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beppe grillo

Quindi

Il PD ha vinto. Anzi ha stravinto. E la democrazia sta nel rispetto della volontà popolare (che, è bene chiarirlo, in questo caso non c’entra nulla con processi, condanne e odore di mafia) quindi l’idea di Paese di Matteo Renzi coincide con la visione di molti, moltissimi elettori. Certo c’è anche quella fetta (immensa) di non votanti ma strumentalizzare gli astenuti per scolorire il vincitore è autolesionismo puro: chi non vota non crede nella politica, quella che va da Renzi a Grillo. Ci fa bene ricordarcelo. Forza Italia non è sparita: le percentuali sono basse ma se sommate al NCD di Alfano rivelano che quel blocco (perché io continuo a credere che il ricongiungimento sia solo una questione di tempi giusti che presto o tardi verranno) esiste e tiene. Il M5S scende: sembra una sconfitta ma hanno perso i toni più che le idee e l’immobilismo politico ovviamente prima o poi si paga. Chi fa sbaglia, chi non fa non sbaglia e se pure urla è tanto peggio. La lista Tsipras (oscurata e geneticamente repressa come succede spesso a sinistra) ha superato il quorum, è una bella notizia sì ma sulla campagna elettorale di questa sinistra italiana ci converrà fare un’analisi lucida e sincera: nei prossimi giorni, a bocce ferme, sarebbe meglio dirsi tutto. Io dirò. La Lega sopravvive perché lo zoccolo duro ha trovato nutrimento nelle salvinate di Salvini e nel No Euro urlato come un mantra. Sono felice che alcuni civatiani andranno in Europa anche se il successo personale di Renzi recinta ancora di più in un angolo silenzioso quella parte del PD che sento più vicina.

Ora? Ora c’è tutto lo spazio per le riforme e Renzi è stato legittimato, la lista tsipras dovrebbe diventare adulta e farsi soggetto nazionale e non credo ci riuscirà senza uno scossone vero. Ora forse è il caso di non stare più solo a guardare.

La dittatura della maggioranza

La chiama così Peter Gomez nel suo editoriale circa l’espulsione dei quattro portavoce del Movimento 5 Stelle:

A Beppe Grillo e a tutti i parlamentari e iscritti del Movimento 5 Stelle che hanno votato l’espulsione dei quattro senatori considerati dissidenti va consigliata la lettura di La Democrazia in America di Alexis de Toqueville. Le pagine che il filoso francese dedica al problema della dittatura della maggioranza sono esemplari. E anche se si riferiscono al governo degli Stati, indicano bene la strada che una parte del movimento rischia di imboccare.

Fino a qualche tempo fa la libertà di parola e il diritto di critica erano temi centrali per l’intero M5s. Molti cittadini avevano anzi deciso di sostenere l’ex comico alle elezioni dopo aver visto il suo blog e i Meetup battersi anche per questo. Nel novembre del 2010, per esempio, in uno dei tanti post di Grillo si poteva leggere: “La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un ‘politically correct’ asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto”.

Oggi invece dobbiamo constatare che la libertà di parola nel Movimento 5 Stelle è minacciata e offesa da una brutta voglia di unanimismoDalla decisione di far votare gli aderenti 5 Stelle non sulla violazione di una norma del non statuto o del codice di comportamento parlamentare, ma su una critica al Capo, o se preferite al Megafono. Discutere se i senatori avessero ragione o torto nel prendere posizione contro le modalità con cui Grillo ha deciso di strapazzare Matteo Renzi in diretta streaming – sbattendogli peraltro in faccia molte verità difficili da contestare – non ha infatti senso. Il dato importante è uno solo: non esisteva alcuna regola che impedisse ai senatori di farlo.

Certo, per qualsiasi movimento è fondamentale e giusto apparire unito, evitare, come scrive Alessandro Di Battista, che escano “sistematicamente” e per mesi dichiarazioni pronte “a coprire i messaggi del gruppo” o in contrasto con la linea stabilita. Ma anche se  le cose sono andate così, la questione non cambia di una virgola. Punire qualcuno per dei comportamenti per i quali non sono state previste esplicitamente sanzioni non è solo liberticida. Rappresenta un rischio per tutti: anche per coloro i quali oggi votano a favore dell’espulsione dei dissidenti. Domani, e per un motivo qualsiasi, una nuova maggioranzapotrebbe infatti votare la loro.

