda fratres”, senza che il dott. Cas­sata abbia sentito il dovere di chiederne l’espulsione?

L’“informativa Tsunami”
Settimo. È vero che l’ex procuratore Cassata, all’inizio del Duemila, cercò di bloccare un rapporto esplosivo dei Cara­binieri (“l’Informativa Tsunami”) che si soffermava, tra l’altro, sull’amicizia fra l’ex Pm di Barcellona Olindo Canali (tra­sferito dal Csm al Tribunale di Milano per “incompatibilità ambientale”) e Salvatore Rugolo, all’epoca ritenuto il nuovo reg­gente della cosca barcellonese?

Nel rap­porto si parla di almeno due tal­pe “molto vicine a Canali” che dalla Pro­cura barcel­lonese avrebbe passato le in­formazioni al boss. In quelle duecento pa­gine si parla anche di un intervento del Procuratore Cassata presso il sostituto procuratore An­drea De Feis, titolare dell’indagine su Ter­me Vigliatore, per bloccare il rapporto dell’Arma.

“Il grande protettore di Canali”
Ottavo. È vero – come dicono Sonia Al­fano e l’avvocato Fabio Repici – che “An­tonio Franco Cassata è stato il grande pro­tettore di Olindo Canali”? Se è vero, sa­rebbe interessante sapere se l’ex procura­tore generale ha saputo – magari dallo stesso collega – che il giornalista Beppe Alfano – poco prima di essere ucciso – si sarebbe recato da Canali per confidargli il segreto della latitanza di Santapaola.

Il magistrato monzese gli avrebbe rispo­sto: “Non me ne posso occupare” e alla fine, secondo Sonia Alfano, gli avrebbe detto: “Scrivi tutto quello che sai, chiudi la lette­ra in una busta gialla e spedisci il plico alla Dia di Catania. Avviserò un su­per po­liziotto di prenderlo personalmente”.

“Scrivi tutto quello che sai”
“Mio padre – prosegue l’ex europarla­mentare, che dice di essere stata presente al colloquio – eseguì alle lettera le istru­zioni di Canali, e poco tempo dopo Beppe Alfano fu ucciso”.

(Tratto da: isiciliani.it)

Condannato Cattafi, eh

CATTAFI_Rosario_Pio(1)Condannato a 12 anni, a fronte dei 16 richiesti dall’accusa, l’avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto Rosario Pio Cattafi. Il gup Monica Marino ha dunque stabilito la sua effettiva vicinanza ai boss della mafia barcellonese, con i quali aveva mantenuto i contatti anche tra i vertici del clan e altre famiglie mafiose. La sentenza ha emesso, inoltre, altre cinque condanne: 7 anni e 6 mesi per Giuseppe Isgrò, ritenuto il ‘tesoriere’ del gruppo mafioso, 6 anni e 4 mesi a Tindaro Calabrese, 5 anni e 8 mesi a Giovanni Rao, 4 anni e 8 mesi per Carmelo Trifirò e 4 anni e 4 mesi a Agostino Campisi. Tutte condanne scaturite dall’operazione “Gotha 3”, che aveva svelato, nell’ambito della realizzazione di opere nel messinese, una serie di attività estorsive ai danni di quattro società.

Cattafi, oltre ad essere coinvolto nel processo “Gotha 3” (associazione a delinquere di stampo mafioso con l’aggravante di aver promosso e diretto l’organizzazione mafiosa barcellonese) fu precedentemente condannato per aver aggredito nel 1971 cinque studenti universitari insieme a Pietro Rampulla (il futuro artificiere della strage di Capaci) e in seguito condannato per porto e detenzione abusivi di arma, cessione di sostanze stupefacenti e calunnia. L’avvocato barcellonese prese poi parte al matrimonio del capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto Giuseppe Gullotti – condannato per essere stato il mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano – in qualità di testimone di nozze.

Mi ricordo quando ne parlavano Sonia Alfano e Fabio Repici: due ossessionati, dicevano.

Dove si abbronzava le chiappe Giuseppe Antonio Impalà

Giuseppe Antonio Impalà ha 50 anni e, secondo gli investigatori, si occupava della raccolta del pizzo per conto del clan di Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina. Giuseppe Antonio Impalà, insomma, è presumibilmente un mafioso e infatti giusto oggi è stato arrestato dai carabinieri della Compagnia di Santa Margherita Ligure e Rapallo mentre usciva da una casa di Sant’Anna, a Rapallo, a casa di amici.

Gli amici dicono di non sapere che quell’uomo fosse un mafioso. Lui sostiene di essere in una normale “vacanza” con quel piccolo inghippo che può essere un arresto. Eppure qualcosa si muove: potrebbero esserci sviluppi sulla mafia barcellonese in Liguria. C’è da scommetterci.