Vai al contenuto

cambio

Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lo stolto guarda il dito

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen decidendo di fare apparecchiare una sedia accanto alla sua per il presidente del Consiglio Europeo e lasciando di lato la presidente della Commissione. Di lato, con tutto il significato simbolico che ha quell’immagine in cui i due maschi se la cantano e se la suonano in posizione padronale mentre Von der Leyen appare lì solo di passaggio. Erdoğan, come molti dei sovranisti di questa epoca triste, sa benissimo che un’immagine può essere utilissima per solleticare gli sfinteri dei suoi elettori senza nemmeno prendersi la briga di dovere aggiungere altro. Del resto chi è povero di contenuti ha sempre bisogno di simboli per non apparire vuoto.

Von der Leyen ha capito al volo e non ha gradito se è vero che il suo portavoce Eric Mamer in conferenza stampa ha raccontato come sia rimasta “sorpresa” e dopo la «sorpresa, Von der Leyen ha deciso di andare avanti, dando priorità alla sostanza dell’incontro più che al protocollo». Anche sul fatto che la scelta del premier turco sia stata presa contro le donne non sembra lasciare molti dubbi (e lo scriviamo prima che qualche fallocrate venga a spiegarci che si tratta delle solite fisime da femministe) se è vero che Mamer ha dichiarato apertamente che «indipendentemente dal fatto che von der Leyen sia una donna, la presidente doveva essere accomodata come le altre istituzioni europee».

C’è da dire che anche l’atteggiamento del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel è riuscito a brillare per mediocrità: se è vero che da Erdoğan non ci sia molto di diverso da aspettarsi il collega di Von der Leyen avrebbe potuto fare un gesto, almeno un cenno, anche perché dalle informazioni a disposizione sembra che sia stato proprio il suo staff a eseguire il sopralluogo prima dell’incontro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fare il maschio tra maschi con una donna di lato? Deve essere stato irresistibile.

Poi, volendo, ci sarebbe il punto politico: Erdoğan già si è distinto per pessimi commenti discriminatori e offensivi nei confronti delle donne, nel 2016 disse che erano da considerarsi «prima di tutto delle madri». Poi il suo governo ha annunciato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. In Turchia tra l’altro si viaggia alla media di due femminicidi al giorno e la pandemia ha escluso ulteriormente le donne dalla partecipazione al mondo del lavoro e alla politica.

Infine c’è la domanda delle domande e c’è anche la risposta: l’Europa si tiene stretto Erdoğan (con i nostri 6 miliardi regalati) per le sue ingerenze militari e per assolvere il lavoro sporco che l’Europa gli ha appaltato. I signori della guerra sono i sicari dell’Europa per fingere di dimenticarsi dei diritti umani. In cambio basta blandirli un po’ (come ha fatto nei giorni scorsi Draghi) oppure ingoiare qualche sgarbo nel cerimoniale. E chissà che i bifolchi non siano solo quelli che vengono colti in fallo, chissà che non si stia guardando il dito.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Lo Stato di diritto (e di rovescio)

Non sta facendo il clamore che dovrebbe il fatto che in Italia la giornalista Nancy Porsia, esperta di Libia, sia stata illegalmente intercettata nell’inchiesta di Trapani sulle Ong nel 2017. Partiamo da un punto fermo: Nancy Porsia non è mai stata indagata eppure un giudice, su richiesta della polizia giudiziaria, ha deciso che si potesse scavalcare la legge: nel documento di 22 pagine – datato 27 luglio 2017, firmato Sco, squadra mobile e comando generale della Guardia costiera – ci sono fotografie, contatti sui social, rapporti personali e nomi di fonti in un’area considerata tra le più pericolose dell’Africa del nord. La notizia è stata data dal quotidiano Domani che racconta come indirettamente, oltre a Porsia, siano stati ascoltati anche il giornalista dell’Avvenire Nello Scavo, conversazioni della giornalista Francesca Mannocchi con esponenti delle Ong, il cronista di Radio Radicale Sergio Scandurra mentre chiedeva informazioni ad alcuni esponenti di organizzazioni umanitarie impegnate in quei mesi nei salvataggi dei migranti, Fausto Biloslavo de Il Giornale e Claudia Di Pasquale di Report.

