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Le sta sbagliando tutte

Matteo Salvini non fa proposte concrete e dimostra di non avere una strategia sull’emergenza pandemia. E continua a inanellare una serie incredibile di figuracce

Ieri nel Consiglio regionale lombardo, settima commissione ore 10/10.30 volano stracci in casa Lega: Massimiliano Bastoni insulta Salvini ma non si accorge di avere il microfono accesso. Il presidente di commissione Terzani lo rimprovera insieme a Paola Romeo (Forza Italia). Una scena meravigliosa ma indicativa. Eccolo qui:

Il piccolo incidente però è indicativo. Matteo Salvini le sta sbagliando tutte e sono in molti ormai nella Lega che glielo stanno facendo notare. Una premessa: governare un Paese in tempi di pandemia, con tutte le decisioni difficili da prendere, costa moltissimo in termini di consensi. Accade negli Usa con Trump, accade in Francia con Macron, accade in Brasile. Indici di gradimento che sono in continua discesa e le opposizioni che risalgono prepotentemente. È il gioco della politica da sempre: governare costa in termini di consenso e farlo in un periodo di incertezza e di crisi sanitaria ancora molto di più.

Lui no. Lui, Matteo Salvini, è riuscito a passare dal 37% dell’agosto 2019 al 24,3% dell’ultimo sondaggio e continua a inanellare una serie incredibile di figuracce. Ieri mattina è corso dal suo presidente della Lombardia Fontana perché diceva non condivideva il lockdown notturno pensato dal presidente della Lombardia. Ha anche sparato la solita tiritera sulla libertà: «le limitazioni delle libertà personali mi piacciono poco e devono essere l’ultima spiaggia», ha detto prima di entrare nel palazzo della Regione. Ne è uscito scornato. Fontana è rimasto sulla sua posizione e pace per il leader leghista.

Badate bene: Salvini è lo stesso che 15 giorni fa diceva che non ci fosse nessun bisogno di prolungare lo stato di emergenza. Anche in quel caso aveva parlato di scelta politica non suffragata da dati sanitari: in 15 giorni è stato seppellito dalla realtà.

Del resto è lo stesso  che questa estate ha rilanciato più volte l’ipotesi del professore Zangrillo che dichiarava il virus “clinicamente morto”. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: perfino Zangrillo ha dovuto tornare sui suoi passi. Salvini ovviamente ha fatto finta di niente, come al solito. A fine luglio Salvini aveva partecipato al convegno dei negazionisti, proprio con Zangrillo e Sgarbi. Riascoltare oggi quello che dicevano in quei giorni fa venire la pelle d’oca.

E ve lo ricordate a febbraio, quando fece quel video in cui disse “riaprire, riaprire tutto, tornare alla libertà”, pochi giorni dopo il paziente uno di Codogno? Ecco, poi ci sono stati i morti e le bare di Bergamo. Ha fatto sparire il video dai suoi social ma poi ci era ricascato ancora. Senza contare tutte le volte che si è esibito fiero senza mascherina, fino a che perfino i suoi supporter lo hanno duramente criticato ed è stato costretto a cambiare rotta.

Due giorni fa si è lamentato perché il presidente del consiglio Conte aveva telefonato alla coppia Fedez e Ferragni per chiedere di sensibilizzare i giovani sull’uso della mascherina e lui, pensando di fare una bella figura, ha detto ai giornali «a me ha fatto solo una chiamata di 40 secondi negli ultimi mesi». Ora, pensateci un secondo: quale sarebbe la strategia di Salvini? Non c’è. Proposte concrete non ce ne sono.

Certo perdere consensi di questi tempi è un capolavoro di inettitudine e tra i suoi (Zaia in testa) sono in molti a dirlo sottovoce. Almeno c’è di buono che non ce lo siamo ritrovati come ministro. Almeno questo.

Buon giovedì.

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Spiegateci perché gli esperti che minimizzavano il virus ora imperversano in tv (di Giulio Cavalli)

Spiegateci perché gli esperti del virus “clinicamente morto” imperversano in tv

Il virus non è morto, anzi, purtroppo per noi è in ottima salute: sfondati i 10mila positivi con 150mila tamponi, 55 deceduti, 4.343 ricoverati in più di cui 52 in terapia intensiva. Stanno benissimo però anche quelli che nei mesi scorsi vedevano psicotici e allarmisti dappertutto, quelli che ci avvisavano che ormai era tutto alle spalle e che addirittura si innervosivano se qualcuno provava a chiedere un po’ di precauzione in vista dell’autunno. Fu Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele, che lo scorso 31 maggio ci annunciò nel corso del programma Mezz’ora in più che “il virus clinicamente non esiste più”.

