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Lo smemorato del Sussidistan

Eccolo qui, ancora, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che come un falco rotto si lancia sul sistema Italia impartendo la sua lezione di politica dall’alto della sua (modesta) esperienza imprenditoriale e con i suoi soliti toni di guerriglia contro il Paese sociale. La sua ultima impresa, il suo ultimo bullismo lessicale è tutto nella parola «Sussidistan» con cui ha bollato l’Italia colpevole, a suo dire, di occuparsi troppo dei poveri e troppo poco delle imprese. «Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto Bonomi all’assemblea annuale degli industriali, riprendendo tra l’altro il termine già usato dall’economista del partito di Italia viva e trasformando un discorso serissimo e fondamentale per il futuro del Paese in uno slogan da macchiette.

Però ci vuole davvero un bel coraggio e tanta miopia per sostenere che il denaro a pioggia sia distribuito solo nella «logica del dividendo elettorale» nell’Italia in cui gli industriali hanno dimostrato di sapere battere cassa come forse da nessun’altra parte, tanto che al ministero dello Sviluppo economico c’è addirittura un’intera task force (un’altra, l’ennesima) dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese.

Forse bisognerebbe ricordare a Bonomi che già nel Dopoguerra fu lo Stato, attraverso le banche pubbliche, la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri a iniettare denaro nell’industria nazionale. Qualcuno potrebbe ricordare cosa accadde negli anni Novanta quando tutti i cittadini pagavano mutui con interessi a doppia cifra e lo Stato firmava il famoso “tasso Fiat” al 7% per aiutare l’azienda automobilistica italiana, quella che non ha avuto molti scrupoli poi a chiudere i suoi impianti italiani e delocalizzare con tanta agilità spostando tutto l’asse verso gli Stati Uniti.

Oppure si potrebbe tornare sul cronico tasto dolente di Alitalia che è stata privatizzata ma non è mai stata realmente privata nella distribuzione delle sue perdite che sono ricadute e continuano a ricadere nelle tasche dei contribuenti. Oppure si potrebbe ricordare i miliardi di euro che ogni anno arrivano come contributi indiretti o come sgravi fiscali all’industria del cemento che formalmente vanno a favore dei cittadini sotto i fantasiosi nomi di sismabonus, ristrutturazioni, rifacimento terrazze e soprattutto come bonus facciate ma che di fatto servono ad alimentare un settore in crisi profonda anche di idee che senza aiuti di Stato sarebbe fermo al palo. Dice il segretario Cgil Maurizio Landini in un’intervista a La Stampa che «il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici. Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne».

Il tema vero di questa epoca politica è che è in corso un attacco sconsiderato ai poveri e alla povertà (non certo per sconfiggerla con redditi decenti), che si camuffa come critica politica al Reddito di cittadinanza e a Quota 100 ma che sostanzialmente punta a spostare i soldi del prossimo Recovery fund sulle imprese che non vogliono perdere la propria occasione di sedersi al tavolo e di dividersi una bella fetta della torta. L’avevamo già scritto qualche numero fa proprio su queste pagine (vedi Left del 26 giugno, La democrazia secondo Confindustria, ndr): Confindustria ha lanciato Bonomi nell’agone politico con l’evidente obiettivo di succhiare più soldi possibili dai (molti) soldi che arriveranno dall’Europa. Solo questo. Tutto qui. E il trucco di non distinguere i piani del rilancio industriale da quelli della lotta alle povertà è astutamente utilizzato per confondere le acque.

Infine il prode Bonomi si lancia anche nella sconclusionata proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti in nome di una “semplificazione” che non si capisce esattamente cosa porterebbe: in un Paese dove l’evasione fiscale costa 107 miliardi all’anno (metà del Recovery fund) e con la scandalosa statistica che ci dice che il 93% dell’Irpef è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati la proposta suona come un sottilissimo invito a investire in quelle stesse modalità che da anni azzoppano le casse pubbliche con l’enorme “fantasia fiscale” di una certa parte dell’imprenditoria italiana.

Un fatto però suona chiaro e cristallino: nel Paese dei capitalisti senza capitali che fanno imprenditoria con i soldi degli altri (o con i soldi pubblici) Carlo Bonomi si presenta con tutti i ghingheri che servono per apparire il perfetto protettore di un certo padronato che ha nel vocabolario del futuro solo una parola: soldi, soldi, soldi.

