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calcio

Niente Coppi senza i Carrea

In morte di Andrea Carrea, detto Sandrino forse per affrontare con un diminutivo la solennità del suo corpaccione contaidno, 89 anni, nato a Gavi ma cresciuto a Cassano Spinola, si è ricordato l ultimo gregario storico di Fausto Coppi e quindi di un certo ciclismo. Il penultimo ad andarsene era stato, poco più di un anno fa, Ettore Milano, 86 anni, anche lui di quella provincia di Alessandria che ha dato allo sport italiano campioni enormi di ciclismo e calcio, con una concentrazione di talenti che forse meriterebbe un qualche studio serio: Girardengo, Coppi, Baloncieri, Giovani Ferrari, Rivera

Milano, erre “roulée” alla francese proprio come Rivera e come tanti di quella provincia (idem per Parma), era in corsa il paggio psicologo di Coppi, Carrea era il suo diesel da traino e spinta.

Scelti entrambi, per aiutare il Campionissimo, da Biagio Cavanna detto l orbo di Novi Ligure, il massaggiatore cieco che tastava i muscoli e indovinava le carriere (e a Milano diede pure la figlia in sposa).

I due non avevano vinto mai in prima persona, Fausto vinceva anche per loro che lavoravano per lui portandogli in corsa acqua,panini,conforti vari, tubolari, amicizia. Un giorno al Tour de France del1952 Carrera si trovò, ”a sua insaputa”come uno Scaiola del ciclismo, in maglia gialla.

Un gendarme lo pescò in albergo per portarlo alla vestizione. Carrrea si scusò con Coppi per eccesso di iniziativa, avendo fatto parte di un gruppetto, teoricamente innocuo, di fuggitivi non ripresi.

Il giorno dopo il suo capitano gli prese, come da copione, la maglia gialla scalando l Alped Huez e arrivò da dominatore a Parigi. Un cantante ciclofilo, Donatello, che ha fatto anche Sanremo, ha composto una canzone splendida che è un sogno di bambino e dice: “Un giorno, per un giorno, vorrei essere Carrea”.

Il gregario nel ciclismo non c è più, almeno nel senso classico: libertà di rifornimento continuo dalle ammiraglie, licenza per ogni assistenza tecnica in corsa, severità della giuria quando, specialmente in salita, ci sono troppe spinte per i capisquadra, che facevano chilometri senza dare una pedalata, hanno procurato dignità aduna collaborazione che non è più umiliante e servile, e che consiste soprattutto nel pedalare con accelerazioni giuste al momento giusto, nell aiutare, aprendogli un tunnel nell aria, il capitano quando è il momento di tirare per rimediare aduna sua défaillance o rafforzare una sua iniziativa. Nello sport tutto i gregari sono di tipo nuovo.

Diceva Platini genio del calcio: “Importante non è che io non fumi, è che non fumi Bonini”. Il quale Bonini gli gocava dietro, riempiva il campo del suo gran correre, cercava palloni per servirglieli. Adesso i grandi gregari del calcio, alla Gattuso, guadagnano bene, sono stimati, cercati. Coppi lasciava comunque ai gregari tutti i suoi premi, e così li ha fatti ricchi.

Chi è adesso il gregario? Nell automobilismo il pilota che esegue gli ordini di scuderia, lascia passare il compagno che ha bisogno di punti, fa da “tappo” mettendosi davanti a chi lo insegue, e al limite “criminoso” sbatte fuoripista il concorrente pericoloso.

Nel ciclismo è ormai quello che sa propiziare il sonno al campione nelle dure prove a tappe, sa dargli allegrie o comunque distensione in corsa. Nel mondo dell atletica il gregario si chiama lepre, ed è pagato, nelle corse lunghe,per tenere alto il ritmo nella prima parte, sfiancando gli avversari e propiziando un tempo di finale di eccellenza: poi può ritirarsi. Sta sul mercato, è ingaggiabile anche al momento, per una corsa sola.