Primo punto fondamentale: in uno Stato di diritto che non venga rispettato il diritto per intercettare giornalisti che parlano con le loro fonti (nel caso di Porsia addirittura vengono intercettate anche telefonate con l’avvocata Ballerini, la stessa che si occupa della vicenda Regeni) significa che il potere giudiziario (su mandato politico, poi ci arriviamo) scavalca le regole per controllare coloro che per mestiere controllano i poteri per una sana democrazia. È un fatto enorme. E non funziona la difesa di Guido Crosetto (il destrorso “potabile” che è il braccio destro di Giorgia Meloni) quando dice che anche i politici vengono intercettati: si intercetta qualcuno dopo averlo iscritto nel registro degli indagati e soprattutto in uno Stato di diritto si proteggono le fonti dei giornalisti, con buona pace di Crosetto e compagnia cantante.

C’è un altro aspetto, tutto politico: in quel 2017 gli agenti di sicurezza presenti a bordo della nave Vos Hestia dell’Ong Save the Children portano foto e prove (che poi si sono rivelate più che fallaci visto che tutto si è concluso in una bolla) prima a Matteo Salvini, prima ancora che alle autorità giudiziarie. È scritto nero su bianco che proprio Salvini su quelle informazioni ci ha costruito tutta la sua campagna elettorale. Un giornalista, Antonio Massari, racconta la vicenda su Il Fatto Quotidiano e costringe Salvini ad ammettere di avere avuto contatti, prima delle forze dell’ordine, proprio con i due vigilantes che puntavano a ottenere in cambio qualche collocazione, magari politica. Salvini, conviene ricordarlo diventerà ministro all’Interno.

Rimaniamo sulla politica: l’ordine di indagare sulle Ong parte dal ministero dell’Interno dell’epoca di cui era responsabile Marco Minniti. Ci si continua a volere dimenticare (perché è fin troppo comodo farlo) che proprio da Minniti parte la campagna di colpevolizzazione delle Ong che verrà poi usata così spregiudicatamente da Salvini e compagnia. Ad indagare sull’immigrazione clandestina viene applicato il Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato, il servizio di eccellenza degli investigatori solitamente impegnato in indagini che riguardano le mafie. Anche questa è una precisa scelta politica.

Rimane il sospetto insomma che politica e magistratura si siano terribilmente impegnate per legittimare una tesi precostituita. Di solito (giustamente) ci si indigna tutti di fronte a una situazione del genere e invece questa volta poco quasi niente. Anzi, a pensarci bene la narrazione comunque è passata.

È gravissimo e incredibile eppure accade qui, ora.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Le domande illegittime a un colloquio di lavoro

Ciclicamente qualcuno se ne ricorda e ne scrive ma in fondo sembra non cambiare mai niente. In nome di una certa apprensione (se non disperazione) nel cercare un lavoro spesso ci si ritrova di fronte a domande che violano la sfera personale e che potrebbero essere considerate offensive dal candidato eppure ci sono leggi come il Codice delle pari opportunità o lo Statuto dei lavoratori che da tempo le vieterebbero.

In un’epoca in cui ci si è schiacciati sull’idea che il datore di lavoro sia una sorta di benefattore universale, come se non fosse uno scambio di prestazioni ma addirittura una salvezza, si moltiplicano le domande che i candidati si ritrovano mentre dall’altra parte si apre una vera e propria inchiesta sulla vita privata.

Ci sono le donne, innanzitutto, e quella solita questione di vedere la maternità come un inghippo alla produttività. Sono forti questi capi d’azienda: si lamentano della bassa natalità in Italia (che gli deve garantire sempre nuove generazioni di consumatori) ma vorrebbero che a fare figli siano le dipendenti degli altri, mica le loro. Così la domanda sulla situazione sentimentale di una candidata (che non accetteremmo nemmeno dalla nonna durante la cena di Natale) diventa un episodio ricorrente. A ruota c’è il solito “vuole avere figli?” che qualcuno prova a mimetizzare dietro il più vago “come si vede tra 5 anni?” (temendo la risposta “mamma”): peccato che per l’articolo 27 del decreto legislativo 198 del 2006, il Codice delle pari opportunità fra uomo e donna, «È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale». Il secondo comma dell’articolo spiega che la discriminazione è proibita anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza.

Se ci sono figli si accavallano anche le domande come “Hai la nonna che li gestisce?”, “Ma quanti anni hanno i tuoi figli?”, anche queste illegittime. Chi cerca lavoro si organizza gli impegni famigliari senza il bisogno della consulenza o dei timori del suo capo personale. Grazie no, no grazie.

