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Colloquio per Ryanair: racconto semiserio di una giornata di ordinaria precarietà

(Sandro Gianni racconta la sua esperienza per Clap, qui)

A giudicare dagli annunci nei portali per la ricerca di lavoro, sembra che sul mercato esistano solo tre tipi di occupazioni disponibili: sistemista Java, dialogatore e operatore call-center. Se non conosci Java e hai zero voglia di vendere il tuo tempo per delle chiacchiere con degli sconosciuti, al telefono o dal vivo, la ricerca pare senza possibili sbocchi. Aggiungi che la percentuale di risposta ai curriculum inviati rasenta lo zero e che la laurea e/o i master di cui sei in possesso non sono particolarmente quotati nella borsa degli skills… il quadro si complica parecchio.

Perciò, quando qualcuno ha finalmente risposto alla mia “iscrizione a un’offerta di lavoro” ho provato una strana sensazione, di affetto quasi. Ho pensato di dover ricambiare, presentandomi al colloquio. Ho detto “qualcuno”, ma in realtà avrei dovuto dire “qualcosa”: un algoritmo, un dispositivo automatico di risposta alle mail, un bot del portale. Non posso saperlo, ma l’invito a comparire in un hotel nella zona di Tor Vergata è arrivato pochi millesimi di secondo dopo l’invio della mia iscrizione. Ciò esclude la mediazione umana e, dunque, una seppur minima selezione del curriculum, che avrebbe potuto equivalere a qualche decimale in più nella stima probabilistica di un’assunzione .

Il lavoro non era proprio quello dei miei sogni, ma provavo a vederci delle sfumature positive: la possibilità di viaggiare, avere un contratto decente, ricevere uno stipendio non troppo basso. Ovviamente, mi sbagliavo.

Nell’atrio dell’hotel di lusso, nella periferia sud-est di Roma, una quarantina di ragazzi e ragazze tirati a lucido, con la barba fatta, il vestito e la cravatta siedono in silenzio. Tra loro, io. Alcuni si muovono sicuri nei completi eleganti, camminano come se nulla fosse, bevono il caffé senza bisogno di sistemarsi di continuo la giacca, muovono le mani sullo smartphone senza domandarsi perché la camicia faccia capolino solo da una delle due maniche. Altri sono impacciati, si toccano insistentemente la cravatta temendo che il nodo si sciolga, cercano delle tasche in cui infilare le mani senza trovarle, provano a controllare la continua fuoriuscita della camicia dalla giacca senza alcun successo. Evidentemente, non sono abituati a conciarsi così. Tra loro, sempre io. C’è anche un ragazzo che deve aver letto male le istruzioni per l’uso: si è presentato in jeans e camicia a quadrettoni, rossi e blu. È imbarazzato, ma resta. Sembra simpatico.

In sala nessuno fiata. Quasi che taller e vestiti abbiano trasmesso per metonimìa un certo dovere di contegno, di formalità. «Dicono che l’abito non fa il monaco, ma non è vero» – argomenta il Totò ladro vestito da carabiniere, nei Due marescialli – «Io a furia di indossare indegnamente questa divisa, marescia’… mi sento un po’ carabiniere».

Ci chiamano e andiamo tutti insieme nel seminterrato dell’albergo, in una sala conferenze. Eliminata la prima decina di candidati con un test di inglese da seconda media, la selezione entra nel vivo. O meglio, nel video. Proiettano una presentazione del lavoro, divisa per sezioni: informazioni tecniche sulle diverse mansioni; procedure di inizio; questioni retributive e contrattuali; possibilità di carriera; criteri di premialità; caratteristiche dell’azienda che offre il lavoro e dell’agenzia di recruitment che assume (due cose diverse: una è Ryan; l’altra una fusione tra Crewlink e Workforce International… sì, si chiama proprio così!). In questa seconda fase, si rivolgono a noi come fossimo già assunti. L’uomo sulla cinquantina, inglese o irlandese, responsabile del reclutamento, allude più volte a quanto staremmo bene con indosso le nuove divise da hostess e steward.