Zangrillo poi provò a correggere il tiro, certo, ma rimane lo studio del San Raffaele di Milano che parlava (a maggio) di “pochi pazienti e tutti con sintomi lievi” dovuti al fatto che il virus aveva perso la propria capacità replicativa e che risultava essere “enormemente” indebolita rispetto a quella registrata a marzo. “Ha ragione il mio amico Alberto Zangrillo: clinicamente il Covid-19 non c’è più, è morto, ho più degenti con infezioni batteriche”, disse Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda ospedaliera di Padova e della Scuola di specialità, che si espresse anche sul futuro: “In base all’esperienza maturata in questi tre mesi, posso dire che se siamo riusciti ad affrontare in pochi giorni un’emergenza completamente sconosciuta, oggi saremmo in grado di rispondere nel giro di qualche ora, perciò mi sento tranquillo”.

“Chi parla di seconda ondata fa terrorismo”, disse ad agosto Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che parlò addirittura di una “psicosi per una malattia ormai sotto controllo“. Sempre Bassetti lo scorso 9 settembre ci assicurava anche che in Campania non c’era “nessuna seconda ondata” ma semplicemente una “coda, peraltro prevedibile”. Eh, già. “Non ci sarà la seconda ondata” diceva anche Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia.

“Non ci sarà una seconda ondata, l’autunno sarà come adesso, il virus si sta adattando all’uomo, magari farà un ping pong con il pipistrello, cioè ce lo ripasseremo tra specie, ma non se ne andrà fino al vaccino”, disse il 6 agosto Massimo Clementi, professore ordinario di virologia al San Raffaele. E ora? Ora quegli stessi “esperti” che hanno minimizzato e hanno addirittura deriso chi temeva l’autunno tornano a essere considerati “affidabili” e a imperversare nei media. Ma siamo sicuri che non sia il caso di chiedere conto delle dichiarazioni che sono state rilasciate? Almeno un accenno di spiegazioni, basterebbe anche solo un “sì, scusate, mi sono sbagliato”. No? Ora teneteli bene a mente perché saranno quelli che cominceranno a strepitare contro il governo per le mancate misure. Scommettiamo?

Leggi anche: 1. Allarme terapie intensive: ecco la situazione regione per regione. Se i casi aumentano non siamo pronti / 2. “Ora fermiamoci 3 settimane”: parla Crisanti / 3. E alla fine lo hanno fatto: gli sceriffi governatori scavalcano il governo e chiudono le scuole (per colpa loro) – di Luca Telese / 4. Negazionisti contro empiristi: la guerra tra i virologi che decide se siamo liberi o no

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Il Covid blocca anche le adozioni: 500 bambini non possono andare dalle loro nuove famiglie

L’epidemia porta con sé storie nascoste nelle pieghe che bisogna andare a cercare e che nascondono difficoltà che rimangono sotto traccia. In Italia in questo momento ci sono 500 famiglie che attendono il proprio figlio. Sono famiglie che dopo un lungo percorso sono riuscite ad accedere all’adozione internazionale e che nonostante abbiano già ottenuto l’abbinamento, un percorso sfiancante dal punto di vista burocratico e affettivo, non riescono ad abbracciare i propri figli a causa dei blocchi tra Paesi.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, con un intervento sul settimanale Oggi scrive chiaramente cheper quei bambini attendere ancora significa nuovamente sperimentare un rifiuto che inconsciamente conoscono e consciamente li opprime”. Hanno conosciuto i genitori – spiega la Parsi – scambiando abbracci e pronunciando parole in lingue diverse, nel nome di un nascente amore, di una nascente, reciproca fiducia e speranza di diventare famiglia. Quei bambini sono stati fin dalla nascita segnati da distacchi e da traumatiche esperienze che li hanno separati dalle madri che li hanno messi al mondo. Hanno vissuto in istituti con altri bambini o in famiglie di accoglienza”.

