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buon

A proposito di fiducia e di vaccini

Vale la pena di leggere le parole del professor Andrea Crisanti sui «dati di efficacia e di sicurezza» da mettere a disposizione della comunità scientifica

C’è, com’è normale che sia, un gran chiasso intorno ai vaccini anti Covid che stanno arrivando nei prossimi mesi in giro per il mondo. Nel numero di Left in edicola ne parliamo approfonditamente e proviamo a analizzare la situazione uscendo dagli steccati degli annunci e dei complotti (a proposito, è l’occasione buona per regalarsi e regalare un abbonamento, qui) e siamo in quel momento in cui i complottisti e i tifosi tireranno le bombe per minare la credibilità di ciò che accade. Un film già visto.

Nei giorni scorsi si è fatto molto chiasso su una presunta dichiarazione di Crisanti che avrebbe dichiarato di non volersi vaccinare subito, appena disponibile il vaccino, ma di preferire aspettare qualche tempo per esserne sicuro. Ammetto di essere rimasto piuttosto stupito della leggerezza della comunicazione (del resto si pone il solito tema dei medici che spesso hanno più di qualche falla come divulgatori) ma proprio ieri Crisanti ha voluto tornare sul tema e ha scritto parole che vale la pena leggere. In una sua lettera al Corriere della Sera puntualizza di volere «i dati di efficacia e di sicurezza» vengano «messi a disposizione della comunità scientifica» e «delle autorità che ne regolano la distribuzione». Crisanti fa notare, in effetti, le modalità di annuncio delle case di produzione che si sono concentrate sui proclami senza occuparsi «di condividere i dati con la comunità scientifica». «Se le aziende in questione – scrive Crisanti – sono in possesso di informazioni che giustificano annunci che possono apparire rivolti in particolare ai mercati finanziari, queste devono essere rese pubbliche anche in considerazione del fatto che la ricerca è stata finanziata con quattrini dei contribuenti»·

La credibilità e la fiducia è qualcosa che si costruisce operando con trasparenza. Sempre. In tutti i campi. Il fatto che si aspetti (giustamente) un vaccino come un popolo assetato aspetta la pioggia non può essere l’unica spinta per proporlo. E sui dati che devono essere pubblici si discute da mesi anche per quello che riguarda i contagi e le modalità del contagio, che ogni regione gestisce un po’ come gli pare. Su un tema come questo si dovrebbe limitare il più possibile la richiesta di atti di fiducia (e talvolta di fede) e giocare a carte scoperte. Sarebbe la risposta migliore e più solida contro negazionisti e altre corbellerie varie. È un filo sottile, la fiducia.

Buon martedì.

Per approfondire, Left del 20-26 novembre 2020

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Berlusconi, ancora, torna

Piccoli segnali di un riavvicinamento che continua a essere nell’aria: il provvedimento salva Mediaset è un emendamento confezionato su misura per l’azienda di Silvio Berlusconi, proprio come ai bei (brutti) tempi in cui l’azienda del leader di Forza Italia e il suo destino giudiziario erano il centro di tutta l’attività politica. L’ha firmata la senatrice del Pd Valeria Valente e poi quando è scoppiata la vicenda (poco, a dire la verità) il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli (badate bene, uno di quei grillini che Berlusconi lo vedevano come fumo negli occhi) ha dovuto ammettere di avere scritto lui la norma, anche se ha scaricato parte della “colpa” sul ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri. In sostanza lo scopo è quello di neutralizzare i voti di Vivendi, la holding azionista di Mediaset, per non disturbare la strategia aziendale della famiglia Berlusconi. Ben fatto.

Lui, Silvio, gioca a fare il moderato (e gli viene facile, di fianco a Meloni e Salvini) e punta all’empatia come ai vecchi tempi. Se notate nessuno ci dice che potrebbe essere “utile”, vorrebbero farci credere che sia diventato “inoffensivo” come se questo bastasse a cancellare tutti i disastri contro la democrazia che ci ha lasciato nei suoi anni di attivismo politico. È un moto basato su una sorta di “perdono” e che serve soprattutto ad avere i senatori che permettano di essere tranquilli con i numeri e aprire la trattativa sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Che nel bel mezzo dei morti, dei danni di certo populismo, della fame che attanaglia le persone, dell’incertezza, dei soldi che mancano per arrivare a fine mese, dei lavoratori che faticano a poter immaginare il proprio futuro, del paternalismo a quintali che ci viene riversato ogni giorno, si giochi per riavviarsi a Berlusconi curando gli interessi della sua azienda è qualcosa che avrebbe fatto strepitare gli strepitanti a lungo. Solo che in questo caso gli strepitanti sono suoi alleati e quindi si rimettono a cuccia mentre gli altri sono al governo. E Berlusconi, ancora, ritorna.