Dalle immagini del video e dagli interventi del selezionatore si capisce che ci sono soprattutto tre caratteristiche importanti per fare questo lavoro: essere disponibili alla relocation immediata; parlare inglese; essere flessibili-e-sorridenti (insieme). Le immagini mostrano giovani di tutti i colori, che sembrano felici e raccontano la loro esperienza con Ryan di fronte a un bastone per i selfie. In particolare, insistono su quanto sia utile e divertente il corso di formazione per diventare personale di bordo. Si nuota, si spengono incendi, si salvano bambolotti, si incontrano persone. «You grow up like a man, not just cabin crew».

Ma è più avanti che le orecchie dei candidati si aguzzano: quando si inizia a entrare nel dettaglio del salario e dei tempi di lavoro. La retribuzione è organizzata secondo una serie di premi e possibili punizioni, un incrocio tra un videogioco e una raccolta punti del supermercato. «Your performance is continually monitored and assessed». Monitorare e valutare. Punire solo come ultima ratio. Soprattutto premiare: per far rispettare le regole, per aumentare la produttività, per migliorare le prestazioni. I like dei clienti danno diritto a delle ricompense: monetarie, ma soprattutto relazionali. Ad esempio, la penna nel taschino è indice di un certo numero di apprezzamenti. Costituisce dunque, tra i colleghi e nell’azienda, l’indicatore di uno status particolare.

Si viene pagati un po’ in base all’orario e un po’ a cottimo. Nel senso: un fisso non esiste; sono retribuite solo le ore di volo; si percepisce il 10% su ogni prodotto venduto (…adesso lo capite il perchè di tanto rumore?). Il contratto è registrato in Irlanda o UK. Si hanno delle agevolazioni sui viaggi in aereo.

Il salario mensile dovrebbe oscillare tra 900 e 1.400 euro lordi, in base al luogo di ricollocamento. «We try to keep the wages homogeneous among our workers». Bella l’uguaglianza, quando non schiaccia tutti verso il basso… penso io. Viene poi fatto cenno a un periodo annuale in cui non si lavora e non si ricevono soldi: da uno a tre mesi. Ma il selezionatore ci assicura che questa pausa non supera (quasi) mai i 30 giorni.

Fino a qui, niente di eccezionale. Ma il rapporto premi-punizioni è più complesso e configura per intero il sistema di retribuzione. Ovviamente, se i diritti diventano premi e i doveri debiti, tutto cambia. Non si parla di tredicesima e/o quattordcesima, ma di bonus, che si ricevono solo il primo anno. 300 euro il primo mese di lavoro, altrettanti il secondo, il doppio il sesto. Chi va via prima della conclusione dei primi 12 mesi, però, deve restituire questi bonus. Inoltre, la divisa (quella bella di cui sopra) costituisce un costo esternalizzato al lavoratore: il primo anno sono 30 euro al mese scalati direttamente dalla busta paga; successivamente pare si ricevano dei soldi, ma non si capisce bene per cosa, se per lavarla o non perderla. Per ultimo, il famoso corso di formazione per diventare hostess o steward si rivela qualcosa di più di un parco giochi in cui fare festini con altri esponenti multikulti della generazione Erasmus. Principalmente, si rivela un’enorme spesa. Se all’inizio era stato comunicato che, in via eccezionale, le registration fees del corso erano dimezzate a 250 euro, è alla fine che viene fuori il vero prezzo da pagare. Ci sono due modalità differenti: 2.649 euro se paghi prima dell’inizio e tutto in un colpo; 3.249 se decidi di farti scalare il costo dallo stipendio del primo anno (299 euro dal secondo al decimo mese, 250 gli ultimi due).

Si aprono le domande. Dopo alcune irrilevanti su sciocchezze burocratiche, alzo la mano. «Ci avete parlato di un massimo di ore di volo a settimana, ma mai delle ore totali di lavoro. Quante sono?», chiedo. «Voi siete pagati in base alle block hours, cioé le ore calcolate dalla chiusura delle porte prima del decollo, all’apertura dopo l’atterraggio. I tempi di preparazione dell’aereo, prima e dopo il volo, possono variare». Varieranno pure, ma di sicuro non vengono pagati, nonostante siano tempi di lavoro.

