Carnaio
«Un libro potentissimo»: “a clacca piace leggere” recensisce Carnaio
seguo giulio cavalli da poco, non lo conoscevo fino a qualche mese fa.ho iniziato ascoltando i suoi podcast e leggendo gli articoli, quindi quando ho iniziato a trovare in giro le recensioni di carnaio, evitando il più possibile gli spoiler, mi sono detta che dovevo assolutamente leggerlo, sapevo che non ne sarei rimasta delusa.
e infatti.
carnaio è un libro potentissimo, uno di quei racconti che ti rimangono dentro, ti fa immaginare le scene che descrive come se fossero pezzi di un film o stralci di un telegiornale.
sì, esatto, di un telegiornale.
perché nulla è più spaventoso di quello che si trova ad appena un passo dell’orrore che vediamo ogni giorno e a cui ci stiamo abituando, nulla di più spaventoso se non li fatto che ci stiamo abituando, che bisogna darsi uno schiaffo per non cadere nella tentazione di pensare con leggerezza oh, un’altra volta, per non cedere ai toni monocorde degli speaker che contano i morti, giorno dopo giorno.
c’è chi ironizza, chi addirittura festeggia a queste notizie.
non è facile riconoscere il limite tra la realtà è l’invenzione a volte. o meglio: a volte vorremmo questa confusione per credere che non sia possibile tanto orrore.
e forse il merito più grande di giulio in questo libro è sottolineare quanto l’orrore sia banale e vicino a noi e comprensibile e, nel peggiore dei casi, persino condiviso.
l’orrore dell’abitudine, dell’indifferenza, della mancanza di empatia.
l’orrore di chi usa le tragedie degli altri, deumanizzandoli all’estremo, per il proprio interesse.
vi ricorda qualcosa?
protagonista della storia di carnaio è l’intero paese di df, un ipotetico paese di pescatori del sud italia, abitato da gente normale, da brava gente, quella che pensa alla famiglia, al lavoro, al futuro dei figli, ognuno con i suoi piccoli segretucci, nulla di che, roba che in fondo non fa male a nessuno.
gente come noi.
un giorno giovanni ventimiglia, pescatore da qualche anno in crisi per colpa di un mare sempre più avaro di pesce, trova un cadavere mentre attracca la sua barca al molo.
un ragazzo nero, giovane, alto, in salute. un cadavere lavato dal mare, chissà da quanto tempo lasciato a marinare nell’acqua salmastra, chissà da dove arriva ché non si è saputo di nessun naufragio.
una bella rogna per giovanni, che deve perdere tempo al commissariato e non arriva a vendere il pesce in tempo quel giorno al mercato. e poi sorbirsi pure i rimproveri – meritati, certo – di sua moglie
nei giorni successivi i cadaveri si trovano sempre più spesso, sempre più numerosi.
sono tutti uguali: maschi, neri, giovani, tutti più o meno la stessa altezza, più o meno lo stesso peso, più o meno lo stesso tipo di vestiti, niente documenti, nessuna storia, tutti sbiancati dall’ammollo.
sono fastidiosi questi cadaveri che spaventano i turisti e creano disagio ai cittadini, fanno paura tutti così uguali.
e poi, a un certo punto, i cadaveri cominciano ad arrivare a ondate.
letteralmente.
centinaia, invadono le strade, i giardini, le piazze, schiacciano la gente. tonnellate di carne, corpi fatti quasi con lo stampo, carne senza nome e senza storia, carne che con prepotenza decide di riempire il tranquillo paesino di df sconvolgendone la vita.
quello che succede a df è tanto abominevole da torcervi lo stomaco senza nemmeno preoccuparsi di aprirvi la pancia, una bella telestrizzata: nessuna domanda su chi siano, da dove vengono, perché sono così tanti, come sono morti, cosa si può fare per aiutarli, nulla.
non importa a nessuno, non sono neppure umani – e il particolare di dare a tutti caratteristiche fisiche così poco realisticamente uguali è una delle metafore più crudeli e forse più riuscite di tutto il romanzo – agli occhi degli abitanti di df, preoccupati solo del loro angolo di cortile.
le energie si concentrano tutte prima su come difendersi da quest’invasione di carne frollata dal mare.
e poi come farne profitto.