Buon lunedì.

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La ‘ndrangheta, appunto

Vogliamo occuparci di mafie, mica solo in Calabria? Vogliamo che ritornino nell’agenda della politica? O si aspettano sempre gli arresti, sempre

Si è riusciti a parlare per giorni, settimane, di Calabria senza mai pronunciarla. Non so se avete notato ma le mafie sono scomparse dal dibattito pubblico come se fossero qualcosa di non rilevante in tempo di pandemia (mentre per loro è un momento ghiottissimo) e ora se ne torna a parlare a bomba per l’arresto del presidente del Consiglio regionale calabrese Domenico Tallini, per gli amici Mimmo.

Ora sarà il processo a decidere, noi siamo e restiamo garantisti, ma la parabola di Tallini è interessante perché stiamo parlando di uno che era finito nell’elenco degli impresentabili formulato dalla Commissione antimafia guidata da Nicola Morra. Proprio Morra aveva messo in guardia la presidente Jole Santelli nell’affidare compiti di responsabilità a chi era rinviato a giudizio per diversi profili di corruzione. L’hanno nominato presidente del Consiglio regionale, per dire.

Parliamo di un politico che è sulla scena da 40 anni (a proposito del rinnovamento sempre professato e mai praticato) che esce dalle grinfie del vecchio Udeur e si ricicla, come molti altri, in Forza Italia. Le accuse raccontano che «in qualità di assessore regionale fino al 2014 e quindi candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del 2014, e successivamente quale consigliere regionale», Tallini «forniva un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione», si legge nell’ordinanza che ha portato all’arresto del presidente del Consiglio regionale. «In cambio del sostegno elettorale promesso ed attuato da parte del sodalizio», secondo l’accusa il politico di Forza Italia ha garantito alla cosca «le condizioni per l’avvio prima e l’effettivo esercizio poi dell’attività imprenditoriale della distribuzione all’ingrosso dei prodotti farmaceutici».

Tallini, è scritto sempre nell’ordinanza, è intervenuto per «agevolare e accelerare l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del Consorzio Farma Italia e della società Farmaeko Srl». Inoltre, «imponeva l’assunzione e l’ingresso, quale consigliere, del proprio figlio Giuseppe, così da contribuire all’evoluzione dell’attività imprenditoriale del Consorzio farmaceutico, fornendo il suo contributo, nonché le sue competenze e le sue conoscenze anche nel procacciamento di farmacie da consorziare». In tal modo, si legge ancora nell’ordinanza, «rafforzava la capacità operativa del sodalizio nel controllo di attività economiche sul territorio, incrementando la percezione delle capacità di condizionamento e correlativamente di intimidazione del sodalizio, accrescendo la capacità operativa e il prestigio sociale e criminale».

«Insomma… l’investimento è per voi… mica lo facciamo per noi… no? Fino a mo’ ci abbiamo solo rimesso…però nonostante tutto… anche gratis… Mi devi spiegare meglio com’è impostato tutto il ragionamento», diceva a Domenico Scozzafava, «un formidabile portatore di voti» per il politico di Forza Italia finito ai domiciliari, ma anche uno «’ndranghetista fino al midollo», secondo la magistratura.

Ora al di là del profilo processuale rimane però un punto sostanziale: vogliamo occuparci di mafie, mica solo in Calabria? Vogliamo che ritornino nell’agenda della politica? O si aspettano sempre gli arresti, sempre. Anche perché le mafie intanto in questa disperazione stanno prosperando come non mai. E sarebbe il caso di accorgersene prima che ce lo dica la magistratura.

Buon venerdì.

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Lo voglio! Lo voglio!