La responsabilità delle provocazioni e del web

Guido Scorza non è sicuramente piddino e anzi è stata una delle voci più critiche dei nostri ultimi governi, è stato spesso ospite del blog di Grillo, è esperto di web e si dedica con preparazione e passione alla difesa della rete anche dal punto legislativo (e come sappiamo negli ultimi anni ha avuto quindi parecchio da fare). Gli insulti alla Boldrini sul blog e sui social di Grillo non hanno bisogno di commenti. Anzi sembra proprio che l’idiozia sia un obiettivo politico, a volte. Ma la provocazione alla Boldrini ha anche una ricaduta negativa su chi il web lo sta difendendo, come dice Scorza nel suo post:

E’ per questo, caro Grillo, che trovo di inaudita gravità l’utilizzo del Web per forme di gratuita istigazione alla violenza – che non hanno nulla a che vedere né con la politica, né con la democrazia, né con la satira – come quella mandata in Rete ieri, invitando un popolo di “web-sudditi”, legittimamente inferocito contro un certo modo di amministrare la cosa pubblica, a dar sfogo alle più primitive ed ignoranti pulsioni offensive e sessiste contro una delle più alte cariche dello Stato.

“Cosa fareste soli in macchina con Laura?” – con chiaro riferimento a Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati – era, e non può essere sfuggito ai guru della comunicazione nella cabina di regia del Movimento, una evidente domanda retorica alla quale non potevano che darsi risposte imbecilli e offensive prive di qualsivoglia contenuto e significato politico.

E’ una vicenda drammaticamente preoccupante perché oggi e poi domani e poi ancora nei giorni e nelle settimane che verranno, il Web verrà di nuovo raccontato sui giornali e nella televisione come teatro di inaccettabili violenze verbali e si tornerà a proporne una più rigorosa disciplina e regolamentazione capace di prevenire certi abusi.

Le colpe di pochi – che pure hanno il merito di aver acceso i riflettori sul Web anche come strumento di partecipazione democratica – ricadranno su tutti o, almeno, sui tanti che, da anni usano il Web per “fare politica” e sognano il giorno nel quale, anche in Italia, attraverso la Rete, si potranno riaffermare in maniera integrale gli straordinari principi scritti nella nostra Costituzione.

Il Movimento Cinque Stelle poteva essere uno straordinario laboratorio di esperimenti di democrazia elettronica ma chi ne tiene in mano il mouse – e non certo le centinaia di rappresentanti e attivisti che ci hanno creduto ed investito tempo e passione – lo sta, purtroppo, trasformando solo in una nuova Tv, superficiale, violenta e, soprattutto, unidirezionale proprio come la vecchia – ma sempre di moda –televisione commerciale.

E io non posso non essere d’accordo.

Nelle accuse a Grillo facciamo i seri

Oggi leggevo Sergio Boccadutri nella pagina dell’attività istituzionale di SEL accusare Grillo di fare propaganda a pagamento perché

“Su internet sono facilmente reperibili le date e i prezzi di un tour a pagamento di Beppe Grillo in primavera che toccherà diverse città italiane proprio a ridosso delle elezioni europee, dal titolo non casuale, Te la dò io l’Europa”.

Io non amo i metodi di Grillo, non amo il suo linguaggio, non amo l’ignoranza esibita di alcuni suoi eletti e non amo lo svilimento della democrazia però non sopporto l’abbassamento del dibattito anche nel tentativo di demolirlo. Provo a spiegarmi: nel 2010 durante la mia campagna elettorale per le elezioni regionali in Lombardia alcuni esponenti del Popolo delle Libertà (a quel tempo Forza Italia si chiamava così) mi accusavano di fare politica nei miei spettacoli oppure di fare spettacoli nella politica. Ne ridevamo tutti. Insieme ci dicevamo quanto fossero vili nell’accusare le professioni intellettuali come conflitto di interessi. Poi è venuto il tempo di Celentano ma, a proposito di politica, già nel 1974 Gigi Proietti faceva politica negli spot per il NO all’abrogazione della legge sull’aborto (per i ficcanaso curiosi potete guardarvelo qui). Accusare Beppe Grillo di “fare propaganda a pagamento” è un attacco che non ha senso. Qualcuno mi dice “l’importante è che non faccia comizi” ma vi chiedo: se qualcuno vuole pagare i comizi di Grillo è un problema per la democrazia? No, non credo. Il tour di Grillo risponde a logiche commerciali e non a logiche politiche e in più non pesa sulle casse dello Stato. Io non amo Grillo ma non vedo gravità nei suoi spettacoli a pagamento nel Paese che finanzia Libero o Il Giornale. SEL che attacca Grillo nella sua attività attoriale (che può piacere o meno ma è “altro”) è una brutta caduta di stile. Prepari uno spettacolo Boccadutri, faccia un musical Renzi o prepari un circo Angelino Alfano, con soldi propri, con spettatori per scelta: questo sarebbe un Paese migliore.

