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Carnaio

Il Cittadino su Carnaio:«è sbagliato «abituarsi a tutto»

L’attore e scrittore ha presentato domenica a Lodi “Carnaio”, un libro che parla non senza una vena di brutalità di corpi che arrivano dal mare

“Carnaio” nasce a Lampedusa, quando il governo gialloverde era ancora lontano, ma da Lampedusa si apre verso una realtà distopica in cui la città costiera di DF, immaginaria ma non troppo, diventa prototipo di un mondo sovranista in cui esiste solo il pensiero unico e chi non lo condivide è un nemico della patria. Esiste un solo pensiero unico ed è un pensiero che toglie qualsiasi umanità a un nugolo di cadaveri portati dal mare, trasformandoli in “rifiuti da riciclare, da riutilizzare, magari come combustibile, magari come pellame, magari come cibo”. Questo l’inquietante esordio dell’autore Giulio Cavalli domenica pomeriggio a Lodi, dove (al Caffé delle Arti) ha presentato il suo ultimo romanzo, insieme a Francesco Cancellato.

Quest’ultimo ha proposto diverse chiavi di lettura per il testo che, in una estrema astrazione, può diventare il racconto di una società che non è in grado di affrontare i problemi della contemporaneità. I problemi, nel caso di DF, sono corpi, corpi di persone che arrivano dal mare, corpi di cui ci si deve disfare, corpi che non sono più persone, ma oggetti. «Quando riesci a svuotare questi corpi di qualsiasi caratteristica umana, diventano disponibili a qualsiasi visione e perversione» ha detto Cavalli, spiegando che il suo libro è un tentativo di affermare che «quando cade ogni mattone di un muro etico, ci vogliono anni a ricostruirlo». È seguendo questo percorso che l’attore e scrittore lodigiano si scaglia contro la “resilienza”: «Sembra una bella parola, ma in realtà descrive il fatto che prima o poi ci abituiamo a tutto, anche alle prigioni libiche, dove genitori crescono i propri figli in mezzo alle feci».

(fonte)

«Leggendo Carnaio ho immaginato che l’anima di Roberto Bolano si fosse impossessata di Giulio Cavalli»: la recensione di Michele d’Apuzzo

Leggendo Carnaio ho immaginato che l’anima di Roberto Bolano si fosse impossessata di Giulio Cavalli, “costringendolo” a scrivere una storia grottesca, surreale, devastante, inquietante, cruda, profondamente sensoriale, una distopia che non è altro che lo specchio di una distopica realtà che, frutto di una mutazione decennale culturale- intellettuale, attanaglia inesorabilmente la nostra società Occidentale con l’Italia sempre più malato terminale.

Il tema di partenza del romanzo è legato al fenomeno dei flussi migratori, soprattutto gli aspetti più drammatici, ma in realtà esso non è altro che la causa che da vita alle tematiche della storia che ruota attorno alla DEGENERAZIONE DELL’UMANITA’ sia in termini di banalizzazione delle tragedie sia come essa si inserisca nel contesto intellettuale , il rapporto verso il diverso e la dilagante ignoranza che sta generando “mostri”, schiere di automi forcaioli.

In Carnaio ho rivisto alcuni personaggi grotteschi e situazioni surreali che mai avrei immaginato potessero salire un giorno alla ribalta. In esso troviamo l’ignoranza sbandierata come valore portante per opporsi a chi, praticando la complessità del pensiero, fa dello studio e della conoscenza un requisito imprescindibile per costruire basi solide di progresso sociale; troviamo i “ questo lo dice lei”; la borgatara ed i suoi morbillo-party; il politico con la divisa del generale Custer; il borghese piccolo piccolo che dal paesino del profondo Sud scalpita per emergere ; il rivoluzionario ballista e piacione; etc etc.

DF è il paese metafora, un mondo semplice a tratti banale, dove l’ottusità e la radicale ideologia della chiusura non farà che provocare altro che un isolamento letale. Proprio quello che sta succedendo all’Italia!