Alza la mano quello dietro di me. «Scusi la domanda, ma ho bisogno di fare dei conti. Diciamo che uno stipendio per una destinazione non troppo cara è di 1.000 euro. Ve ne devo restituire 330 al mese tra corso e divisa. Ne rimangono 670. Dovrò prendere una stanza in affitto, diciamo 300 euro. Ne rimangono 370. In più avrò bisogno di pagare un abbonamento ai mezzi per raggiungere l’aeroporto e coprire almeno le spese della casa anche nella pausa annuale in cui non si lavora. Diciamo che, se va bene, rimangono 300 euro. E non ho scalato le tasse, perché non so come si calcolano in Irlando o UK. Secondo lei, con questi soldi si può vivere?». Sbem.

Il selezionatore della società di recruitment, fino a quel momento cordiale e spiritoso, accusa il colpo. Deglutisce. Tossisce. Arrosisce. Si butta sulla fascia, prova un diversivo. «With this work you don’t get rich, but it’s in accordance with your capacity and affords your lifestyle». Alla fine, anche qui le nostre capacità valgono poco più di un pacchetto di sigarette al giorno. Chissà, invece, come ha calcolato il nostro stile di vita!

Finito il video, io e gli altri candidati usciamo e andiamo a mangiare insieme. Da come siamo vestiti, sembriamo un gruppo di giovani businessmen in carriera, lanciati alla conquista del mercato e pronti a scalare colossi finanziari. Invece siamo lì per un colloquio che, se va bene, ci farà guadagnare meno della persona che ci serve la pizza.

Comunque, i calcoli veloci del ragazzo che ha fatto la domanda dopo di me hanno sciolto l’iniziale freddezza tra i candidati. In molti hanno perso interesse per questo lavoro. Anche per questo, si scherza e si chiacchiera. Alcuni hanno appena finito la scuola superiore, altri l’università. Altri ancora hanno già diversi anni di precarietà e i capelli brizzolati. Tra loro…

Rimango fino all’intervista, per sport. Mi capita la collaboratrice del selezionatore. Legge il mio curriculum. Niente di eccezionale, però insomma… neanche da buttare. Tutti i titoli di studio con il massimo dei voti, laurea e due master, cinque lingue, numerose esperienze di lavoro materiale e immateriale, in Italia e all’estero. «Are you sure you want to do this work?», mi chiede. Bleffo: «Eeeeeh. Why not?». «Do you know people working for us?». «No». «So, what do you know about this work?». «What you told me today», rispondo. Lei arriccia il labbro inferiore e muove la testa dal basso verso l’alto e poi in senso inverso, fissandomi con gli occhi corrucciati. Ho l’impressione che stia pensando sardonicamente “devi essere proprio una volpe, tu!”.

Saluto, me ne vado. Sulla vespa faccio i conti: due caffé al bar dell’albergo = 3 euro; un pezzo di pizza e una bottiglia d’acqua = 4 e 50; giri vari alla ricerca di vestito, cravatta e scarpe e poi fino al colloquio = almeno 5 euro; stirare la camicia = 2 euro; stampare 7 fogli di curriculum dal cristiano-copto su via di Torpignattara, che sembra sapere quando non puoi dirgli di no = 2,10 euro. Barba e capelli costo zero, taglio autoprodotto in casa. Alla fine, non mi è andata nemmeno tanto male. Qualcuno è arrivato in treno da lontano, spendendo molto di più. Per l’ennesima offerta di lavoro precario e sottopagato.

Almeno una cosa l’ho capita: nella compagnia aerea, quel low che precede il cost non è riferito soltanto ai prezzi dei biglietti, ma anche al costo del lavoro.

Ecco chi lucra sui migranti: gente da terraferma (amica di Angelino Alfano)

Impeccabile Giovanni Tizian (qui):

C’è un’inchiesta antimafia che fa tremare i signori dell’accoglienza. Descrive nei dettagli le origini di un impero fondato sul business dei migranti. Con la ’ndrangheta protagonista, infiltrata nelle pieghe dell’emergenza. Pronta a lucrare sulla pelle dei rifugiati. Un crinale, quello dell’accoglienza, in cui si intersecano interessi diversi. Capi bastone, imprenditori e politici. Ognuno con un ruolo ben determinato. Ecco perché l’indagine sull’accoglienza dell’antimafia di Catanzaro fa paura a molti. E crea imbarazzo a quei politici, ministri, sottosegretari e prefetti che negli ultimi anni hanno avuto a che fare con Leonardo Sacco, il governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, satellite calabrese della storica Confraternita delle Misericordie, che ha visto la luce nel lontano 1244 e oggi conta su 800 cellule sparse per l’Italia. Sacco ha ricoperto peraltro la carica di vicepresidente nazionale della Confraternita.

