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Carlo Chiriaco

Nuove professioni (mafiose): il “facilitatore”

Si tratta di un soggetto intermedio ed autonomo, a suo modo un professionista nel mondo delle opere e dei servizi pubblici. Anche in questo caso sono venuti in rilievo professionisti qualificati che avevano un passato nel settore pubblico. In particolare, vengono in considerazione, spesso, ex politici o para-politici, ex funzionari pubblici, che, con la pregressa pratica, hanno imparato a conoscere la macchina degli apparati pubblici, i suoi tempi, i suoi meandri, i suoi passaggi. Ed hanno, quindi, amicizie nel descritto contesto, come nelle organizzazioni che a loro si rivolgono per ottenere le loro prestazioni».

Sono le parole, precise e taglienti, della Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia e terrorismo (Dna), presentata il 12 aprile del 2017 e presentata alla stampa (con tanta retorica e sempre troppa poca analisi) qualche settimana fa a Roma. Un quadro impietoso sullo stato di salute delle organizzazioni criminali nel nostro Paese (Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita e le mafie straniere) sulle risultanze investigative nel periodo che va da luglio 2015 fino a giugno 2016. Una relazione che, in una democrazia matura, avrebbe acceso i riflettori sull’incapacità politica e sociale di contrastare un fenomeno criminale che sembra essere l’unico vero filo rosso che lega l’Italia da nord a sud: le mafie stanno benissimo, sono in ottima salute e continuano imperterrite a fare affari, a stringere relazioni, a prendersi cura dei propri affiliati e a garantirsi un roseo futuro.

Ma torniamo al «soggetto intermedio ed autonomo, a suo modo un professionista nel mondo delle opere e dei servizi pubblici» che, si badi bene, non è un mafioso tout court ma compare per la prima volta nelle parole del procuratore nazionale antimafia: il «facilitatore», com’è chiamato nelle 965 pagine del documento, è l’ultima evoluzione delle mafie che hanno compreso come le relazioni e la conoscenza delle leggi (e dei regolamenti) siano molto più fruttuose delle armi e delle minacce…..

(prosegue sul numero di Left in edicola, oppure lo potete comprare online qui)

Dormi, Pavia, dormi

Dorme, Pavia, da anni ormai. Spaventata dalla querela facile di qualche signorotto millantatore e sempre impegnata negli appelli umanitari per lavare le condanne e le accuse. Anche lì si organizzano safari antimafia con tanta difficoltà nel guardare in casa propria. Basta leggere l’articolo di Daniele Ferro per farsene un’idea:

Lombardia è terra fertile per i «proficui rapporti» tra ‘ndrangheta e uomini dello Stato. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza che conferma le condanne a quaranta imputati, arrestati il 13 luglio del 2010 durante l’operazione «Infinito », che aveva l’obiettivo di smantellare la penetrazione delle cosche nella regione.

Un Comune che ben simboleggia i «proficui rapporti» in Lombardia è Pavia, città molto pericolosa per chi ostacola i piani degli affaristi. Non a caso tra i condannati spiccano l’avvocato tributarista Giuseppe “Pino” Neri e l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco: il primo condannato a diciotto anni di carcere con l’accusa di essere un boss della ‘ndrangheta in Lombardia, l’altro a dodici anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Entrambi sono calabresi cresciuti professionalmente a Pavia.

Ma anche nei casi in cui non compaiono affiliati alla ‘ndrangheta, la sostanza dei «proficui rapporti» a Pavia è pur sempre mafiosa: lo sostiene chi, denunciandoli, ne è rimasto vittima.

«Pavia è una città omertosa. Con quello che è saltato fuori dovrebbe succedere il finimondo, invece c’è un silenzio tombale, sia da parte delle istituzioni che della società civile», dice l’attivista e giornalista freelance Giovanni Giovannetti. Il cronista si riferisce a minacce di morte nei confronti suoi e di un collega del quotidiano la Provincia pavese, Fabrizio Merli, emerse da alcune intercettazioni telefoniche rese pubbliche due settimane fa dopo la chiusura delle indagini della procura di Pavia su «Punta Est», un cantiere sequestrato all’imprenditore Dario Maestri, finito agli arresti domiciliari nel 2013. È lui a dire «questi bisogna eliminarli fisicamente», riferendosi a Giovannetti e Merli, perché infastidito dai loro articoli che denunciavano le irregolarità su cui si fondavano i suoi cantieri, avvallate da funzionari pubblici con le mani pronte a intascare denaro.