L’editoriale è tratto da Left del 9-15 ottobre 2020

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

I maestri della “vita reale”

L’imprenditore Flavio Briatore ha detto che quelli al governo vivono in una bolla e non hanno idea della vita reale

Ieri è rimbalzato in rete un video di un maestro di vita reale, non so se ne conoscete qualcuno, sono quelli che hanno un’opinione di tutto perché trattano tutte le sfumature e tutte le situazioni della complessa realtà come fosse un unico blocco di cemento, immodificabile e inamovibile, e di solito sputano sentenze inappellabili accusando gli altri di essere “fuori dal mondo”, dicono proprio così, come se ci fosse un mondo in cui stare dentro e uno in cui stare fuori. I maestri della vita reale di solito hanno il vizio di categorizzare il mondo in buoni e cattivi, ricchi e poveri, lavoratori e nullafacenti, belli e brutti, bianchi e neri, comunisti e liberal (dicono così) e poi tutto un resto di etichette che non vale nemmeno la pena trascrivere tutte per non rubare troppo spazio a questo articolo e alla vostra mattinata.

Il maestro della vita reale del video che girava ieri era Flavio Briatore che tutto baldanzoso dichiarava: «Quelli al governo vivono in una bolla, non hanno idea della vita reale!» e poi dava tutto un elenco di consigli su come governare l’Italia, come fare funzionare questo Paese e come rendere felici tutti gli italiani. La cosa curiosa è che i maestri della vita reale vengono invitati più o meno sempre negli stessi programmi e piacciono più o meno sempre agli stessi politici. Briatore è un imprenditore con sede legale a Londra, sede fiscale a Dublino, produzione in Pakistan, residenza a Montecarlo ed è molto curioso che ci dia lezioni sulla “vita reale” in Italia dall’alto delle sue bollicine extra lusso. Ti aspetteresti che un maestro di vita reale sia qualcuno che fatica, che si porta addosso le sue cicatrici, che riconosce di avere compiuto errori e cose buone e invece i maestri di vita reale che ci propinano sono quelli che vorrebbero convincerci che nella vita o si vince o si perde e chi perde è un fardello di cui bisogna liberarsi.

Facciamoci un favore, curiamo l’ecologia sociale, liberiamoci dei maestri di vita reale e occupiamoci della nostra vita che, reale o no, è quello di cui ci dobbiamo occupare.

Buon martedì.

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La democrazia secondo Confindustria

Carlo Bonomi si è lanciato perfino in un neologismo: “democrazia negoziale”. Quando mi è capitato di leggerlo ho pensato che la democrazia è democrazia, ed è contendibile per natura altrimenti non lo sarebbe poi ho letto ancora di più e mi sono accorto che sarebbe “una grande alleanza pubblico-privato” in cui “il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale” ma dialoga “incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. È un fighissimo esercizio retorico ma in realtà, grattando grattando, significa che secondo Bonomi Confindustria dovrebbe essere la terza Camera dell’iter parlamentare. I cittadini votano un governo ma il governo deve essere avallato da loro. Forte, eh?

Peccato che proprio sulla rappresentanza di Confindustria ci sarebbe qualcosa da ridire visto che la Confindustria di oggi rappresenta quel bel capitalismo fatto con i soldi degli altri (Eni, Enel, Leonardo, Poste, tanto per citare qualcuno) che ha consigli d’amministrazione decisi dal governo e ha perso parecchia rappresentanza di quel capitalismo privato che ormai dalle nostre parti è diventato una rarità.

Ma non è tutto, no. Confindustria per bocca del suo presidente Bonomi ha criticato (legittimamente) le scelte del governo definendo (legittimamente) assistenzialismo le iniziative prese come i bonus e la cassa integrazione: peccato che proprio Confindustria abbia usato la cassa integrazione per i giornalisti del suo quotidiano Il Sole 24 Ore. Curioso, no?

E poi c’è la ricetta per ripartire, questo è il vero capolavoro: meno regole per gli appalti, più cemento per tutti e soldi alle imprese e possibilmente più possibilità di precarizzare i lavoratori. Sono le stesse ricette di tutti questi stessi anni. Sempre.

Sarebbe bastato dire invece: «caro Conte sappiamo che arriverà una montagna di soldi dall’Europa e vogliamo la nostra fetta». Un po’ crudo, molto più apprezzabile. Senza nemmeno troppo sforzo nell’inventare nuove parole.

Buon venerdì.

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Quella forza che è il cemento della ricostruzione

Mi si perdoni se, contravvenendo alle regole del giornalismo di massa, mi prendo la briga, per una mattina, di osservare il terremoto dalla parte inversa e in senso largo. C’è questa storia, bellissima, del ristorante Roma di Amatrice, il “tempio dell’amatriciana” l’hanno etichettato l’anno scorso quasi tutti tra giornali e telegiornali sempre presi dalla frenesia di sloganizzare tutto in nome di un scorrevole storytelling.