Anche sapere che lavoro facciano i propri genitori non è interessante ai fini di un colloquio, come dice il decreto 198 del 2006. Poi c’è, importante, l’articolo 8 dello Statuto lavoratori, secondo cui: «È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». Lo stesso Statuto dei lavoratori vieta la domanda su un’eventuale iscrizione a un eventuale sindacato, con buona pace di qualche nuovo idolo del liberismo. Un datore di lavoro non può basare le sue decisioni su una persona in base alla sua nazionalità. Chiedere a qualcuno le sue origini viola il decreto legislativo 215 del 2003 “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.

Ci sono regole già chiare (e giuste) scritte per evitare discriminazioni. Ogni tanto capita di rileggerle e accorgersi che il mondo là fuori invece non si è modificato per niente come sperava il legislatore. E allora vale la pena ricordarle.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza?

Tenetevi forte perché manca poco al ritorno dello spettro dei migranti clandestini, degli sbarchi sconsiderati e di tutta quell’orrenda narrazione contro le Ong nel Mediterraneo lasciato sguarnito in modo criminale dall’Europa. E preparatevi perché se è vero che conosciamo già perfettamente alcuni personaggi in commedia, a partire da quel Salvini che già da qualche giorno è tornato sull’argomento per provare a frenare lo scontento tra quei suoi elettori affamati di cattivismo e ancora di più incattiviti dalla pandemia, e a ruota ovviamente Giorgia Meloni per occupare quello spazio politico, soprattutto tornerà alle origini quel Movimento 5 Stelle che si è ammantato di solidarietà per incastrarsi nel secondo governo Conte ma che ora è pronto al ritorno delle sue radici peggiori.

La tromba della carica l’ha suonata ovviamente Marco Travaglio in uno dei suoi editoriali che sostituiscono da soli le assemblee di partito e che ha usato tutto l’armamentario del razzismo con il colletto bianco per puntare il dito contro le Ong, per irridere le “anime belle” (che per Travaglio sono la categoria di tutti quelli che non la pensano come lui ma che non possono essere manganellati con qualche indagine trovata in giro) e mischiando come al solito le accuse con le sentenze, gli indagati con i colpevoli, le ipotesi dei magistrati come “fatti” e gli stantii pregiudizi come acute analisi. Così la chiusura delle indagini della procura di Trapani per un presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Iuventa basta al suggeritore dei grillini per richiamare tutti alle armi: picchiamo sui migranti, bastoniamo le Ong e chissà che non si riesca spremere qualche voto anche da qui.

E fa niente che sia dimostrato dai dati (e da anni) che “gli angeli delle Ong” (come li chiama Travaglio per mungere un po’ dalla vecchia accusa di “buonismo”) non “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani”: Travaglio trova terribilmente sospetto che delle organizzazioni dedite al soccorso in uno spicchio di mare conoscano perfettamente quel mare e i luoghi dei naufragi. La competenza del resto da quelle parti è vista con diffidente apprensione. Ma agli osservatori più attenti, quelli che semplicemente non si sono fatti infinocchiare dallo storytelling del Conte bis, forse non sarà sfuggito che Di Maio sia proprio quel Di Maio che discettava allegramente delle Ong come “taxi del mare” quando c’era da accarezzare l’alleato Salvini e Giuseppe Conte sia proprio quel Giuseppe Conte, nessuna omonimia, che partecipava allegramente alla televendita dei Decreti Sicurezza che andarono alla grande durante la stagione della Paura.

Ovviamente nessuna parola sull’omesso soccorso in violazione del Diritto internazionale del Mare che è un crimine di cui il governo italiano e l’Europa si macchiano almeno dal lontano 2014 quando il governo Renzi decise di stoppare l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare e niente di niente su quella Libia (e qui invece ci sono tutte le prove e tutte le condanne per farci una decina di numeri di giornale) che è un enorme campo di concentramento a forma di Stato, così amico del governo italiano. Ma la domanda vera è chissà cosa ne pensa il Pd, questo Pd che ci promette tutti i giorni che domattina si risveglierà più umano e attento ai diritti e che è sempre pronto (giustamente) per opporsi sul tema a Salvini ma che è stato così terribilmente distratto con i tanti Salvini travestiti che ci sono qui intorno.