Il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini racconta che l’ex vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali aveva parlato di “corsie preferenziali” per superare il blocco causato dell’epidemia: serve un accordo urgente con i Paesi di provenienza, di concerto con tutti i Paesi europei per riuscire a sbloccare la situazione. “Questo è un problema urgente che non riguarda solo i 500 bambini italiani già abbinati, che, bisogna ricordarlo, sono già dei potenziali cittadini italiani”, ha aggiunto Griffini.

“C’è un numero spropositato di bambini orfani a causa del Coronavirus e quindi vanno studiate e applicate assolutamente delle nuove modalità di gestione delladozione internazionale”. E la memoria va a quando il Governo si attivò, era il 2014 con la ministra Boschi, per sbloccare la situazione di 31 bambini in Congo. Un padre sulla pagina Facebook “Un bimbo mi aspetta” scrive: “Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato. Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio. Mi rendo conto che cerano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione). Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci. Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale. E non siamo riusciti a unire duecento famiglie. Ogni tanto si spera che l’adozione possa essere “veloce” come un abbandono. Anche in tempi di Covid.

Leggi anche: 1. Coronavirus, Conte: “Situazione preoccupa, rispettare le regole. Lockdown a Natale? Non do previsioni, mi occupo di prevenire” / 2. “Dopo i casi di oggi è davvero possibile un nuovo lockdown delle città italiane”: parla Pregliasco / 3. C’è l’emergenza Covid, ma all’Umberto I di Roma i pazienti sono stipati in sala d’attesa. Motivo? Il set di Mission Impossible con Tom Cruise

4. “La gente non ci vuole mai credere fino a quando deve per forza toccare con mano che il virus non è mai stato meno letale”. Parla Cartabellotta del Gimbe / 5. Nonostante il Covid abbiamo realizzato solo metà delle terapie intensive e usato un terzo dei fondi per posti letto e tamponi / 6. Tutti i numeri su Immuni tra le omissioni delle Asl e la paura dei contagiati

7. Giallo, arancione, rosso: i 3 scenari del Cts per le chiusure se salgono i contagi / 8. Covid, il ministro Speranza: “Il 75% dei contagi da parenti e amici: stop a tutte le feste” / 9. L’epidemiologo Le Foche: “I contagiati hanno carica virale bassa, epidemia domabile in primavera”

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Rimozione collettiva fallita

In fondo è un atteggiamento psicologico che si conosce bene, in cui si cade spesso, convincersi che qualche pericolo sia passato senza che nessun fatto lo dimostri, solo per quella sensazione di passeggero benessere che incrociamo in un momento e che ci invita a deresponsabilizzarci per essere più leggeri. Così è accaduto quest’estate in cui il Covid era sparito mica solo nei numeri ma anche e soprattutto nei pensieri, negli affanni, negli interessi e, ancora peggio, nella programmazione di quello che sarebbe venuto.

La sensazione, a vederla oggi con i numeri che ricominciano a risalire, si direbbe che la rimozione collettiva della pandemia sia miseramente fallita e sia stata una vacanza che forse non ci si doveva concedere, soprattutto quelli che si ritrovano a essere classe dirigente e responsabile di un Paese che affronta la cosiddetta “seconda ondata” di cui tutti parlavano, già prima dell’estate, di cui molti scrivevano e che da alcune settimane era già negli accadimenti degli Stati vicini a noi.

Se davvero lo Stato decide di essere paternalista con i suoi cittadini, ancora una volta, allora risponda anche ai dubbi che sorgono di fronte alla situazione attuale, ci spieghi esattamente come può accadere che già ora sia rientrato in crisi il sistema dei tamponi, ci dica dov’è finito quel benedetto piano di Crisanti che è rimasto inascoltato (e che di tamponi ne prevedeva 300.000 al giorno), perché è accaduto (lo dice il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi) che molte regioni del sud si siano “addormentate” facendosi trovare impreparate di fronte al prevedibile, ci diano per favore i numeri esatti dell’aumento di terapie intensive che era stato promesso e che non si riesce a verificare, ci dicano come pensavano di risolvere il tema dei trasporti pubblici.

