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beppe grillo

Nomine AGCOM: è la loro natura

Quasi tutti conoscono l’apologo dello scorpione e della rana. Lo scorpione chiede alla rana di portarlo dall’altra parte del fiume, giurando che non la pungerà. Ma a metà del guado, la rana sente l’aculeo velenoso. «Perché? Annegheremo tutti e due». E lo scorpione: «È la mia natura». I partiti italiani sono oggi lo scorpione della favola. Commissariati dall’Europa e dai tecnici, sfiduciati dai cittadini, minacciati a morte dall’ antipolitica, i partiti tutto avrebbero dovuto fare, tranne abbandonarsi al vecchio e odioso vizio della lottizzazione. E invece alla prima ghiotta occasione, le nomine delle Autorità delle Comunicazione e della Privacy, si sono lanciati come un’orda famelica sulla torta. Da bravi compari, detto con tristezza e non col giubilo dell’antipolitica, Pdl, Pd e Udc si sono divisi le fette.

Fra i nomi, tutti con il trattino di appartenenza e tutti piuttosto deprimenti, spicca per involontaria ironia quello di Augusta Iannini, la moglie di Bruno Vespa, l’uomo del plastico di Cogne, inopinatamente piazzata a tutelare la privacy dei cittadini. Nelle nomine non sono stati presi in considerazione i novanta curricula di personalità competenti e indipendenti che pure i presidenti di Camera e Senato avevano sollecitato, forse per farsi qualche risata alle spalle dei cittadini onesti. Si è preferito concentrarsi sull’unico curriculum che conti in Italia, la raccomandazione del partito, il solito cortocircuito politico-professionale. Nell’impeto suicida, il Senato nel pomeriggio ha concluso la gloriosa giornata votando in massa contro l’arresto del pluri indagato Sergio Di Gregorio, accusato dai magistrati di truffa ai danni dello Stato per i fondi pubblici all’Avanti!» di Valter Lavitola. In teoria soltanto il Pdl era contrario alla richiesta dei magistrati, ma nel segreto dell’urna il ceto politico ha dato prova di straordinaria coesione intorno al nobile principio dell’impunità. Ma ci sono o ci fanno? È in atto un complotto alla rovescia dei partiti per consegnare il 51 per cento al movimento di Beppe Grillo?

Sono molti gli interrogativi, anche di natura psichiatrica, che circondano il misterioso comportamento. Sembra quasi una sfida agli elettori, a metà fra il folle e il volgare. Un po’ come il tizio che imbocca un senso unico contromano e fa pure le corna. Bisognerebbe ricordare che le autorità di garanzia, tanto più in settori cruciali come le telecomunicazioni e la privacy, dovrebbero per definizione essere composte da personalità super partes. Ma che senso ha mettersi a discutere di regole con chi dimostra di disprezzarle o di applicarle soltanto agli altri, ai comuni mortali? Non resta che cercare di capire il possibile movente dei suicidi. Nel caso del Pdl è abbastanza chiaro. Il partito è allo sbando, dimezzato dal voto e nei sondaggi, sull’orlo del naufragio totale. Mentre Berlusconi intrattiene il pubblico con altre barzellette sull’euro e il presidenzialismo alla francese, il partito azienda sfrutta gli ultimi colpi per piazzare uomini negli organismi di controllo delle telecomunicazioni per i prossimi anni. L’ obiettivo, vent’ anni dopo la discesa in campo, è sempre lo stesso: evitare il fallimento dell’ azienda televisiva.

Assai meno comprensibile è la complicità del Pd. I dirigenti del partito, a cominciare da Bersani, vanno in giro per l’Europa per incontrare i nuovi leader socialisti, da Francois Hollande a Sigmar Gabriel, si riempiono la bocca di slogan sulla rinascita del centrosinistra, e poi tornano a casa e si mettono a lottizzare come bolsi dorotei democristiani. Se c’era un’ occasione felice per dare un segnale di novità agli elettori del Pd, prendere le distanze dalla moribonda partitocrazia e dimostrare ai «grillini» che destra e sinistra non sono uguali, ebbene Bersani l’ha buttata via nel peggiore dei modi. In questo caso sarebbe salutare il vecchio «contrordine, compagni» di una volta.