Ora è presidente della federazione Basilicata-Calabria, che partecipa al Consorzio “Opere di Misericordia”. L’indagine in realtà va avanti da tempo. La prima informativa reca la data del 2007. Sono trascorsi dieci anni. Un’eternità, che ha permesso al sistema su cui il Ros dei Carabinieri aveva acceso un faro di sopravvivere serenamente e di continuare a fare incetta di appalti, da Crotone a Lampedusa. Sacco può contare su amicizie trasversali, dal centrosinistra al centrodestra. Nel tempo ha costruito una rete di rapporti diplomatici con le istituzioni che si occupano dell’emergenza immigrazione.

ACCOGLIENZA E’ POTERE

Sacco è tante cose. Imprenditore di successo, spazia fino al noleggio di imbarcazioni. Manager della solidarietà. Presidente della squadra di calcio locale che milita in Eccellenza. Ma mister Misericordia è soprattutto un personaggio abile nel tessere relazioni istituzionali. Per capire meglio la sostanza di questi rapporti è utile ricordare un’immagine scattata nel febbraio di tre anni fa alla convention dei vertici calabresi del partito del Nuovo centrodestra convocata a Cosenza. In quell’istantanea c’è Leonardo Sacco in posa con il ministro Angelino Alfano, all’epoca numero uno del Viminale. Il ministero con competenza diretta nell’emergenza sbarchi.

All’evento era presente anche Giuseppe Scopelliti: un mese dopo sarà condannato in primo grado e darà le dimissioni da presidente della Regione. Quella sera con Leonardo Sacco, al fianco di Alfano, c’era anche un sorridente Antonio Poerio, che fino al 2011 ha gestito il servizio catering all’interno del centro di accoglienza crotonese. Fino a quando la prefettura non gli ha revocato la certificazione antimafia. Poerio è l’imprenditore che il Ros già nel 2007 definiva in contatto con alcuni personaggi del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Qualche mese dopo la foto di rito tra Alfano, Sacco e Poerio, l’associazione Misericordia ottiene un’importante commessa. La prefettura di Agrigento, con procedura negoziata e d’urgenza, gli affida la gestione del centro di prima accoglienza di Lampedusa. Per dirigere la struttura viene scelto Lorenzo Montana. Travolto, però, dalle polemiche per la sua parentela con il fratello del ministro dell’Interno. Infatti la moglie di Alessandro Alfano è la figlia di Montana. Messo alle strette il prescelto ha poi deciso di rinunciare all’incarico.

Ora, però, l’Espresso è in grado di ricostruire la vicenda. Fu la Misericordia a fare il suo nome, come Montana stesso ha ammesso. Risulta tuttavia che il curriculum del suocero di Alfano junior non fosse adatto a quel ruolo. Lui, in fondo, proveniva dall’Agenzia delle Entrate e con l’immigrazione non aveva mai avuto a che fare. Ma il dato rilevante è un altro: quella nomina e la successiva bufera mediatica hanno mandato su tutte le furie il prefetto Mario Morcone, capo dell’Immigrazione del Viminale, che con Leonardo Sacco è in contatto continuo. I bene informati riferiscono di un Morcone decisamente irritato per la mossa ritenuta un vero azzardo. E di un Leonardo Sacco che avrebbe persino sollecitato l’intervento della sottosegretaria ai Beni culturali Dorina Bianchi. Con l’obiettivo di far capire ad Alfano che non era sua intenzione metterlo in difficoltà con la nomina di Montana.

L’episodio è tra quelli che gli investigatori dell’antimafia stanno rileggendo alla luce di quella sbiadita informativa di dieci anni fa, in cui il nome di Sacco e Poerio veniva accostato al potente clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Dorina Bianchi, 50 anni, è molto vicina al ministro fresco di nomina agli Esteri. La storia politica della parlamentare è costellata da cambi di casacca: in quindici anni sette partiti. Democristiana di base con alcune puntate nel centro sinistra, Pd incluso, per poi tornare a destra, Pdl prima e Ncd dopo con il collega Alfano. Bianchi è in ottimi rapporti con il governatore Sacco. La parlamentare d’altronde è di Crotone. E qui ha corso come candidata a sindaco nel 2011. Era la parentesi berlusconiana.