È vero che ci sono alcuni cittadini incauti ed è vero che ora da parte di tutti serve una maggiore attenzione ma questi mesi estivi dovevano essere il tempo utile per essere pronti a quello che accade in queste ore ed è troppo facile, troppo banale e perfino offensivo raccontarci che il problema siano gli alcolici dopo le 24. La rimozione collettiva (fallita) non è solo opera dei dubbiosi e dei negazionisti ma è stata anche una superficialità di pezzi di governo e di regioni e la sensazione di essere arrivati impreparati scotta terribilmente. Sentire il presidente della Lombardia Fontana che parla di “movida” mentre non è riuscito a procurarsi il vaccino antinfluenzale che serve per tutti i fragili della sua regione rilancia un vecchio adagio che sarebbe il caso di non ripetere: se ci ammaliamo è colpa nostra e se non ci ammaliamo è merito loro. Basta, dai, un po’ di serietà, su.

Buon giovedì.

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Scoppia il bubbone del trasporto pubblico. Ma potevamo pensarci prima

Eccolo finalmente il dibattito che si è aperto dopo mesi di muro contro muro. Dopo settimane passate a scorgere dappertutto le testimonianze fotografiche allarmate della situazione nelle fermate dei trasporti pubblici locali e all’interno dei convogli, quegli stessi che trasportano le persone che, sai com’è, devono spostarsi per vivere, lavorare, mangiare, studiare ora scoppia il bubbone del trasporto pubblico.

L’allarme, corroborato dai numeri, lo lancia l’Asstra, associazione delle società di trasporto pubblico, che mette nero su bianco il “rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”. Ma va? Eccoci, quindi: mentre il Comitato Tecnico Scientifico pensa di ridurre al 50% la capienza dei mezzi pubblici rispetto all’80% attualmente consentito (e quasi mai rispettato, perché poi ci sarebbe da discutere anche dei controlli che mancano) Asstra comunica che in quel caso “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”.

I numeri sono chiari: “si rischierebbe – scrive Asstra – di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”.

275mila persone che resterebbero a piedi. L’opzione rimane sempre la stessa: togliere utenza come soluzione più semplice e economica piuttosto che investire in capienza. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata.

Eppure in questi mesi sono state molte le proposte per ripensare in tempo la mobilità (quella di BikeItalia, solo per fare un esempio) e di tempo a disposizione per governare l’inizio delle attività produttive e scolastiche ce n’è stato abbastanza. Forse sarebbe stato meglio accanirsi un po’ meno contro la ministra Azzolina e chiedere più risposte alla ministra De Micheli, che ora ha convocato finalmente le Regioni per un confronto sul tema. Tardi.

Leggi anche: Scontro sui trasporti, le Regioni chiedono orari scaglionati per le scuole: oggi il tavolo con De Micheli

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Che brutto Paese ha in testa Bonomi

Lavoro, scuola, sanità: la visione dell’Italia del futuro proposta da Confindustria. E com’è? Pessima, disuguale e sempre più precaria

Sempre lui: Carlo Bonomi, il turbopresidente di Confindustria, quello che almeno ha il coraggio di non nascondere di odiare i poveri, quello che difende a oltranza i capitalisti che fanno i capitalisti con i capitali degli altri (quelli pubblici) e che chiama lo stato sociale “assistenzialismo” per racimolare applausi gaudenti. Ne abbiamo scritto lungamente nel numero di Left del 9 ottobre e ora Bonomi torna alla ribalta presentando un bel tomo di 385 pagine dal goloso titolo Il coraggio del futuro in cui non si limita a rappresentare gli industriali ma addirittura propone la visione del Paese del futuro, con la sua solita innata modestia.

E com’è l’Italia vista da Confindustria? Pessima, disuguale e sempre più precaria. Partiamo dal lavoro: dice Bonomi di volere un «mercato del lavoro più libero e leggero» che in sostanza si traduce in licenziamenti più facili, facendo sempre meno ricorso al giudice del lavoro e sostituendo i diritti con compensazioni economiche. Soldi, soldi, soldi, siamo sempre lì: i diritti si comprano, come al mercato. Eccola la visione. Ma la chicca sul mondo del lavoro sta lì dove Confindustria spiega che «occorre avere il coraggio di affrontare in modo equilibrato anche il tema dei licenziamenti per motivi oggettivi, in modo tale che non costituiscano più un evento traumatico ma possano essere vissuti dal lavoratore in un quadro di garanzie tali da renderlo un possibile momento fisiologico della vita lavorativa». Chiaro? Allevare una nuova generazione di lavoratori sempre pronti a essere licenziati. È la turboprecarietà come ricetta per rilanciare l’economia. Roba da pelle d’oca. E non è tutto: «lo smart working può essere un terreno ideale per portare avanti questa maturazione culturale che chiede di “essere” partecipativi: non è certamente foriero di risultati stabili pensare la partecipazione in termini di “avere” – cioè ottenere attraverso la contrattazione – se poi la mentalità di fondo è e rimane quella antagonista», scrive Confindustria. In sostanza i lavoratori maturi sono quelli che non avanzano pretese. A posto così.

