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A Salvini è stato impedito di tenere un comizio? No, è lui che ha provocato i contestatori

Ieri c’è stata una mezza apparizione di Matteo Salvini a Mondragone, contestato da praticamente tutti tranne quelli che ha chirurgicamente ripreso mentre chiedevano un selfie per intossicare la narrazione della giornata, e Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva sempre pronto a trollare per farsi notare, ha scritto sul suo Twitter: “Sarà un ciarlatano, un provocatore, un cazzaro. Ma non esiste al mondo che in un paese democratico ad un esponente politico (per di più il segretario del maggiore partito italiano) venga impedito di fare un’iniziativa politica”.

Curioso come San Tommaso sono andato a cercarmi i video che riprendono il comizio di Matteo Salvini per capire cosa possa essere successo perché il leader della Lega sia addirittura stato costretto a interrompere il suo comizio. È un’esperienza rivelatrice, provateci anche voi. Partiamo dal presupposto che su Mondragone si sta vivendo l’esplosione di una difficoltà endemica che parte dal lontano, semplicemente appuntita dalla pandemia e che fa rima con la povertà di molti abitanti e con le disastrose situazioni lavorative. A Mondragone si è accesa una guerra tra disperazione e andare a lucrare sul contesto per farsi notare è di per sé una bassa provocazione: a Mondragone i politici, tutti i politici, dovrebbero andarci per chiedere scusa e poi dovrebbero semplicemente fare, nei luoghi preposti, fare.

Matteo Salvini invece è arrivato a Mondragone con il suo solito copione di chi elogia le bellezze italiane senza dare sensazione di conoscerne i problemi e ha cominciato a accendere gli animi contro “i rom” (riferendosi alle famiglie di bulgari sfruttati da italianissimi imprenditori delle campagna casertane) e ha poi risposto alle contestazioni (che sono legittime, in democrazia) prima con le offese (“balordi”, “gente da centri sociali”) e poi addirittura invitandoli a lanciare ancora più acqua verso di lui (“così mi rinfresco che fa caldo”) finendo addirittura per accusare i contestatori di essere contigui alla camorra.

Vale la pena vedere un leader di partito comportarsi come un semplice provocatore. Vale la pena vedere le forze dell’ordine caricare su gente che alza le braccia e fa segno di allontanarsi volontariamente. Vale la pena mettere a confronto la serietà con cui si approccia la politica con la muscolosità di chi cerca lo scontro per farla diventare notizia. Vale la pena, prima di ogni valutazione.

Leggi anche: 1. Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Lo dicono tutti ma lo fanno in pochi: la cultura contro la camorra

Mai entrato in una scuola. Mai, neppure nell’asilo nido. La mamma la riteneva una perdita di tempo. Meglio tenerlo in casa, pensava. Appena adolescente, suo figlio Marco (nome di fantasia, ndr) l’ha mandato a fare il meccanico. Poi, un giorno, il capomastro gli chiede di mettere un bigliettino con i nomi dei clienti sulle auto in consegna. Non lo sa fare, fa brutta figura, in officina lo irridono. Torna a casa e litiga con la madre, lui insiste per andare in una scuola serale, anche a costo di lavorare meno, lei si oppone. Marco inizia a sfasciare casa, devono intervenire i carabinieri che lo portano in caserma e poi in una comunità per minori. «È stata la sua salvezza» racconta una professoressa dell’istituto «Catullo» di Pomigliano d’Arco, dove Marco ha poi sostenuto con successo l’esame di terza media. Ma per una storia a lieto fine ce ne sono altre dieci fallimentari.

Un gran lavoro il bel video documentario di Antonio Crispino. Eccolo qui:

Camorra e appalti: 69 arresti. I casalesi anche sui beni culturali. I fatti e i nomi.

