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A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO – Milano capitale della mafia
di Gianni Barbacetto
da L’Unità, 9 ottobre 2008

I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.

Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti. «Milano è la vera capitale della ’Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente. Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell’Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate. Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese. Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo. Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King») aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati. Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione un processo ai Guida. Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la ’Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio. Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di Gomorra? A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto. L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso. Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se ne sono ancora accorti.

RADIO MAFIOPOLI 8 – Lettera a Totò Riina

Caro Totò,

o ti devo chiamare boss, o ti devo chiamare ‘curtu, o come cazzo ti devo chiamare che siccome non mi sono imbarbarito e nemmeno combinato-puncicato non lo so mica qual’è il tuo nome di battaglia nel risiko di uomini d’onore di mafiopoli. Ti chiamerò Totò, tenendo sottinteso il cognome Riina e per i più scettici Bagarella la tua signora. Qui come sai ben si faceva un po’ di satira, dico divertimento così per ridere, ma poi abbiamo sentito saputo che diretto e indiretto ci ascolti, con quei monelli televisionari di Telejato e allora non ce l’ho mica fatta a trattenermi di scriverti. Perché tu lo sai bene che in uno spicchio che ci si può parlare bisogna sfruttarlo subito, ma di questo ne parliamo dopo. Te lo scrivo in italiano pulito perchè, scusami, caro Totò, sarai anche cattivo come un toro e furbo come un limone ma dai documenti a disposizione (quelli che non si sono mangiati durante l’intervallo i tuoi compari e gli insospettabili) tutto mi sembra tranne che sei forte con la lingua. Quella italiana, intendo. Non quella tua che tutta per fifa hanno sempre fatto finta di capire. E allora parlo pulito. Così ci si intende per la “posta del cuore di Riina ‘o curtu” senza che ci devi pagare magari un traduttore in mafiopolitano e spenderci altri soldi appena dopo, vicino vicino ai regali di nozze e alle bomboniere di tua figlia per il santo matrimonio in pace e carità. Ti scrivo io Giulio (prima persona singolare) perchè con voi funziona bene, come i diamanti, che una volta che ci notate poi è per sempre, e per tutto il resto c’è mastercard. E ti scrivo questa letterina che puzza di babbo natale perchè magari te la infilano dentro ad un calzino insieme alle mesate di novembre o alla mancia per comprarti un secondino e te la tieni sotto il cuscino prima di andare a dormire. E ci pensi. E chissà mai che mi rispondi. Con il tuo traduttore interprete mafiopolitano al massimo se sei in difficoltà con le parole. L’importante, oh mi raccomando Totò niente scherzi, l’importante è non ricominciare con ‘sti disegni o lettere e bare. Che ci costa una tanica di Cif. Ma torniamo a noi, alle cose serie.