Il Cavaliere in persona chiuse la campagna elettorale della sottosegretaria. Non bastò, perché perse al ballottaggio. Dorina l’alfaniana, tuttavia, si è distinta anche per un’altra battaglia che stava molto a cuore a Leonardo Sacco: l’aeroporto di Crotone. Sacco, infatti, è stato nel Cda della società di gestione. Per questo nell’onorevole Bianchi ha sempre cercato un appoggio, anche solo per sollecitare l’intervento dell’allora ministro Ncd Maurizio Lupi. Che in effetti volerà nel crotonese per rassicurare gli interessati. Insomma, Sacco aveva trovato in Bianchi una chiave per parlare ai ministri della Repubblica. Eppure, per quanto il governatore calabrese della Misericordia cercasse di presentarsi come un paladino della legalità, organizzando convegni sulla mafia insieme a illustri ospiti, le ombre e i sospetti sulla sua figura erano noti da tempo. Dicevamo della trasversalità politica di Sacco. Ha, infatti, ottimi rapporti con alcuni Democratici renziani. Alle primarie del centrosinistra per scegliere il candidato alla presidenza della Regione, ha fatto il tifo per Gianluca Callipo, sindaco di Pizzo Calabro di rito renziano e membro dell’Assemblea nazionale del Pd assai quotato tra gli eletti del giglio magico. Il governatore dell’accoglienza ha poi avuto la grande fortuna di conoscere Matteo Renzi, poco prima che diventasse premier. Era il 2012 e Sacco, ai tempi numero due della Confraternita, ha incontrato l’allora sindaco di Firenze durante un evento pubblico sul volontariato. Alle buone relazioni politiche, si aggiungono poi quelle col mondo cattolico ed ecclesiastico. L’enfant prodige dell’accoglienza calabrese è l’allievo di don Edoardo Scordio: il parroco fondatore della Misericordia di Isola, e in contatto con i vertici dei padri Rosminiani, ordine a cui appartiene il sacerdote.

I SOLITI SOSPETTI

Tornando al rapporto dei detective di dieci anni fa, dal contesto descritto dai carabinieri del Ros poco o nulla è cambiato. Fatta eccezione per qualche sigla aziendale. Di quell’informativa dettagliata, tuttavia, si sono perse le tracce. Già allora gli investigatori gettavano un’ombra inquietante sulla gestione del centro di accoglienza crotonese. L’ipotesi mai tramontata è che il clan Arena di Isola Capo Rizzuto si fosse inserito nel business dell’accoglienza. Grazie proprio alla fornitura dei pasti all’interno della struttura dello Stato. Non deve sorprendere, del resto questa ’ndrina è dotata di uno spiccato fiuto per gli investimenti di nuova generazione. È accaduto, per esempio, con il boom delle energie alternative. Gli Arena hanno riempito di pale eoliche le campagne circostanti, in combutta con società estere. Il capostipite è il boss Nicola Arena. Il nipote, Carmine, fu ucciso nel 2004 a colpi di bazooka mentre si trovava nella sua auto blindata. Le nuove leve continuano a dettare legge.