L’hotel Roma, per chi ha memoria di quelle immagini senza bisogno di didascalie, è l’albergo che abbiamo rivisto mille volte completamente afflosciato su se stesso in cui persero la vita sette persone. Se passavi da Amatrice e volevi mangiare amatriciana l’hotel Roma di Arnaldo Bucci era una tappa obbligatoria. Ed è significativo, dell’albergo come per altre attività, il fatto che il crollo abbia spazzato tutto: ciò che era casa ma anche il lavoro, la passione e la fonte di reddito. Tutto.

Tra le decine di interviste “un anno dopo” c’è n’è una a Bucci in cui la giornalista del Corriere della Sera gli chiede se è mai tornato ad Amatrice, sulle macerie del vecchio hotel, almeno per recuperare qualcosa e Bucci risponde:

«E cosa? Non sono rimaste che macerie. E poi non mi importa di recuperare niente, ormai quella è vita passata. Non mi interessa vedere che è tutto sbriciolato».

Oggi l’Hotel Roma e i suoi piatti di amatriciana sono attivi a pieno servizio nella nuova area consegnata ad Amatrice grazie anche alle donazioni. L’attività è ripresa alla grande: i clienti non mancano e gli affari vanno bene. Hanno ricostruito. Bucci e gli amatriciani si sono ricostruiti, soprattutto. E dentro quella frase c’è la forza del “lasciare andare”, con l’urgenza di rimettersi in piedi. C’è la forza (che io ammiro furiosamente) di essere già nel futuro senza abbandonarsi a funebri rimestamenti o addirittura a necrofile rivendicazioni. A me pare che quella frase sia un manifesto bellissimo. Da attaccare su tutti i muri, mica solo per i terremoti. È quello il cemento. Di ogni ricostruzione.

(continua su Left)

#nonmifermo Ripensare il suolo, ripensare il cemento, ripartire dall’analisi

Proprio ieri sera in Feltrinelli a Milano, in occasione della presentazione del libro di Luca Martinelli “La caduta di Stalingrado” su Sesto San Giovanni e l’ex Area Falck che vi consiglio, discutevo con l’amico Mario Portanova e con il rappresentante di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine, della carente analisi dei numeri: del consumo di suolo in Italia si parla molto, si fa troppo poco e interpreta pochissimo. Per questo credo che la riflessione di Claudio per #nonmifermo possa essere uno strumento da cui partire per le proposte. Per prendere il proprio lavoro sul serio, leggere i numeri per costruire una chiave di lettura e trovare la sintesi dell’agire. Insieme. Politica, insomma.

Sul cemento, invece, vale la pena fare qualche riflessione in più. Anzitutto, sui numeri. Infatti, si potrebbe pensare che l’aumento del numero degli edifici sia proporzionale a quello rilevato per la popolazione italiana. Purtroppo, non è così. All’11% di incremento (pari a oltre 1.500.000 edifici in più rispetto a 10 anni fa), la popolazione italiana è cresciuta solo del 4,3%. Più o meno la stessa proporzione che si rileva considerando un altro denominatore, quello delle abitazioni, cresciuto meno del 6%.

Con ciò l’Istat non fa altro che confermare una condizione allarmante che da molto tempo associazioni e movimenti politici (molti dei quali però fuori dal Parlamento) denunciano instancabilmente. Solo pochi mesi fa, FAI e WWF avevano ricostruito la drammatica situazione del consumo di suolo in un dossier intitolato “Terra Rubata – Viaggio nell’Italia che scompare”. Nel rapporto appare ancora più evidente la gravità delle ripercussioni determinate da politiche pro-cemento; in particolare, attraverso il graduale smantellamento da parte dei governi Berlusconi non solo di auspicate “logiche pianificatorie” (vengono in mente le parole di Adriano Olivetti: “L’urbanistica reclama la pianificazione”), sostituite dal concetto di “mera realizzazione” (alla base della c.d. “Legge Obiettivo” e dei provvedimenti approvati dal 2001 al 2006), ma anche di un rigido sistema di controlli e verifiche. Un’Italia letteralmente erosa, che al ritmo di consumo attuale nei prossimi 20 anni rischia di perdere altri 600mila ettari di suolo. In altre parole, un quadrato di 6.400 Kmq.

Nel post anche le linee guida per le proposte.