Uno di questi, secondo gli inquirenti, è Ettore Filippi, ex dirigente della Polizia di Stato, vicesindaco durante l’amministrazione di centro-sinistra di Piera Capitelli, poi passato a sostenere la giunta di Alessandro Cattaneo (Fi), infine arrestato per corruzione lo scorso marzo con l’accusa di avere ricevuto da Maestri circa 130mila euro. È con lui che l’imprenditore, nella primavera del 2012, si sfoga contro i due cronisti (che si aggiungono agli oltre 2mila giornalisti minacciati in Italia negli ultimi otto anni, come rilevato dall’osservatorio Ossigeno per l’Informazione ). Alle minacce di morte, Filippi dice a Maestri di «non scherzare», ma poi gli presenta un amico investigatore, Fabrizio Scabini di Voghera, per pedinare i giornalisti. Anche al telefono con Scabini, Maestri minaccia. Parla di Merli, che ha pubblicato quella mattina del 10 marzo 2012 un importante articolo: «Ormai non penso più alla querela ma gli spacco la faccia a quello lì», trascrivono gli inquirenti il 10 marzo del 2012.

Quanti amici di mafiosi in Lombardia, carabinieri e dottori

Le cosche della ‘ndrangheta in Lombardia avevano creato “proficui rapporti” con “uomini dello Stato“: politici, investigatori e manager della sanità. E potevano contare anche sulle informazioni passate da un “appartenente alla Direzione Investigativa Antimafia di Milano, purtroppo ad oggi rimasto non identificato”. E’ questa la tela di potere che le ‘ndrine avevano esteso nel cuore produttivo del Paese. Una fitta maglia descritta nei dettagli nelle 800 pagine di motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello del capoluogo lombardo hanno confermato le condanne nate dalla maxi inchiesta Infinito-Tenacia del 2010. Le pene inflitte a giugno, seppure con qualche lieve riduzione, non hanno subito modifiche. Gli imputati sono circa una quarantina, tra cui il presunto boss Giuseppe“Pino” Neri e l’ex dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco. Diciotto anni di carcere al primo 12 anni al secondo.

Per raccontare i rapporti su cui potevano contare i presunti mammasantissima, la Corte riporta l’esempio del Comune di Desio. Il collegio della prima sezione, presieduto da Marta Malacarne elenca alcuni di questi “uomini dello Stato” e spiega, ad esempio, che “gli affiliati del locale (ossia della cosca, ndr) di Desio” erano in rapporti con l’ex assessore regionale lombardo Massimo Ponzoni. Inoltre, il collegio scrive che nel procedimento “sono stati analizzati i rapporti degli imputati con altri pubblici funzionari”, tra cui “Corso Vincenzo, ufficiale giudiziario in servizio a Desio”, “Marando Pasquale, ispettore dell’Agenzia delle Entrate” e “Pilello Pietro“, all’epoca “presidente del Collegio dei revisori dei conti della Provincia di Milano”. E poi “rilevantissima”, secondo i giudici, “l’infiltrazione nella società a completa partecipazione pubblica Ianomi, che raggruppa circa quaranta comuni della Valle dell’Olona e del Seveso, ed ha come oggetto sociale la gestione delle reti idriche”. E poi ancora i “rapporti di Strangio Salvatore con il colonnello in pensione Giuseppe Romeo e con l’ispettore della Polizia stradale di Lecco Alberto Valsecchi“.

Nelle motivazioni si parla anche di un “sequestro illegale” di un’auto da parte di “agenti della polizia di Stato di Torino” ottenuto da uomini vicini al presunto boss Domenico Pio. Un pentito poi ha raccontato di “un appartenente alla Guardia di Finanza che aveva fornito loro notizie di arresti imminenti” e di “rapporti privilegiati con il comandante della Polizia locale di Erba” e con “Nardone Carlo Alberto, ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri”. Altri “proficui rapporti”, spiegano i giudici, “sono rimasti nell’ombra” e se ne “desume l’esistenza” dai molti “episodi di fuga di notizie” nel corso dell’inchiesta.

Vengono poi descritti i legami che intercorrono tra le ‘ndrine lombarde e la Calabria, “una sorta di rapporto di franchising” – scrivono i giudici – sebbene le cosche lombarde agissero in autonomia, “la Calabria è proprietaria e depositaria del marchio ‘ndrangheta’, completo del suo bagaglio di arcaiche usanze e tradizioni, mescolate a fortissime spinte verso più moderni ed ambiziosi progetti di infiltrazione nella vita economica, amministrativa e politica“.

Per questo la stessa “infiltrazione mafiosa nelle aziende della famiglia Perego”, importante impresa lombarda nei settori edili e del movimento terra, era “seguita” – scrivono i giudici – “con attenzione dalla ‘madre patria’ anche in previsione delle prospettive attribuite a Expo 2015“. L’ex manager della Asl di Pavia Chiriaco, invece, svolgeva il ruolo di “stabile punto di riferimento per convogliare i voti controllati dall’associazione sui candidati in più tornate elettorali amministrative”. Nelle motivazioni, tra l’altro, c’è un lungo elenco di “pubblici funzionari“, ma anche di membri delle forze dell’ordine con cui le cosche avrebbero intrattenuto rapporti.