Il Pd che ci ha indicato come “punto di riferimento riformista” il presidente del Consiglio che fece di Salvini il più splendente Salvini, il Pd che ancora fatica a riconoscere le responsabilità del “suo” ministro Minniti, il Pd che con il precedente governo prometteva “un cambio di passo” sui diritti dei migranti fermandosi solo alla sua declamazione, mentre la ministra dell’Interno del Conte bis, lo racconta il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, bloccava contemporaneamente ben sette barche delle Ong tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 riuscendo a fare meglio perfino di Salvini, rispettando in tutto e per tutto la linea d’azione del leader leghista stando con la semplice differenza di non rivendicarla sui social insieme a pranzi e gattini.

Se il nuovo Pd di Letta vuole recuperare credibilità forse è il caso che ci dica parole chiare su questa irrefrenabile inclinazione dei suoi irrinunciabili alleati perché alla fine Salvini rischia di risultare onestamente feroce in mezzo a tutti questi feroci malamente travestiti.

L’articolo Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza? proviene da Il Riformista.

Fonte

I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene

Per ora hanno cambiato il nome: non si chiamano più “ristori”, ora si devono dire “sostegni” e, quando si è saputo in giro, la pletora di adoratori di Draghi e del Governo dei Migliori ha lanciato gridolini di gioia. A volte basta poco, evidentemente.

Però, che siano ristori o sostegni, la realtà dei fatti dice che di soldi per ora non ne siano arrivati: la crisi politica ha bloccato gli aiuti alle attività e alle imprese e da due mesi e mezzo (gli ultimi aiuti sono stati varati a dicembre) gli imprenditori si ritrovano senza aiuti nonostante le chiusure e, soprattutto, con la previsione di un’ulteriore stretta nei prossimi giorni.

Sui ritardi, tra l’ao, si registra un curioso silenzio della Lega (e infatti molti elettori sono infuriati con Salvini per questo improvviso cambio di rotta), interrotto solo dalle parole del ministro al Turismo Massimo Garavaglia che annuncia (ma non era il governo “del fare” senza annunci?) una prossima “misura importante per la montagna”.

Anche Fratelli d’Italia, pur essendo all’opposizione e nonostante per mesi abbia gridato allo scandalo per i ritardi degli aiuti di Stato, tace. Le voci (timide) di protesta si sono levate dal capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, che parla di “ritardo accumulato” dicendo che “è urgente, urgentissimo, approvare il decreto sui ristori. “È passato del tempo ormai dallo scostamento di bilancio che approvammo in Parlamento con 32 miliardi previsti per le imprese”, fa notare il senatore dem.

Anche il capogruppo al Senato del M5S, Ettore Licheri, prova a porre il punto: “Adesso però un governo c’è, ed è bene che i ministeri competenti si attivino con maggiore decisione”, ha detto in una nota.

Poi c’è un ao aspetto curioso: da qualche settimana non si vedono più in televisione e sui giornali ristoratori e partite Iva che protestano, eppure proprio in queste ore si stanno preparando nuove manifestazioni. Forse ha ragione lo chef Gianfranco Vissani, che racconta di non essere più chiamato “in tv per parlare del problema, come avveniva invece durante il governo Conte”.

Fermi anche i congedi parentali e i bonus baby sitter per chi ha figli in Dad, aiuti non ancora rinnovati nonostante la chiusura di molte scuole sul territorio nazionale a causa della cosiddetta “terza ondata”.

Tra pochi giorni è un mese di Governo Draghi. Quello che doveva essere un fulmineo cambio di passo per ora è fermo al palo: per ora il piano vaccini è ancora quello di prima, le Regioni vanno in ordine sparso e i soldi non arrivano. Però c’è entusiasmo, finché dura.

Leggi anche: Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente? (di G. Cavalli) 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Per niente geni ma guastatori

Eppure l’avevamo scritto più volte proprio su queste pagine che le manovre che hanno portato alla nascita del governo Draghi non avesse nulla a che fare con il civismo e con le competenze, che quella fosse solo la confezione con cui ci è stata messa sullo scaffale ma che dietro, gratta gratta, ci fosse una riflessione politicissima, della politica peggiore, di quella che studia giorno e notte come disarticolare gli avversari e che poi ci si presenta come innovatrice e riformista.

E così accade che ieri il Movimento 5 Stelle in fondo si sia spezzato nel suo asse ormai logorato con Casaleggio e con l’associazione Rousseau (pronta a farsi partito) e che il Partito democratico abbia viste rassegnate le dimissioni di uno  Zingaretti che potrebbe essere molto meno rassegnato di come appare.