Le mani della camorra sugli appalti pubblici in Campania grazie alla complicità di un gruppo di colletti bianchi in grado di truccare le gare. Sono almeno 18 i bandi modificati dal 2013 al 2015, per un valore complessivo di 20 milioni di euro, alcuni dei quali per favorire imprenditori ritenuti vicini ai Casalesi, nella fattispecie il clan Zagaria. Tra questi quello per i lavori alla Mostra d’Oltremare di Napoli, per una scuola in provincia di Caserta, per l’Azienda regionale diritto allo studio (Adisu), per la seconda università di Napoli, per un impianto di cremazione al cimitero di Pompei e – sono la stragrande maggioranza – per mostre, musei, castelli e monumenti in tutta la regione. Insomma: la camorra ha messo le mani anche sulla cultura e sui relativi, ricchi finanziamenti. Per questo motivo il Nucleo Tributario della Guardia di Finanza di Napoli agli ordini del colonnello Giovanni Salerno ha eseguito 69 ordinanze cautelari, nell’ambito di un’inchiesta condotta da un pool di cinque pm della Dda (Catello Maresca, Maurizio Giordano, Luigi Landolfi, Gloria Sanseverino, Sandro D’Alessio, a cui va aggiunta la pm Ida Frongillo, specializzata in reati di pubblica amministrazione) e coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Tra i destinatari dei provvedimenti anche imprenditori e molti politici.

IL RUOLO DEL CONSIGLIERE REGIONALE PASQUALE SOMMESE
Tra questi il nome più noto è quello del consigliere regionale del Nuovo centrodestra Pasquale Sommese, ex assessore alle Risorse umane, al Turismo e ai Beni Culturali durante la Giunta CaldoroIl suo nome era stato iscritto nel registro degli indagati nel luglio del 2015 insieme ad altre 17 persone, tra cui alcuni sindaci del casertano. L’inchiesta è la stessa che oggi ha portato all’arresto di Sommese, accusato per cinque episodi di corruzione, tra cui l’appalto per il restauro della torre civica mediavale del comune di Cerreto Sannita. Per gli inquirenti, l’ex assessore è colui che garantiva l’erogazione dei fondi regionali: nella fattispecie, si è impegnato a garantire il finanziamento di alcuni lavori in cambio di somme di denaro o sostegno elettorale. In alcune circostanze, inoltre, Sommese ha indicato espressamente il nome dell’imprenditore che doveva eseguire i lavori, attivandosi poi per l’erogazione dei finanziamenti. Secondo l’accusa, poi, nelle commissioni di gara sono state inserite persone vicine all’ingegnere Guglielmo La Regina (indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e considerato personaggio centrale nell’inchiesta), che poi veicolavano gli appalti alle ditte segnalate in cambio di promesse di denaro da corrispondere a sindaci e funzionari degli enti appaltanti.

video di Fabio Capasso

GLI ALTRI POLITICI COINVOLTI
Sommese, come detto, non è l’unico politico coinvolto: in carcere anche l’ex consigliere regionale Udc Angelo Giancarmine Consoli (attuale coordinatore del partito di Casini a Caserta) e vari amministratori. Tra questi il sindaco di Aversa (Caserta) Enrico De Cristofaro (ex presidente dell’ordine degli architetti di Caserta) e Nicola D’Ovidio, sindaco di Riardo; ai domiciliari sono finiti l’ex sindaco di Pompei Claudio D’Alessio (Pd), l’ex primo cittadino di San Giorgio a Cremano Domenico Giorgiano, Raffaele De Rosa (Pd), fratello del sindaco di Casapesenna (che a novembre scorso attaccò Il Fatto Quotidiano per le inchieste sui parenti dei casalesi), l’ex primo cittadino di Casapulla (Caserta) Ferdinando Bosco, l’ex sindaco di Alife Giuseppe Avecone. Le 69 persone destinatarie di misure cautelari dovranno rispondere – a vario titolo – di accuse gravissime: si va dalla corruzione alla turbativa d’asta, fino al concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’operazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Napoli, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, sono coinvolti non solo politici locali, ma anche funzionari pubblici, imprenditori, professori universitari, commercialisti, ingegneri e “faccendieri”, coinvolti con vari ruoli e responsabilità nelle gare di appalto pubblico realizzate in varie province campane, talvolta anche al fine di agevolare organizzazioni criminali di tipo camorristico.

