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Calabria

Cosca Bellocco e sindaco, vicesindaco incluso

Rilascio di licenze e autorizzazioni per negozi nella disponibilità della cosca Bellocco. Con l’accusa di concorso esterno alla ‘Ndrangheta è finito agli arresti domiciliari il sindaco di San Ferdinando (Reggio Calabria) Domenico Madafferi, che due anni fa aveva aderito al Pd. I carabinieri, su ordine della Dda, hanno fermato anche il vice sindaco Santo Celi, espressione di una lista civica, ed un consigliere comunale di minoranza, Giovanni Pantano della lista civica Futuro migliore e tra i fondatori del meet up del Movimento 5 Stelle di San Ferdinando.

Lo scorso anno i carabinieri avevano arrestato il comandante ed un agente della polizia municipale di San Ferdinando perché avrebbero agevolato la cosca Bellocco nell’intestazione fittizia di un bar. Ventisei i decreti di fermo emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria a carico di appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta dei Bellocco operativa a San Ferdinando, centro sulla costa tirrenica reggina. Le accuse, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni, danneggiamenti, intimidazioni. Sequestrate anche aziende tra le quali ristoranti, negozi e attività imprenditoriali.

Madafferi è l’amministratore che nei mesi scorsi si era reso molto attivo nella protesta contro l’arrivo delle armi chimiche siriane al porto di Gioia Tauro. Aveva organizzato incontri sul territorio, insieme agli altri amministratori locali e ai cittadini, lamentando lo scarso coinvolgimento delle amministrazioni nelle operazioni di trasbordo avvenute a luglio sulla banchina del porto che ricade nel suo comune. Madafferi è stato molto attivo anche nell’ambito delle politiche favorevoli ai migranti impegnati nella stagione della raccolta di agrumi, proprio questa mattina è previsto lo smantellamento della tendopoli allestita a San Ferdinando in un’attività coordinata dalla Prefettura di Reggio Calabria.

(fonte)

La società incivile

Già, la legge è uguale per tutti. Il procuratore l’ha ripetuto più volte durante la conferenza stampa che si è tenuta stamattina al centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. «Se in un’inchiesta emergono gli invisibili, questi avranno lo stesso trattamento di tutti gli altri». Così è finito nella rete l’ex ministro Claudio Scajola. «Fa impressione il fatto che una persona, in passato con ruoli di vertici nello Stato, si occupi di un condannato per reati di mafia. Queste condotte hanno delle ripercussioni sulla cittadinanza, che non sa più di chi fidarsi. Il cittadino nel momento in cui esprime il proprio voto cerca rappresentanti che curino l’interesse generale. Invece capita di scontrarsi con una realtà ben diversa: i principi etici non sono rispettati da tutti. Il che ha delle conseguenza sulla credibilità dello Stato. Il nostro compito è dare segnali di certezza. Evitare, cioè, la confusione tra bene e male, tra legale e illegale. Una commistione che in questa città è molto forte. Abbiamo un dovere di responsabilità soprattutto nei confronti di quanti per lo Stato hanno dato la vita. Il rispetto delle leggi deve affiancarsi al valore dei comportamenti etici».

Il procuratore De Raho è approdato a Reggio Calabria dopo tantissimi anni nella trincea napoletana a combattere il Clan dei Casalesi. Mentre i boss di Gomorra stanno pagando a caro presso i loro crimini. Non è lo stesso in Calabria. «Qui nulla è cambiato. Le cose sono rimaste le stesse nonostante i processi e le condanne. Le cosche che dominavano un tempo sono sovrane ancora oggi. Il motivo è da ricercare in quella rete segreta che ha permesso alla ‘ndrangheta di crescere e di indossare gli abiti dei professionisti». Insomma, le complicità della «società incivile» – così il procuratore ha definito gli insospettabili al servizio dei clan – sono la vera forza della mafia calabrese.

Giovanni Tizian per L’Espresso.

La prima pagina sparita

Volevano farla sparire e ora ne parlano tutti. Geni.

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«Il cinghiale quando viene ferito ammazza tutti… ». Se pensavano di convincerlo con quella metafora minacciosa urlata in piena notte al telefono prima dell’improvviso guasto alle rotative hanno fatto male i loro conti. Perché il “cinghiale” non solo non ha fermato la notizia ma è diventato anche il titolo dell’editoriale del giorno dopo: “La censura e l’era del cinghiale”.

Luciano Regolo, giornalista calabrese tornato nella sua terra da due mesi per dirigere il quotidiano “L’ora della Calabria”, quella censura praticata con le maniere forti da “amici” del senatore Antonio Gentile, uno degli aspiranti alle poltrone di sottosegretario per l’Ncd di Angelino Alfano, non ha nessuna intenzione di subirla.