Il rito natalizio è l’esempio migliore. Lo voglio! Lo voglio! Gridano tutti quelli che sperano con bambinesca responsabilità di potere chiudere gli occhi e che tutto si cancelli. Il rito ancestrale di poter invitare chi si vuole nella propria abitazione per partecipare a un pantagruelico banchetto continua a ripetersi. Nessuno che parli di Natale per senso di responsabilità. Ma accade un po’ per tutto. Voglio andare al bar!, grida qualcuno, oppure voglio andare al cinema!, ma badate bene non è mai un discorso che questi fanno su base di dati, di numeri o di previsioni. Ieri qualcuno in commento a un mio pezzo scriveva: “non permetterò che mi stravolgono la vita questi al governo!”, come se il virus non esistesse, come se le decisioni consequenziali al virus fossero colpa di chi le prende, di chi stringe.

C’è in giro un’irresponsabilità che fa spavento e noi continuiamo a trattarla come se fosse davvero una posizione politica. Il presidente Fontana in Lombardia  chiede di passare in zona arancione perché i dati secondo lui dimostrano che in futuro potrebbe andare bene; ed è la stessa irresponsabilità del presidente del Piemonte Cirio che chiede più “libertà”, nonostante la sua regione abbia un indice di positività del 24,64% sui casi testati e un altissimo tasso di ospedalizzazione. Sono 5.150 i malati Covid ricoverati in ospedale in Piemonte, 384 quelli per cui è necessario ricorrere alla terapia intensiva. Secondo i dati di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in tutto il Piemonte i posti letto in rianimazione sono occupati al 61% da pazienti Covid, contro il 42% della media italiana. In area medica, invece, la percentuale sale al 92%, tra le più alte d’Italia.

L’intuizione di una certa parte politica (e di un folto gruppo di persone) è quella di recriminare come se il contesto non esistesse. Per questo molti negano il virus: facendo così possono almeno non apparire dei dissennati, se ci pensate. Non rendersi conto del contesto è un “liberi tutti” che torna comodo e utilissimo.

Diceva Marthin Luther King: «Nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa».

Eppure il “Lo voglio! Lo voglio!” continua a proliferare. Intanto solo il 24% degli italiani, in un sondaggio Ipsos, dichiara di volersi vaccinare subito.

A posto così.

Buon giovedì.

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Due, tre cose sul macabro balletto calabrese

Ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario della sanità per la Calabria senza incorrere in figuracce?

Tre commissari nel giro di dieci giorni. Roba da fantascienza di quart’ordine, sembra un filmato horror di quelli con il pomodoro visibilissimo al posto del sangue, solo che qui ci si gioca la salute di una regione intera come la Calabria e ci si gioca la credibilità di un governo, anche se lassù fanno finta di niente.

Siamo partiti con il prode Cotticelli, l’ex generale dei Carabinieri che è riuscito nella mirabile impresa di umiliarsi in televisione intervistato da un giornalista, quasi come un ladro beccato con le mani nel sacco. Ha cominciato a balbettare discorsi sconclusionati e poi si è accorto seduta stante di dover essere lui a occuparsi del piano Covid. Un servizio in cui la sua segretaria e l’usciere del palazzo sono apparsi come degli scienziati nei confronti di quel commissario (così lautamente pagato) che sembrava essere invece passato lì per caso. Cotticelli è riuscito a fare ancora di più: si è immolato poi ospite da Giletti dicendo che era «in uno stato confusionale», forse era stato drogato e di non riconoscersi più. Uno schifo.

Poi arriva Zuccatelli. Una nomina lampo, non c’è che dire: giusto il tempo di essere nominato (ovviamente come “grande professionista” con la solita liturgia che accompagna ogni nomina politica, anche quando si tratta di amici di partito). Parte forte Zuccatelli, perfino Nicola Fratoianni di Leu ne contesta la nomina. Basta qualche minuto e ecco Zuccatelli in un bel video in cui ci dice che le mascherine «non servono a un cazzo» e che per ammalarci dobbiamo baciarci per almeno 15 minuti. Caos, figuraccia. Arriva il ministro Speranza che dice che Zuccatelli non si può giudicare da un video e che la sua esperienza è fuori discussione. Quindi uno pensa che rimarrà al suo posto. E invece si dimette e ci dice che gliel’ha chiesto Speranza. Quindi? C’è qualcosa di più di quel video che non sappiamo? Boh, niente di niente.

