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Come sgorga un libro: “Ciò che rimaneva di mio padre era una scatola da scarpe” (parla Angela Landa, figlia di Michele)

Schermata 2015-11-02 alle 12.09.33In questo video parla Angela Landa, la figlia di Michele, ucciso e bruciato nella sua auto. In questa intervista c’è il cuore pulsante che ho provato, e spero di averlo fatto bene, a mettere a fette e delle fette farne pagine del mio libro ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. Se c’è qualcosa di cui sono fiero, se c’è qualcosa che mi assomiglia e che parla (anche di me) è la fortuna di avere potuto scrivere questo romanzo. Per questo sorrido quando lo so letto, regalato o piaciuto.

Ecco il video:

Il libro lo potete anche comprare (a chilometro zero) qui.

La camorra, Paperino e le slot machine

Slot machine e video poker, un business da milioni di euro gestito attraverso prestanomi incensurati. È l’ultimo affare del clan camorristico dei Casalesi, decimato dagli arresti e ora guidato dalla famiglia Russo, il principale obiettivo dell’ultima operazione della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Quarantaquattro ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione mentre cinque aziende e 3.200  slot machine sono finite sotto sequestro.

Perquisiti anche diversi esercizi commerciali in Campania, Lazio e Toscana.  Le accuse contestate a vario titolo sono di associazione camorristica, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza e riciclaggio, tutti reati aggravati dalla finalità mafiosa. L’indagine riguarda le attività del gruppo Schiavone-Russo, indicato come il nucleo centrale dell’organizzazione, comandato da Francesco Schiavone, al secolo Sandokan, e da Giuseppe Russo, ‘o Padrino, entrambi detenuti.  Dopo la cattura dei principali esponenti del clan la famiglia Russo ha assunto un ruolo di vertice: Corrado (l’unico fratello libero) e Raffaele Nicola Russo sono indicati come i reggenti della famiglia dei Casalesi ed è a loro che è stato affidato il compito di riorganizzare le fila “soprattutto da un punto di vista militare”, come sottolineano gli investigatori.

L’inchiestsi sulle slot e i video poker nasce invece da numerose intercettazioni e dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. I Russo si erano imposti – spiegano gli inquirenti – nella gestione delle estorsioni e del controllo degli appalti, in rapporti con rappresentanti delle amministrazioni locali, e nel controllo delle principali attività economiche, anche attraverso commercianti e imprenditori “compiacenti”. Attraverso prestanome incensurati avevano il monopolio di slot machine e videopoker in bar delle provincia di Caserta e in numerosi della provincia di Napoli.  Oltre agli affari con le slot machine, il clan gestiva anche sale Bingo, la distribuzione del caffè, e il settore di cavalli da corsa.  Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi c’è infatti anche un noto fantino accusato di aver consapevolmente condotto il cavallo Madison Om, ritenuto di fatto di proprietà di Massimo Russo, esponente del clan soprannominato Paperino.

(fonte)

E intanto il boss Cimmino è già tornato a casa

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Sono molto curioso di leggere le motivazioni con cui il tribunale del Riesame ha accolto la richiesta di annullamento di custodia cautelare del boss Luigi Cimmino, arrestato in pompa magna 11 giorni fa. Chiunque studi di camorra sa che il progetto di appropriarsi della zona tra il Vomero e Arenella, soprattutto per quel che riguarda le estorsioni, per Cimmino era una priorità. E siccome noi su giornali leggiamo degli arresti, molto più in piccolo la scarcerazione e poi quasi mai le motivazioni attendiamo con ansia il deposito delle motivazioni. Con ansia.

Bravo! E giù di applausi per il boss

Il boss Luigi Cimmino, acclamato dai familiari quando è stato portato fuori dalla caserma che ospita la compagnia dei carabinieri del Vomero a Napoli: “bravo, bravo”, il grido di incitamento a cui sono seguiti gli applausi. Cimmino era il vero obiettivo dei killer del clan Caiazzo nell’agguato che costò la vita alla vittima innocente della camorra Silvia Rutolo, uccisa il 17 giugno 1997 a salita Arenella (riprese Giampiero De Luca, montaggio Anna Laura De Rosa)