Presto il Pd avrà un’altra possibilità di marcare la propria distanza dal sistema di casta della Seconda Repubblica, con le nomine Rai. Dove il centrodestra, Pdl in testa, spinge per l’ ennesima grande abbuffata di poltrone. Ma a giudicare dalla giornata di oggi, è puerile farsi illusioni. Nonostante il montare dell’ antipolitica, anche alle ultime elezioni milioni d’italiani hanno continuato a votare i partiti presenti in Parlamento. Nel timore di veder precipitare il Paese in un’altra avventura tragicomica, come quella appena vissuta nel ventennio berlusconiano. Nella speranza che la politica trovasse il coraggio, la forza, l’onestà per riformarsi e rispondere alle domande di trasparenza dei cittadini. Oggi quei milioni d’italiani si sentono come la rana dell’apologo e si chiedono perché. È davvero questa la natura degli attuali partiti, quella dello scorpione destinato a trascinarci tutti a fondo?

(di Curzio Maltese – Repubblica)

La mafia del Grillo

Ora il gioco sarà quello solito del gridare al ciarlatano per demolirne i contenuti. E’ il meccanismo per niente dolce della politica e delle sue regole e mi interessa poco. Però Grillo ha detto una cialtroneria di proporzioni mostruose. Le repliche sdegnate dei famigliari di vittime di mafia sono il minimo che si potesse aspettare. Ma mi lascia ancora più perplesso la reazione del candidato del Movimento 5 stelle: “Ancora una volta – ha detto Nuti – abbiamo avuto la conferma che ci sono mezzi di ‘informazione’ che tentano solo di denigrare il Movimento. Beppe Grillo nei suoi interventi utilizza spesso dei paradossi ed estrapolare una frase dal contesto è pretestuoso oltre che ridicolo: la dichiarazione che alcuni hanno contestato, fa infatti parte di un ragionamento molto più ampio e complesso. D’altra parte le nostre azioni parlano chiaro, essendo certi che le mafie siano il cancro che strangola l’economia legale e priva i cittadini di diritti e libertà.” E la replica, come si dice in gergo, è una cagata pazzesca. Perché la frase pronunciata è ben contestualizzata nei molti video che circolano in rete, perché essere fraintesi dopo gli ultimi anni politici fa sorridere e perché questa regolare scusa del paradosso ci trasporta subito all’antimafia burlesque.

*aggiornamento: giusto per chiarire nel Movimento 5 Stelle di Palermo (luogo del ‘fattaccio’) ho tanta gente che stimo per l’impegno sul tema e che da anni conoscono le mafie. Lo rivendicano giustamente qui. Il giudizio sul punto (che è un altro) rimane invariato.

Le risposte a Grillo

Poi, quando finalmente si smetterà di rispondere a Grillo nei modi peggiori, e si deciderà di rispondere alle prospettive politiche degli elettori del Movimento 5 Stelle ragionando anche nel merito, ecco qualcuno mi avvisi. Perché ora quello che si legge è più populistico dei peggiori populisti possibili.

BeppeGrillo.it intervista Giulio Cavalli sul libro L’INNOCENZA DI GIULIO

da il Blog di Beppe Grillo

Tra la politica e la criminalità organizzata c’è, sin dai tempi dell’Unità d’Italia, una neppure tanto celata familiarità. Di solito vi è un triangolo formato dal Politico Inconsapevole, dal Tramite, un’interfaccia in apparenza rispettabile che fa da garante agli accordi, e da uno più esponenti mafiosi. Il finale è più o meno sempre lo stesso. Il Tramite finisce in galera o morto ammazzato come Totò Cuffaro e Salvo LIma, il mafioso si prende uno o più ergastoli, come Totò Riina e Provenzano e il Politico Inconsapevole, dopo aver gridato ai quattro venti la sua estraneità e innocenza, fa carriera. Una volta c’era Andreotti, ora ci sono i suoi figli e nipoti. Attenzione si scindono e si moltiplicano. Piccoli Andreotti crescono.

