Costretto a sposarsi con la forza e con l’uso delle armi. L’episodio e’ emerso oggi in aula, dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, nel corso del processo “Black money” contro il clan Mancuso. Il padre del pentito vibonese Eugenio William Polito – fra i principali testi dell’accusa del pm della Dda Marisa Manzini – ha infatti spiegato che il figlio fu costretto a sposare una ragazza di San Calogero (Vv) dopo che alcuni componenti del clan gli puntarono una pistola alla testa.
Gli stessi componenti del clan Mancuso, sebbene i genitori del futuro pentito non avessero partecipato al matrimonio del figlio, non condividendo la sua scelta di imparentarsi con persone in odore di mafia, avrebbero poi preteso il pagamento di tutte le spese della cerimonia. Il padre del collaboratore Polito, dopo aver ricordato in aula di “aver dovuto vendere tutto” a causa dei debiti contratti dal figlio a cui i componenti del clan Mancuso avevano prestato del denaro, ha quindi riferito che nel Vibonese “anche le pietre sanno chi sono i Mancuso di Limbadi, persone senza scrupoli e senza cuore che hanno ridotto sul lastrico – ha dichiarato Domenico Polito – diversi imprenditori che non si sono voluti piegare alle loro pretese”. Polito ha infine riferito che lo stesso boss Antonio Mancuso (fra i principali imputati del processo) gli chiese 150mila euro o una villetta in costruzione in cambio della tranquillita’ sul cantiere.
Il Tribunale di Vibo Valentia ha depositato stamane le motivazioni della sentenza con la quale l’11 luglio scorso ha chiuso dopo 3 anni il processo nato dall’operazione antimafia “Minosse 2” che mira a far luce su collusioni, complicità e appoggi anche istituzionali di cui avrebbe goduto il clan Mancuso di Limbadi, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000. Fra i condannati a 5 anni di reclusione per corruzione aggravata dall’aver agevolato i Mancuso ad eludere le investigazioni vi è infatti l’ex maresciallo Maurizio Giliotta di Catania, all’epoca dei fatti in servizio al comando provinciale dei carabinieri di Vibo.
Le motivazioni della sentenza, contenute in 150 pagine, spiegano il percorso logico-giuridico seguito dai giudici per ritenere provati gli episodi di favoreggiamento del carabiniere nei confronti di Diego e Domenico Mancuso. Pienamente provata, per la sentenza, anche la preparazione del boss Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, difeso dagli avvocati Stilo e Marchese, di un incontro con Maurizio Gasparri, deputato alloggiato a Vibo in un hotel in occasione delle politiche del 2001. Nessun dubbio per i giudici neanche sul fatto che Pantaleone Mancuso ed il figlio Giuseppe abbiano estorto 400 milioni di lire all’anno ad un imprenditore di Capo Vaticano le cui dichiarazioni reticenti, e quelle di altri due imprenditori, sono state trasmesse dal Tribunale alla Dda di Catanzaro “per le determinazioni di competenza”.
L’organo collegiale al termine della camera di consiglio e di un dibattimento durato circa due anni, aveva condannato il boss Pantaleone Mancuso, 66 anni, di Limbadi, ed il figlio Giuseppe Mancuso, di 35 anni, alla pena di 7 anni e 4 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa per estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Le altre condanne riguardano Gaetano Comito, 47 anni, di Vibo Valentia, a cui sono stati inflitti 6 anni ed mesi, più 900 euro di multa, e l’ex maresciallo Maurizio Giliotta, 53 anni, di Catania, all’epoca dei fatti in servizio al comando provinciale dei carabinieri di Vibo, condannato a 5 anni per corruzione aggravata dall’aver agevolato il clan Mancuso. In tutto 25 anni e 8 mesi. Assolti, invece, per non aver commesso il fatto Agostino Papaianni, 62 anni, di Joppolo, Giuseppe Corsaro, 35 anni, Michele Torre, 35 anni, entrambi di Limbadi, ed Agostino Papaianni, 62 anni, di Joppolo. Assoluzione “perchè il fatto non sussiste” per il boss Francesco Mancuso, 56 anni, detto “Tabacco”, di Limbadi, e per alcuni capi d’imputazione anche Gaetano Comito e Maurizio Giliotta.
Esponenti ritenuti vicini al clan Mancuso accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. I carabinieri stanno eseguendo arresti e perquisizioni in Lombardia e nel Sud Italia a seguito di una serie di ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Milano.
L’indagine, denominata “Grilloparlante 2″, secondo quanto si è appreso, fa specifico riferimento al fenomeno “dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale locale” della Lombardia, argomento al centro mercoledì, a Milano, della Commissione Antimafia. Nasce dall’attività investigativa conclusa nell’ottobre del 2012, quando furono arrestati 23 soggetti ritenuti appartenenti o collegati alla criminalità organizzata di origine calabrese operante in Lombardia vicini alla coscaMancuso, attiva stabilmente in Milano e provincia.