df, tranquillo paesino sulla costa, abitato da pescatori e gente comune, ognuno con la sua vita banale e comune diventa, nel giro di poco, l’inferno. si trasforma un posto orrendo dove le leggi della più basilare civiltà e umanità vengono sopraffatte dalla bieca necessità, dall’opportunismo, da un nuovo sistema organizzato nel nome del cinismo, della dicotomia noi/loro, dove quel loro non vale niente.
sono tante le voci che raccontano la storia, le voci degli abitanti di df.
solo a una di loro – flebile, piccola, impotente – è affidato barlume di umanità:
quello che voglio è non diventare come loro, con tutte le mie forze. mi sforzo di tenere a memoria il giusto e lo sbagliato, il tollerabile e l’intollerabile, la normalità e la ferocia.
questo libro è prezioso, tremendo, importantissimo, doloroso, necessario. fatevi forza e leggetelo, scoprirete che la differenza tra l’orrore che ci distrugge, quello abilmente narrato, e quello che ormai siamo abituati a sentire, quello asettico della cronaca, non è affatto così netta.
(fonte)
Staffetta umanitaria su Carnaio
Il progetto Staffetta umanitaria nasce dalla sensibilità di due ragazze, Francesca e Oriana, che da due città diverse (Cagliari e Napoli) si sono confrontate e trovate d’accordo sulla necessità di creare divulgazione e informazione su due tematiche attuali quali le migrazioni e il razzismo. Ne è nato un sito (ma anche iniziative collegate su tutti i social) che tra le iniziativa che a preso ha inserito anche la lettura di Carnaio. E loro non sanno quanto io gli sia grati. E ovviamente la loro recensione è bellissima:
[di Titti Petangelo, su Instagram: @spunti_di_lettura]
Ventiquattromilasettecentododici corpi. Provate a visualizzarli. Non tutti sono interi, molti sono divisi in pezzi.
Fa un certo effetto, vero? Sì, stiamo parlando di carne umana, di un’onda di cadaveri che sommerge una città. In Carnaio, il romanzo distopico di Giulio Cavalli, DF è il nome di questa cittadina della costa italiana, un posto come tanti dove non succede mai niente e tutti si conoscono.
Finché non iniziano ad arrivare migliaia e migliaia di morti. Tutti maschi della stessa età, lo stesso colore della pelle, stessa altezza, lo stesso peso e identica corporatura. Non si sa da dove vengono né cosa sia loro successo.
Ma poco importa, i cittadini di DF hanno ben altro a cui pensare. Bisogna far fronte all’emergenza e liberarsi al più presto del tanfo di morte che compromette l’immagine di quella che fino ad ora è sempre stata una deliziosa località costiera.
Quando si parla di esseri umani i numeri andrebbero scritti per esteso. E Giulio Cavalli, giornalista e attore teatrale, lo sa bene.
Soltanto in questo modo ci si sofferma veramente. Troppo spesso ci capita di leggere di cumuli di morti, dimenticandoci che si tratta di tante vite spezzate e non di vili statistiche.
Perché DF in fondo non è così diversa da uno dei tanti paesini che si affacciano sul mar Mediterraneo, uno di quei borghi tranquilli che negli ultimi 20 anni si è ritrovato a dover fronteggiare il fenomeno dei migranti. In questo senso Carnaio è un testo visionario che decide di raccontare questa realtà, portandola alle estreme conseguenze. Non c’è spazio per una soluzione civile, ma soltanto per l’orrore.
In un paese dove l’umanità è stata sacrificata sull’altare del consenso e del benessere economico, vincono i facili slogan e muore la libertà di pensiero.
Se non si inverte la rotta ci aspetta il baratro
In Carnaio non esiste nessuna via d’uscita speranzosa. Ed è chiaro fin da subito. Questo testo vuol far riflettere e lo fa in maniera brusca, costringendoci ad aprire gli occhi e a fissare ogni passaggio, anche quello più macabro. A questo serve l’insistenza sulla carne umana a cui si rifà il titolo.
“Piatto di carne cruda“, “rumore di salme grattugiate“, “carpaccio di carne“. Queste alcune delle espressioni che ci fanno rabbrividire e che, si spera, ci facciano sempre lo stesso effetto. A dispetto di politici che affrontano il problema soltanto per il proprio tornaconto elettorale, come l’autore sottolinea più volte nel testo.
