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Mafia a Brescello: dove gli studenti hanno fatto la rivoluzione

Ho avuto il privilegio di conoscere Elia, uno dei ragazzi di Cortocircuito, e partecipare a qualche evento con lui. E me lo ricordo bene il suo viso con il sorriso di chi sa di fare le cose giuste e si rende conto di poter essere portatore di cambiamento. Per questo vale la pena leggersi l’articolo di Claudio Del Frate per il Corriere della Sera. E farne un esempio. Eccolo qui:

 

Tutto cominciò con un gruppo di studenti liceali che giravano armati di videocamera ponendo domande tanto candide quanto impertinenti: «Scusi, lei lo sa che Tizio è ritenuto vicino a famiglie della ‘ndrangheta?». E’ andata a finire che pochi giorni fa una sentenza del Consiglio di Stato ha confermato lo scioglimento del Comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, per infiltrazioni mafiose. E i giudici, nelle loro motivazioni, danno atto che a scoperchiare il pentolone del malaffare era stata anche la videoinchiesta confezionata da quegli studenti animati da passione civile e curiosità. Il loro lavoro è finito infatti prima agli atti della maxi inchiesta «Aemilia», sul business dei clan calabresi tra Reggio, Modena e Bologna e ora nel fascicolo che ha sciolto il comune di Brescello e tolto la fascia tricolore al sindaco Marcello Coffrini, del Pd.

 

Tutti i favori alle famiglie

 

Brescello, noto al mondo per essere il borgo dove Guareschi ambientò le vicende di Peppone e don Camillo, si sarebbe risparmiato il triste primato di essere il primo comune dell’Emilia a essere esautorato per via dei condizionamenti subiti dalla malavita organizzata. Le carte esaminate dal Consiglio di Stato fanno riferimento a una dozzina di elementi che hanno condotto alla sentenza: varianti al prg richieste da ditte a cui non era stata chiesta l’informativa antimafia, l’assunzione di personaggi «legati a vario titolo a esponenti» delle cosche, l’affidamento di appalti a ditte poi raggiunte da interdittive antimafia, minacce a politici locali, sussidi sociali concessi a «soggetti controindicati». Ma al primo posto (almeno in ordine cronologico) figurano «le dichiarazioni e il comportamento del sindaco in occasione di una intervista alla tv web». Quest’ultima altro non è che un lungo colloquio concesso ai giovani dell’associazione antimafia «Cortociruito» composta da liceali e universitari di Reggio Emilia.

 

Un’onda che arriva fino in Germania

 

Elia Minari, 22 anni, oggi studente di giurisprudenza a Bologna, è stato uno degli autori di quel documentario amatoriale e all’inizio pubblicato (era l’agosto del 2014) senza troppe pretese su Youtube. «All’inizio siamo stati bersaglio di insulti, denigrazione, persino di una manifestazione di piazza ma oggi le cose sono cambiate – commenta Elia facendo un bilancio della sua esperienza -. Allora c’era chi sottovalutava o negava la presenza della ‘ndrangheta nella zona di Reggio Emilia, oggi nessuno la può negare. Ci sono le sentenze che parlano». Elia ha appena pubblicato un libro («Guardare la mafia negli occhi», Rizzoli) viene invitato nei Comuni, nelle università, persino in Germania e in altri paesi esteri a raccontare la sua parabola e a spiegare come sia pericoloso rimuovere il problema, specie nei luoghi dove la presenza mafiosa appare sfumata.

 

«Mafia? Non rispondo»

 

Ma cosa aveva detto davanti alla videocamere il sindaco di Brescello tanto da suscitare un simile vespaio? Che secondo lui Franco Grande Aracri, personaggio al centro dell’inchiesta «Aemilia» era una persona educata e per bene, di basso profilo e che contaminazioni mafiose in quel territorio non erano percepibili. Le inchieste hanno poi raccontato tutta un’altra storia, il cui filo è ripreso ora dalla sentenza del Consiglio di Stato. Che valorizza il lavoro di Elia e di «Cortocircuito». «L’atteggiamento di chiusura e sospetto – scrivono i giudici – non viene affermato sic et simpliciter ma si richiama alla reazione avuta da alcuni cittadini intervistati nel corso del servizio giornalistico i quali – solo a sentire nominare la parola mafia o il nome del condannato per reati di mafia residente in paese, hanno dichiarato di non voler rispondere».