AI DOMICILIARI IL SOVRINTENDENTE DEI BENI CULTURALI DI NAPOLI
La portata dell’operazione non è testimoniata solo dai numeri e dai nomi degli amministratori locali coinvolti, ma anche e sopratutto dall’arresto di altre figure di peso nonché di personalità stimate a Napoli e provincia. Tra queste c’è sicuramente Adele Campanelli, direttrice della sovrintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Napoli. Altri esempi: Salvatore Visone(ex presidente dell’Ordine degli architetti di Napoli e provincia), Claudio Borrelli(direttore amministrativo dell’azienda per il Diritto allo studio all’università di Caserta), Andrea Rea e Paolo Stabile (rispettivamente ex presidente ed ex dg della Mostra d’Oltremare di Napoli). L’operazione ‘Queen’ della Guardia di Finanza, inoltre, ha portato all’arresto anche di numerosi docenti universitari: 5 dell’università Federico II di Napoli, uno del Suor Orsola Benincasa (sempre a Napoli) e due della Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – Seconda Università di Napoli (uno, come detto, è il presidente dell’Adisu, Claudio Borrelli). Ai domiciliari anche il presidente della Fondazione Banco di Napoli, il professor Daniele Marrama, 43 anni. Il suo coinvolgimento è legato alla sua attività professionale – è docente di diritto amministrativo – e non avrebbe alcun legame con la presidenza della Fondazione.

LA FIGURA DI GUGLIELMO LA REGINA E IL SISTEMA CHE PORTA IL SUO NOME
L’ordinanza del Gip Federica Colucci lo definisce ‘il sistema La Regina’, dal nome di Guglielmo La Regina, deus ex machina del versante tecnico progettuale della colossale macchina corruttiva messa in piedi per spartirsi gli appalti pubblici in Campania. Il ‘sistema La Regina’ è lo studio tecnico Archicons “che si fa Comune, che diventa Comune”, ovvero che rimpiazza in tutto e per tutto i passaggi che competerebbero alla pubblica amministrazione obbligata ai doveri dell’imparzialità e correttezza. La testimonianza plastica di quanto sostengono gli inquirenti in una intercettazione del 27 luglio 2014. La Regina è al telefono con un altro indagato, Alessandro Albano.

Albano: “Però … per l’accelerazione di spesa loro avrebbero bisogno di una grande mano … di una buona struttura di supporto al RUP (Responsabile Unico del Progetto, ndr)….”

NDG(Guglielmo commenta che tali cose derivano dal dissesto dei comuni che non hanno in sede la competenza e le capacità per fare le cose e pertanto si arriva al paradosso che si perdono i finanziamenti perché non vengono presentati i progetti mentre sarebbe più corretto fare una legge che permettesse di chiedere a terzi se fossero interessati a fare un progetto gratis e seguirsi tutta la procedura politica fino al finanziamento e poi dopo gli verrebbe dato l’incarico).

La Regina: “No, tu fai questo, li aiuti, gli fai di tutto, vai tu e scrivi le determine, gli scrivi le delibere, fai tutto il lavoro dei Comuni, e cioè diventi Comune, dopodiché, dopo che hai fatto questo, hai fatto il passaggio politico che devi fare, gli fai cioè hanno avuto il finanziamento, dopodiché ae eh ae mò dobbiamo fare la gara, cioè ti stressi talmente tanto che dici, ma tutto sto lavoro, dici sì ho avuto l’incarico. Ma, se se non vengo arrestato, aspetta, se non vengo arrestato e magari non haifatto ancora niente, se praticamente, anziglj hai fatto pure avere i soldi a questa gente.