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Salviamo Villa Adriana dai rifiuti e dal cemento

Ne scrive Giuliano su IL FATTO QUOTIDIANO e lo rilanciamo tutti con forza. Preparandoci a organizzare una manifestazione nei prossimi mesi. Perché la questione è importante e tristemente sembra un paradigma nazionale. Come se non fosse sufficiente il Piano regionale dei rifiuti, che prevede di aprire una discarica nei pressi del sito, il consiglio comunale di Tivoli, col voto favorevole della giunta e la diserzione in aula del Pd, ha approvato una lottizzazione denominata Nathan di 180mila metri cubi di cemento adiacente alla Villa. Rispetto al progetto originario, che negli passati prevedeva una cubatura molto maggiore, oggi questa lottizzazione prevede a detta del comune dei costruttori (Mezzaroma) un certo rispetto ambientale e quindi un sobrio progetto di rilancio abitativo. Ora in quell’area verde ci si aspettava di certo tutt’altra opera di riqualificazione del territorio visto e considerato che lo stop al consumo del territorio dovrebbe essere una priorità per qualsiasi Comune che accoglie opere storiche di grande valenza turistica. Tutto questo avviene nel grande silenzio dei media e di una certa parte della popolazione che non si sta rendendo conto di che impatto devastante possa costituire il binomio rifiuti e cemento.

Un impegno per l’ambiente da portare in Regione

Come mi è capitato spesso di ripetere durante questo inizio di campagna elettorale sono convinto che la mia candidatura e il mio eventuale ruolo in Regione Lombardia debbano significare soprattutto l’essere il portatore responsabile delle proposte del mondo dell’associazionismo e della cittadinanza attiva che da anni lavorano per il territorio. Per questo ho studiato con attenzione il progetto di legge degli amici di Legambiente Lombardia e, fin da subito, ho deciso di assumermi l’impegno di garantire il mio personale sostegno perchè possa diventare quanto prima legge a tutela dell’ambiente. della qualità della vita e delle generazioni future della Lombardia. Credo che le associazioni siano l’espressione più democratica delle “primarie” tra i cittadini poichè si costruiscono la propria credibilità solo con il consenso del territorio. Questa sarà la prima di una serie di proposte di legge che annunceremo in campagna perchè sia scritta chiaramente la nostra attività all’interno del Consiglio Regionale, riprendendo l’invito che fece già Micromega di dichiarare fin dalla campagna elettorale i propri obbiettivi senza proclami, slogan o linee guida confuse e inconsistenti.

PROGETTO DI LEGGE N. 0409
di iniziativa di Damiano Di Simine Presidente LegambienteLombardia

______
“Norme per il contenimento del consumo di suolo e
la disciplina della compensazione ecologica preventiva”.

Per lungo tempo l’attività edilizia, in un passato ormai lontano, è stata strettamente associata ad una contestuale attività di costruzione di spazi urbani di convivenza e di socialità, nonché di produzione e scambio economico connesso ad una attività agricola e forestale di cura del suolo.

Da tempo questa contestualità è venuta meno: gli edifici spesso si appoggiano alle infrastrutture come oggetti isolati, senza costruire spazi urbani e l’attività edificatoria è ormai totalmente separata dall’attività di cura del suolo. Le stesse infrastrutture si appoggiano alla terra senza che ci si domandi quali rapporti mutano e quali effetti producono.

E’ quindi urgente riattivare un circuito virtuoso tra attività edilizia e ricostruzione della natura, non solo per ragioni ecologiche, di per sé già sufficienti, ma anche perché gli spazi aperti con forte contenuto naturalistico sono oggi più che mai elementi decisivi per definire l’abitabilità, la vivibilità e la qualità di un territorio. Essi, combinandosi con la conduzione agricola nel disegno di un territorio, devono concorrere a ripristinare un paesaggio in cui le comunità ritrovino le coordinate di una identità smarrita nella crescita senza freni degli ultimi decenni.

L’obiettivo di questo progetto di legge è pertanto duplice:

– da un lato limitare l’uso edificatorio del suolo, evitando di produrre in tutto il territorio disponibile livelli di urbanizzazione che in alcune parti della regione hanno già raggiunto la non sostenibilità,

– dall’altro legare ogni attività edificatoria su suolo libero ad una contestuale attività di costruzione di natura e di ambiente negli spazi aperti.

La presente proposta di legge intende informare l’attività edilizia ad un principio di responsabilità: ogni trasformazione territoriale che determini alterazione o copertura permanente di suolo deve farsi carico dell’impatto determinato sull’ambiente in cui viene consumata una quota di risorsa-suolo. Ogni ipotesi di trasformazione si accompagna così ad un processo di valutazione della sostenibilità dell’intervento che la richiama.