A Pogliano c’era il boss ma nessuno se n’è accorto

image“Qui non c’è pressione. Ti conoscono… ma non ti conoscono… ti vedono lavorare e non sanno quello che tu sei. Ti vedono sotto un’altra ottica”. Sono le considerazioni di Giovanni Nuvoletta, 46 anni, il presunto boss della camorra arrestato mercoledì mattina nella sua casa a Pogliano Milanese. L’intercettazione del dicembre 2013 conferma che Nuvoletta junior, figlio del defunto boss Lorenzo, storico padrino dell’omonimo cartello camorristico di Marano di Napoli, consapevole del “timbro di mafiosità” legato al suo cognome in tutta la Campania, nel 2011 si trasferisce al Nord con la famiglia per continuare i suoi affari illeciti. Sceglie la Lombardia, dove nessuno conosce la storia della sua famiglia. “In Campania sei visto male in partenza”, aggiunge Giovanni. A Pogliano quando arriva non lo conosce nessuno. Fino a mercoledì mattina, quando viene arrestato dai finanzieri del Comando Provinciale di Milano con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, reimpiego di capitali illeciti e trasferimento fraudolento di valori. Qui apre il locale “AMOzzarella”, un ristorante-pizzeria con annesso caseificio, sempre molto frequentato. In paese si muove come una persona qualunque, con villa e capannone, in una delle strade del centro.

Imprenditore irreprensibile anche per il sindaco Vincenzo Magistrelli: “Quando mercoledì mattina ho appreso dagli organi di informazione la notizia dell’arresto di Nuvoletta sono rimasto senza parole – spiega – l’ho conosciuto tramite l’ufficio tecnico, quando hanno aperto la loro attività alcuni anni fa. Ci sono stati dei problemi in merito ai posteggi e all’occupazione del suolo pubblico, ma hanno messo a norma il locale nel rispetto delle Leggi senza problemi. È gente che non ha mai dato fastidio. Non abbiamo mai ricevuto segnalazioni per episodi di disturbo della quiete pubblica. A differenza di altri locali presenti sul territorio del loro ristorante mai nessuna nota negativa”. Certo. Il presunto boss della camorra non poteva permettersi di avere in giro nel ristorante controlli e polizia locale per un tavolino di troppo messo sul marciapiede e così ha «messo tutto a posto». Non sapeva che la Guardia di Finanza, invece, lo conosceva e stava indagando sui traffici di droga e su come aveva reinvestito nell’economia legale gli illeciti proventi, trasformandosi in dinamico imprenditore nel settore della ristorazione lombarda. Il locale chiuso mercoledì mattina dopo il blitz dei finanzieri ha riaperto in serata. Ma ora anche a Pogliano tutti sanno chi è Nuvoletta.

(clic)

La camorra dei giovani “Nuvoletta” parla in milanese

dire_13957988_18490Il Gico della Gdf di Milano, nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Dda milanese e trasmessa a quella di Napoli, ha arrestato a Pogliano Milanese Giovanni Nuvoletta. L’ esponente del noto clan camorristico, ora in carcere, è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, reimpiego di capitali illeciti e trasferimento fraudolento di valori. Reati, questi due, commessi in concorso con la moglie Annunziata, i figli, e due nipoti ora ai domicilIari a Baranzate, nel Milanese. I finanzieri hanno eseguito 10 arresti, 3 carcere e 7 ai domiciliari, e sequestrato beni per circa 13 milioni di euro. Tra i beni sequestrati in provincia di Milano, Napoli e Caserta, ci sono, oltre a conti correnti e immobili come un ristorante nel milanese, cavalli di razza e bufale impiegate nell’attività casearia.
Le ordinanze di custodia cautelare sono scattate per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione illegale di armi, traffico internazionale, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori e reimpiego di denaro di provenienza illecita. Le attività investigative hanno consentito di ricostruire la storia criminale del camorrista esponente del clan Nuvoletta, nota famiglia del Napoletano, il quale dopo aver operato per anni nel settore del traffico internazionale di stupefacenti, ha trasferito famiglia e interessi economici a Milano, dove ha reinvestito i grossi capitali illeciti accumulati in diverse attività imprenditoriali nel settore della ristorazione e della produzione e commercio di prodotti caseari.

(clic)