Albano: “E’ un paese incartato … ma incartato seriamente…”

Non ci sono solo intercettazioni telefoniche. Un trojan inoculato nel cellularedell’architetto La Regina registra h24 le conversazioni che si svolgono nello studio (è lo stesso virus utilizzato dai pm Woodcock e Carrano nell’inchiesta su Consip e Alfredo Romeo, che colpì il suo cellulare e quello di Italo Bocchino). Si scopre così un sistema illecito che vede La Regina in diretto contatto con sindaci del Casertano e del Napoletano che gli vengono presentati da vari imprenditori. E’ un meccanismo che si autoalimenta, e che finisce per coinvolgere professionisti di grido. E’ all’Archicons che si stipulano i patti e si concludono gli affari. Nei loro computer gli investigatori della Finanza ritroveranno le bozze degli appalti e dei progetti che dovevano essere ancora messi a gara. Scrive il Gip: “In molti degli appalti esaminati il confronto tra le date degli atti formalmente adottati dalle stazioni appaltanti (presentazione del progetto di massima per l’ammissione ai finanziamenti ed adozione del bando di gara per l’affidamento della progettazione definitiva e/o esecutiva e dei lavori) ed i files rinvenuti nel computer dello studio La Regina comprova, in maniera documentale e dunque incontrovertibile, che tali documenti sono stati preventivamente formati nello studio La Regina e trasmessi alla stazione appaltante che li ha presentati come propri”. E non c’era incarico formale che giustificasse questo: “Delle due l’una; o il La Regina è un benefattore che lavora gratis per gli enti pubblici (e le intercettazioni in atti escludono tale interpretazione della vicenda) o ha redatto tali progetti per consentire agli enti di accedere ai finanziamenti, bandire le gare, ottenere l’aggiudicazione dell’appalto in capo a ditte compiacenti e ricavarne un’utilità personale”. E dopo le regionali del 2015 La Regina e il suo team, tramontata la stella del loro politico di riferimento Pasquale Sommese, passato all’opposizione e costretto ad abbandonare l’assessorato, era pronto a riciclarsi con De Luca. Lo testimonia un’intercettazione del 4 giugno 2015, 4 giorni dopo la vittoria di De Luca: La Regina e un imprenditore indagato, Martinelli, discutono di come organizzare una festa per un tale ‘Francesco’, eletto in consiglio, già assessore provinciale all’Ambiente, che potrebbe forse diventare assessore. Per averne, prima o poi, qualche ritorno.

di Fabio Capasso

I 18 APPALTI NEL MIRINO DELLA DDA: 11 RIGUARDANO LUOGHI ED INIZIATIVE CULTURALI
Nelle carte dell’inchiesta, come detto, sono 18 gli appalti citati: di questi ben 11 fanno riferimento a musei, parchi, monumenti e luoghi di cultura. Alcune gare venivano pilotate per favorire imprenditori considerati vicini al clan dei Casalesi. I magistrati hanno individuato 13 reati di corruzione e di 15 reati di turbativa d’asta. Questo l’elenco completo degli appalti contestati: completamento, manutenzione straordinaria e adeguamento della Casa dello studente di Aversa(Caserta); rete idrica a Casapulla (Caserta); sviluppo e potenziamento dell’area Pip di Casapulla (Ce); realizzazione dell’impianto di cremazione adiacente al cimitero di Pompei (Napoli); ristrutturazione della scuola ‘Medi’ di Cicciano(Napoli); completamento, ristrutturazione e adeguamento dell’impianto polisportivo polivalente da Riardo (Caserta);  ristrutturazione, telecontrollo e automazione degli impianti irrigui del comprensorio della Vale Telesina per il Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano (Ce); progetto e realizzazione di lavori al Parco delle Arti di Casoria (Napoli); progettazione ed esecuzione della valorizzazione dell’Area dellaGaiola e della Villa di Pollione Posillipo e realizzazione del nuovo museo archeologico dell’area flegrea napoletana presso i padiglioni 7 e 8 della Mostre d’Oltremare di Napoli; progettazione, direzione lavori e coordinamento per la costruzione del nuovo museo archeologico di Alife (Caserta); realizzazione del nuovo museo archeologico di Alife; direzione misurazione e contabilità, assistenza al collaudo e coordinamento sicurezza durante i lavori e per l’affidamento dei lavori a Le Porte dei Parchi per i comuni di Francolise (Ce), Alife (Ce) Alife (Ce), Rocca d’Evandro e Calvi Risorta (Ce); lavori vari a Le Porte dei parchi; nomina di due figure di supporto al Rup per Le Porte dei Parchi; consolidamento e messa in sicurezza della facciata Nord Ovest e dei locali interni del castello medievale di Riardo (Ce); progetto la “terra delle acque”, rete di itinerari tra storia e natura, mostra evento del Comune di Riardo (Ce); progettazione ed esecuzione dei lavori di completamento del restauro di Villa Bruno, recupero funzionale parco e area ex fonderia a San Giorgio a Cremano (Na); restauro della torre civica medievale di Cerreto Sannita (benevento) con riqualificazione dell’area circostante da adibire a parco archeologico all’aperto.