Per il resto parliamo di politica, per favore. E la scelta della Boldrini di non dare spazio alle opposizioni è stata una pessima scelta.

Questo vi dovevo. Con tutta la mia lontananza da Grillo e dagli ultimi atteggiamenti di alcuni dei suoi.

Numeri perbene

Ho letto qualcuno che ieri ironizzava sulla mia pubblicazione della vignetta di Staino sull’infelicissima uscita di Grillo e Casaleggio (e uso “infelice” per cortesia). Parlando del tema e, soprattutto, confrontando i numeri (che servono sempre per una buona analisi, eh) vale la pena riprendere, stampare e tenere in tasca il post di Giovanni Giovannetti:

Sui costi sociali dell’immigrazione provo allora a dare qualche numero. A partire dall’Inps, che senza il loro flusso contributivo non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani, affidati a oltre un milione di badanti (quasi il doppio dei dipendenti del sistema sanitario nazionale) delle quali l’80 per cento lavora in nero. Nel 2008 i lavoratori stranieri assicurati (nell’insieme sono 2.727.254, il 12,9 per cento, un ottavo dei 21.108.368 lavoratori iscritti all’Inps) hanno versato nelle casse dell’ente previdenziale 7,5 miliardi di euro. Insomma, gli stranieri danno molto più di quanto ricevono, poiché i pensionati stranieri (110.000 persone nel 2010) incidono appena per il 2,2 per cento. Vista l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), è un andamento destinato a durare per molti anni. Il 63,2 per cento dei lavoratori immigrati assicurati opera alle dipendenze di aziende, oppure sono lavoratori domestici (17,6), operai agricoli (8,5), lavoratori autonomi (10,8). Dunque, ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. Nel settore familiare, in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, l’apporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne, consente alla rete pubblica un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. Anche in agricoltura gli immigrati incidono per oltre un quinto sul totale degli addetti. Il loro contributo è sempre più rilevante, sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell’allevamento, nella floricultura e nelle serre.

Nel 2012 oltre 20.000 immigrati sono rientrati in patria. Secondo Andrea Stoppini, «se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12.000 euro lordi l’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4.000 euro l’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10.000 euro. Se la stima di 20.000 lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio. Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45.000 stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali». E così commenta Riccardo Staglianò: «I precari italiani, se la loro condizione non migliora, tra una ventina d’anni prenderanno sì e no una pensione da 500-600 euro. Ma per gli stranieri che lavorano e pagano le tasse in Italia potrebbe andare ancora peggio. Nel senso che, se tornano nel loro Paese prima dei fatidici 65 anni e non c’è un accordo di reciprocità, i contributi versati qui rimarranno qui. Dal loro punto di vista li avranno buttati via. Dal nostro, sarà un gradito (quanto ingiusto) regalo alle casse dell’Inps». Insomma: «Quando incontrate un leghista che si indigna per il fatto che anche agli immigrati danno le case popolari (almeno non a loro insaputa), ricordategli questo dettaglio contabile» (le due citazioni sono riprese da Repubblica.it.webarchive).

Persone perbene

20131012-091721

 

La vignetta di Staino su L’Unità di oggi. E la differenza tra la politica e l’essere umani.

