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bruciata

Terra bruciata

Il sesto rapporto del gruppo intergovernativo dell’Onu sul climate change dimostra che siamo di fronte a un problema enorme e urgente che richiederebbe una programmazione veloce e seria e che ancora una volta viene sottovalutato

Non lascia molti dubbi e nemmeno troppo spazio alle interpretazioni il sesto rapporto dell’IPCC (Gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico): il caldo del pianeta cresce in modo più rapido e intenso rispetto almeno agli ultimi 2000 anni e le responsabilità sono tutte dell’uomo (com’è scientificamente provato) nonostante il negazionismo delle carampane che ancora si ostinano nella loro narrazione.

La temperatura media globale è cresciuta di 1.1°C rispetto al periodo 1850-1990 e nei prossimi 20 anni sforerà il tetto di 1.5°C. Se non ci sarà un’immediata, rapida e su larga scala riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, limitare il riscaldamento globale tra 1.5° e 2°C, come negli intenti dell’Accordo di Parigi nel 2015, sarà fuori discussione.

A seguito del riscaldamento climatico, il livello medio dell’innalzamento del livello del mare fra il 1901 e il 2020 è stato di 20 cm, con una crescita media di 1,35 mm/anno dal 1901 al 1990 e una crescita accelerata di 3.7 mm/anno fra il 2006 e il 2018. In pratica, il livello dei mari sale a ritmo triplo rispetto al XX secolo. Nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono state le più alte degli ultimi 2 milioni di anni, e le concentrazioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) le più alte degli ultimi 800mila anni.

Dal 2011 le concentrazioni in atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annuali di 410 ppm per l’anidride carbonica (CO2), 1.866 ppb per il metano (CH4) e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O), spiega il rapporto. L’influenza umana è la causa principale del ritiro dei ghiacciai a livello globale dagli anni 90 e della diminuzione del ghiaccio marino artico tra il 1979-1988 e il 2010-2019. Basti pensare che l’oceano globale si è riscaldato più velocemente nell’ultimo secolo che dalla fine dell’ultima de-glaciazione (circa 11mila anni fa). «I cambiamenti nell’oceano quali il riscaldamento, le più frequenti ondate di calore marino, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei livelli di ossigeno in mare sono stati chiaramente collegati all’influenza umana», si legge nel rapporto.

In città (e parliamo del 70% della popolazione mondiale) l’impatto dei cambiamenti climatici viene amplificato dalla geometria urbana, dall’altezza dei palazzi, dai materiali che assorbono calore, dalla carenza di aree verdi e di specchi d’acqua, fattori che determinano la formazione di isole di calore, dove le temperature possono superare di diversi gradi quelle medie regionali.

Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che il rapporto è un «codice rosso per l’umanità»: ridurre le emissioni inquinanti nel più breve tempo possibile è cruciale per evitare che le temperature aumentino eccessivamente, perciò «non c’è più tempo per scuse o per ritardi». Per Helen Mountford, vicepresidente della sezione clima ed economia del World Resources Institute (WRI) – un’organizzazione non profit che si occupa di misurare le risorse naturali globali – il prossimo decennio sarà «l’ultima vera chance per adottare le azioni necessarie» per limitare l’aumento delle temperature.

Siamo di fronte a un problema enorme e urgente che continua a sembrare l’alambicco di uno sparuto gruppo di persone. Un tema che richiederebbe una programmazione veloce e seria ancora una volta viene sottovalutato in attesa che sia ormai una catastrofe su cui poi lucreranno i soliti noti. C’è bisogno di un attivismo consistente e organizzato che coinvolga più persone possibili. La serietà della politica, piaccia o meno, si misura su questo.

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Bruciata nel ghetto. Nel giorno della Memoria

La memoria non si commemora. non basta. La memoria si esercita: si esercita riconoscendone i tratti nel mondo che ci circonda, si esercita declinandola in altri tempi e in altri luoghi come se fosse sempre nuova, si esercita tenero levigato il rigore morale, si esercita allungando il muscolo della curiosità.

Forse con una memoria ben allenata non ci saremmo persi questo 27 gennaio, mentre commemoravamo la memoria di quello che fu, non accorgendoci che una donna bruciata nel ghetto è stata qui, da noi, proprio nella notte tra venerdì e sabato a San Ferdinando, pochi passi da Rosarno. Auschwitz nel 2018 è in provincia di Reggio Calabria. Ma l’indifferenza non fa scalpore.

Becky Moses aveva ventisei anni e aveva trovato rifugio nel ghetto da appena tre giorni. Avrà pensato che era una bella fortuna trovare un po’ di ristoro dal freddo, in mezzo ad altra gente, con un tetto sulla testa anche se fatto di niente. Era stata ospite di un centro d’accoglienza, aveva una casa e stava imparando un mestiere: quando è arrivata due anni fa dalla Nigeria (c’è bisogno davvero di ricordare cosa subiscano le donne, in Nigeria? No, vero?) finché qualche settimana fa quando ha ricevuto il rifiuto alla sua richiesta di asilo politico. Ha dovuto cercare un riparo. Alcuni suoi connazionali l’hanno ospitata nel ghetto. L’incendio dei giorni scorsi non le ha dato scampo.

Il ghetto di Rosarno, tra l’altro, meriterebbe anche lui una di quelle pompose giornate alla memoria che piace tanto ai sepolcri imbiancati. È stato “scoperto” dall’opinione pubblica quasi dieci anni fa per la rivolta dei braccianti sottopagati che dormono lì. Ed è sempre lì.

Il fumo dal camino nel 2018 ha l’odore della plastica che si fa cenere per un braciere acceso per scaldarsi. È ha l’odore di Becky Moses.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/29/bruciata-nel-ghetto-nel-giorno-della-memoria/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.