I personaggi di Carnaio sono meschini, egoisti, indifferenti a tutto ciò che non riguardi la loro stessa sopravvivenza. E spesso ricordano personaggi a noi noti, come Piermario Tondini, che è sia il proprietario dell’emittente locale che della squadra di calcio; oppure come il sindaco Ruffini, che diventa una specie di “capitano coraggioso“, idolatrato da tutto il paese. Tanti altri, invece, potrebbero tranquillamente essere noi: il pescatore disilluso che aspetta passivamente che la vita faccia il suo corso; la vanitosa Lilly che approfitta di ogni situazione per trarne vantaggio e mettersi in mostra; il giornalista locale che, appena fiuta un dramma, ci si lancia contro voracemente. È facile riconoscere gli errori della Storia, meno semplice è invece osservare la realtà con occhio critico, evitando di dividere il mondo tra “questi” e “quelli“.
Nessun rimedio miracoloso o pillola magica, la scelta spetta a noi.
Titti Petangelo
E così Carnaio finisce al Premio Strega
All’inizio era un sogno. Poi è arrivata la lettera di presentazione di Concita De Gregorio (e chi mi segue sa quanto io voglia bene e stimi Concita) e siamo rimasti tutti basiti. Eccola qua (dal sito del premio):
«Giulio Cavalli in Carnaio racconta la storia di un piccolo paese affacciato sul mare, DF, dove d’un tratto cominciano a essere sputati dalle onde corpi senza vita di uomini tutti uguali. Come dice Giovanni Ventimiglia, il pescatore che per primo si imbatte in uno di loro: «Se galleggi, sei morto o sei una cosa, nel mare». Nessuno sa da dove vengano, i cadaveri che arrivano a DF (Distretto Federale, potreste pensare se conoscete l’America Latina). Nessuno in realtà ha intenzione di scoprirlo: vorrebbero solo che sparissero, che ritornassero a inabissarsi lasciando intonse le loro strade e le loro vite. Questo fino al giorno in cui un’onda di carne e vestiti non intasa le vie, sorprende le persone a passeggio e le travolge: il problema dei cadaveri richiede ora un intervento. Ci vuole un’idea, una soluzione. Eccola: i corpi da persone diventano cose e le cose possono essere trattate come oggetti. A DF tutto cambia, i cadaveri da problema si trasformano in materia prima, l’economia: della città si converte e si indirizza a trarre profitto da quello che hanno da offrire: la carne e la pelle. In un mondo distopico, immaginario eppure più vero del reale il libro di Giulio Cavalli racconta il nostro paese. Una denuncia letteraria scritta magistralmente, un ritratto inclemente del mondo che stiamo costruendo: il racconto di una comunità che si organizza per far fruttare la sventura, il termometro sociale e politico del tempo che viviamo. Potremmo diventare, siamo già diventati DF: il paese chiuso, appestato, impenetrabile dove gli abitanti si arricchiscono e blindano il segreto inconfessabile della loro ricchezza mentre sono, nel tripudio del cinismo, destinati all’estinzione. «Ai soccorsi, arrivati con poca voglia di soccorrere, DF si presentò come una palla di vetro con neve, quelle dei mercatini dove gli ambulanti portano guanti tagliati sulle dita. Le palle di vetro provocano la felicità più meravigliosa e più breve che si possa provare in natura, il tempo di uno scrollo, i più resistenti ne fanno due, e poi finiscono nel comò per almeno tutta una generazione, vengono ritrovate quando sono morti da un pezzo sia gli acquirenti che gli ambulanti e un bambino la scrolla di nuovo, una volta, massimo due. DF era cosi. Senza scrollo. Con le mosche al posto della neve.»
È l’inizio di un cammino che sarà difficile ma possiamo già dire di essere soddisfatti. Soddisfattti soprattutto perché Carnaio ha avuto un’accoglienza inimiganniabile. Ora, spero, capirete anche perché stavamo aspettando di programmare tutte le presentazioni che ripartono (a proposito: scrivete a sabina.degregori@fandango.it e vi prometto che proverò ad esserci a tutte, tutte).
Qualcuno mi chiede, cosa possiamo fare? Leggerlo ma soprattutto farlo leggere e parlarne, farne parlare. Carnaio orami da mesi è un rumore di sottofondo di cui è mi possibile non accorgersi. Più gente ne parla e più abbiamo la possibilità di andare avanti.
Intanto un grazie. Di cuore. A voi. Tutti. A Fandango. A Lavinai e Tiziana che se ne sono prese cura. A Concita che l’ha preso a cuore. A voi che ogni giorno m i inondate di messaggi.
Vi voglio bene. Davvero.