Patria senza padri

Un estratto da Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana di Massimo Recalcati, libro-intervista curato da Christian Raimo. (via)

In un vecchio film di Woody Allen intitolato Il dittatore dello stato libero di Bananas si raccontano con sferzante ironia le vicende rocambolesche di un rivoluzionario che combatte l’ingiustizia della dittatura in nome della libertà e che finisce per indossare i panni di un dittatore spietato identico a quello che aveva combattuto. Ogni rivoluzione, ripeteva Lacan agli studenti del ’68, tende a ritornare al punto di partenza e la storia ce ne ha dato continue e drammatiche conferme. Anche Grillo si caratterizza per essere animato da quel fantasma di purezza che accompagna tutti i rivoluzionari più fondamentalisti. Egli proclama a gran voce la sua diversità assoluta dagli impuri: si colloca con forza fuori dal sistema, fuori dalle istituzioni, fuori dai circuiti mediatici, fuori da ogni gestione partitocratica del potere, dichiara che la sua persona e il suo movimento non hanno nulla da spartire con gli altri rappresentanti del popolo italiano che siedono in Parlamento, invoca una democrazia diretta resa possibile dalla potenza orizzontale della rete che renderebbe superflua ogni altra mediazione, ritiene che l’Italia debba uscire dall’Europa e dall’euro, giudica l’esistenza dei partiti un obbrobrio, proclama la trasparenza e la collegialità assoluta di ogni scelta politica del suo movimento, adotta l’insulto al posto del dialogo, pensa che dedicare la propria vita alla politica sia di per sé un fatto anomalo e sospetto che bisogna impedire, teorizza una permutazione rigida di tutti gli incarichi di rappresentanza; il suo giudizio sulle classi dirigenti del nostro paese fa di tutta l’erba un fascio ritenendo che sia da mandare in toto al macero, alimenta sdegnosamente l’odio verso la politica accusata di affarismo mercenario.

Tutti questi giudizi – senza entrare nel merito del loro contenuto, che si può anche in parte condividere – sono ispirati da un fantasma di purezza che troviamo al centro della vita psicologica degli adolescenti. Si riguardi la diretta della consultazione di Bersani con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle al tempo del suo tentativo di costituzione del governo. Cosa vediamo? È il dialogo tra un padre in difficoltà e i suoi due figli adolescenti in piena rivendicazione protestataria. Mi è subito venuto alla mente Pastorale americana di Philip Roth, dove si racconta la storia tormentata del rapporto tra un padre – il mitico «svedese» – e una figlia ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria. Il dialogo tra loro è impossibile.

Il padre cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la figlia risponde a colpi di machete: sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io. Così agisce infatti la critica sterile dell’adolescente rivoltoso. Il mondo degli adulti è falso e impuro e merita solo di essere insultato. Ma quale mondo è possibile in alternativa? E, soprattutto, come costruirlo? Qui il fondamentalismo adolescenziale si ritira. La sua critica risulta impotente perché non è in grado di generare davvero un mondo diverso. Può solo chiamarsi fuori dalle responsabilità che scarica integralmente sull’Altro ribadendo la sua innocenza incontaminata… Ma di qui a dare vita a un autentico cambiamento ce ne passa, perché non c’è cambiamento autentico se non attraverso il rispetto delle generazioni che ci hanno preceduto, se non attraverso una soggettivazione, una riconquista dell’eredità che viene dall’Altro.

Questo fantasma di purezza che ha origine in una fissazione adolescenziale della vita si trova anche a fondamento di tutte le leadership totalitarie (non di quella berlusconiana, che gioca invece sul potere di attrazione della trasgressione perversa della Legge). E sappiamo bene dove esso conduce. Ne abbiamo avuti esempi atroci nel Novecento. Lo psicoanalista, per vizio professionale, guarda sempre con sospetto chi si ritiene portatore di istanze di purificazione della società, chi agisce in nome del bene. Lo psicoanalista sa che chi si ritiene puro non ha tolleranza verso la diversità. La purga staliniana era la metafora fisiologica radicale di questa intolleranza. Lo stato mentale di un movimento o di un partito si misura sempre dal modo in cui sa accogliere la dissidenza interna. Sa tenerne conto, valorizzarla, integrarla o agisce solo tramite meccanismi espulsivi? Sa garantire il diritto di parola, di obiezione, di opinione personale oppure procede eliminando l’anomalia, estromettendola con la forza dal suo corpo?