(fonte)

Perché a Napoli la camorra spara agli ambulanti. Spiegato bene.

(Lo racconta un ex ambulante, Amadou, intervistato (qui) da Fabrizio Geremicca)

«Gli estorsori si mangiano la mucca, il latte e il burro di latte». Amadou, 52 anni, senegalese di Dakar, usa un proverbio del suo paese e la pronuncia in francese per sintetizzare il dramma degli ambulanti della Maddalena – immigrati ed italiani – taglieggiati dalla camorra. Vicenda che si trascina da anni e che è ritornata di attualità dopo la spedizione punitiva contro un senegalese di mercoledì scorso a mezzogiorno, durante la quale sono rimasti feriti da colpi di pistola tre migranti ed una bimba di dieci anni che passeggiava insieme a suo padre. Amadou accetta di raccontare la realtà del racket grazie ai buoni uffici di Gianluca Petruzzo, il referente campano dell’associazione 3 febbraio, da tempo in prima linea nella difesa dei migranti. Proprio Petruzzo lancia un appello alla mobilitazione a favore degli ambulanti: «I fratelli immigrati che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di non sottostare al pizzo non devono essere lasciati da soli. La città deve stringersi al loro fianco».

Amadou, cosa intende dire con l’espressione che ha usato poco fa?

«La camorra lucra su noi ambulanti tre volte. La prima quando ci vende la merce all’ingrosso che noi poi esponiamo sulle bancarelle. La seconda quando ci impone il pizzo. La terza quando ci costringe ad acquistare a prezzi assurdi le buste per la mercanzia».

Cominciamo dal pizzo. Quanto pagano gli ambulanti della Maddalena?
«Le bancarelle più grandi 150 euro a settimana. Quelle più piccole 80».

Subiscono solo i migranti?

«No, tutti. Italiani ed immigrati».

Come avviene la richiesta estorsiva?
«Passano due o tre persone e dicono al venditore che dovrà pagare la cifra stabilita».

Minacciano?
«Non serve. Si presentano come i referenti del clan e raramente incontrano resistenza. Quando accade, come mercoledì, passano a vie di fatto. Il mio connazionale ferito è a Napoli da poco e non riusciva proprio a capire perché avrebbe dovuto pagare il racket. Non fa parte della nostra mentalità. Gli ambulanti più anziani si sono adattati. Lui no».

Centocinquanta euro a settimana non è poco. Quanto guadagna un ambulante?
«Raramente supera 800 euro al mese. Accade spesso che per pagare la camorra non si riesca a dare i soldi al proprietario di casa».

Lei prima accennava ad una vicenda di buste. Può spiegare cosa accade?
«Gli stessi personaggi che incassano il pizzo impongono agli ambulanti di comperare le buste nelle quali mettere la mercanzia. Estorcono dieci euro per tre buste, laddove una confezione di 50 non costerebbe più di sette euro. Se il pizzo è per tutti, quello delle buste è un trattamento riservato agli ambulanti immigrati. Analogamente non è raro che gli estorsori pretendano di prendere qualcosa dalla bancarella dei migranti e di non pagare».