«Intanto, quella prima pagina del giornale che sono riusciti a bloccare martedì, è uscita regolarmente il giorno dopo. E se volevano farci tacere sullo scandalo dell’Asp che coinvolge il figlio del senatore Gentile hanno ottenuto l’effetto opposto: abbiamo tenuto una conferenza stampa visibile a tutti sul nostro sito e sono pronto ad andare in Procura con registrazioni e documenti. Quella che ci è capitata è davvero una brutta storia e, soprattutto in una terra come la Calabria, la paura genera paralisi. Per questo spero davvero che la Procura mi chiami».

Direttore, cosa vuole denunciare?
«Minacce e un tentativo di censura, respinte al mittente, che sono sfociati nel “provvidenziale” guasto alle rotative che ha impedito martedì l’uscita del mio giornale. Per evitare la pubblicazione di una notizia che avrebbe dato fastidio alla famiglia del senatore Gentile: il coinvolgimento di suo figlio Andrea in un’inchiesta sul direttore generale dell’Asp di Cosenza, Gianfranco Scarpelli, fedelissimo di Gentile, interdetto dai pubblici uffici per aver distribuito, evidentemente in maniera illegittima, incarichi legali per 900.000 euro».

Chi le ha chiesto di non pubblicare questa storia?
«Prima il mio editore, Alfredo Citrigno. Un giovane editore, 30enne, che in due mesi di direzione non ha mai operato alcuna forma di condizionamento nei miei confronti. Era preoccupato, mi ha chiesto se dovevamo pubblicare “per forza” quell’articolo, se avessimo tutte le prove, diceva che nessun altro sito l’aveva pubblicata. Eravamo insieme in macchina quando ha ricevuto una chiamata al cellulare da parte dello stampatore, Umberto De Rose.

Il telefono era in viva voce e ho sentito tutto. Ponendosi come “mediatore” della famiglia Gentile ha cominciato a pretendere che il pezzo non uscisse. “Chiama sto Regolo e ferma tutto. Vedi che Tonino Gentile può diventare sottosegretario alla Giustizia e se vede che solo tu pubblichi questa notizia qualche danno te lo fa. Il cinghiale quando viene ferito ammazza tutti…».

E lei ha resistito.
«Certo, ci mancherebbe. Ho salutato l’editore dicendo che non avrei toccato nulla. Poi alle due di notte lo stampatore ha chiamato in redazione dicendo che c’era un guasto alla rotativa e il giornale non sarebbe uscito».

E gli altri? Qualcun altro ha pubblicato questa notizia?
«Solo il sito de “Il Corriere della Calabria”. Il “Quotidiano” non ha pubblicato nulla e la Gazzetta del Sud ha dedicato ad Andrea Gentile solo un passaggio sfumato. D’altronde lo stampatore diceva che Gentile “aveva avuto la certezza al cento per cento che nessuno sarebbe uscito”».

Lo stampatore nega, Gentile si dice totalmente estraneo al tentativo di censura e minaccia querele.
«Ripeto, spero che mi chiamino in Procura. Ho tutte le prove. È un’azione intollerabile in un paese libero. E credo che un senatore dovrebbe difendere la libertà di stampa. O no?».

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‘Ndrangheta in Lombardia: operazione “Ulisse”. Facciamo il punto.