Intervista a Giulio Cavalli, scrittore, autore e attore teatrale

Un boss qualsiasi
“Ciao a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Giulio Cavalli, autore, scrittore e attore teatrale. Mi occupo di criminalità organizzata, mi occupo di mafie e corruzione, anzi mi occupo di mafia e politica perché mafia e politica in molti aspetti sono simili e poi, in fondo, sia la mafia che la politica noi possiamo non occuparci di loro ma loro inevitabilmente si occupano di noi.
Vorrei parlare del valore e dell’opportunità nell’analisi politica partendo da un personaggio su cui abbiamo sentito di tutto. Una discussione che molto spesso abbiamo deciso di delegare al Giovanardi di turno oppure a quelle tribune politiche dove si decide solo da che parte stare, tra colpevolisti e innocentisti. Lui è Giulio Andreotti ed è in fondo il protagonista politico di questi ultimi 50 anni. Il processo Andreotti dovrebbe essere un bigino, dovrebbe essere nelle cartelle, nei zaini degli studenti insieme al libro di geografia o di storia. Perché il processo Andreotti fondamentalmente ci racconta non solo l’innocenza del senatore a vita ma quanto e se siamo stati innocenti noi in questo paese e quanto siano stati innocenti i meccanismi democratici. All’interno del processo Andreotti, così come nel processo Dell’Utri e in molti altri processi che per via giudiziaria sono finiti con una prescrizione, che è molto diversa da una dichiarazione di innocenza, contiene dei fatti riscontrati, provati, addirittura confessati dall’imputato. E allora bisognerebbe pensare quanto possa un Paese essere degno rimanendo ancorato a meccanismi giudiziari che, a differenza di quello che ci vogliono far credere, sono ben diversi dai valori dell’opportunità.
Quanto è stato opportuno Giulio Andreotti che si è seduto fino alla primavera del 1980 con gli uomini della mafia? Quanto può essere opportuno un uomo di governo che ha attraversato la Prima Repubblica e la Seconda Repubblica e che forse riuscirà a vedere anche la Terza, che ha deciso che Cosa Nostra fosse un ottimo strumento per gestire il consenso e controllare il territorio, proprio come un boss qualsiasi, semplicemente in giacca e cravatta con una credibilità istituzionale e mondiale ben diversa da quello che può essere il boss di questo o di quel rione in Sicilia o in Calabria. Il processo Andreotti ci racconta che ormai ci siamo disabituati a separare il valore della opportunità dal valore della verità giudiziaria, nello stesso Paese in cui Pertini, ma anche Paolo Borsellino, persone politicamente e partiticamente molto diverse tra di loro, ci avevano insegnato che le ombre non erano tollerabili, in un Paese che è diventato bravissimo a essere intollerante con diverse forme di diverso e che invece sembra che non riesca più a essere intollerante con una classe politica che ci racconta che ha incontrato un mafioso ma non ne sapeva nulla, che per caso è capitata in una riunione tra boss ma non se ne era resa conto. Oppure che aveva fatto in modo inconsapevole a sua insaputa un piacere a questa e a quella famiglia.

Andreottismo oggi
Io credo che sia importante partire da Andreotti per chiedersi quanto oggi l’andreottismo funzioni, perché relegare la vicenda del processo Andreotti solo al divo Giulio è il modo più semplice per continuare a permettere alla politica di essere oscena, cioè fuori scena, lo dice bene Scarpinato in un suo libro “Il ritorno del principe”.
Gli Andreotti di oggi sono i politici che si sono serviti o che continuano a servirsi delle mafie per accelerare la loro carriera o per avere protezione in un Paese in cui corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono tre sorelle di un comune denominatore. Sarebbe il caso di provare a leggere in modo intellettualmente onesto ciò che è scritto nelle carte del processo Andreotti perché diventa urgente accorgersi degli andreottismi, che funzionano e che continuano a funzionare, e riconoscere chi sono oggi i figli di Andreotti. E quanto sia tollerabile al di là della prescrizione, al di là di una Cassazione come nel caso di Dell’Utri che decide che il processo debba ritornare in appello, quanto sia tollerabile sapere che questo o quel politico si sia seduto al tavolo della criminalità organizzata e abbia fatto da ponte, lui garante con le istituzioni.
Chiedersi se non sia il caso di diventare intolleranti, ma intolleranti sul serio, per dichiarare una volta per tutte che ci sono dei limiti che non possono essere superati e ci sono dei comportamenti che non possono essere accettati in un Paese civile. Stupisce della vicenda Andreotti che in fondo il suo processo sembra una favola, una favola strana perché, se ci pensate quasi tutti i cattivi che giravano intorno alla favola più o meno sono stati fotografati mentre bussavano alla sua porta. E però in fondo tutti i cattivi sono finiti abbastanza male, chi arrestato, chi morto ammazzato come i suoi solidali siciliani. E invece, molto spesso, i collegamenti e quindi gli uomini prestati alla politica e forse fratelli della criminalità organizzata sono sempre riusciti a salvarsi, non solo dalla giustizia ma anche nella memoria, nel giudizio morale di questo Paese. E verrebbe da chiedersi perché Dell’Utri sia riconosciuto e ricordato a Milano come un grande esperto di libri antichi, oppure Cosentino non debba essere visto come uomo endogamico ai casalesi prestato alla politica, ma debba essere un’altra vittima di magistratura o di un’opinione pubblica feroce che ha tentato di cannibalizzarlo. E nello stesso Paese in cui improvvisamente Totò Cuffaro, scaricato chissà se dalla mafia o dalla politica, invece si è ritrovato a pagare pegno, nonostante sia in ottima compagnia perché è visitato regolarmente da Pier Ferdinando Casini che riesce ad avere questa grande scissione, comune a molti della nostra classe politica, per cui i meccanismi morali e i meccanismi etici non debbano per forza coincidere con i meccanismi politici.

