Vai al contenuto

carmine fasciani

Mafia di Ostia: 200 anni al clan Fasciani

Carmine Fasciani
Carmine Fasciani

Quattordici condanne e cinque assoluzioni per la cosiddetta Mafia di Ostia. Per la prima volta a Roma condanne per associazione mafiosa, in un processo che si reggeva essenzialmente sulle dichiarazioni di un pentito di mafia, Sebastiano Cassia, ritenuto collaboratore di giustizia attendibile benchè, osservano gli avvocati della difesa, in sede processuale alcune sue dichiarazioni siano risultate imprecise sui tempi. Prima non era mai accaduto, neanche ai tempi della Banda della Magliana. Pesanti le condanne, per un totale di oltre duecento anni, fra cui 28 anni inflitti al capoclan Carmine Fasciani e 25 alla figlia Sabrina. ritenuta dall’accusa, vero referente dell’associazione. Il giudice ha pienamente riconosciuto anche i risarcimenti alle parti civili, fra cui la Regione Lazio e il Comune di Roma. Per Carmine Fasciani la Procura aveva chiesto 30 anni.

Le condanne

In particolare ad essere condannati il fratello di Carmine Fasciani, Terenzio (17 anni), l’altra figlia Azzurra (11 anni). Inoltre sono stati condannati il nipote Alessandro Fasciani a 26 anni di reclusione, la moglie di Carmine Fasciani Silvia Bartoli (16 anni e 9 mesi). Insieme con loro quelli che sono considerati gli appartenenti al clan sono Riccardo Sibio (25 anni e 3 mesi), Gilberto Colabella (13 anni), Luciano Bitti (13 anni e 3 mesi), Eugenio Ferramo (10 anni), Danilo Anselmi (7 anni), Mirko Mazzoni (12 anni), Ennio Ciolli (3 anni) e Emanuele Coci (2 anni). Ad essere assolti sono stati Nazareno Fasciani, fratello di Carmine, Gilberto Inno, Fabio Guarino nonchè Vito e Vincenzo Triassi. Questi ultimi appartenevano all’omonimo clan che secondo gli investigatori agiva nella zona di Ostia e del litorale in pieno contrasto con il gruppo Fasciani.

(clic)

La cupola delle spiagge romane: arrivano le condanne

Mafia, Roma e ora anche le condanne:

Associazione a delinquere di stampo mafioso. Questo il reato costato otto anni di carcere a Diego Rossi. Uno degli uomini di spicco di Carmine Fasciani, il boss del litorale di Roma. Quest’ultimo sotto processo per lo stesso reato ma ancora in attesa di giudizio perché ha optato per il rito ordinario.

Col rito abbreviato ieri è stato invece messo un primo punto sulla presenza di una cupola a Ostia. Una sentenza storica che non si vedeva dai tempi della banda della Magliana visto il tipo di reato contestato.

Oltre a Rossi, anche se non per l’associazione di stampo mafioso ma per essersi intestati in modo fittizio beni riconducibili al clan Fasciani, sono stati condannati a tre anni e quattro mesi di reclusione Antonio Basco a due anni e quattro mesi Giovanna Basco e Daniele Carbone e a due anni Maria Luisa Piselli. Assolti da tutti i reati altre quattro persone. Inoltre, il gup Alessandra Tudino, ha disposto la confisca di locali e degli stabilimenti balneari: il Porticciolo, Malibu beach, Emmediesse e Dottor Fish. Visibilmente soddisfatti per l’esito del processo il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il sostituto Ilaria Calò.

Traffico di droga e armi, pizzo, estorsione, acquisizione in puro stile mafioso dei locali di Ostia. Solamente che qui siciliani, calabresi e campani non c’entravano nulla. O meglio quella del clan Fasciani è una mafia “made in Roma”, come emerge dalle indagini dei magistrati capitolini.

E’ infatti romano, Diego Rossi, uno degli sgherri di Don Carmine. Colui che, per la procura, non esitò a sparare “in una pubblica via”, a un uomo che offese la figlia di Carmine Fasciani. Persona colpevole per Rossi, di aver sputato sull’automobile di Sabrina Fasciani.
“C’è stato un drastico ridimensionamento dell’ipotesi accusatoria  –  spiega l’avvocato di Diego Rossi, Salvatore Sciullo  –  dal momento che il pm aveva chiesto 14 anni di reclusione per il mio assistito. Aspetteremo, comunque, le motivazioni della sentenza”.
Nel giudizio erano costituite come parte civile la Regione Lazio, Roma Capitale, Libera e Sos Imprese. Per loro il giudice ha stabilito il risarcimento dei danni da quantificarsi in separata sede.

Un pentito di mafia (a Roma) sta raccontando Carmine Fasciani

imageUn mafioso di Roma. Affiliato da Cosa nostra in Sicilia, ma diventato boss nella capitale dove per vent’anni ha rappresentato la famiglia di Siracusa e tenuto i rapporti con i clan locali. Uno che conosce a fondo i padrini che hanno messo le mani sulla metropoli e il suo litorale. E che due anni fa ha deciso di collaborare con le autorità. Sebastiano Cassia è di fatto il primo pentito della nuova mafia romana, che ha visto prosperare fino a prendere il dominio di interi quartieri.