L’omertà

Il dato sconfortante che emerge dallo sviluppo delle inchieste Infinito e Crimine, e che ha portato oggi all’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare volte a smantellare le cosche di ‘ndrangheta radicate tra Milano e Monza, è sempre lo stesso: l’omertà degli imprenditori vittime di estorsione e usura. Piuttosto a dare un contributo fondamentale alle indagini, da quanto trapela da ambienti investigativi, è arrivato da un nuovo pentito. Si tratta di Michael Panaija, 37enne arrestato l’11 aprile 2011 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Carmelo Novella, il capo della “Provincia” lombarda (l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta in Lombardia) ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona perché voleva la scissione dalle cosche calabresi. A farne il nome come uno dei presunti esecutori era stato il collaboratore di giustizia Antonino Belnome. Era stato lui a snocciolare il suo e i nomi di altre 18 persone arrestate nel 2011 perché avrebbero avuto un ruolo – come mandanti, come esecutori, come fiancheggiatori, o come basisti – nell’omicidio Novella e in altri tre omicidi commessi nell’ambito delle guerre interne alla ‘ndrangheta per il predominio sul territorio e come ritorsione per i fatti di sangue. Si tratta dell’omicidio di Rocco Cristello, avvenuto il 27 marzo 2008 a Verano Brianza; di quello di Antonio Tedesco, ucciso il 27 aprile 2009 a Bregano, il cui corpo è stato trovato mummificato sotto due metri di calce e terra in un maneggio (è stato riconosciuto da una catena d’oro) ; e di quello di Rocco Stagno, fratello del più potente Antonio Stagno, avvenuto il 29 marzo 2010 in un cascinale a Bernate Ticino, il cui cadavere invece non è ancora stato trovato. Ora Panaija risulta aver svelato dettagli sulla reazione delle cosche lombarde dopo il maxi blitz che a Milano, nel luglio 2010, aveva portato all’arresto di oltre 170 persone, 110 delle quali già condannate con rito abbreviato. Le cosche di Giussano e Seregno avrebbero proseguito sia i traffici di droga, sia le estorsioni e lo strozzinaggio di piccoli imprenditori locali, soprattutto di origine calabrese. Oggi in manette sono finiti Ulisse Panetta, il presunto boss proprio della locale di Giussano, e alcuni appartenenti alle famiglie Cristello e Corigliano. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena. Le ordinanze sono firmate dal gip Andrea Ghinetti.

Le estorsioni e i nomi

Le accuse per i 37 indagati arrestati stamani dai carabinieri del Ros a Milano e provincia sono di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), usura ed estorsione, aggravati dalle finalita’ mafiose. I provvedimenti di custodia cautelare scaturiscono da diversi filoni investigativi avviati dal Ros a seguito dell’indagine ‘Crimine’ che ha portato nell’aprile 2011 all’arresto di 11 affiliati alle ‘ndrine di Seregno e Giussano. Tra questi c’erano anche gli autori dell’omicidio di Rocco Cristello, Carmelo Novella, Antonio Tedesco e Rocco Stagno, tutti commessi in Lombardia tra il 2008 e il 2010 nell’ambito delle faide tra le cosche Gallace e Novella di Guardavalle (Catanzaro). Le indagini hanno svelato le attivita’ delle cosche al Nord: traffico di droga, usura ed estorsioni. Numerosi gli episodi di questo tipo raccolti dai militari. A partire dal 2007, quando le vittime dell’estorsione furono i titolari della concessionaria di auto ‘Selagip 2000′ di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l’esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E’ del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalita’ intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffre’, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

Il ruolo di Ulisse Panetta a Giussano

Dall’agosto 2010, in seguito al maxi blitz delle operazioni Infinito e Crimine che il mese prima avevano portato all’arresto di circa 300 persone in Lombardia e in Calabria, è Ulisse Panetta ad assumere il comando dell’associazione mafiosa facente capo alla locale di Giussano in qualità di vice di Michael Panaija, arrestato l’11 aprile 2011. Lo scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza di arresto che oggi ha colpito lo stesso Panetta e altre 36 persone. Dall’agosto 2010, si riassume nel capo di imputazione, Panetta fa carriera. Già “in possesso della dote del vangelo, dapprima ‘contabile’ e ‘mastro di giornata’, quindi, dopo l’arresto di Belnome, ‘capo società’, diventa il “capo e organizzatore” della locale di Giussano. Di conseguenza, “sovrintende alla gestione dell’armamento in dotazione della locale, comprensivo di armi corte, lunghe, esplosivo e munizionamento, parte del quale è stato a lui sequestrato nel febbraio 2012, alla scelta del luogo di occultamento ed alla individuazione delle persone deputate di volta in volta a servirsene. Mantiene i contatti con gli esponenti delle famiglie di riferimento in Calabria, mandando e ricevendo ‘ambasciate’. Provvede a mantenere i contatti con le famiglie degli arrestati della locale sia a seguito degli arresti del luglio 2010, sia di quelli dell’aprile 2011. Partecipa ai summit sopra indicati nel corso dei quali vengono conferiti a lui stesso e ad altri doti e cariche. Partecipa alla pianificazione delle attività criminali della locale percependone anche parte dei proventi”. Antonino Belnome è il pentito che per primo ha fatto luce sull’omicidio di Carmelo Novella, ex capo della “Lombardia”, l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta nella regione.

