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campagna elettorale 2013

Il pacchista

lettera-rimborso-imu-500Giro l’Italia per lavoro. Mangio spesso in Autogrill (il Camogli è una costante della mia vita, insomma). Nel sottobosco delle stazioni di servizio ogni tanto mi perdo ad osservare tipi umani che mi fanno volare via per la loro sfacciata e cocciuta perseveranza da bisbigliatori sui gradini: i pacchisti.

Il pacchista (o paccaro o ogni altro nome prenda con declinazione regionale) sta all’ingresso o all’uscita, di solito ha la gamba destra sul gradino superiore, fuma una sigaretta sempre fumata troppo fino in fondo, discute con un suo compare dei seni e dei sederi turisti che scendono in comitiva dai pullman del parcheggio e hanno un sussulto meccanico per bisbigliare l’offerta del giorno a chiunque rientri nel suo raggio d’azione. Non ha fremiti, il pacchista, non propone con la luce negli occhi come i televenditori o gli ispirati per professione, no, sussurra l’oggetto in vendita con le parole tronche e spente in coda, sempre calante “signò, aifòn”, “signò, aipàd, galacsì, tomtò”.

Mi sono sempre chiesto cosa opprima così ferocemente la voglia di vivere e di vendere il pacchista: se sia forse quella postura che occlude l’arteria della vitalità o quel compare o la nostalgia dei bei tempi quando si rubavano le autoradio con i pomelli e si andava a casa presto. Poi ho capito: il pacchista ha la tristezza di chi sa che può riuscire ad ingannare solo gente di cui non ha stima. Il pacchista ha l’occhio clinico per individuare coloro che potrebbero cascarci, li avvicina quasi infastidito dalla creduloneria dei suoi potenziali clienti e dopo avere rifilato il pacco dice al suo compare che in fondo se lo meritava il pacco quello lì che pensava di comprare l’aifòn a così poco. E ricomincia.

Il pacchista odia i suoi clienti, vive nel terrore di essere fregato per primo e non ha stima di coloro che riesce a convincere.

Ecco, ci ho ripensato oggi aprendo la lettera del rimborso IMU che mi promette Silvio Berlusconi.

 

A proposito della “giustizia ad orologeria”

loadImageScrive bene l’amica Lidia Ravera su Il Fatto Quotidiano:

Cari lettori, mi rivolgo a voi perché mi sosteniate in una disperata battaglia culturale: riformiamo il “Polit-taliano”, la lingua stanca delle cronache partitiche! Se leggo ancora una volta la frase “Giustizia a orologeria”, giuro che mi acceco con le mie stesse mani, mi pianto due baionette nei bulbi oculari.

Formigoni, per tutta la durata del suo mandato si è ingozzato a scrocco nei ristoranti di lusso, ha distribuito mazzette e si è svagato a spese dei suoi faccendieri parassiti. Della vicenda si parla ininterrottamente da mesi e mesi. Perché, signor Maroni, la “giustizia” sarebbe, in questo caso pure, a “orologeria”? Mi spieghi la metafora, eccellenza. Si tratta forse di unabomba? Allora è una bomba a molla, semmai, di quelle che, caricate dai bambini, fanno “Boom boom” tutti i giorni.

Ho trovato Roberto Maroni parecchio involuto in questa assonanza con Berlusconi negli attacchi alla magistratura. L’impressione è che il “nuovissimo” di cui la Lega andava fregiandosi all’inizio di questa campagna elettorale quando con una certa sfrontatezza si dichiarava lontana e disinteressata da Formigoni e PDL sia sul piano lombardo che sul piano nazionale (nonostante una convergenza di programmi che sfiora il ridicolo per il copia e incolla) si stia trasformando in questi ultimi giorni in una vecchia “vicinanza” esibita per raschiare il barile.

Le tortuose vie della Lega sono finite: è ritornata ad essere la servetta del capo appollaiata sui vecchi vizi peggiori.