Infine in pompa magna viene nominato Eugenio Gaudio, che intanto ha a che fare con un’indagine della Procura di Catania probabilmente presto archiviata, e qualcuno dal governo parla di tandem con Gino Strada. Gino Strada li sbugiarda dicendo che non esiste alcun tandem. Ieri Gaudio ci dice che non può accettare perché, dice proprio così, sua moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro. Ieri pomeriggio a Tagadà il ministro Boccia dice addirittura che non vero che il governo l’aveva nominato, che ci stava pensando, poi ci ripensa, balbetta che il ruolo del commissario straordinario per la sanità non sia un ruolo “importante”, poi ci ripensa, poi esce una nota stampa in cui si scopre che Gaudio si è dimesso senza nemmeno confrontarsi con il ministro Speranza. Niente di niente. Finisce così. Che poi Gaudio abbia accettato un ruolo così delicato senza avvisare a casa è una roba che farebbe ridere, se non facesse piangere.

A questo punto la domanda è una secca: ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario per la Calabria senza incorrere in figuracce? E poi: il governo si rende conto della delicatezza del ruolo soprattutto in questo momento? E poi: ma c’è qualcosa che non sappiamo?

Sullo sfondo, agitato come una reliquia, quel grande uomo che è Gino Strada e Emergency.

Che pena.

Buon mercoledì.

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San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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Ve lo buco, ‘sto Natale

Che Paese straordinario che siamo. Ci dicono che non è il tempo di riflettere sugli errori compiuti (e guardate che trattandosi di sanità sono sopratutto delle regioni) perché vorrebbe dire mortificare i morti, ci propinano virologi che dicono cose opposte sui media, virologi assolutamente incauti nella comunicazione (per dirla in modo buono), ci fanno ascoltare le canzoni di quella diventata famosa perché in spiaggia disse che non ce n’è di Coviddi e intanto tutta la discussione si concentra sul Natale.

Badate bene: non si concentra sul Natale per il valore eventualmente religioso, ci si concentra sul fatto che il Natale forse sì o forse no lo possiamo passare con i parenti. E intanto muoiono 600 persone al giorno quasi. E il cenone di Natale occupa tutte le conversazioni. Che poi non hanno nemmeno il coraggio di dirci che il tema non è mica il Natale, no, no, figurati, non hanno mica il coraggio di dirci che devono lasciare una parentesi per i consumi, che vorrebbero trovare la formula algebrica per farci uscire solo giusto il tempo per riempire il carrello che non sia mai che si rimane fuori solo al costo di uno spritz, no, no, ci vogliono fare intendere che la preoccupazione sia tutta sentimentale come in una brutta sit-com sentimentale ce la buttano su parentele. Che poi anche sulle parentele ci sarebbe da discutere, poiché noi siamo un Paese in cui i congiunti sentimentali sono quelli certificati, decine di parenti ma guai a voler vedere qualcuno a cui confessiamo tutti i nostri peccati da anni ma che ha la sfortuna di non essere descritto da un Decreto.

Intanto c’è chi strappa uno stipendio da fame, se ci riesce, c’è chi si ammala e non riesce a farsi curare e c’è chi muore. Mentre si parla di Natale senza avere il coraggio di fare un cenno all’economia. Una lunga, interminabile, paternale. Che strano Paese che siamo, che Paese incredibile: il presidente del consiglio introduce il Natale con una lettera improponibile di un bambino e ieri un giornalista del Corriere della Sera parla addirittura di “dittatura”, scrive proprio così Pierluigi Battista e chi gli risponde su Twitter? Il portavoce di Conte che per certificare l’esistenza del bambino posta un video di Barbara D’Urso.

E lì ho pensato che tutto era compiuto, che il cerchio si era chiuso, che stiamo a posto così. Mentre De Luca in sottofondo chiede un giorno “tutto chiuso” e il giorno dopo “tutto aperto”. In attesa del Natale. Buona fortuna a noi.

Buon lunedì.

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Aveva 6 mesi, avete dormito?