(fonte)

Di mafia e di bavaglio a Pavia

mauroLeggete e seguite cosa sta succedendo a Pavia. Prima sul sito dei Wu Ming:

[Chi bazzica queste lande si è imbattuto tante volte in Mauro Vanetti. Oltre a essere uno dei commentatori di Giap –  e guest blogger – più acuti e apprezzati, è stato anche il curatore dell’antologia Tifiamo Asteroide. Mauro è un informatico e un attivista politico.  Nella sua città, Pavia, è tra i protagonisti di una multiforme battaglia contro le mafie e il business legale del gioco d’azzardo, nonché tra i promotori di Senza Slot e co-autore del recentissimo libro Vivere senza slot. Storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza (nuovadimensione, 2013).
A monte di tutto questo, Mauro è un militante comunista, membro del PRC e della Tendenza Marxista Internazionale, che in Italia si raggruppa intorno al giornale Falcemartello.
E’ proprio dal sito di Falcemartello che riprendiamo la seguente chiamata alla solidarietà, perché Mauro sta subendo un attacco e bisogna aiutarlo a difendersi e contrattaccare, al di sopra delle differenze, delle diverse appartenenze e dei tribalismi delle tante sinistre.
A noialtri, poi, usare Giap per difendere un giapster sembra il minimo.
N.B. In generale, a Pavia c’è un clima pesante. Emblematico quel che è accaduto a Giovanni Giovannetti, autore del libro Sprofondo Nord( 2011). Non solo Giovannetti ha subito un fuoco di fila di querele: ha avuto anche la casa incendiata, e nel rogo è andato distrutto il magazzino della sua piccola casa editrice, Effigie.]

E il pensiero su discutibili.com:

La persona in questione è Mauro Vanetti, un attivista politico che ho conosciuto e frequentato – anche se non molto – all’università, attivo nella discussione sulle mafie nel nord e fervente sostenitore di posizioni contrarie alle slot-machine, che costituiscono un giro d’affari di cui Pavia rappresenta un centro propulsore di rilievo tristemente eccezionale. È stato chiamato in causa per diffamazione, per aver fatto riferimento, su Facebook, a un “picciotto”, in un thread polemico a cui aveva preso parte il signor Trivi. Questi, pur non comparendo il suo nome nel commento in questione, vi si è probabilmente riconosciuto, e avrebbe ritenuto di cogliere un’allusione alla propria persona nell’affermazione, stando alle fonti ugualmente priva di nomi, secondo cui: “Uno dopo l’altro, tutti i politici pavesi che se la intendono con la mafia la stanno facendo franca. Non saranno i giudici a levarceli dai piedi, dovremo pensarci noi”, con successivo chiarimento del pensiero dell’autore: “non penso che la mafia sarà mai sconfitta in tribunale se non viene prima sconfitta nella società, semplicemente perché gran parte di ciò che fa la mafia non è tecnicamente illegale”.

Beh, la sentenza di questo processo arriverà lunedì, scopro oggi. E quello che c’è da aggiungere è questo: che se la controparte è abituata a cavalcare sottigliezze processuali, chi si batte con impegno per un’idea di solito non ama perdercisi in mezzo. Ma in questo caso forse vi sarebbe di che eccepire, dato che, stando alle informazioni presenti in rete, i querelanti hanno proceduto senza presentare, come prove, altro che alcuni screenshot di Facebook sui quali non è stata eseguita alcuna perizia. A me, in questi casi, viene da sperare che le cose si concludano in modo giusto e ragionevole, ed equo. Ma poi mi chiedo anche se ha senso che io abbia fiducia nelle istituzioni, e, se sì, in quali. Non credo di poter aggiungere molto alla vigilia della fine di questa vicenda, che commento troppo tardi.

‘Ndrangheta in Lombardia: cosa (non) hanno detto i politici Abelli e Giammario

«Il contesto processuale nel quale questi personaggi politici e le persone del loro entourage sono stati chiamati a testimoniare era fra i più delicati ed imbarazzanti che si possano immaginare, visto che qui si discute di ’ndrangheta e di patto di scambio politico-mafioso: si possono perciò ben spiegare le prese di distanza, il riferimento al gran numero di persone che si finisce con l’incontrare nel corso di una campagna elettorale». Per questo «i contributi dichiarativi» sono risultati «estremamente prudenti, assai generici, a tratti sfuggenti e in più di un passaggio inconciliabili con altre emergenze processuali: insomma, poco utili per l’accertamento della verità».

(Motivazioni della sentenza con cui i pm di Milano hanno inflitto le 41 condanne nel processo Infinito, tra cui quelle all’ex manager Asl Carlo Chiriaco e all’avvocato Giuseppe Neri)

Abelli e Chiriaco, e insorge lo sdegno

Se c’è qualcosa che più di tutto racconta il “lombardismo negazionista” sulla questione mafie al nord è la comicità (tragica) delle reazioni. arrivo a Pavia per un (bel) incontro sul tema mafie organizzato dal PD locale. Essendo a Pavia parlo (ovviamente) dei rapporti tra Chiriaco e Abelli (cose scritte e riscritte ovunque) e si accende subito lo sdegno. Come volevasi dimostrare.