Del resto, piaccia o no, la strategia di un fronte formato da Pd e M5s per combattere la destra ha, per il momento, fallito e il fatto che Conte, indicato più volte dal segretario Pd come «punto di riferimento riformista» e «federatore» di questo nuovo centrosinistra, abbia deciso sostanzialmente di diventare organico al M5s ha maggiormente logorato il suo partito.

Ma nella discussione generale, con tutte le sensibilità che ci sono in campo, continua a sfuggire che il Partito democratico guidato da Zingaretti in Parlamento sia una truppa scelta in tutto e per tutto dal principe guastatore segretario precedente, quello che ora con i suoi fuoriusciti guida il suo partito personale e che continua ad avere stretti rapporti con molti rimasti ancora nel Pd. In sostanza: in un partito che è sempre stato dilaniato dalle correnti (che favoleggiano di ricambio e poi invece sono sempre lì, perfino sempre con gli stessi capibastone) continuano a resistere anche le scorie di una corrente precedente che è stata fortissimamente maggioritaria.

Ha buone ragioni Zingaretti nel denunciare (peccato, su Facebook) la «guerriglia quotidiana» e le «vergognose polemiche sulle poltrone» (a proposito, quando lo si scriveva si veniva additati come visionari, ricordate?) ma per coloro che sanno fare politica solo architettando sgambetti, solo dedicandosi alla costante usura del leader in carica, solo occupandosi di preservare il proprio piccolo spazio di potere, solo immaginando un mondo di continui nemici interni, solo dedicandosi a strategie di cortile, per quelli il Pd è il campo perfetto per potere esercitare le proprie brutture. Ed è così da anni.

Una cosa è certa: questo governo è perfetto per riabilitare la destra e per fare implodere il centrosinistra. Qualcuno evidentemente ne era consapevole. Ora fatevi due conti. Sono quelli che si credono geni e invece sono solo guastatori.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Sfascisti su Marche

«I genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire». Parola di Carlo Ciccioli, testa di ponte di Fratelli d’Italia che nelle Marche sta tentando di distruggere diritti civili conquistati da anni

«I genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire. Senza una di queste due figure i bambini rischiano di zoppicare andando avanti nella vita. Queste cose si studiano in psicoanalisi». Sono le ultime parole del capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale delle Marche Carlo Ciccioli, uno di quelli che come spesso capita dalle sue parti politiche ha bisogno di sparare una cretinata per meritare un po’ di dibattito e qualche uscita sui giornali. «La famiglia naturale, composta da padre, madre e figli è l’unica forma valida da proporre in società. I bambini hanno il pieno diritto ad avere una famiglia composta in questo modo», ha detto Ciccioli, tanto per rincarare la dose.

In discussione c’era una legge – la n.20 del febbraio 2021 – sulla famiglia che il centrodestra sta spingendo nelle Marche per una Regione che «riconosce, tutela e promuove diritti della famiglia società naturale fondata sul matrimonio». Sì, lo so. Sembra Medioevo ma è proprio così.

Ciccioli, tanto per capirsi, fu quello che aveva parlato di sostituzione etnica a proposito dell’aborto: «In questo momento di grande denatalità della società occidentale, sostenere con grande enfasi questa battaglia, che aveva un suo senso negli anni 60 e 70 è fuori posto – disse – La battaglia da fare oggi è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende».

L’uscita è stata talmente stonata che perfino i suoi compagni di partito hanno storto la bocca. Eppure nelle Marche l’avanzata di un piano per la distruzione dei diritti civili già conquistati da anni sembra proseguire senza sosta. E non può essere considerato solo un caso isolato, è qualcosa che va osservato con molta attenzione. Ovviamente dall’opposizione si sono levate voci di protesta, e per fortuna.

Lui, non contento ha anche risposto alle critiche, scrivendo: «Ennesimo attacco becero e strumentale da parte del Pd nei confronti miei e di Fratelli d’Italia! Privo ormai di argomentazioni spendibili il Partito democratico è costretto a queste manipolazioni senza fondamento. La verità è che io ho parlato di famiglia come nucleo fondante della nostra società e delle figure genitoriali dal punto di vista psicoanalitico, cioè simbolico. Invece di discutere nel merito di una proposta di legge utile a tutte le famiglie marchigiane, si decontestualizza completamente la mia analisi, senza portare a nulla di costruttivo!».