Le decisioni politiche della criminalità organizzata
Colpisce come molto spesso che le decisioni politiche (anche qui in Lombardia è successo) sono state prese dalla criminalità organizzata prima ancora della politica. E’ una criminalità organizzata che ha già dimostrato di essere politicamente molto più illuminata, è il caso ad esempio di Massimo Ponzoni,
il segretario dell’Ufficio di presidenza di Regione Lombardia, segnalato nell’operazione “Crimine infinito” e in alcune altre informative come molto vicino alle famiglie che contano della ‘ndrangheta brianzola. Stupisce che nelle elezioni del 2010 in una intercettazione alcuni uomini della ‘ndrangheta dicono che ormai non è più affidabile. E invece la politica nel 2012 non riesce ancora a sfiduciarlo e deve intervenire la magistratura e ancora oggi nella politica c’è qualcuno invece che si erge a difensore. Trovo molto andreottiane alcune intercettazioni che avvengono in Lombardia dove la mafia non esiste, di alcuni uomini di ‘ndrangheta che dichiarano di avere comprato questo o quel terreno che verrà sicuramente rivalutato e si vedrà modificata la destinazione d’uso in previsione di Expo, mentre Expo e la definizione dei terreni in realtà non passa ancora alla discussione degli organi di democratici, quelli eletti. Oppure dovrebbe colpire come negli ultimi casi di corruzione siano stati coinvolti non assessori, e quindi non gente nominata classe dirigente, ma ex assessori, semplicemente appartenenti a correnti importanti di questo o di quel partito che dimostrano di aver preso decisioni o almeno di aver fatto credere di poter prendere delle decisioni passando dagli uffici tecnici di assessorati diversi. Dimostrando una volta per tutte che probabilmente esistono degli interessi sotterranei e collaterali che riescono ad attraversare gli uffici che utilizzati legalmente invece ci richiederebbero tantissimo tempo e tantissime votazioni. E allora se, come nel caso di Andreotti, ogni tanto la mafia sembra sapere già quali sono le decisioni della politica, ci sono secondo me due ipotesi: la prima, quella meno preoccupante, anzi quella assolutamente più ottimista, è che la criminalità organizzata sappia con un canale preferenziale le informazioni della politica prima dei cittadini. La seconda invece, molto più preoccupante, che sia ispiratrice delle decisioni della politica. Quanto questo sia declinabile nel caso di Andreotti o nel caso di tanti piccoli Andreotti che imperversano in questo Paese poi io credo che stia alla decisione e alla consapevolezza di ognuno.”

Nuvole di nulla su Equitalia

Sulla discussione Grillo-Equitalia interviene Mantellini sottolineando (bene) l’assurdità della pochezza nella discussione politica: Le reazioni alle parole di Grillo sono state alte e molto compatte e tutto ciò è abbastanza strano, perchè se l’italiano non è una opinione, Grillo al netto della sua spiacevolezza usuale, in questa occasione mi pare non abbia scritto nulla di particolare. Ma poichè la stratificazione delle opinioni sui media segue la medesima logica del gioco del telefono che facevamo in gruppo alle elementari, oggi il segretario del principale partito italiano dopo due giorni di polemiche sui giornali ha commentato le parole di Grillo così “Ieri sono girate delle pallottole e oggi quello che si deve dire è “no alle pallottole”, poi discutiamo. Ne abbiamo già viste in questo Paese”. Continua qui.

La rivoluzione gentile di Grillo

Beppe Grillo ci dice che ieri in piazza eravamo tutti dei fessi. Come sulla nave dei folli di Bosch. Ecco, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Il suo giudizio (come sempre universale) quiHa vinto il Sistema. Quello che ti fa scendere in piazza perché hai vinto tu, ma alla fine vince sempre lui. Che trasforma gli elettori in tifosi contenti che finalmente ha vinto la sinistra o alternativamente, ha vinto la destra.