Questo processo, riferito al momento della pianificazione, si traduce in una attenta valutazione sulla reale necessità di trasformare irreversibilmente un determinato suolo, anziché localizzare la funzione prevista in aree dismesse o sottoutilizzate.

Quando, alla fine del processo di valutazione, si giunge alla conclusione che l’occupazione di suolo libero sia inevitabile, interviene, nel progetto di legge, l’obbligo a carico del trasformatore di controbilanciare tale impatto a carico del trasformatore (pubblico o privato che sia), cedendo alla collettività – in altri lotti, in un intorno territoriale limitato al Comune – un credito ecologico.

Questo credito ha la funzione di compensare quella sottrazione di valori ambientali e paesaggistici connessi all’esistenza di una data porzione di suolo e che, pur con tutte le soluzioni mitigative poste in essere in fase progettuale, rimane da risarcire.

La compensazione ecologica preventiva agisce su due fronti: da un lato disincentiva il consumo di suolo e dall’altro trasferisce risorse al potenziamento e al consolidamento delle funzioni ambientali dei suoli liberi.

Il processo compensativo appena descritto è assimilabile a quella che fu l’introduzione degli oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei servizi pubblici urbani. Se nel passato vi è stata necessità di condizionare il permesso di costruire alla fornitura di beni sociali (infrastrutture e servizi) necessari per l’abitare, oggi – in un periodo di evidente deficit ambientale ed ecologico e di risorse territoriali in genere – è indispensabile attribuire ad ogni trasformazione di suolo libero una responsabilità ambientale che si traduca in una sorta di onere ecologico, attraverso il quale si possa generare nuova natura, altrove rispetto alla trasformazione, concorrendo a generare una dotazione ambientale.

L’esigenza di minimizzare il consumo di suolo, spesso associata all’idea di migliore utilizzo dell’esistente, è già contenuta in diverse fonti legislative. Non esiste però una norma che, in tal senso, vada oltre il valore di indirizzo o orientamento.

La presente proposta di legge scaturisce dalla necessità di conferire cogenza a idee ormai ampiamente condivise, la cui attuazione pare non più eludibile. Infatti oggigiorno l’espansione urbana avviene a spese di territori che in molte zone della regione sono le ultime aree disponibili e che, più in generale, l’erosione di valori ecologici e identitari, connessa alla compromissione di suolo e paesaggio, genera seri problemi ambientali, ma anche di coesione sociale e riconoscimento comunitario, traducibili anche in un danno economico. Siamo di fronte ad una progressiva perdita di patrimonio comune non ripristinabile, rispetto alla quale il legislatore è chiamato ad introdurre regole nuove, a tutela delle attuali e delle future generazioni.

Trattando di consumo di suolo, appare utile completare questa relazione con una definizione di “suolo”, che tra le tante disponibili, ci sembra la più pertinente: ‘il prodotto della trasformazione di sostanze minerali e organiche, operata da fattori ambientali attivi per un lungo periodo di tempo sulla superficie della Terra, caratterizzato da specifica organizzazione e morfologia, capace di provvedere allo sviluppo delle piante superiori e, pertanto, di assicurare la vita all’uomo e agli animali’. Tale definizione, tratta dalla vasta letteratura di scienze del suolo, ha oggi, nel nostro Paese, rilevanza meramente accademica, in quanto a tutt’oggi la nostra legislazione non attribuisce al suolo uno specifico ‘statuto’, che ne giustifichi una tutela in quanto risorsa ambientale limitata, non rinnovabile e pienamente ascrivibile alla categoria dei beni comuni, e che pertanto informi, tra le altre, la disciplina relativa alle trasformazioni delle superfici fondiarie.

Questa proposta di legge si muove nella direzione di un riconoscimento anche culturale prima che formale del bene suolo, con la consapevolezza che riconoscere a questa risorsa il pieno significato di ‘patrimonio comune’ (in questa sede come appannaggio della comunità regionale ma estendibile all’intera umanità, ferma la definizione di cui sopra) costituisce un imperativo non più rinviabile di riforma legislativa, che deve poggiare su adeguati principi di diritto nazionale e internazionale.

Non si tratta di introdurre nella legislazione lombarda una innovazione assoluta, poiché in Europa operano già da tempo leggi che attuano i medesimi principi, affrontando la tutela del suolo su un piano di regole, azioni e obiettivi, e dove il principio della compensazione ecologica preventiva è già strumento pienamente operativo.

LA PROPOSTA DI LEGGE COMPLETA QUI