 

Il boss? «Molto composto ed educato»

 

Si entra poi nel vivo delle frasi rilasciate dal sindaco ai ragazzi.«Sul punto – ecco un altro passaggio del verdetto – non è in alcun modo credibile che il primo cittadino vissuto e cresciuto a Brescello non fosse informato sulle vicende giudiziarie di Grande Aracri trattandosi di persona più che nota nel contesto locale. Le dichiarazioni del sindaco e in particolare le definizioni della persona come soggetto “sempre molto composto, educato, sempre vissuto a basso livello” sono da considerarsi senz’altro gravi e dimostrano scarsa sensibilità riguardo alla presenza della criminalità organizzata sul territorio comunale». Ma in più egli «nega consapevolmente tale fenomeno come dimostrano le risposte da lui date alla domanda se la criminalità organizzata costituisse un problema reale nel comune di Brescello».

A proposito: ecco cosa diceva il PD del sindaco di Brescello. Sciolta per mafia.

Coffrini

A futura memoria, anche perché il comune è stato sciolto per mafia, primo in Emilia romagna, un bel record:

«Il Circolo del Partito Democratico di Brescello prende pertanto nettamente le distanze dalle dichiarazioni del primo cittadino fatte nella nota video intervista alla Web-Tv della associazione Cortocircuito, politicamente e culturalmente inaccettabili in relazione al suo ruolo istituzionale, per la sensibilità doverosa, richiesta e necessaria a tutti gli Amministratori PD, come già espresso dalla Federazione Provinciale del Partito Democratico di Reggio Emilia in comunicati precedenti.

Affermiamo tuttavia che siamo pienamente convinti della trasparenza e della piena onestà dell’intero operato politico e istituzionale dell’amministrazione comunale attuale e degli ultimi anni: l’ex Sindaco Giuseppe Vezzani della Lista Civica Pasquino, appoggiata dal Partito Democratico, ha fatto infatti parte del gruppo di lavoro sul tema della legalità istituito dalla amministrazione provinciale, collaborando fattivamente e attivamente al contrasto del fenomeno di infiltrazione mafiosa nelle amministrazioni comunali, siglando un protocollo d’intesa con la Prefettura di Reggio Emilia per la prevenzione dei tentativi d’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti e concessioni di lavori pubblici, in collaborazione con l’allora prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro.

Non abbiamo perciò alcun motivo per dubitare dell’onestà del Sindaco Marcello Coffrini, che ribadiamo ha compiuto gravi ingenuità e leggerezze in relazione al suo ruolo di primo cittadino, ma nella cui rettitudine confidiamo pienamente: non sussistono ad oggi atti giudiziari di alcun tipo che possano far pensare a collusioni o infiltrazioni mafiose.» (16-04-2015)

Contrordine compagni! Il sindaco di Brescello è salvo.

Coffrini

È un barzelletta che non fa ridere per niente: avevamo detto che il sindaco di Brescello sarebbe stato sfiduciato (qui) dopo l’esibizione di ignoranza e sprovvedutezza sui mafiosi suoi concittadini e invece niente. Tre consiglieri del PD l’hanno salvato. Ora si attende la decisione del Ministero sull’eventuale scioglimento per mafia del comune. Ah, se la Bindi ha bisogno del suo numero di telefono io ce l’ho. Eh.

Caro PD, il sindaco di Brescello è un ignorante colpevole. Avvisatelo.

coffrini

C’è questa intervista di Marcello Coffrini a Il Resto del Carlino che grida vendetta. Marcello Coffrini, per intendersi, è quel sindaco di Brescello smascherato dai bravissimi ragazzi di Cortocircuito che in un documentario ebbe la bella idea di spendere parole d’elogio per il boss Francesco Grande Aracri (trovate tutto qui) scusandosi poi dicendo che “non sapeva”, “non voleva” e ripetendo il solito mantra “il paese non è mica mafioso”.

Insomma, Marcello Coffrini è il tipico sindaco del nord che fa pagare la propria ignoranza in tema di criminalità organizzata ai propri cittadini. Per questo leggendo la sua intervista in cui si promette di non dimettersi e restare sindaco “per difendere il paese” dimentica il concetto più importante: è incapace e inetto nella difesa del suo paese. Ce l’ha dimostrato la sua storia recente. Diteglielo.

(Ah, il discorso ovviamente vale anche per Rosa Capuozzo a Quarto e per le decine di sindaci pericolosamente ingenui che infestano l’Italia)

Le colpe dell’antimafia

Un articolo condivisibile in toto e coraggioso dei ragazzi del Gruppo Antimafia Pio La Torre. Perché anche le riverenze antimafiose rischiano di essere un brutto ottundimento:

La vicenda legata alle dichiarazioni del sindaco di Brescello, contenute nell’ottima video-inchiesta realizzata da Cortocircuito, si può riassumere tutta qui: una comunità si mobilita a sostegno del sindaco – accusato di aver negato la presenza mafiosa nel territorio – con uno slogan dal sapore assolutorio, “Contro tutte le Mafie”appunto.