Poi c’è il sogno di Confindustria e di Bonomi: il lavoro a cottimo. Però le argute menti degli industriali chiamano il lavoro a cottimo “purezza”. Scrivono infatti: «Occorre disciplinare questo rapporto non restando rigidamente ancorati a tutte le caratteristiche del contratto di lavoro classico, connotato da uno spazio e da un tempo di lavoro. Serve una regolamentazione che consenta, da un lato, di vedere il lavoro “in purezza” come creatività, sempre più orientato al risultato, e, dall’altro, di remunerarlo per il contributo che porta all’impresa nel processo di creazione del valore». Fenomenale l’idea di cancellare anni di lotte sindacali e sociali, non c’è che dire.

Poi c’è la scuola, che Bonomi e i suoi associati vedono unicamente (ma va?) come fabbrica per produrre lavoratori, mica persone. Per farlo addirittura scomodano il vecchio (e fallimentare) pensiero dell’homo faber. Scrive Confindustria: «il sapere, il saper fare, il saper essere insiti nelle risorse umane, combinati insieme, influiscono positivamente sulla produttività del lavoro a livello di singola azienda e, per aggregazioni successive, innalzano il potenziale di crescita del sistema nel suo complesso». La scuola come fabbrica (di Stato) che produce lavoratori in serie, mica persone.

E poi la sanità. Sanità che per Confindustria non significa “salute” ma mera economia. Si legge: «è necessario misurare gli effetti delle politiche sanitarie in base al loro impatto sulla struttura industriale (occupazione e produzione) e sulla capacità di attrarre investimenti (…) Occorre valutare le prestazioni, non solo in base al costo, ma anche al rendimento, quindi ai risultati generati, che nel caso della sanità sono di natura clinica, scientifica, sociale, ma anche economica. Abbandonare modelli di gestione che non tengono conto delle forti interazioni nei percorsi di cura e determinano costi molto elevati per le imprese, a danno dell’innovazione e della sostenibilità industriale». Una salute che Bonomi vede sempre più verso il privato (ma va?) e che addirittura viene rivenduta ai dipendenti dalle aziende come pacchetti di welfare.

E questo è solo un assaggio.

Buon martedì.

Per approfondire: Left del 9-15 ottobre 2020

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Li vedono i mezzi pubblici? (E le tre T)

Dunque il governo si sta preparando a emanare regole più stringenti per l’incremento di casi di positivi al Covid e per frenare l’aumento dei contagi. La nuova convivenza con il virus, lo sapevamo, ci costringerà ancora per un bel po’ a stringere e allargare le maglie dei nostri comportamenti per riuscire a convivere con il virus. È inevitabile, lo sapevamo. Chi finge di essere stato colto impreparato dal ritorno del virus probabilmente non ha letto un giornale negli ultimi sei mesi, chi sperava che il virus fosse scomparso è un fatalista piuttosto pericoloso se si ritrova in un ruolo di governo.

Ora, vedrete, ripartirà la caccia all’untore, che infatti comincia a puntare sui bar, sul calcetto e sulle feste private. Manca però un particolare che non è di poco conto: non si capisce, e non ci dicono, quale sia il reale peso dei contagi in queste circostanze e forse una comunicazione più chiara aiuterebbe anche un’informazione meno basata sulla paura che di certo non aiuta, no.