Gli ambulanti della Maddalena dove acquistano la merce che poi rivendono?
«I grossisti sono personaggi noti della zona. Consegnano la merce ed il saldo avviene dopo una settimana o una decina di giorni. Se nel frattempo l’ambulante ha guadagnato abbastanza per pagare la mercanzia, tutto bene. Se non ci è riuscito, magari perché ha subito il sequestro della bancarella dai vigili urbani, per sdebitarsi deve chiedere soldi in prestito agli altri immigrati, altrimenti sono guai».

Dove sono i depositi della merce che acquistate ed esponete?
«Non li vediamo mai. I grossisti ci danno appuntamento in un punto del quartiere che cambia sempre e ci consegnano la mercanzia stabilita».

Quanto guadagna un migrante sui capi che vende?
«Una borsa comprata all’ingrosso a 10 euro ne frutta 12,50. Una cinta che l’ambulante paga 3,50 euro è venduta a 5 euro. Un paio di scarpe all’ingrosso ci costa 15 euro e lo rivendiamo per 20 euro».

Quanti sono i migranti alla Maddalena?
«Ne sono rimasti una cinquantina, tutti abusivi. Tunisini, marocchini, senegalesi, algerini. Tanti sono andati via proprio per questa faccenda del pizzo. C’è chi ha preferito tornare in Africa e qualcuno è riuscito perfino a scappare senza saldare il conto dell’ultima partita di merce acquistata».

Lei oggi vende ancora per strada?
«No, sono riuscito a tirarmi fuori da questo inferno. Lavoro come lavapiatti in un ristorante. Guadagno 800 euro al mese».

Ah, a proposito: hanno condannato Nicola Cosentino. E alcuni che lo dicevano innocente sono al governo.

Nove anni di reclusione. E altri due anni di libertà vigilata al termine della pena. Durissima condanna per l’ex sottosegretario Pdl Nicola Cosentino, a lungo coordinatore campano di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione camorristica. Questa la sentenza della prima sezione collegio C del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Giampaolo Guglielmo.

Assoluzione solo per un capo d’imputazione residuale, quello relativo allo scambio di assegni e titoli di credito tra esponenti del clan e impresa di famiglia, la Aversana Petroli. Tra novanta giorni apprenderemo le motivazioni. Il pm della Dda di Napoli Alessandro Milita aveva chiesto 16 anni di condanna. La sentenza è arrivata al termine di lunghissimo processo iniziato il 10 marzo 2011 e spalmato in 141 udienze, forse il più lungo mai celebrato con un solo imputato. In cinque anni e mezzo il pm Milita e gli avvocati Agostino De Caro e Stefano Montone hanno formato una lista testi di 300 persone e ne hanno sentite circa 110, di cui 16 collaboratori di giustizia collegati in videoconferenza dai luoghi protetti. Tra i testimoni sono stati sentiti i big del clan dei Casalesi, oggi pentiti di camorra, tra cui l’ex reggente del clan Bidognetti Luigi Guida, Gaetano Vassallo, Anna Carrino, Franco Di Bona, e alcuni tra i leader della politica campana, tra cui l’ex Governatore della Campania Antonio Bassolino, sentito a febbraio 2012 per rispondere a domande sulla gestione del commissariato per l’emergenza rifiuti. Sono stati sentiti anche il suo ex braccio destro Massimo Paolucci, l’ex parlamentare Lorenzo Diana, l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli.

