Vai al contenuto

bruno vespa

Danneggiata la vigna di Vespa. Ora riparte l’economia?

Se davvero Bruno Vespa pensa (ma poi si è scusato o forse no) che il terremoto sia una grande occasione per fare ripartire il PIL non è colpa sua. No. È la naturale involuzione di un capitalismo umano prima ancora che economico: la crescita e la produttività a tutti i costi è il comandamento moderno e alla fine risulta perfino normale che i portatori servili di questo credo finiscano per tradirsi in diretta televisiva. E forse, del resto, non è nemmeno un tradimento consapevole: l’Europa crede nel PIL come metro di misura universale. Il prodotto interno lordo della dignità e della felicità, invece, è solo la curva di una minoranza fastidiosa.

A pensarci bene anche il fatto che Marchionne dia lezioni di etica all’imprenditoria italiana (lui che è vigliaccamente e furbescamente scappato dall’Italia portandosi dietro quel che resta telex Fiat) si inserisce perfettamente in questo percorso. Sono solo i sintomi di una malattia ben più radicata e vasta. E solidale. Ma solidale sul serio. Corporativa ai massimi livelli.

Perché altrimenti si potrebbe pensare che anche il danneggiamento della vigna di Vespa (la notizia è qui) sia semplicemente una piccola occasione per la ripresa dell’economia. O no?

Cuffaro e il figlio di Vespa

bruno-vespa-federico-vespa-spkhr

Di Federico Vespa, negli atti dell’inchiesta, si legge: “In merito alla possibilità per Cuffaro Salvatore di dialogare con l’esterno si segnalano alcuni volontari che hanno operato all’interno della casa circondariale di Rebibbia (in primis Federico Vespa) i quali si sono più volte adoperati per mettere in comunicazione Cuffaro con i suoi familiari e con persone di sua fiducia. È stato in questo modo consentito al Cuffaro di continuare ad occuparsi di proprie attività, questioni ed interessi nonostante le preclusioni connesse al suo status di detenuto”.

Presentare il libro di Vespa

20151201_7565

Ci deve pur essere un ingrediente segreto, un miele raro e sopraffino oppure una consorteria, dei nuovi templari per cui un Presidente del Consiglio debba presentare tutti gli anni, all’inizio del profumo natalizio, il libro di Bruno Vespa.

Mi piacerebbe ascoltare la telefonata con cui il malcapitato presidente di turno viene costretto: “Pronto Renzi, ti ricordi che io so quella cosa che tu sai e ci tengo tanto che tu presenti il libro con me?”, oppure un più fine “so che non ti dimenticherai della presentazione del mio nuovo libro come io non mi sono dimenticato di te”.

C’è qualcosa che noi umani non riusciamo nemmeno ad immaginare che tiene uniti i fili del potere a Bruno Vespa. Sarebbe troppo facile pensare al servilismo. Sarebbe troppo triste credere che ci si accomodi con comodo nei salotti che contano appena si arriva al potere. Sarebbe patetico credere che anche i “profeti del nuovo” poi tornino alle vetuste abitudini del vecchio potere.

Ditemi che c’è qualcosa d’altro. Vi prego.

Che scandalo se il mafioso in tivù non ha la cravatta

Vespa-Casamonica-739x445Nel Paese in cui Cosa Nostra ha investito soldi nei canali televisivi di Berlusconi (basta leggersi la sentenza definitiva della condanna a Dell’Utri), nel Paese in cui l’imperituro Andreotti andava per boschi con i boss, quello in cui un sottosegretario non parlava con i Casalesi ma era egli stesso Casalese (leggetevi la sentenza di Nicola Cosentino), nel Paese in cui l’ex Presidente della regione Sicilia avvisava un mafioso di essere ascoltato dalle forze dell’ordine, nel Paese in cui l’amico di Nitto Santapaola ha il monopolio del gioco d’azzardo, in questo Paese qui, dove anche i giornalisti ogni tanto capita che siano scelti dalla criminalità, in questo Paese qui tutti indignati per i Casamonica.

Perché, si vede, che anche per i mafiosi, temiamo soprattutto gli zingari mentre non ci accorgiamo degli altri.