C’è però un punto che sembra essere scomparso dal radar del dibattito pubblico e che continua a martellarmi in testa: ma li vedono i mezzi pubblici? Li vedono i mezzi che portano i ragazzi a scuola (quelli che vengono additati come colpevoli per gli assembramenti poi ma di entrare in classe ma hanno viaggiato tutti belli assembrati per arrivare fin lì)? Li vedono i mezzi dei lavoratori che tutte le mattine si spostano per andare sul posto di lavoro? Le immagini sono centinaia e si moltiplicano ogni giorno: tram, metropolitane, treni che sono fuori da qualsiasi norma perfino di buonsenso, gente accalcata che si infila in carrozze strapiene per non perdere l’orario di ingresso al lavoro.

La sottosegretaria ala Salute Sandra Zampa l’ha detto a chiare lettere in un’intervista a La Stampa: «Fissare all’80% il limite massimo di capienza dei bus è stato rischioso. Avere una soglia così alta, senza un controllo effettivo a bordo, vuol dire lasciare la possibilità che si arrivi facilmente a mezzi pubblici pieni al 100%». Per questo propone di abbassare la capienza massima dei mezzi pubblici al 50% e di utilizzare i guanti. Tutto benissimo, per carità: ma se ora sono strapieni e le corse non vengono aumentate come farà la gente ad andare a lavorare o a scuola? Questo è il tema.

Poi c’è la vecchia storia delle tre T (tamponi, tracciamento e trattamento) che sembra fare acqua in più di qualche regione. L’ex candidato alla Regione Liguria Ferruccio Sansa racconta sul suo profilo Facebook la sua esperienza con un figlio positivo: «Alla fine per avvertire i miei contatti ho dovuto fare un post su Facebook. Altro che Immuni. Altro che tracciamento. Vi promettono che tracciano i contatti dei malati: balle. Vi raccontano che useranno Immuni: fantascienza. Vi dicono che vi seguiranno mentre siete malati a casa: aspetta e spera». E aggiunge: «Consola sapere che altre centinaia di persone in Liguria oggi sono nella nostra stessa situazione. Nella stessa solitudine. Gente che non fa il calciatore e non può fare migliaia di tamponi ogni weekend. Gente che non si chiama Trump, Berlusconi o Briatore e sa di poter contare su scorte di remdesivir come Dom Perignon. Ma se io faccio un post magari qualcuno interviene. In fondo conosco medici e pneumologi per i casi di emergenza. Ma tanti altri che sono davvero soli che cosa possono fare? È tanto diverso il Covid visto da un letto se per dire che stai male devi usare Facebook».

Buon lunedì.

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Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro”

TPI pubblica in esclusiva la lettera scritta dal sindaco di Milano, Beppe Sala, in risposta a Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle lombardo, che ieri – sempre in esclusiva su TPI – aveva a sua volta indirizzato una lettera al primo cittadino milanese in cui auspicava un confronto sui programmi per combattere insieme le destre.

La lettera del M5S lombardo muoveva dalle dichiarazioni fatte nei giorni scorsi da Sala sui Cinque Stelle (li aveva definiti “poco competenti“). Nel 2021 nel capoluogo lombardo si terranno le comunali e proprio qualche mese fa il sindaco di Milano aveva incontrato il garante del Movimento Beppe Grillo.

Esclusivo TPI – La lettera di Beppe Sala al M5S lombardo

“Caro Massimo,
ho letto con attenzione la tua lettera. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto vivo, complesso e variegato. L’altro giorno, quando ho fatto riferimento al tema delle competenze, ho semplicemente sottolineato che i milanesi le apprezzano e le pretendono dalla politica, ma non intendevo certo denigrare o sottovalutare un movimento giovane che sta facendo esperienze importanti e passi in avanti nella formazione dei suoi gruppi dirigenti.

Come sai, ho sempre guardato con rispetto la strada intrapresa dal Movimento 5 Stelle e non è un mistero che già in tempi non sospetti io auspicassi un dialogo virtuoso tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Lo dicevo proprio perché ero consapevole che su tanti temi l’elettorato di sinistra e una parte consistente dell’elettorato del Movimento si “parlassero” già, tanto da essere spesso vicini e persino coincidenti. Condivido ciò che dici sulle competenze: esse passano sicuramente dalle battaglie che si fanno, ma anche dalle esperienze e dalle capacità personali, che si formano nel percorso di vita di ciascuno di noi.

Noi riteniamo di avere le idee chiare sulla Milano del futuro, ma ciò non toglie che vogliamo confrontarci rispetto alla costruzione di una città policentrica e in continuo dialogo con le metropoli europee, una città che valorizzi sempre di più il lavoro e che accompagni, con azioni coraggiose e di medio-lungo periodo, la transizione ambientale e la transizione digitale. La nostra amministrazione in questi anni è andata in questa direzione.