Il bunker

Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata. Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell’ordine, identico a quelli di ‘ndranghetisti latitanti dell’Aspromonte. La novita’ e’ che il nascondiglio si trovava nel profondo Nord, a Giussano, piccolo comune della Brianza. Per la precisione in via Boito 23, dove il boss Antonio Stagno, di 44 anni, originario di Giussano e attualmente detenuto nel carcere di Opera per altri motivi, aveva la sua residenza. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando – ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci – come quelli che siamo soliti trovare in realta’ come San Luca o Plati’. Per gli investigatori e’ un dato molto importante perche’ dimostra l’ulteriore passo in avanti della ‘ndrangheta al Nord, ormai cosi’ a proprio agio da esportare tecniche ritenute esclusiva delle zone d’origine. Il procuratore aggiunto del Tribunale di Milano, Ilda Boccassini, ha aggiunto che questo e’ momento di cambiamento per le ‘ndrine, con i giovani che stanno prendendo il posto degli ”anziani”. Nonostante cio’, pero’, resistono le tradizioni come quella dei bunker, di cui i calabresi sono considerati esperti costruttori.

Le minacce: i coltelli al ristorante

Rocco mi punto’ contro anche un coltello, il coltello da tavola del ristorante”. Cosi’ una delle ‘vittime’ delle estorsioni messe in atto dalle cosche della ‘ndrangheta di Giussano e Seregno, in Brianza, smantellate oggi con l’operazione ‘Ulisse’ condotta dai carabinieri del Ros, ha raccontato agli inquirenti della Dda di Milano l’ ‘umiliazione’ che subi’ quando nella sala di un locale venne preso anche a ”pugni e schiaffi al volto da parte di quasi tutti i commensali”, tra cui il presunto boss del clan di Seregno, Rocco Cristello, uno dei 37 arrestati. Nelle oltre 230 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, viene riportato anche il ‘capitolo’ della ”estorsione nei confronti di Gioffre’ Roberto”, ovvero le ”modalita’ estorsive attraverso le quali i due maggiori esponenti della locale di Seregno, ovvero Cristello Rocco e Formica Claudio (rispettivamente capo locale e capo societa’) si ‘appropriarono’ del locale chiamato ‘Casino’ Royale’ di Paina di Giussano, piu’ volte emerso nell’indagine ‘Infinito’ come luogo abituale di appuntamento degli affiliati”. La ‘vittima’ dell’estorsione, l’imprenditore Roberto Gioffre’, ha spiegato nella sua denuncia e nelle sommarie informazioni ai pm di aver dovuto incontrare nel 2009 in un ristorante di Seregno i presunti boss per cercare di ‘resistere’ alle vessazioni. ”Gioffre’ – scrive il gip Andrea Ghinetti – si reco’ all’appuntamento accompagnato dal fratello Francesco, consigliere comunale a Seregno”.

Appena entrati nel locale, Gioffre’ venne aggredito da Rocco Cristello che gli grido’: ”tu sei un pezzo di m…”. L’imprenditore disse agli uomini del clan che non avrebbe consegnato i ”50 mila euro” richiesti e per tutta risposta venne preso a ”pugni e schiaffi” al tavolo del ristorante. Poi il coltello puntato contro che fece reagire il fratello di Gioffre’, consigliere comunale. Cristello Rocco a quel punto, ha raccontato Gioffre’, ”lancio’ un’occhiata eloquente a mio fratello dicendogli ‘Franco, fatti i cazzi tuoi’, frase che fece desistere mio fratello”. L’importo totale ”di denaro” estorto a Gioffre’, sintetizza il gip, ”ammonta a 70 mila euro”. E’ questo l’unico dei 4 episodi di usura ed estorsione riportati nell’ordinanza nel quale la ‘vittima’ ha denunciato le vessazioni subite dai clan della ‘ndrangheta. Negli altri casi, invece, come si legge nell’ordinanza, gli imprenditori si limitavano al massimo a pronunciare al telefono, intercettati, frasi come ”mi hanno condannato a morte mi hanno detto (…) sono un morto che cammina”. Uno dei pentiti ‘chiave’ delle indagini di ‘ndrangheta degli ultimi mesi in Lombardia, Antonino Belnome, ha spiegato a verbale ai pm della Dda di Milano che ”la scelta delle persone da sottoporre ad estorsione nel territorio lombardo ricadeva quasi sempre (…) su imprenditori di origine calabrese in quanto maggiormente inclini per mentalita’ a sottostare alle richieste estorsive senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Non solo, spiega ancora il gip riportando le parole di Belnome, ”le vittime, di solito e per risalente consuetudine, si rivolgono ad esponenti della criminalita’ organizzata del paese d’origine perche’ svolgano un ruolo di mediazione (e non gratis, ovviamente)”.