Il grande Mario Piccolino: a Formia come a Gomorra si spara ai blogger

mario-piccolino-latina24oreUn unico colpo, diretto alla testa. Mario Piccolino è morto così, mentre si trovava nel suo studio di Formia. La vittima aveva 71 anni, era un avvocato e un noto blogger di freevillage.itdove pubblicava articoli contro le mafie, indiscrezioni e commenti politici. Un omicidio avvenuto in una città ad alto tasso mafioso, in un territorio – quella di Latina – che Carmine Schiavone chiamava semplicemente “provincia di Casale”, dove da tempo vivono moltissimi esponenti storici dei principali clan dell’agro-aversano.
Piccolino è stato colpito nel suo studio in pieno centro, poco dopo le 17. Un uomo a volto scoperto, di statura media, vestito con una bermuda militare, ha chiesto di lui ad un giovane ingegnere che divideva lo studio con l’avvocato, presentandosi come un cliente. Il testimone ha raccontato di aver sentito prima una breve discussione e poi un unico colpo di arma da fuoco, che ha freddato la vittima. Secondo i primi rilievi l’omicida avrebbe utilizzato una parabellum 9×21.
La squadra mobile di Latina sta ascoltando in queste ore i testimoni, per cercare di dare un volto ed una identità al killer. Al momento c’è grande cautela sui possibili moventi dell’omicidio. Non viene scartata la ritorsione da parte di uno dei tanti clan di camorra che da anni vivono e operano a Formia, considerata fin dagli anni ’80 la “Svizzera dei Casalesi”. Gli investigatori stanno valutando anche la pista di una vendetta da parte di un cliente dell’avvocato, molto conosciuto in città. Nel 2009 Piccolino era già stato aggredito, colpito con un cric sul volto da un uomo che si era introdotto nello studio. L’aggressore è stato poi identificato comeAngelo Bardellino e successivamente rinviato a giudizio.
Formia in questi ultimi mesi sta vivendo un periodo di particolare tensione. Solo qualche giorno fa un giornalista della testata h24notizie.com è stato aggredito in città da un imprenditore. Il comune di Formia ha comunicato che per domani è previsto un consiglio comunale straordinario.
(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

«I napoletani della Tuscolana»

999210Li chiamavano «I napoletani della Tuscolana»: avevano messo su un’organizzazione caratterizzata dall’integrazione tra personaggi di origine campana e noti criminali romani tanto da poter essere considerata una realtà autoctona che si avvaleva però della connotazione camorristica del suo capo, Domenico Pagnozzi, e di alcuni affiliati per poter accrescere la propria forza intimidatrice nella Capitale. I Carabinieri stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 61 persone, a conclusione di un’indagine che ha portato all’individuazione di un’organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sudest di Roma. Arresti e perquisizioni sono in corso in varie località di Roma e provincia, Frosinone, Viterbo, L’Aquila, Perugia, Ascoli Piceno, Napoli, Caserta, Benevento, Avellino, Bari, Reggio Calabria, Catania e Nuoro. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce, commessi con l’aggravante delle modalità mafiose e per essere l’associazione armata. E ci sarebbero stati scambi di favori tra l’organizzazione e il clan di Michele Senese per compiere fatti di sangue. È quanto sarebbe emerso dalle indagini, iniziate nel 2009: tra Domenico Pagnozzi e Michele Senese ci sarebbe stato un sodalizio che non si è spezzato negli anni. Quando si dovevano compiere delitti a Roma, secondo gli inquirenti, ci sarebbe stata la «mano d’opera» che arrivava da Napoli e poi spariva dopo l’omicidio.

I legami con Carminati

E legami c’erano anche con il gruppo di «Mafia Capitale»: «Si tratta di personaggi che si conoscono, non dal punto di vista personale, e si rispettano con un riconoscimento di ruoli tra capi di gruppi che operano sullo stesso territorio». Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, sui rapporti tra il gruppo camorristico sgominato dai Carabinieri nella capitale e il sodalizio capeggiato dall’ex Nar, Massimo Carminati. «Non c’è un tavolo di regia – ha aggiunto Prestipino – ma dalle intercettazioni si capisce che c’è contezza dell’altro e ognuno sa dell’esistenza dell’altro gruppo».

Il «Tulipano» sequestrato

C’è anche il bar Tulipano tra i beni sequestrati nel corso dell’operazione dei carabinieri E’ stato proprio il nome del locale di via del Boschetto, nel cuore del quartiere Monti, a dare il nome all’operazione.

Le attività

L’operazione è scattata a conclusione di un’indagine del Nucleo investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale Carabinieri di Roma. Nell’ambito dell’operazione sono in corso sequestri di beni per un valore di circa 10 milioni di euro. I beni sequestrati sono riconducibili ad alcuni dei 61 arrestati. In particolare ci sarebbero numerosi esercizi commerciali e società romane, immobili, ma anche rapporti finanziari e veicoli. Per gli inquirenti il gruppo gestiva lo spaccio di stupefacenti in alcune piazze della periferia della Capitale, come Centocelle, Borghesiana, Pigneto e Torpignattara. Durante le indagini sono emerse inoltre episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. A quanto emerso, inoltre, l’organizzazione intendeva monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machines in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà. «Siamo convinti che il gruppo volesse espandere il proprio raggio di azione soprattutto per quanto riguarda le piazze di spaccio di droga». Lo ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, il generale Salvatore Luongo, durante la conferenza stampa sui 61 arresti.