Su questi argomenti come su tanti altri ascolterò con piacere le vostre proposte. Confrontiamoci, come peraltro spesso già avviene in Consiglio Comunale, per il bene della città, anche se non siamo parte della stessa coalizione.

Parliamoci, pubblicamente, sui tanti temi che riguardano il futuro dei milanesi. Dialoghiamo, consapevoli delle differenze e dei rispettivi ruoli ma anche dei punti e valori che ci vedono uniti: questo sarà davvero utile per la nostra città, più che ogni discussione a tavolino sulle alleanze elettorali”.

Leggi anche: 1. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”; // 2. L’unico governo oggi possibile (di Giulio Gambino)

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I numeri e De Luca

Il presidente regionale nei mesi scorsi ha alimentato la propria immagine da inscalfibile sceriffo di ferro. Ma il Covid non si combatte con i siparietti, come indicano gli ultimi dati sull’emergenza dalla Campania

Ha funzionato tantissimo il personaggio di De Luca sceriffo durante il Covid. Non solo lui, gli sceriffi ultimamente piacciono a tanti, soprattutto se si atteggiano ma poi invece lasciano fare, ma De Luca che dava al governo lezioni di muscolare arroganza e racimolava consensi con battute divertenti contro Salvini e la sua banda è diventato un trend anche sui social, anche tra i giovani: ogni conferenza stampa aveva una drammaturgia perfetta per diventare un filmato da fare girare fino allo sfinimento. I lanciafiamme da usare per sgomberare gli assembramenti, paternalismo à gogo e quell’immagine da inscalfibile sceriffo di ferro che si porta dietro fin dai tempi in cui era sindaco di Salerno.

Ieri i nuovi contagi in Campania (quelli intercettati dal tampone) erano 757, il giorno precedente 544 e se davvero dobbiamo scavare a fondo nelle responsabilità che stanno dietro i numeri (perché questo dovremmo fare, mica solo quando c’è da impallinare giustamente Fontana e Gallera) allora si potrebbe dire anche che in Campania i tamponi continuano a essere pochi, pochissimi: una media di 7.000 tamponi al giorno con un rapporto tra testati e positivi che è in continuo aumento. Con un rapporto così alto tra persone testate e positivi evidentemente qualcosa non sta funzionando e molto probabilmente qualcosa sta pericolosamente sfuggendo.

Code chilometriche di cittadini preoccupati che aspettano fino a otto ore sotto la pioggia, gente che si presenta di prima mattina per riuscire a ottenerlo, gente che infine rinuncia. La coda di fronte al Frullone, struttura dell’Asl Napoli 1, addirittura intralcia l’ingresso dei dipendenti. Eppure la Campania dall’inizio dell’emergenza ha speso in appalti qualcosa come 204 milioni tra il primo gennaio e il 30 aprile (lo dice l’Anac in una relazione depositata in Parlamento) spendendo più del Veneto, quarta regione dopo Lombardia, Toscana e Piemonte.

Dei 3 ospedali Covid solo quello di Napoli è perfettamente operativo mentre a Salerno e a Caserta tutto per ora tace mentre la Procura indaga per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture, in relazione alle procedure di aggiudicazione e di esecuzione dei lavori.

Insomma il Coronavirus non si sconfigge con le parole e nemmeno con i siparietti (e tantomeno negandolo) ma organizzando seriamente la solita vecchia storia delle 3 “t” che qualcuno sembra avere già dimenticato: testare, tracciare, trattare.

La campagna elettorale è finita, come direbbe De Luca “le parole stanno a zero” e forse sarebbe il caso di spiegare e di rispondere. A proposito di rispondere: il presidente della Campania qualche giorno fa ha vietato agli operatori sanitari di parlare con i giornalisti. Un po’ meno tifo, per favore, e un po’ più di governo. Perché il populismo è ammaliante per tutti, a destra e a sinistra.

Buon venerdì.