Aveva sei mesi. A sei mesi hai una vita davanti, dopo il mare e a sei mesi sei anche ghiotto per farci un articolo di giornale. Ma il naufragio avvenuto l’altro ieri a circa 30 miglia a nord delle coste libiche di Sabratha ha fatto “poca” notizia. Sono subito diventati numeri. Accade così: se non ci sono corpi da fotografare e cadaveri tra i bagnanti la notizia scuote poco poco, interessa agli addetti del settore, dicono così. A proposito che sanno “gli addetti del settore” di 6 persone morte tra cui un bambino di sei mesi? Chi sono gli “addetti del settore”? Le persone, mica solo quelle di buone volontà, la morte di un bambino annegato è un peso anche per le persone di cattiva volontà, gli auguro di sentirlo, gli auguro di non riuscire a disfarsene appena farà capolino.

Si chiamava Joseph e veniva dalla Guinea. Una volta scriverne il nome almeno faceva un certo effetto. Ora nemmeno quello. Scivolano anche i nomi, scivolano le storie, scivola tutto in fondo al mare. Joseph era con più di 100 persone su un gommone stracarico, talmente stracarico, che ha ceduto il pianale. Un abisso che si apre sotto il pavimento. Visto da un aereo di Frontex sono stati salvati dalla nave di Open Arms, le Ong cattive, quelle che l’altro ieri ne hanno salvati 111 che stavano aggrappati ai galleggianti come ci si aggrappa al ciglio di un burrone, con quella paura che è talmente densa da diventare puzza. Voi le avete mai sentite le persone quando puzzano per la paura? È un odore rancido che non si riesce a staccare di dosso.

Articoli su articoli, editoriali su editoriali sui processi (giusti) a un ex ministro che ha lasciato persone a bordo di una nave militare italiana e chi processa chi per un bambino di 6 mesi rinsecchito dal mare? Chi è il colpevole? Chi sono i colpevoli? Dov’è la giusta indignazione? Perché si continua a morire ma non si continua più a raccontare con la stessa virulenza di prima? È una cosa che non mi fa dormire la notte.

A proposito: voi che avete responsabilità sul Mediterraneo e che lasciate intoccabile l’inferno libico avete dormito in queste ultime due notti? Vi siete riposati tra i guanciali del virus che ammorba anche tutto il resto rendendo soffici le tragedie? Siete soddisfatti che sia passato il cattivismo solo perché è cambiata l’aria? Perché il mare continua a uccidere. Annega e se li mangia. E uccide.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

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Sardegna e discoteche dappertutto

Non è un caso da poco quello aperto dalla Procura della Repubblica di Cagliari per epidemia colposa e per altri reati sul Ferragosto vacanziero sardo in cui le discoteche sono rimaste bellamente aperte mentre già arrivavano i primi preoccupanti numeri del virus.

La vicenda intanto. Tutto nasce da un’inchiesta della trasmissione televisiva Report che intervista due consiglieri regionali della maggioranza (nomi di peso: Angelo Cocciu è capogruppo di Forza Italia, Giovanni Satta vicecapogruppo del Partito Sardo d’Azione) mentre confessano «pressioni da parte degli imprenditori del settore». L’ordinanza del presidente della Sardegna Solinas risale all’11 agosto sulla base del parere del Comitato tecnico scientifico regionale. Almeno così dice Solinas. Il parere del Comitato però sembra impossibile da vedere, da leggere e da controllare. «Se c’è – ha intimato Emiliano Deiana, presidente regionale dell’Anci – lo tirino fuori subito. Se non c’è, vuol dire che i soldi di pochi hanno contato più della salute di tutti i sardi». Fonti investigative fanno intendere che forse quel parere sia stato semplicemente “verbale”. Tipo un consiglio al telefono, siamo a questi livelli qui.

Una cosa è certa: quell’ordinanza permise alle discoteche più in voga (come Billionaire, Phi Beach, Just Cavalli, Country Club e Sottovento) di ammassare un bel tot di gente tutti festanti e senza mascherina procurando uno dei più grossi cluster di quei mesi. Tanto per avere un’idea dei numeri: solo nel Lazio sono stati intercettati più di 1200 positivi di rientro dalla Sardegna. 1200.