Un Romanzo corale e polifonico, una pièce teatrale drammaticamente grottesca e purtroppo reale.

Leggendo Carnaio ho immaginato che l’anima di Roberto Bolano si fosse impossessata di Giulio Cavalli, “costringendolo” a…

Pubblicato da Michele d'Apuzzo su Lunedì 28 gennaio 2019

Fahernheit, cosa ci siamo detti su Carnaio

Ospite di Loredana Lipperini ieri a Radio 3 abbiamo parlato del mio romanzo Carnaio. Ne è venuto fuori una discussione sulla letteratura ma anche sul presente.

Se avete voglia di dedicarci del tempo trovate tutto qui:

«Il mondo che verrà», cosa ci siamo detti, su Carnaio, a Radio Capital

Questa mattina ospite di Concita De Gregorio e Daniela Amenta ho parlato a lungo del mio romanzo Carnaio, del mondo distopico che c’è nel libro e di quanto ci sia invece fuori. Come già vi dicevo il viaggio di Carnaio sarà lungo (una grossa sorpresa ve la svelo prossimamente) e stiamo ultimando il tour di presentazioni.

A me, intanto, non resta che ringraziarvi per l’apprezzamento e per l’accoglienza.

Se volete riascoltare la puntata è qui.

«Carnaio è il libro che ha raccontato meglio gli italiani nel 2018»

Intervistato da Atlas Giuseppe Civati ha parlato di People, la nuova casa editrice di cui è fondatore.

Qual è secondo lei l’autore che ha raccontato meglio gli italiani nel 2018? E il libro?

«Un libro molto bello è quello di Ezio Mauro, L’uomo Bianco. Edito da Feltrinelli, racconta i fatti di febbraio a Macerata. Curiosamente proprio nel periodo in cui costruiamo People, lui racconta la giornata di Luca Traini come se fosse un elemento evolutivo di quello che succede attorno a lui e nella società italiana. Per quanto riguarda l’autore, a me è piaciuto molto Il Carnaio, di Giulio Cavalli. E’ un bellissimo libro sull’ossessione per le migrazioni e sull’esasperazione. È un libro molto duro, molto violento ma allo stesso tempo molto preciso su cosa stiamo diventando.»

la Repubblica su #Carnaio: recensione di Stefania Parmeggiani

da la Repubblica, 30 novembre 2018

L’uomo è annegato chissà dove ed è stato trascinato dalle correnti per chissà quante miglia prima d’impigliarsi tra gli scogli di DF, un paesino arroccato su una costa italiana. Il cadavere non è del nostro mondo. E per fortuna!
Così l’indagine si chiude in fretta, l’orrore dura il tempo di un verbale trasmesso al giudice, riverbera per qualche giorno nelle voci soffiate agli angoli delle strade e nelle pagine della cronaca locale. In fondo non ci riguarda, è solo uno straniero da seppellire senza nome, con un numero e un gesto di pietà cristiana.

Ma se quel cadavere non fosse il solo? Se dopo di lui ne arrivassero altri? Se all’improvviso il mare iniziasse a vomitare cadaveri? Giulio Cavalli, scrittore e attore teatrale che per lo sguardo affilato sulla realtà e l’impegno nella lotta alle mafie vive sotto scorta, nel romanzo Carnaio cammina su un confine sottile: da una parte il presente fatto di naufragi senza testimoni e vittime da ignorare, dall’altro un futuro prossimo in cui il mare riversa sulle nostre spiagge (e sulle nostre coscienze) i cadaveri che ha inghiottito. Ma lo fa spingendo fino al paradosso un dato di realtà: i corpi che il Mediterraneo inghiotte o restituisce, ai nostri occhi sono tutti uguali.