DAL VENTO AI MIGRANTI

Che siano pale eoliche, rifiuti o immigrati, agli imprenditori delle cosche interessa relativamente. Per il semplice fatto che dove girano quattrini il clan locale mette il naso ed entrambe le mani. Nel documento investigativo del 2007, letto dall’Espresso, un’intercettazione rafforza il sospetto che i boss abbiano mangiato una fetta della torta milionaria dell’affare: «Questi neri girano per Isola Capo Rizzuto… di conseguenza tutto ciò che li riguarda è competenza nostra». Il sistema lo spiegava Antonio Poerio, altro grande protagonista dell’accoglienza calabrese che compare nello scatto insieme ad Alfano e all’amico governatore delle Misericordia. Poerio è un imprenditore noto nel settore del catering. Nell’informativa del Ros già veniva indicato come in contatto con una famiglia della ’ndrangheta locale. Fino al 2011 con la sua impresa – la Vecchia Locanda- riforniva ufficialmente la struttura d’accoglienza gestita dalla Misericordia. Pasta, patate, riso, pollo e verdure entravano nel centro a bordo dei mezzi targati Vecchia Locanda. Questo fino a quando la prefettura di Crotone non è intervenuta sospendendo il certificato antimafia alla società di Poerio. Un incidente di percorso che ha obbligato la Misericordia a rescindere il contratto. Al suo posto è subentrata la Quadrifoglio Srl. Il proprietario si chiama Pasquale Poerio, cugino del Poerio della Vecchia Locanda. Insomma, l’affare è rimasto in famiglia. Tuttavia l’azienda di Pasquale gode di referenze molto in alto: la società Quadrifoglio, infatti, aveva stipulato con la prefettura una convenzione per fornire il servizio di mensa ai poliziotti della questura crotonese. Un curriculum, perciò, al dì sopra di ogni sospetto. Il titolare, Pasquale Poerio, è anche consigliere comunale di Isola Capo Rizzuto, area centrodestra, e appoggia l’attuale sindaco. Due anni fa Sacco, rispondendo a un articolo pubblicato sull’Espresso definiva l’associazione che rappresenta «il braccio dello Stato» nell’accoglienza. Al pari, in pratica, dei colossi legati a Comunione e liberazione e di Legacoop che hanno trasformato l’accoglienza in un business, come mafia Capitale ha insegnato.

IL PADRINO

Alcune foto raccontano la vita pubblica di Sacco. Altre invece ne rivelano il lato più controverso. Come lo scatto che lo immortala al battesimo del figlio di un personaggio del clan Arena. Sacco è lì in veste di padrino. Un indizio, è la tesi dei detective, della vicinanza di Sacco alla criminalità organizzata. La foto è stata sequestrata per caso nel 2010, durante il blitz dei carabinieri di Modena che ha portato all’arresto di Fiore Gentile in un’indagine dell’antimafia di Bologna su un giro di riciclaggio tra Calabria, Emilia e Svizzera. Sacco versione padrino di battesimo assume ancora più importanza agli occhi degli investigatori se legato a un’altra immagine fino ad allora poco valorizzata. Si tratta di una riunione del 2005 tra importanti personaggi del clan Arena. Tra i presenti c’era Pasquale Tipaldi, che verrà ucciso la vigilia di Natale dello stesso anno. Davanti al bar dove gli uomini degli Arena si erano riuniti, al fianco di Tipaldi, i carabinieri riconoscono Leonardo Sacco. Un legame solido, quello tra Tipaldi e il governatore della Misericordia di Isola. A tal punto che la protezione civile della Misericordia utilizza il capannone che fu di Paquale Tipaldi, oggi intestato a suoi parenti. È lo stesso fabbricato dove viene ucciso il 24 dicembre di dodici anni fa dai killer della cosca avversaria.

UN LAVORO PULITO

Un tempo Crotone era la Torino del Sud, oggi di quell’industrializzazione sono rimaste solo le scorie velenose. Il merito di Sacco, perciò, è aver trasformato la solidarietà in un’industria moderna dell’accoglienza. Il centro per migranti è gestito almeno a partire dal 2007 da mister Misericordia. L’ indotto attorno è strepitoso: i cibi da preparare, giovani operatori da assumere, lavanderie industriali per pulire lenzuola e tovaglie. Subappalti, posti di lavoro, forniture. Tuttavia sarebbe stato semplice per i controllori (Prefettura e Viminale) bloccare l’infiltrazione denunciata dal Ros ormai 10 anni fa. Si sarebbe potuto evitare se solo quel fascicolo col timbro del 2007 avesse avuto una fortuna diversa. Intanto Leonardo Sacco ha coronato un successo dietro l’altro. Da tre anni ha ottenuto anche i finanziamenti per la gestione di due Sprar, in pratica gli appartamenti in cui i rifugiati alloggiano una volta ottenuto il riconoscimento. Ulteriori somme che entrano in cassa: gli enti locali sborsano 35 euro al giorno per i maggiorenni, 54 per i minori. E poi ci sono le due gare vinte. L’appalto del centro crotonese, 12 milioni e mezzo, e quello di Lampedusa, 4 milioni all’incirca, da dividere con la Croce Rossa. Quest’ultimo è stato assegnato nell’ottobre scorso: a gestirlo sarà il raggruppamento formato da Croce Rossa e Consorzio Opere di Misericordia, struttura della confraternita di cui fanno parte solo alcune realtà territoriali, tra queste la federazione Basilicata-Calabria presieduta da Leonardo Sacco. Il direttore, questa volta, non ha parenti ingombranti e proviene dalla Croce Rossa. Non vale per il catering: fornito sempre dalla Quadrifoglio, come del resto, è avvenuto negli anni scorsi, a partire dal 2014 quando a Lampedusa lavorava soprattutto la Misericordia di Capo Rizzuto. Nella forma nulla da eccepire: Il subappalto è previsto nel capitolato d’appalto. Tutto nella norma, dunque, se non fosse per quel filo che lega Lampedusa al lato più oscuro di Isola Capo Rizzuto.