Una situazione che ha del paradossale, se si pensa allo stereotipo con cui vicende analoghe in altre parti d’Italia vengono commentate al “Nord”; in parole povere, sempre i “soliti” solidarizzano con il politico X accusato di essere connivente con un’organizzazione criminale, quelli che dipendono dalle sue sorti per favori e prebende clientelari. Quando accade lo stesso in Emilia-Romagna, invece, è la comunità che si mobilita a fianco dell’amato sindaco, infangato nella sua onorabilità per una piccola gaffe.

Se succedono fatti simili – in cui non si vuole mettere in gioco la malafede dei manifestanti, sia chiaro – non è solo colpa, però, degli stereotipi sulla comunità forte e sana, temprata da anni di convivenza pacifica e solidale, la quale si trova sorpresa e sgomenta davanti agli arresti di esponenti della criminalità organizzata. La colpa è anche e soprattutto dell’antimafia da corteo (fatta di taluni – non tutti per fortuna – politici e da sedicenti organizzazioni antimafia più o meno conosciute in ambito nazionale). Quella che si mobilita giustamente con forme di mutualismo nei confronti dei territori più in difficoltà, ma che poi a casa propria non sa trarre le conseguenze necessarie da comportamenti e dichiarazioni deprecabili. Non è la prima volta, peraltro, che incidenti simili accadono in Emilia Romagna; a Rimini, difatti, l’ormai ex-assessore regionale Melucci era inciampato sull’ennesima buccia di banana della presenza mafiosa in Riviera, in particolare della camorra nel settore alberghiero.

Da un lato questo tipo di antimafia sembra rifiutarsi di studiare il territorio, la storia delle infiltrazioni mafiose e il successivo radicamento in zone ben precise dell’Emilia-Romagna (sembra quasi superfluo ricordare che per la provincia di Reggio Emilia, il termine colonizzazione mafiosa è tutt’altro che esagerato e, anzi, riflette abbastanza fedelmente lo sviluppo di alcune ’ndrine nella zona). Dall’altro quel poco di analisi viene fatta spesso approssimativamente e attraverso ritagli di giornale, con articoli scritti da persone tutt’altro che preparate in materia e in cui il sensazionalismo dei titoli (“C’è la camorra”“La Dia certifica: c’è la mafia” ecc …) è inversamente proporzionale alla assennatezza del contenuto.

Scemenze parrocchiali a Brescello

Avevo scritto qualche giorno fa del bel documentario dei ragazzi di “Cortocircuito” in cui il sindaco di Brescello Marcello Coffrini (PD) spende parole carezzevoli per il boss Francesco Grande Aracri. Va anche detto che il Partito Democratico (insieme ad ampi pezzi dell’associazionismo e della società civile) ha preso una posizione netta sulla questione e questa è una buona notizia. Poi ci sono state le difese d’ufficio che, come spesso succede, hanno raggiunto vette di stupidità e ignoranza incalcolabili ma il primo premio lo riceve il parroco del paese. E attenzione: a Brescello, mica in Calabria.

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Fenomenologia di una calabrizzazione

Prendetevi qualche minuto per guardare la prima parte di questo documentario dalla webtv Cortocircuito, parte del loro ultimo documentario “La ‘ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana“. I razzi intervistano il sindaco di Brescello Marcello Coffrini (PD);

Il primo cittadino parla della realtà locale negando che ci siano “mai state denunce per estorsione o ricettazione”. E poi descrive come “una persona educata e composta” Francesco Grande Aracri, boss condannato in via definitiva per mafia nel 2008, soggetto a regime di sorveglianza speciale e considerato il punto di riferimento dell’ndrangheta in Emilia. La troupe di giovani studenti e giornalisti si fa accompagnare da Coffrini sui terreni sequestrati alla famiglia (beni per 3 milioni di euro). Subito vengono raggiunti da un furgoncino che chiede spiegazioni e poi dallo stesso Aracri. Il sindaco si apparta con il boss per spiegare la situazione e tornato in macchina spiega: “E’ lui Francesco Grande Aracri. E’ gentilissimo, molto tranquillo. Parlando con lui si ha la sensazione di tutto tranne che sia quello che dicono che sia. Lui è uno molto composto ed educato che ha sempre vissuto a basso livello. La famiglia qui ha un’azienda che adesso è riuscita a ripartire: fanno i marmi. Mi fa piacere che siano ripartiti”.

(via)