I boss

L’organizzazione era capeggiata, fino al suo arresto per associazione mafiosa e omicidio, da Domenico Pagnozzi, attualmente detenuto in regime di 41 bis , condannato all’ergastolo per l’omicidio Carlino del 2001 e soprannominato «ice» per i suoi occhi di giaccio. Pagnozzi, detto «o professore», è stato condannato all’ergastolo in primo grado lo scorso ottobre perché ritenuto uno degli autori materiali del boss della banda della Marranella Giuseppe Carlino avvenuto a Torvajanica il 10 settembre del 2001. In un primo momento Pagnozzi venne scagionato per insufficienza di prove poi venne incastrato dalla prova del Dna trovata dagli investigatori su un fazzolettino di carta rinvenuto nell’auto abbandonata dai killer dopo l’omicidio. Carlino venne ucciso, secondo quanto ricostruito dalle indagini, per vendicare la morte di Gennaro Senese, avvenuta alla fine degli anni novanta, e fratello di Michele, quest’ultimo anch’egli condannato all’ergastolo e ritenuto il mandante dell’agguato che doveva ristabilire la supremazia sul territorio romano. Anche Massimiliano Colagrande, uomo vicino all’estrema destra e coinvolto nell’inchiesta «Mafia capitale» è tra i 61 arrestati dell’operazione «Camorra capitale» dei carabinieri del Comando di Roma.

Due in manette a Nuoro

Ci sono anche due cognati residenti a Nuoro fra le 61 persone arrestate nell’ambito della maxi operazione che ha smantellato un’organizzazione di matrice camorristica attiva nell’area sud-est della Capitale. I carabinieri del Comando Provinciale di Roma hanno arrestato Calogero Palumbo, di 54 anni, imprenditore di Cerignola, e il cognato Fabrizio Floris, di 46, camionista di Nuoro. I due sono indagati per traffico di droga.

Le reazioni

Il sottosegretario alla Difesa, Gioacchino Alfano, plaude «all’imponente operazione anticamorra dei carabinieri. Il mio più vivo compiacimento al Comandante Generale dell’Arma e a tutti i Carabinieri che hanno partecipato alle fasi di indagine e alle operazioni di arresto di questi malavitosi che hanno assicurato alla giustizia. E il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: «Desidero ringraziare a nome mio e dell’amministrazione regionale le Forze dell’ordine e la Magistratura per l’ottimo lavoro svolto nella lotta alla criminalità organizzata. Si tratta di un’operazione che dimostra come attuando un ferreo controllo del territorio e indagini scrupolose si possa estirpare il terreno fertile sul quale le organizzazioni mafiose tentano di mettere le radici».

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A Padova la camorra non esiste: sequestrati 130 milioni di euro

Beni per 130 milioni di euro sono stati sequestrati in otto regioni dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Padova, alle prime ore di oggi, ad un campano, legato ad un noto clan della camorra, sospettato di riciclaggio di ingenti somme di denaro.

I militari dell’Arma hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, emesso dal Tribunale di Padova, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia.

L’operazione vede impegnati circa 400 carabinieri, che stanno operando, con il supporto dei comandi provinciali interessati, nelle province di Padova, Vicenza, Treviso, Belluno, Ferrara, Bologna, Siena, Roma, Napoli, Salerno, Taranto, Matera, Cosenza e Varese.

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Camorra: preso Giovanni Licciardi

LICCIARDIGiovanniGiovanni Licciardi, di 37 anni, ritenuto l’attuale reggente dell’omonimo clan camorristico operante soprattutto nel quartiere di Miano, a Napoli, è stato arrestato dai carabinieri su ordine di carcerazione per associazione per delinquere di tipo mafioso.

Licciardi è stato bloccato lungo il Corso Secondigliano a bordo di una Smart guidata da un 29enne, già noto alle forze dell’ordine. Sottoposto a perquisizione, è stato trovato in possesso di 1.100 euro in contanti, sequestrati, e sono state avviate le verifiche per accertarne la provenienza.

L’ordine di carcerazione è stato emesso il 15 gennaio dalla Corte di Appello di Napoli: quello che viene considerato dagli investigatori il boss di Miano, deve espiare una pena residua di un anno, 11 mesi e 27 giorni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso. In particolare il 37enne è stato condannato nel marzo 2014 a 8 anni di reclusione e l’11 luglio 2014 era stato rimesso in libertà dal carcere di Terni dopo aver scontato 6 anni e 3 giorni di custodia cautelare in carcere. Il 15 gennaio scorso la sentenza è diventata definitiva. L’arrestato è stato condotto nel carcere di Secondigliano.