La ‘ndrangheta dietro al CARA di Isola Capo Rizzuto. Ma va?

 Ecco l’articolo di Alessia Candito:

Il Cara più grande d’Europa era in mano alla ‘Ndrangheta. Da dieci anni. Su 103 milioni di euro di fondi Ue, che lo Stato ha girato dal 2006 al 2015 per la gestione del centro dei richiedenti asilo di Crotone, 36 sono finiti alla cosca degli Arena. Questo racconta l’ultima inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, in base alla quale questa mattina sono state fermate 68 persone, molte appartenenti appunto al clan Arena.

BUFERA SULL’UOMO DELLE MISERICORDIE. Agli arresti sono finiti anche Leonardo Sacco, presidente della sezione calabrese e lucana della Confraternita delle Misericordie, organizzazione che da dieci anni gestisce il Cara di Isola Capo Rizzuto, ed il parroco del paese, don Edoardo Scordio, entrambi accusati a vario titolo di associazione mafiosa, oltre a vari reati finanziari e di diversi casi di malversazione, reati aggravati dalle finalità mafiose. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri del Ros, guidati dal generale Giuseppe Governale, in collaborazione con i finanzieri della Tributaria di Crotone, Sacco avrebbe stretto accordi con don Scordio, parroco di Isola di Capo Rizzuto e tra i fondatori delle Misericordie, per accaparrarsi tutti i subappalti del catering e di altri servizi. Grazie a Sacco la ‘ndrangheta sarebbe riuscita a mettere le mani sui fondi girati dal governo non solo per la gestione del Cara calabrese e di due Spraar aperti nella medesima zona, ma anche per quella dei centri di Lampedusa.  Un affare da 30 milioni di euro: i cibi da preparare, gli operatori chiamati a lavorare nel centro, le lavanderie industriali per pulire lenzuola e tovaglie. Tutto in mano ai clan.

“IL SISTEMA DI SFRUTTAMENTO DEL PARROCO”. In tale quadro, una somma consistente veniva distribuita indebitamente al parroco della Chiesa di Maria Assunta, a titolo di prestito e pagamento di false note di debito: solo nel corso dell’anno 2007, per servizi di assistenza spirituale che avrebbe reso ai profughi, ha ricevuto 132 mila euro. Don Scordio, ritenuto il gestore occulto della Confraternita della Misericordia, è emerso quale organizzatore di un sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate all’emergenza profughi, riuscendo ad aggregare le capacità criminali della cosca Arena e quelle manageriali di Leonardo Sacco al vertice della citata associazione benefica, da lui fondata.

Sotto la lente degli investigatori la Quadrifoglio srl di Pasquale Poerio, cugino del presidente della ditta ‘la Vecchia Locanda’ che fino al 2011 si occupava del catering per i migranti ospiti del Cara. Un contratto rescisso in fretta e furia quando i contatti del presidente Fernando Poerio con uomini della ‘ndrangheta locale hanno indotto la prefettura a sospendere il certificato antimafia alla società. A sostituirla – e forse non a caso – con quella del cugino. Ma questi non sarebbero gli unici rapporti “imbarazzanti” del presidente Sacco. Per gli investigatori, non è per nulla casuale che il capannone della protezione civile della Misericordia sia quello un tempo appartenuto a Pasquale Tipaldi, uomo di spicco del clan Arena ucciso nel 2005, e oggi ancora in mano ai suoi parenti.