Le 199 pagine dell’ordinanza di arresto nei confronti di Cosentino vengono firmate il 7 novembre 2009 dall’allora gip di Napoli Raffaele Piccirillo. Arresto più volte respinto dalla Camera fino al 15 marzo 2013, giorno in cui Cosentino, non ricandidato per decisione di Berlusconi e privo delle guarentigie parlamentari, si costituisce presso il penitenziario di Secondigliano. Dopo qualche mese di carcere e di arresti domiciliari fuori regione, a fine 2013 Cosentino torna libero e si rimette a fare politica. È l’ispiratore di ‘Forza Campania’, gruppo consiliare regionale che intende fare la fronda alla gestione napoletana e campana di Luigi Cesaro e Domenico De Siano, e mettere in difficoltà il ‘rivale’ Stefano Caldoro, all’epoca Governatore azzurro. Ma il 3 aprile 2014 torna in carcere con accuse di estorsione ai danni di un imprenditore dei carburanti, un concorrente dell’impresa di famiglia, la Aversana Petroli, leader di mercato nell’area di Casal di Principe e dintorni. Due anni e due mesi ininterrotti di carcere, terminati il 1 giugno 2016, quando il tribunale revoca la misura attenuandola negli arresti domiciliari a Venafro con divieto di comunicare all’esterno della cerchia dei familiari più stretti.

Cosentino è stato accusato dalla Dda di Napoli di concorso esterno in associazione camorristica. Secondo l’accusa, è stato sin dal 1980 e fino al 2014 il referente politico-istituzionale dei clan Casalesi, dai quali avrebbe ricevuto sostegno elettorale e capacità di intimidazione, e ai quali avrebbe offerto la possibilità di partecipare ai proventi degli appalti del ciclo dei rifiuti e delle assunzioni. L’impianto accusatorio si è concentrato intorno alle vicende della nascita dell’Eco 4 con a capo i fratelli Sergio e Michele Orsi (quest’ultimo ucciso nel 2008 dall’ala stragista del clan di Giuseppe Setola), imprenditori vicini al clan dei Casalesi, nonché società operativa del Consorzio Ce4 con a capo Giuseppe Valente, diventato poi nel corso del dibattimento uno dei principali testi della Procura. L’Eco 4 fu “società a partecipazione mafiosa”, sostiene il pm Milita, Questo il contesto in cui la Procura ha collocato gli sversamenti illeciti nel casertano e fuori regione, e la mancata realizzazione dell’inceneritore di Santa Maria la Fossa. Cosentino avrebbe fatto finta di appoggiare i comitati che si battevano contro l’impianto, per favorire invece un altro progetto. Cosentino avrebbe avuto un controllo assoluto delle assunzioni e degli incarichi all’interno della Eco4.

L’inchiesta giudiziaria prende il via dal pentimento di Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan Bidognetti. “L’ Eco 4 è una mia creatura, la Eco 4 song’io”, avrebbe detto l’ex parlamentare a Vassallo. A verbale il pentito ricostruisce i suoi contatti e i suoi rapporti con l’ex parlamentare, si sarebbe recato a casa di Cosentino per incontrarlo – ne descrive le stanze agli inquirenti – e discutere di un suo ruolo in una società controllata dalla Eco 4. Vassallo racconta che Cosentino gli risponde no, spiegandogli che in quel momento gli interessi economici dei clan si erano spostati a Santa Maria la Fossa e lì comandava il gruppo camorristico degli Schiavone, che avevano estromesso i soldati di Bidognetti.

Cosentino avrebbe poi cercato di costruire un vero e proprio ciclo dei rifiuti alternativo e concorrenziale a quello ufficiale gestito da Fibe-Fisia-Impregilo attraverso il contratto stipulato con il commissariato per l’emergenza, ovvero attraverso l’Impregeco. Per il pm, Cosentino da un lato aveva un progetto, quello di realizzare il ciclo integrato dei rifiuti nel Casertano, e per questo con loro e con la Impregeco mette in atto un piano. Dall’altro, sfruttava il suo ruolo e le sue relazioni per favorire la camorra in cambio di voti. “La camorra non votò Cosentino e non c’è alcuna prova contro di lui e ci troviamo di fronte ad un vuoto probatorio”, ha invece replicato la difesa composta da Stefano Montone e Agostino De Caro nel corso dell’arringa del 27 ottobre scorso.