Solo che la Sardegna e le discoteche sono dappertutto, in tutta Italia, in aperture che sono rimaste aperte (e che sono ancora aperte) e che poiché non hanno nomi e volti noti magari non vengono raccontati e investigati. Non so se avete notato che dalla narrazione generale sembra ad esempio che siano spariti magicamente tutti gli infettati in fabbrica, sui posti di lavoro, negli ospedali (solo negli ospedali di Milano San Carlo e San Paolo nelle prime 3 settimane di ottobre, badate bene, c’erano 80 lavoratori contagiati). Tutto sparito. Si fanno pulci alle scuole (giustamente) ma l’attività produttiva, quella che non si potè toccare nella bergamasca nella prima ondata, continua imperterrita a non esistere. E chissà quante centinaia di inchieste andrebbero aperte. Magari anche senza bisogno del giornalismo investigativo.

Il crinale su salute e lavoro è quello su cui camminiamo in questo tempo buio.

Buon giovedì.

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Kamala Harris e la Palestina

Ci sono, tra le dichiarazioni della vicepresidente degli Usa, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi

Sì, certo, ci sono anche le ombre. Due giorni fa nel mio #Buongiorno mi permettevo di sottolineare come fosse un vento buono quello che ha portato alla vicepresidenza degli Usa una donna che ha una visione dei diritti completamente lontana da quella dei diritti negati secondo Donald Trump. E il dibattito si è infiammato: qualcuno giustamente fa notare a noi di Left che Kamala Harris è troppo poco progressista poiché molto vicina, anzi vicinissima a Hillary Clinton (come se una vittoria, ai tempi, di Hillary Clinton su Donald Trump non sarebbe stata comunque una buona notizia rispetto a quello che abbiamo vissuto), qualcuno sottolinea i diversi errori (e qualche omissione) di Kamala Harris nel suo ruolo di procuratrice (i 1.500 arrestati per reati legati al fumo di marjuana, ad esempio, oppure la proposta di mettere in prigione i genitori di bambini che registravano un elevato tasso di assenze scolastiche). Ed è tutto vero, verissimo. Vero anche che Kamala Harris sia parte integrante dell’establishment democratico. Mi permetto di credere però che se esponenti molto progressiste femministe vedono nella sua elezione un ulteriore passo in avanti verso la caduta del tetto di cristallo ci saranno delle buone ragioni.

È estremamente preoccupante anche la posizione di Kamala Harris sulla questione palestinese, con la Palestina che ancora una volta non vede una gran luce dalle elezioni americane (Israele è corso subito alla corte di Biden). Ci sono, tra le dichiarazioni di Kamala Harris, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi.

«L’ultima raffica di attacchi missilistici da Gaza contro israeliani innocenti non può essere tollerata: Israele ha il diritto di difendersi da questi orribili attacchi. Mi unisco agli altri nell’esortare contro un’ulteriore escalation», ha detto a JewishInsider il 15 novembre 2019. Sul fatto che Israele soddisfi o meno gli standard dei diritti umani: «Nel complesso, sì» ha detto al New York Times, 19 giugno 2019. E poi: «Per questo motivo sostengo fortemente l’assistenza alla sicurezza dell’America a Israele e mi impegno a rafforzare il rapporto americano di sicurezza e difesa israeliana… Credo che quando una qualsiasi organizzazione delegittima Israele, dobbiamo alzarci in piedi e parlare apertamente contro di essa. Israele deve essere trattato allo stesso modo, ed è per questo che la prima risoluzione che ho co-sponsorizzato come senatore degli Stati Uniti è stata quella di combattere i pregiudizi anti-israeliani alle Nazioni Unite e di affermare e riaffermare che gli Stati Uniti cercano una soluzione giusta, sicura e sostenibile per due Stati» (intervento al Comitato ebraico americano, 3 giugno 2019).

Le debolissime politiche di Biden sui diritti dei palestinesi sembrano avere trovato un ottimo appiglio in Kamala Harris. Purtroppo per noi e purtroppo per tutti quelli che tengono alla situazione mediorientale. Sarà un’altra presidenza americana dura dalle parti di Gaza, senza dubbio. E su questo ci sarà da lottare.

Poi, mi sia concesso, il profumo dell’assenza di Trump è una vittoria politica. Una vittoria breve? Può essere. Noi siamo qui proprio per questo, per osservare e informare, osservare e informare, osservare e informare.

Buon mercoledì.

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