E invece, caro Ciccioli, la cosa più costruttiva è proprio sottolineare la tua miopia, tua e del tuo partito, nella gestione di diritti che dovrebbero essere molto più alti della limitatezza delle tue vedute. E si lotta, ancora.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Gli Schwazer dimenticati: ogni anno in Italia distrutta la vita a mille innocenti

Tra le vittorie di Alex Schwazer, il marciatore italiano che stava sulla cima del mondo ed è rotolato nel fango per un reato che non ha mai commesso, ce n’è una che non gli garantirà nessuna medaglia ma che potrebbe essere una lezione universale. Essere prosciolti da un’accusa ingiusta costa: costa in termini economici, costa per i traguardi bruciati, pesa per tutto il vilipendio feroce che si scatena ogni volta già nel momento dell’accusa ma soprattutto ferisce per il tempo. Sanguinano quei cinque anni che Schwazer ha passato per ottenere giustizia e che non gli verranno restituiti, mai. Forse potrebbero anche essere risarciti: ma voi fareste cambio per soldi del vostro tempo che non avete vissuto, della fama rovinata?

Sui giornali di ieri, nelle trasmissioni e sui social è un coro unanime di sdegno misto a vergogna in soccorso del marciatore altoatesino e rimbomba l’invocazione “giustizia” in modo bipartisan, ci sono dentro quelli considerati troppo garantisti e ci sono dentro anche quelli che solitamente agitano il cappio e invece questa volta si sciolgono di fronte allo sportivo che rende la vicenda fascinosamente epica, pronta per farci un editoriale cardiaco e per coniugare le fatiche della marcia, la linea del traguardo, la fatica di una rincorsa lunga: una narrazione troppo golosa per non buttarcisi a pesce.

Solo che in Italia siamo pieni di Schwazer. Non indossano divise e non finiscono sui quotidiani sportivi, hanno compiuto imprese senza il riconoscimento del podio e le loro marce contro la giustizia hanno gli stessi relitti: famiglie distrutte, rapporti professionali perduti, carriere che sono deragliate e poi non sono più ripartite, piccole gogne locali che hanno la stessa bile di quelle grandi e nazionali, la sensazione inumana di subire un’ingiustizia e di non trovare il modo per dirlo, lo stesso meccanismo turpemente lunghissimo per riuscire ad ottenere una sentenza che riabilita sulla carta ma che non riesce a rimetterti in piedi, la consapevolezza che la giustizia che deraglia sia il più grosso crimine che si possa vivere in un Paese democratico.

Per gli Schwazer senza scarpe da corsa la proclamazione della loro innocenza è un pacca sulla spalla che rimbomba per il vuoto che si è creato intorno, spesso non finisce nemmeno su quegli stessi giornali che li hanno crocifissi ed è una misera consolazione che non si riesce a condividere. Nemmeno da assolti spesso si riesce a urlare la propria innocenza. I dati delle vittime di ingiusta detenzione e di chi subisce un errore giudiziario sono mostruosi: dal 1991 al 31 dicembre 2019 sono 28.893 persone, 996 all’anno. E il costo di questa pandemia sotterranea che si fatica a proporre al dibattito pubblico non è solo sociale e umano ma è costato in 28 anni 823.691.326,45 euro: sono circa 28 milioni e 400mila euro all’anno.

La stragrande maggioranza di loro tra l’altro ha dovuto sopportare molto di più di un processo in giusto e della gogna: dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019 28.702 persone sono finite in custodia cautelare da innocenti, 1025 innocenti ingiustamente detenuti ogni anno, quasi tre al giorno.

Allora forse varrebbe la pena trasformare in un’occasione tutta questa giusta indignazione per il caso Schwazer in una riflessione generale, nell’impegno dello Stato di garantire il margine minimo di errore ma soprattutto in un principio di cautela (sprezzantemente chiamato “garantismo”) che dovrebbe indurci a riflettere su quante volte i carnefici siano quelli che stigmatizzano qualsiasi dubbio in un giudizio.

A Schwazer sono in molti a dover chiedere scusa, non solo i tribunali, per il marchio a fuoco che gli hanno impresso addosso e che ora in modo un po’ patetico cercano di spolverargli via. Siamo pieni di Schwazer in giro per strada, persone che incrociamo indifferenti convinti che non ci possa capitare. E quando capita si finisce dentro il buco. Questa sarebbe la medaglia da perseguire.

L’articolo Gli Schwazer dimenticati: ogni anno in Italia distrutta la vita a mille innocenti proviene da Il Riformista.

Fonte