Nel romanzo lo sono ancora di più: giovani, maschi, neri, di identica altezza e peso, una generazione di cloni che a detta del medico di DF «hanno sviluppato gli stessi muscoli e le stesse magrezze e gli stessi nervi e gli stessi tendini come se avessero salito nella vita lo stesso numero di gradini, come se avessero nella vita ingurgitato le stesse porzioni di liquidi identici anche nella razione giornaliera, come se avessero avuto le stesse febbri con gli stessi tempi di guarigione, con le stesse complicazioni e con la stessa cura che li aveva portati alla stessa risoluzione».

Una montagna di cadaveri da gestire e seppellire mentre volano gli elicotteri dell’esercito e le strade si riempiono delle telecamere delle televisioni di tutto il mondo. Ondate di corpi che arrivano e spazzano via la normalità, abbattendo alberi e muri, entrando nelle case e stravolgendo le esistenze. È una emergenza che vuole soluzioni immediate, scaffali dove impilare i cadaveri, e a lungo termine una fabbrica per trasformare quei corpi in profitto.

Carne e soldi, sistemi di difesa trasformati in prigioni. Gli abitanti di DF, con un meccanismo simile a quello degli internati di Saramago nel manicomio di Cecità, azzerano le condizioni sociali precedenti precipitando in una dittatura gelida e asfissiante. Sono tutti complici e che nessuno, osservando l’onda di morti, nutra dei dubbi! Non è possibile, è sbagliato, anzi pericoloso: qualsiasi residuo di umanità deve essere spento, i cadaveri non vanno considerati uomini, appartengono a un altro mondo. Non sono i nostri e vanno ignorati o sfruttati.

La storia precipita, il finale si avvicina e il lettore è trascinato in un incubo sempre più terrificante perché accompagnato dalla sensazione che il futuro sia già cominciato.

LA LETTURA del Corriere su #Carnaio

di Ermanno Paccagnini, 16 dicembre 2018

Di​sto​pie pos​si​bi​li Giu​lio Ca​val​li gio​ca con il ma​ca​bro e il grot​te​sco, e im​ma​gi​na, im​pie​gan​do an​che il pro​prio ta​len​to di uo​mo di tea​tro, un por​to in​ve​sti​to da cen​ti​na​ia di mi​glia​ia di ca​da​ve​ri di «stra​nie​ri». Che di​ventano una ri​sor​sa eco​no​mi​ca

