Vai al contenuto

buono lavoro

«Non possiamo dire mai di no e metà del lavoro resta al nero»: una vita appesa al voucher

(di Ignazio Riccio)

Il nuovo volto del precariato ha paura a raccontarsi. Quella dei “voucheristi” è una realtà ancora inesplorata: tutti ne parlano, ma pochi li conoscono di persona. Hanno bisogno estremo di lavorare e temono di essere estromessi dal giro perverso dei “buoni lavoro”. Andrea (il nome è di fantasia) ci ha messo un po’ di tempo prima di accettare di rispondere alle nostre domande. «Vi parlo della mia vicenda, ma niente registrazione e soprattutto nessun nome o riferimento all’azienda. Mi scusi, ma meglio sfruttato che disoccupato» dice. Andrea, che abita nella periferia del Napoletano, ha trentacinque anni, una moglie, un figlio piccolo e un lungo mutuo sulle spalle. Lavora come cameriere in un importante albergo di Napoli, apparentemente con gli stessi ritmi e mansioni dei suoi colleghi con contratti di subordinazione. Ma lui è pagato con i voucher e formalmente “imprenditore di se stesso”. «Non abbiamo alcuna tutela e se perdo il posto di lavoro non saprei come vivere».

Il suo datore di lavoro è proprietario di più strutture ricettive e utilizza i voucheristi a seconda delle esigenze del momento. «Ci fa girare come trottole, per riempire i buchi lavorativi e ci chiama quando serviamo. A volte veniamo avvisati anche la sera prima per la mattina dopo e dobbiamo essere sempre disponibili, altrimenti non veniamo più reclutati». Basta un no e sei fuori dal giro. Andrea parla al plurale: nelle sue condizioni ci sono altri precari. «Non so quanti colleghi vengono pagati con i voucher, non possiamo saperlo, ma con qualcuno di loro ho fatto amicizia e parliamo. Conosco altre persone che, addirittura, vengono utilizzate da datori di lavoro diversi, d’accordo tra loro, per coprire alcuni turni. Un modo perverso di solidarizzare tra imprenditori, sfruttando le necessità dei lavoratori, disposti a tutto pur di portare soldi a casa. E quando dico disposti a tutto mi riferisco a pratiche ancora più gravi».

Andrea rivela le modalità di pagamento. «Spesso i voucher non coprono effettivamente le ore di lavoro effettuate e veniamo pagati anche in nero. I buoni lavoro servono da copertura in caso di controlli». Il voucher è utilizzato come strumento di immersione. Con questo sistema è più facile frodare lo Stato rispetto al passato, pagando il lavoratore in parte con i buoni e in parte in nero. Di contro, nonostante alcuni i accorgimenti adottati dal governo lo scorso mese di ottobre, non esiste tracciabilità, per cui anche gli ispettori Inps hanno difficoltà a far emergere le irregolarità. «Non credo di esagerare dicendo che siamo schiavizzati. Pensi che se per stanchezza commettiamo un errore e procuriamo un danno economico i soldi ci vengono scalati dalla paga. Poche sere fa, nel portare l’immondizia all’ingresso dell’albergo, ho fatto cadere la busta sul tappeto sporcandolo in diversi punti. Sa cosa mi tocca?». Ad Andrea verrà sottratto il costo della lavanderia dai voucher e lui non potrà dire nulla, ingoierà il rospo come sempre, poiché a casa ci sono suo figlio e sua moglie.

(la storia è sul numero di Left in edicola, o in digitale qui)