I legali hanno messo in discussione l’attendibilità dei collaboratori di giustizia “completamente inaffidabili per le versioni discordanti”. Nell’udienza di oggi si è consumato un ultimo, duro scontro, sulla circostanza che Cosentino nel 2008, poco dopo le rivelazioni dei primi verbali di Vassallo, ha promosso iniziative politiche e parlamentari per creare una sezione Dda a Santa Maria Capua Vetere. Per il pm Milita questo fu un tentativo per “frantumare” il ‘modello Caserta’ della Dda di Napoli che stava ottenendo ottimi risultati nei contrasto ai clan dei Casalesi, e quindi indebolire anche le indagini a carico dell’ex sottosegretario. Un progetto che secondo Milita era sostenuto anche da Donato Ceglie, pm attualmente al centro di varie inchieste giudiziarie, di recente assolto a Roma nel suo primo processo, che all’epoca era sostituto procuratore a Santa Maria ed era legato ai fratelli Orsi. De Caro ha controbattuto: “È una tesi che poggia su una cultura del sospetto che non può approdare a una sentenza emessa in nome del popolo italiano”. Gli avvocati hanno preannunciato ricorso in Appello.

(fonte)

In centro a Milano la banca la fa la camorra

182639186-6ac49f6f-6579-448d-8160-475586f6bae4-300x225“Vieni a prenderti un caffè”. Non parlavano mai di soldi al telefono, con l’esperienza tipica dei criminali scafati e del resto Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino sono criminali a Milano da circa quarant’anni e ormai sanno bene come non lasciare indizi in giro. Vincenzo Guida è il fratello del più famoso Nunzio che dagli anni ottanta fu il proconsole della camorra in Lombardia, alla guida di una famiglia che è riuscita negli anni a stringere accordi importanti con ‘ndrangheta e Cosa Nostra in una federazione criminale che funziona a pieno ritmo.

I due avevano organizzato una vera e propria banca in grado di prestare cifre considerevoli in brevissimo tempo (un imprenditore ha ricevuto 300.000 euro) applicando prestiti usurai e intimidendo poi le vittime con “sottili metodi di stampo camorrista”. L’operazione (denominata “Risorgimento” perché proprio in piazza Risorgimento a Milano i due avevano adibito i tavolini esterni di un bar come proprio “ufficio”) ha portato anche al fermo di altri due italiani, Giuseppe Arnhold e Filippo Magnone, con l’accusa di riciclaggio, mentre per Guida e Fiorentini rimane in piedi l’accusa di esercizio di credito abusivo aggravato dall’uso di metodi mafiosi. Le prime perquisizioni hanno trovato già tre milioni di euro in contante suddivisi in mazzette pronte per il prestito nell’abitazione di Guida. E la frase “vieni a prenderti un caffè” era la formula convenuta per fissare l’incontro.

Ma è la Boccassini a tratteggiare un pezzo di Milano collaborante piuttosto che vittima dichiarando senza mezzi termini come fossero spesso gli imprenditori a bussare alla porta dei criminali, sapendo esattamente di poter trovare una liquidità che difficilmente sarebbe stata reperibile nei canali legali. Per questo l’attività “parabancaria” in realtà presume anche l’esistenza di una classe imprenditoriale “paralegale” nella gestione dei propri interessi. “C’era gente che doveva restituire fino a 75 Mila euro al mese” ha spiegato il capo della Squadra Mobile di Milano, Alessandro Giuliano. Nessuno degli imprenditori ha denunciato. Nessuno. E anche questo è un dato da annotare per tutti quelli che ancora pensano che le “mafie” siano questioni non settentrionali.

(continua qui)

Intanto a Napoli, rione Sanità

omicidio-pietro-esposito-sanita-300x225Si continua a sparare ed uccidere. Le parole sprecate delle istituzioni, la pagliacciata di un esercito che recita la parte per qualche giorno e le promesse di Rosy Bindi sono finite in un omicidio alle quattro del pomeriggio, in pieno centro, con il boss del rione, Pietro Esposito, sparato in faccia. E fa niente se si è beccato una pallottola anche un barista mentre buttava l’immondizia. Questo non è un Paese irredimibile, questa è una classe dirigente che non è all’altezza nemmeno delle promesse che fa.