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Trump e lo show del Covid da cui uscire vincitore

L’ultimo in ordine di tempo è Donald Trump ma gli esempi si sprecano. Il presidente USA è risultato positivo al Coronavirus e la sua situazione continua a preoccupare i medici. Alcuni media USA rilanciano addirittura la notizia che il presidente avrebbe saputo di essere positivo fin dallo scorso giovedì, addirittura prima di apparire sul canale Fox ma non avrebbe rivelato nulla limitandosi solo a confermare la positività di alcune persone vicino a lui. Ma non è questo il punto: ieri Trump ha lasciato il Walter Reed Military Medical Center di Bethseda per un piccolo giro con il suo suv presidenziale salutando i suoi sostenitori richiamati con un messaggio su Twitter. Anche questo non stupisce: chi ha negato per mesi la pericolosità del virus (addirittura come nel caso di Trump mettendo in dubbio le statistiche sui decessi) e chi per mesi si è vantato di non indossare la mascherina (nel suo confronto televisivo con il democratico Biden Trump non ha esitato a prenderlo in giro proprio perché indossava sempre la mascherina) ha bisogno di un po’ di bullismo mediatico per rinverdire la propria immagine di uomo forte.

Fa niente che il suo show abbia messo rischio la vita di altre persone, questo sembra contare poco. Il dottor James Philips, assistant professor alla Georgetown University, chief of Disaster Medicine al dipartimento di Medicina di emergenza e analista della Cnn che frequenta anche il Walter Reed, è stato netto: «Ogni singola persona che si trovava nel veicolo durante il giro presidenziale completamente inutile ora deve essere messa in quarantena per 14 giorni. Potrebbero ammalarsi. Possono morire. Per una sceneggiata politica. Gli è stato ordinato da Trump che dovevano mettere a rischio le loro vite per una sceneggiata. Questa è follia». Ma il punto interessante è un altro: anche Trump, come molti dei leader politici che si sono ritrovati ad avere esperienza diretta della malattia, ha romanticizzato il suo contagio dicendo di avere imparato molto sul Covid, «è stata una vera scuola», ha detto in un video, ringraziando medici, infermieri e il personale sanitario. Accade sempre così: si nega un pericolo, ci si cade dentro, ci si affida alla scienza e alle regole che prima si sono sempre contestate e infine ci si riallinea velocemente per la paura di morire.

E qui si apre una disdicevole abitudine di quest’era: governanti e pezzi della classe dirigente che imparano la lezione solo se gli cade addosso personalmente, come se i numeri, le notizie, i fatti e le testimonianze non abbiano nessun effetto sulla loro consapevolezza, incapaci di essere riflessivi e empatici su quello che gli accade intorno a meno che non avvenga nel proprio ristretto cortile. E sono quegli stessi governanti che dovrebbero occuparsi delle situazioni più estreme, capaci di sentire tutti i cittadini come propri e capaci di solidarizzare anche e soprattutto con le condizioni lontane da loro. Sono gli stessi governanti (e pezzi di classe dirigente) che faticano a trovare il vocabolario delle povertà, delle disperazioni, dei soprusi e del calpestamento dei diritti dalla loro torre dorata dove vivono una realtà anestetizzata. Ma siamo davvero sicuri che abbiamo bisogno di politici che trasformino le proprie disgrazie in un reality da cui uscire vincitori come se lo scenario di un’intera nazione possa dipendere dagli accadimenti privati? Siamo consapevoli che esistono capi di Stato che hanno a disposizione una schiera di professionisti e di esperti e invece riducono tutto solo al proprio sentire?

Perché a questo punto allora viene il dubbio che potremmo sperare di avere scelte lungimiranti solo passando per l’esperienza diretta, allora dovremo aspettare che i nostri leader del mondo diventino poveri per riuscire a conoscere le povertà, vengano arrestati per rendersi conto della terribile situazione giudiziaria e carceraria, salgano su un gommone per provare l’ebbrezza di una migrazione disperata e così via all’infinito in un tour sentimentale che possa formarli per riuscire a governare. Sarebbe una disgrazia e una partita persa. Quindi attendiamo con fiducia e urgenza di avere leader con visioni larghe e inclusive, davvero, e riconosciamo una volta per tutte che la personalizzazione della realtà è forse il più sfortunato vizio che possiamo ritrovare in un personaggio politico. Stacchiamoci dallo show e pretendiamo governanti educati alla complessità. Ci farà bene a tutti, indipendentemente dalla parte politica. In fretta.

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