Grillo non ha esitazioni da questo punto di vista. Egli applica il regolamento escludendo l’eccezione, secondo il più puro spirito collettivistico. Salvo ribadire la propria posizione di eccezione. Le sue enunciazioni sono singolari, non vengono discusse prima, mentre quelle dei suoi adepti devono essere vagliate scrupolosamente dalla democrazia assoluta della rete. Si proibisce che ciascuno parli e pensi con la propria testa, si esige una sorveglianza su ogni rappresentante eletto perché non si stacchi dalle decisioni condivise. Ma l’aggressione al manifesto con il quale alcuni intellettuali si rivolgevano con speranza al Movimento 5 Stelle chiedendo che dialogasse con il centrosinistra o la minaccia di revocare l’articolo 67 della Costituzione sulla libertà di pensiero dei nostri nuovi rappresentanti parlamentari sono state prese di posizione discusse democraticamente? Come può essere credibile in fatto di democrazia un movimento che attribuisce al suo leader la posizione di incarnare una eccezione assoluta? In questo senso profondo il Movimento 5 Stelle è antipolitico. Il culto demagogico della trasparenza assoluta nasconde questa presenza antidemocratica di una leadership incondizionata. Se l’azione politica è la pazienza della traduzione, se non ammette tempi brevi, non contempla l’agire di Uno solo, il nuovo leader inneggia all’antipolitica come possibilità di avere una sola lingua – la sua – che non è necessario tradurre, ma solo applicare. Come non vedere che c’è un paradosso evidente tra l’esigenza che nessuno parli a partire dalla sua testa e le consultazioni collettive che dovrebbero rendere trasparente ogni atto e condivisa ogni presa di posizione?

Il leader anarchico e sovrano resta esterno al movimento che ha fondato. È la sua eccezione assoluta; egli è nella posizione del padre dell’orda di cui parla Freud in Totem e tabù. Il culto del collettivo è un culto stalinista. Il soggetto è sacrificato, abolito, negato nella sua singolarità. Una volta avveniva nel nome della Causa della storia, oggi avviene per narcisismo egoico. L’amplificazione megalomaniaca dell’Io è propria di ogni dittatore. Ma anche la trasformazione dei soggetti in un «organo» anonimo non è una caratteristica propria di ogni regime autoritario? L’impossibilità di poter parlare a titolo personale? La cancellazione dei nomi propri? La psicoanalisi insegna che il diritto alla libertà della propria parola è insostituibile. È la ragione per la quale non ha mai avuto grande diffusione nei paesi senza lunghe tradizioni democratiche. Un leader degno di questo nome lavora alla sua successione dal momento dell’insediamento, mantenendo il movimento che rappresenta il più autonomo possibile dalla sua figura. Prepara cioè le condizioni di una trasmissione simbolica. Tutto ciò diventa di difficile soluzione quando un movimento non ha storia, non ha padri, ma un genitore vivo e vegeto che rivendica il diritto di proprietà sulla sua creatura. «Io ti ho fatta e io ti disfo», ammoniva una madre psicotica una mia paziente terrorizzata. Una leadership democratica deve sempre rispondere al criterio paterno di una responsabilità senza diritto di proprietà. Si pensi invece alla reazione di Casaleggio all’indomani delle elezioni, quando disse che se il movimento non avesse adottato certe sue indicazioni di comportamento dei neoeletti non avrebbe preteso nulla e se ne sarebbe andato. Ecco la minaccia più narcisistica possibile che un fondatore può fare: io starò con te finché tu mi assomiglierai, finché mi riprodurrai; se tu assumerai un tuo volto, una tua originalità, io non ne vorrò più sapere di te e me ne andrò.

Il pluralismo è temuto da Grillo come da tutti i leader autoritari. Il sogno di un consenso al cento per cento è un sintomo eloquente. Come abbiamo visto era il sogno degli uomini di Babele mentre sferravano il loro attacco delirante al cielo, la loro sfida a Dio: un solo popolo, una sola lingua. No, le cose umane non vanno così. Il Signore sparpaglia sulla faccia della terra quella moltitudine esaltata obbligandola alla differenza, al pluralismo delle lingue, esigendo la pazienza della traduzione. Esistono in democrazia più lingue e ciascuna ha diritto di manifestarsi e di essere ascoltata. Guai se il fantasma di purezza si realizzasse al cento per cento. Lo ricorda giustamente Roberto Esposito: una democrazia che si realizzasse compiutamente sarebbe morta, annullerebbe tutte le differenze delle lingue nel corpo compatto della «volontà generale», darebbe luogo a una tirannide.