Il politico che nega

Francesco Gioffre’, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento ”vicino alla connivenza”, tento’ ”di minimizzare” con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della ‘ndrangheta dei Cristello. Lo scrive il gip di Milano, Andrea Ghinetti, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 37 persone, eseguita oggi da carabinieri del Ros e del comando provinciale. ”Un discorso a parte – scrive il gip – meritano le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, opaco fratello della vittima ed unica ‘voce fuori dal coro’ il quale, sentito a s. i.t. (sommarie informazioni testimoniali, ndr) il 26 aprile 2011, pur ammettendo di conoscere i fratelli Rocco e Francesco Cristello (che sostiene di avere aiutato per una pratica presso il comune nel quale egli stesso e’ consigliere comunale), ha tentato in ogni modo di minimizzare la portata dei fatti giungendo quasi a prendere le difese dei Cristello, sino al punto di dirsi estremamente stupito nell’apprendere la notizia del loro arresto del luglio del 2010”, nell’ambito del maxi-blitz ‘Infinito’. ”E’ di tutta evidenza – si legge ancora nell’ordinanza – alla luce delle risultanze investigative sopra esposte, che le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, nella parte in cui contrastano con quelle del fratello Roberto, non possono ritenersi credibili ma debbono al contrario essere inquadrate nel medesimo clima di intimidazione del quale e’ stato vittima anche Roberto Gioffre’, che ha evidentemente portato i due fratelli a reagire in modo diametralmente opposto”. Mentre uno dei due fratelli Roberto ”ha scelto di denunciare i fatti con rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per se’ e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all’estero, il politico locale Gioffre’ Francesco ha fatto una scelta diversa, vicino alla connivenza, piu’ in linea con quella gia’ riscontrata in altri casi oggetto della presente misura cautelare”

 

Il magistrato che doveva fare il mafioso

La telefonata tra il gip di Palmi Giancarlo Giusti e il capocosca Giulio Lampada. I due parlano dell’idea di coinviolgere anche il giudice Vincenzo Giglio nei viaggetti a Milano con escort a disposizione. E Giusti si lascia andare…

LAMPADA (riferendosi al magistrato Vincenzo Giglio): “…Del nostro Presidente, dobbiamo dire!!… Il Presidente delle misure di prevenzione di tutta Reggio Calabria! Sai che dobbiamo fare?…..”
GIUSTI: “… che facciamo, che facciamo??
LAMPADA: “lo convochiamo qualche giorno su a Milano e lo invitiamo… come la vedi tu?”
GIUSTI: “… minchia!! guarda!! dobbiamo parlarne col medico!!!.”..(ride)…
LAMPADA: non dirgli nulla che ti ho detto che è un mese che non ci sentiamo!
GIUSTI: “… tu ancora non hai capito chi sono io… sono una tomba, peggio di.. ma io dovevo fare il mafioso, non il Giudice… però l’idea di portarci il Presidente a Milano non è male, sai?!… Lo vorrei vedere di fronte ad una stoccona!!”

Due foto nel portafoglio: come si latita in Lombardia. Domenico Papalia e Antonio Perre

da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre
da sinistra Domenico Papalia e Antonio Perre

Guardate bene questa foto. Tenetela nel portafoglio. Mettetela tra le memoranda insieme alle chiavi, l’abbonamento e l’accendino: sono Domenico Papalia e Antonio Perre, due arresti mancati e mancanti dell’ultima operazione PARCO SUD.

Domenico potrebbe essere la “mente” della ‘ndrangheta pelosa in Lombardia, nonostante quel suo sguardo sgarruppato da guappo di periferia. Sentiva il fiato sul collo degli uomini della Dia di Milano e aveva pensato bene già da qualche giorno di sommergersi come gli hanno insegnato bene i suoi tutori criminali di San Luca, di cui è originiaria anche la sua giovane moglie oggi “vedova” da latitanza.

Antonio Perre detto Toto ‘u cainu è sfuggito per un pelo cavalcando veloce la sua auto al galoppo, latitante per una manciata di secondi con la forma di un Sancho Panza in fuga al trotto dal box sotto casa.

Sono partiti dai campi duri della Calabria per arrivare fino ad una luccicante agenzia immobiliare nella milanesissima via Montenapoleone, la “Kreiamo”.

Hanno le facce nere degli aspiranti boss, hanno fiancheggiatori tra Surrigone e Bubbiano nella zona di Vigevano e con i Trimboli fino a Casorate Primo. Sarebbero da dare in pasto a Carlo Lucarelli per una bella puntatona da guardarsi svaccati sul divano con una mezza birra rimasta in frigo. E invece latitano (probabilmente) al piano di sotto.

E nella regione incartata per l’Expo sono una notizia al massimo per una breve di cronaca.

Naturalmente senza foto.