Vorrei chiederti un paio di cose, che dico tanto di tempo ne avrai da spendere, in attesa della tua ora d’aria di branzino e olive all’ascolana. Vorrei chiederti caro Zù Totò… anzi no, scusa, prima i complimenti, a te e alla tua famiglia come diceva quell’anima pia di Michele Greco, così anima pia che lo chiamavano pure papa. Complimenti alla famiglia. Tutta. Innanzitutta alla sua figlioletta minore Lucia, che si chiama come la Lucia del Manzoni e mi è sembrato proprio un gesto da letterato istruito alla faccia dei maligni, che ci vogliono far credere che sei un ignorante contadino onesto agricoltore. Che dico, Totò, ce lo diciamo sottovoce all’orecchio tanto facciamo due metri in due uno in testa all’altro, non ci ha mai creduto nessuno appena ti hanno arrestato alla storia dell’onesto lavoratore, o no? Sarà mica colpa anche questo colpa dei comunisti, che siamo nani peggio dei nani più bassi dei nani più nani da giardino. O no? Ma torniamo a noi, alle cose serie. Complimenti per il matrimonio della tua Lucia, che l’abbiamo visto in mondovisione come sarebbe piaciuto a te, che ti ispiri al padrino nonostante l’hai ispirato, come i cani che si rincorrono la coda. Tra l’altro il prete, che si meriterebbe per questo un don don mica campanaro ma un don don del tipo di don alla seconda. Ti ha dedicato un pensiero a te a tuo compare leoluca. Che qualcuno pensa che siete ancora in carcere duro, qui fuori. Qui fuori dove il 41 bis applicato al contrario ci porta le notizie a metà dietro al vetro dei colloqui del televisore. Qui aulcuno pensa ancora che ci fai il carcere come l’aveva sognato Falcone e Borsellino. Ma non preoccuparti Totò, glielo dico io che dal 2001 non sei più in isolamento, 12 marzo “la festa dei totò corti”, e adesso puoi scorazzare felice alle partite di calcetto per il campionato dei mandamenti. Ti hanno messo anche a Opera, dico, mica per niente. Un paio d’anni e ti mandano le belle arti…. ma torniamo a noi, alle cose serie. Il don don al matrimonio vi ha dedicato un pensiero, perchè dio è misericordioso, e dietro in fila i parenti di Scaglione, Russo, Francese, Reina, Giuliano, Terranova, Mattarella, Basile, La Torre, Dalla Chiesa, Chinnici, Libero Grassi, falcone e Borsellino e tutti gli altri. In coda insieme ad un popolo che te l’ha dedicato un pensiero. Caro Totò. Auguri, per il matrimonio e per tutto. E anche per il don don. Ma torniamo a noi, alle cose serie. Il 28 febbraio è uscito dal carcere di Sulmona anche il tuo figliol prodigo Giuseppe, una stella. Nullatenete, ci mancherebbe, come te. Anche se con la riccioluta bionda scorazza per Corleone con il portafogli a soffietto e diecimila euri in contanti dentro. Perchè essendo nullatenente si vede certo che dico non ha mica i soldi per aprirci un conto corrente. Mica come quei fessi delle gemelle Lo Piccolo che lasciano i soldi alla Popolare di Lodi, che con i tempi che corrono e soprattutto appena trascorsi lasciarci i soldi alla Popolare è peggio che infilarli su per il didietro alle renne di babbo natale a livello di investimento, dico. Ma torniamo alle cose serie. Volevo chiederti, Totò, confidando nel tuo senso dell’umorismo intendo, quello che ti ha fatto credere che stavi giocando sul serio a guardie e ladri ed eri pornto al tana libera tutti dopo aver cucinato Falcone e Borsellino, che ti è bastato farti il solletico che sei salito sul monte Sinai e hai scritto le tue tavolozze con le tue leggi e le tue richieste allo stato… perchè Totò, dico, ce lo diciamo tra noi, non ci sente nessuno, stavi scherzando, non ci credevi mica …? vero? Ma torniamo a noi alle cose serie. Ti volevo chiedere, Totò, senza disturbarti troppo, che altrimenti ti vanno in cortocircuito i due neuroni puncicati, ti volevo chiedere come ti senti… ah a proposito, qui fuori hanno aperto le primarie tra Messina soldino Denaro e Raccuglia dei Caccuglia… da volare via dal ridere, con il tuo figlioletto in giro gli altri si giocano a reteforbicesasso il posto di governo che non è libero… come il partito democratico, chissà come te la ridi… nell’ora d’aria mentre fai i castelli di sabbia con la paletta e il secchiello. Ma torniamo a noi, alle cose serie. Ma tu ci credevi sul serio a questa cosa che facevi paura? Dico non ti fa ridere il mito che ti hanno cucito addosso? Alto come un barile e con il profilo di un mango? Ma torniamo alle cose serie. Ti volevo chiedere Totò se sei contento di questa tua potenza buttata nel cesso, di questo tuo regno che puzza, di quella tua faccia così unta e rossa imbarazzata come in un’interrogazione di matematica. Dico sei contento? Perchè se sei contento….

Ma non ti voglio mica disturbare Totò, che poi mi sbagli i progetti senza i congiuntivi per gli appalti, le mesate, la raccolta e i cantieri. Non ti voglio disturbare. Facciamo che ti faccio un regalo, ecco una confezione di regali: una confezione regalo di congiuntivi. Per iniziare. Poi ci risentiamo. O no. O sì. O a mezza voce con l’onore degli uomini di merda. Alla Riinopolitana.

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