Impossibile non evocare, per Carnaio di Giulio Ca​val​li, la definizione di «romanzo po​li​ti​co», affidato com’è a una visionarietà da «oggi già possibilmente di​sto​pi​co» per una narrazione che sembra costruita avendo presente linee po​li​ti​che con​so​li​da​te e istanze legislative at​tua​li (red​di​to di cittadinanza, autodifesa, costruzioni di muri e barricate e altro ancora). Un romanzo comunque racchiuso tra immagini memori del​la tra​di​zio​ne narrati​va — il Manzoni della diffusione della peste e della paura tra contagio dei cittadini, co​sì co​me il Testori degli Angeli del​lo sterminio; coi qua​li colloqui con il Saramago di Cecità — prima di approdare a un finale nel segno d’una implosione delle scelte effettuate dal​la comunità protagonista del libro. Tutto inizia in un 15 marzo, al por​to di DF (omaggio to​po​no​ma​sti​co a Bolaño), cittadina si​tua​ta sul ma​re so​lo per necessità di trama, ma settentrionale per mentalità, allorché il bel personaggio del disilluso pescatore Giovanni Ventimiglia, at​trac​can​do al pontile, si imbatte nel cadavere di un uomo rimasto ammollo per giorni. Risuccede nei giorni seguenti, sin​ché una prima gran​de on​da​ta, come un autentico tsunami (che provoca ben 14 vittime tra i cittadini), por​ta dentro le vie «venticinquemilacentoundici corpi» i cui re​ci​pro​ci «margini di differenza so​no al mas​si​mo di due centimetri nella altezza, di un et​to nel peso, tutti di identica mas​sa muscolare con un margine di nemmeno un centimetro nella circonferenza». «Un’inspiegabile invasione di stranieri» di ignota provenienza che tocca in po​chi giorni i 300 mi​la, stabilizzandosi in «una media di ventimila corpi ogni quarantott’ore» di « quel​li » (co​me vengono regolarmente definiti, in contrasto con i « nostri »). Un problema ignorato dal​lo Sta​to, con conseguente decisione del sin​da​co di non in​via​re più i sol​di a Ro​ma, costituendosi di fatto co​me Sta​to au​to​no​mo, che impedisce l’ingresso a chiunque non sia residente, e anzi espellendo an​che i non originari del luogo. Di lì costruzioni di barricate e ,uri, an​che per difendersi dall’invasione d’una stampa considerata nemica, e un cli​ma da legge marziale. Ma pure una in​vi​dia​bi​le realtà economica costruita su quel «carnaio porta​to dall’on​da» del qua​le «non si butta via niente. Nien​te. Co​me il ma​ia​le »:« duecentottantotto milioni di chi​li di car​ne all’an​no, per il novanta per cento utilizzati nel comparto combustione e pro​du​zio​ne energia elettrica, ttrecentocinquantamila corpi utilizzati per il com​par​to alimen​ta​re e il re​sto (insieme agli scarti) per il confezionamento di monili, pellame e complementi d’arredo». Situazioni seguite in un periodo che va da un 15 marzo a un 20 marzo d’un qual​che anno successivo, che han​no richiesto un piglio narrativo di gran​de durezza, distribuito in due par​ti (con a chiusura una breve terza par​te: La fine). La prima par​te, I morti, gestita in terza per​so​na con una scrittura che inizialmente ti sembra po​co op​por​tu​na nel​la scelta stilistica del​la punteggiatura (un continuum con rari punti fermi), ma che ben pre​sto si fa sempre più sicura col trascorrere dei capitoli, insieme col crescere de​gli arrivi e del​le paure, e che si fa apprezzare in par​ti​co​la​re per la scelta di giocar​la sull’indiretto libero di matrice verghino, sia pur con qual​che eccesso di compiaciuta si​mi​li​tu​di​ne. E I vi​vi, una se​con​da par​te giocata su quel monologo nel qua​le Ca​val​li è già maestro a teatro, con pie​na padronanza di una oralità che re​sta spontanea anche nella scrittura, dando voce sin​go​la ai personaggi, ciascuno con un proprio registro (si confessino, scrivano, rilascino interviste) e una propria prospettiva per quanto sta accadendo, al tempo stesso ricostruendo sin​go​le sto​rie personalità, con le loro insicurezze, le paure per ciò che è diverso, la disponibilità a far​si manipolare. Una scrittura in crescendo di durezza e persi​no ferocia, a tratti iperbolica,, nel​la qua​le macabro e grottesco si scambiano e si sommano, co​me la più adatta a sottolineare la mascherata ferocia di una mentalità. E dove può il sarcasmo virulento d’una denuncia sempre te​nu​ta sul pia​no narrativo non dimentica la pietas per chi può ce​de​re per privati smarrimenti (il pescatore) o per chi ha il coraggio di du​bi​ta​re e di ribellarsi (la moglie del commissario), ricordando che «chi non si adatta diventa straniero. Chi è straniero diventa un impiccio, an​che se un’ora prima era tua mo​glie, tuo fra​tel​lo, tua figlia».

Corriere della Sera: Ermanno Paccagnini su #Carnaio

«Impossibile non evocare per Carnaio di Giulio Cavalli la definizione di romanzo politico “Chi non si adatta diventa straniero. Chi è straniero diventa un impiccio anche se un’ora prima era tua moglie tuo fratello tua figlia”»

Oggi Corriere della Sera ha una pagina dedicata a #Carnaio