La sua collaborazione è partita in modo rocambolesco. In pieno luglio si è presentato negli uffici della Squadra Mobile, chiedendo di parlare con Renato Cortese, il capo degli investigatori: «Aiutatemi, mi vogliono uccidere». Cassia è un cinquantenne che si sente finito: stufo di una vita di carcere e reati, pronto a dare prove in cambio di protezione. Si è accusato di estorsioni e commerci di armi. E gli agenti, dopo avere verificato le primissime rivelazioni, lo hanno portato davanti al procuratore Giuseppe Pignatone e al pm Ilaria Calò, che hanno messo a verbale le sue parole. Oggi la sua testimonianza è l’asse portante del grande processo per mafia che si celebra nell’aula bunker di Rebibbia.

Il cuore del suo romanzo criminale è Ostia, una città nella città, dove vivono centomila persone. Un territorio controllato da due organizzazioni. La più importante è quella di Carmine Fasciani, che guidava il suo clan anche dalla clinica dove scontava gli arresti, alleato con il napoletano Michele Senese. I loro complici-rivali erano i siciliani Triassi, messi da parte negli scorsi anni dalla brutale ascesa degli Spada. Il racconto del pentito parte dall’industria delle estorsioni, che sono diventate il sistema per lo sviluppo imprenditoriale dei nuovi boss. «I Fasciani subentrano nelle attività economiche di Ostia costringendo i titolari a cedere le aziende, chi si rifiuta viene pestato a sangue. Più che riscuotere il pizzo cercano di mettere “sotto botta” le vittime, per poi prendersi le loro attività: non gli interessa incassare 500 euro al mese, a loro interessa l’attività commerciale. Perché i Fasciani con tutti i soldi che hanno potrebbero pure fare a meno di chiedere il pizzo, ma lo fanno ad Ostia per ricordare a tutti il loro “titolo mafioso”»

Da leggere Lirio Abbate qui.

Mafie nel Lazio: domani parla Spatuzza

«L’accusa chiama a testimoniare Gaspare Spatuzza». Quando domani nell’aula bunker di Rebibbia il super pentito di mafia presterà il suo giuramento davanti ai giudici, il processo ai clan Fasciani-Triassi – boss della criminalità a Ostia – vivrà uno dei suoi momenti più caldi.
Spatuzza è colui che ha raccontato l’attentato per uccidere il giudice Paolo Borsellino e le bombe di Milano,Firenze e Roma nella stagione della trattativa stato-mafia a inizio degli anni ‘90. Ma è anche il primo ad aver spiegato genesi e accordi alla base dell’alleanza che ha dettato legge sul litorale romano, fino ai 51 arresti del luglio scorso nell’operazione «Nuova Alba». I diciotto affiliati ai clan che hanno scelto il rito ordinario – inclusi i capi famiglia Carmine Fasciani e Vincenzo Triassi – sono sul banco degli imputati, accusati di associazione di stampo mafioso, la prima in assoluto contestata a un gruppo criminale romano.

[…]

Nel 1995 Spatuzza – fidato killer al servizio del mandamento palermitano di Brancaccio – viene mandato sul litorale romano per esportare la guerra combattuta sull’isola. Dove eliminare i vertici della famiglia agrigentina Triassi e i narcotrafficanti Cuntera-Caruana, che a loro si appoggiano. Tutto per favorire l’ascesa dei Fasciani-Spada, originari dell’Abruzzo ma già alleati di Cosa Nostra. La missione non va a buon fine e 12 anni dopo nasce il patto di non belligeranza con cui i clan rivali si spartiscono gli affari sul litorale.

«Rispetto alla mafia siciliana, a Roma hanno tutta un’altra mentalità. Non si vogliono sporcare le mani direttamente, il romano cerca di farsi proteggere le spalle, agisce in seconda fila e però investire di più», ha raccontato ai pm il pentito.
E molto altro può raccontare un’altra figura chiave dell’inchiesta, Sebastiano Cassia, anch’egli collaboratore di giustizia di primo piano, che ha invece fatto alla Procura e alla Squadra Mobile il quadro della situazione attuale. Spiegando, ad esempio, che l’attentato del 2007 a Vito Triassi nasceva dalla guerra per il controllo dei chioschi balneari.

Descrivendo la presa delle attività commerciali da parte di Fasciani («Se c’hai bisogno di soldi te li presto, se non c’hai bisogno di soldi, ti costringo a vendermela»). Svelando che ad Ostia perfino le cooperative per disabili sono legate ai clan. Che i boss decidono anche sulle assegnazioni delle case popolari e che, da ultimo, i clan miravano al business del porto turistico. Il pm Ilaria Calò ha ottenuto dal tribunale di dedicare a lui due udienze a marzo. Sul ricorso ai pentiti le difese hanno già annunciato batta glia, anche nei loro controesami, temendone un uso strumentale.

Come sottolinea giustamente anche il Corriere domani è un giorno importante per affrontare lo studio di cosa succede dalle parti di Roma.