Nella scherma magari è quello che tiene per il campione il conteggio delle vittorie regalate in tornei di ridotta importanza o comunque prospettanti al campione stesso una eliminazione ormai sicura, gli fa il calcolo dei crediti e dei debiti così messi insieme nel rapporto con avversari importanti, gli dice quando è tempo di “passar vittoria”.

Il gregario nuovo può anche arrivare a sperimentare su se stesso il prodotto dopante o il prodotto coprente, correndo dei rischi. Ma la sua funzione diventa sempre meno materiale. E si deve ricordare che il prototipo altamente psicologico del gregario che dà serenità, oltre a procurare una buona compagnia negli allenamenti, tiene quattro gambe anzi zampe. E un cavallo: si chiamava Magistris, era un quasi brocco, ma senza di lui vicino, in pista come nella stalla,il favoloso Ribot era nervoso, tirava calci e nitriva di rabbiosa tristezza.

E se il teatro incassasse quanto il calcio?

Ormai sono anni che lo dico e lo scrivo: il teatro italiano non soffre di nessuna crisi di produttività ma sconta un generale disinteresse (e ignoranza, pure) da parte della politica. Per carità, la politica può permettersi di non muoversi anche perché di fronte ha un’opinione pubblica che s’indigna per il prezzo del caffè alla buvette del Parlamento e non coglie la cultura nel significato più largo: alfabetizzazione dei diritti, coltivazione della memoria, lavoratori coinvolti, indotto turistico e produttività.

Oggi su Pubblico (che ammetto mi piace ogni giorno di più) esce la notizia che il teatro italiano incassa quanto il calcio per presenze e Andrea Porcheddu puntualmente rileva la disattenzione generale:

Però, di fatto, il teatro esiste, e addirittura resiste. Per la crisi, si è registrata nel 2011 una naturale flessione ma, se pure l’offerta di spettacoli segna un -3,1%, gli ingressi hanno toccato i 22,3 milioni. Sono dati Siae per il 2011, e sembrano indicativi. Tanto per intenderci, il blasonato e sponsorizzato calcio ha avuto 22,6 milioni di ingressi.

Calcio e teatro hanno lo stesso pubblico: l’avreste mai detto? Hanno lo stesso spazio in tv e sui giornali?
E anche per quel che riguarda il settore va notato come la crisi abbia avuto effetti minimi: da un attento studio degli oltre 4 milioni di spettacoli censiti dalla Siae, si evidenzia che sono diminuite la spesa al botteghino (- 0,98%) e la spesa del pubblico (- 1,90%), ma è aumentato il volume d’affari (+2,08).

Dunque gli italiani non hanno rinunciato al teatro, al cinema, ai concerti, al ballo. Non hanno rinunciato alla cultura, portando – per quel che riguarda la prosa – almeno 185 milioni di euro al botteghino dei 17 teatri stabili pubblici e dei 14 privati, in un settore che vede più di 100 compagnie finanziate e oltre 100mila soggetti che producono atti- vità. Ma non solo: nel settore spettacolo dal vivo lavorano oltre 200mila persone (più quelli che studiano nei conservatori, nei dams, nelle accademie, che saranno gli artisti di domani), molte più che alla Fiat o Alitalia.

Purtroppo, però, di tutto questo mondo, i politici non si sono mai accorti. E, com’è noto, l’Italia – che esporta artisti, gruppi, spettacoli in tutto il mondo – finanzia con appena lo 0,1% del Pil la cultura, quando la media europea è almeno dell’1%.

Quelli che ieri hanno perso 1 a 0

Sono quelli che hanno esultato sul divano davanti ai goal di Balotelli ma non riconoscono in Parlamento la cittadinanza a chi è nato in Italia. Oggi rileggono i propri programmi politici e scoprono che hanno perso uno a zero in semifinale con la Germania. La loro avventura europea è finita qui. E forse sarebbe bello che noi prendessimo l’assist al volo di Super Mario e decidessimo di segnare una volta per tutte e chiudere la partita.

(beh, direte voi, bisogna vedere cosa ne dice l’ala destra del centrosinistra. Vero. Sì. Mi sarò fatto prendere dall’entusiasmo. Noi italiani. Ci basta poco)