LE “AMICIZIE” CON ALFANO E BIANCHI. Rapporti che per lungo tempo Sacco sarebbe riuscito a tenere sotto traccia, mentre non esitava a mostrarsi in compagnia di politici e uomini delle istituzioni. Considerato vicino alla parlamentare Dorina Bianchi, come alla famiglia dell’attuale ministro degli Esteri, Angelino Alfano, qualche anno fa Sacco è finito nell’occhio del ciclone per aver indicato Lorenzo Montana, cognato del fratello di Alfano, per dirigere la struttura di Lampedusa. Un incarico che l’uomo, funzionario dell’Agenzia delle Entrate, dunque senza esperienza per quel ruolo, non ha ricoperto per molto. Si è dimesso poco dopo a causa delle polemiche.

Anche in Calabria però Sacco ha sempre goduto di stima, protezione e potere, tanto da entrare – in quota politica – all’interno del Cda della società che per lungo tempo ha gestito l’aeroporto di Crotone.

Mi terrorizza la ferocia di questi, oltre al terrore

Questa mattina, se mi permettete, non scriverò il mio consueto buongiorno. Quindi non mi dedicherò alle notizia di oggi (da Londra alla bagarre sui vitalizi fino alla prossima celebrazione dei trattati europei) ma vi racconto una sensazione.

Nella casella di posta stamattina molto presto mi è arrivato un messaggio, ovviamente da un profilo Facebook che non è riconducibile a nessuna persona reale: la foto del profilo è un soldato ripreso di spalle e il “nome” una semplice sigla “Dem Ken”. Dice, il messaggio, letteralmente:

«cara zecca, prenditela con gli extracomunitari terroristi, volevi anche tu l’europa dell’accoglienza? eccoti servito!»

Mi sono sforzato di immaginare quale strana connessione possa scattare nell’animo di qualcuno per prendersi la briga di scrivere una frase del genere a un insignificante editorialista, quale sia quell’organo così peloso che possa vomitare in una frase del genere gli accadimenti di Londra.

Poi, per immergermi nella meglio nel cassonetto a toccare con mano il percolato della ferocia, mi sono fatto un giro sulle pagine dei fomentatori professionisti (niente nomi, oggi nessuna pubblicità), ancora:

“Ennesimo attentato terroristico islamico a Londra ci conferma che l’Europa è ormai una fabbrica del terrorismo islamico.
Continuiamo ad importare “arricchimento” culturale…i risultati sono questi”

“QUANDO C’ERA IL FASCISMO MIO PADRE DICEVA SEMPRE TUTTI AVEVANO UN LAVORO E NON C’ERA DELIQUENZA!”

“adesso ho capito perche’ la boldrini vuole dare la cittadinanza ha tutti quelli che arrivano nel nostro paese , cosi risultano italiani quando uccidono qualcuno”

“E adesso ?… I buonisti quale caxxata si inventeranno per l’ennesimo attentato facendo passare per un squilibrato un paranoico ecc. senza ragionare un attimino che questi signori perbene attentatori stanno dichiarando guerra ai fessi della UE fallimentare?”

(continua su Left)

Lo “spiegone” sul CARA di Mineo

Cara-Mineo-2015-400x215La corruzione nel nostro paese offre notizie sempre fresche ai quotidiani, e lo fa con estrema generosità. E’ utile fermarsi un attimo e precisare la storia di alcuni tra i principali attori delle inchieste in corso. Cominciamo dal CARA di Mineo.

Giornalisticamente lo chiamiamo “spiegone” ed è per chi ama approfondire. Lo trovate qui.

Una bella osservazione sulla scempiaggine di Franceschini

“Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”

Quando il Ministro Franceschini ha twittato così ieri ho pensato che fosse un’uscita senza senso, vuoi per i pochi caratteri che il social ci lascia a disposizione o vuoi per una sintesi frettolosa di un progetto veramente più vasto e più spesso. E invece no.

E siccome il web è pieno di opinioni (spesso troppe e troppo sparse) non ne aggiungo ma vi ripropongo lo scritto di Christian Raimo qui.

Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.