Gli arresti seguono i 23 dell’ottobre 2012, quando le indagini dell’Antimafia si concentrarono sulle relazioni tra la cosca calabrese dei Mancuso e l’assessore alla casa del Pirellone, Zambetti. Dopo la politica e i voti di scambio, tocca oggi al settore economico, con estorsioni a commercianti e imprenditori
Via Pietrasanta, a metà strada tra la periferia e il centro di Milano. Verde in modica quantità, edilizia residenziale, qualche lascito dell’epoca fordista riconvertito in costosi loft e l’insegna di una meta fissa della movida come la discoteca Magazzini generali. Al civico 14 c’è la sede della Live Nation Italia, holding internazionale che si occupa di organizzare concerti per cantanti come Vasco Rossi e Laura Pausini. Quotidianità alla milanese che s’increspa il 15 aprile 2010, quando gli investigatori del Ros di Milano, su delega dei colleghi di Catanzaro, attendono, vedono e fotografano l’arrivo di Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone, padrino di ‘ndrangheta e capo assoluto del comune di Limbadi in provincia di Vibo Valentia. Il giovane boss, finito in carcere assieme ad altre 23 persone, arriva in zona poco dopo le 13. Non è solo, ma in compagnia di Filippo Mondella, figlio di Antonino, vecchio uomo dei clan in Brianza. Con i due si fa vedere anche Nicola Castagna, giovane imprenditore come il padre e come il genitore, ragionano gli investigatori, uomo vicino ai Mancuso. Lo stesso vale per Luigi Pisciottano, pure lui presente in via Pietrasanta. Che ci fa la ‘ndrangheta in questa zona? Progetta di infilarsi nel ricco business dei concerti e della loro logistica. Non è, infatti, un caso che per il 15 aprile è fissato un appuntamento con Riccardo Genovese della Live Nation Italia (non coinvolta penalmente). Il professionista, pur citato dai carabinieri, non finirà indagato in questa inchiesta. Il contatto con il giovane boss arriva tramite i rapporti con Pisciottano, già amministratore della Sud concerti, una srl, cancellata nel dicembre 2012, ma per anni attiva nel settore artistico.
Calabria-Milano. La rotta è obbligata. I Mancuso lo sanno e si mettono in marcia. Perché il business sta qui, sotto la Madonnina. Ai nastri di partenza dell’ultima frontiera degli affari mafiosi c’è la Ca&Mo service srl gestita ufficialmente da Mondella e Castagna. I carabinieri però non sembrano avere dubbi: quei due nomi sono solo un paravento per nascondere gli interessi di Giuseppe Mancuso definito “socio occulto con ruolo sostanziale direttivo (…) attivamente coinvolto e presente nelle decisioni strategiche imprenditoriali”. Insomma, come capita spesso, il boss c’è ma non si vede. Si sente, invece. Lo ascoltano i Ros di Catanzaro. “Dobbiamo distinguere le cose – dice Mancuso – l’amicizia è una cosa, gli interessi sono un’altra (…) io voglio sapere tutto della ditta”. Chiarissimo. Come i soldi che Mancuso vuol tirare fuori dai conti dell’azienda: 200mila euro da girare ai suoi fiancheggiatori calabresi. “Prima di ogni cosa, vanno cacciati ‘sti soldi (…) e si devono portare al posto dov’erano!”.
Il boss ordina e dispone. In testa ha l’affare dei concerti. E così, ancora prima del 15 aprile 2010, gli investigatori intercettano telefonate tra Giuseppe Mancuso e Pisciottano, il quale, pressato dal capo cosca, risponde: “Adesso chiamo (…) penso verso il quattordici, quindici, (…) lui mi ha detto dal tredici al diciotto”. Inizialmente l’appuntamento è fissato a Torino “perché lui è lì con la Pausini e Vasco Rossi”. In un secondo momento, l’incontro si sposta a Milano.
E così il 15 aprile 2010, poco dopo le nove del mattino, Giuseppe Mancuso esce dalla sua casa di Agliate frazione di Carate Brianza. Ad attenderlo c’è il cognato Pasquale Santoro, brianzolo di nascita e amministratore unico della Cupido Wings. La società, con sede a Carate Brianza, ha per oggetto la distribuzione di tutti i prodotti commercializzati con il brand Cupido drink, la bevanda “che ti fa innamorare”, così almeno recita il sito internet che mostra una bottiglietta dal design rifinito. Il marchio rappresenta la bevanda ufficiale della casa di Romeo e Giulietta a Verona. Gemellaggio sancito nel 2010 alla presenza del marhaja di Jaipur Arvind Singh Mewar.
Santoro e Mancuso lasciano Agliate poco dopo le dieci del mattino del 15 aprile. Particolare: sono a bordo di una Renault Megane intestata alla moglie di Germano Brambilla, imprenditore lombardo in ottimi rapporti con il boss della ‘ndrangheta. Poco dopo l’una del pomeriggio, Mancuso varca il portone della Live Nation Italia. L’incontro durerà quaranta minuti e si concluderà bene. Questo almeno è il dato che gli investigatori traggono da un’intercettazione di Nicola Castagna al telefono con un parente. Dice: “Noi siamo a un appuntamento di lavoro per i concerti di Milano, alla Milano Concerti quelli che fanno i concerti in tutta Italia e adesso loro sono chiusi sopra, perché i tecnici devono parlarsi”. Annotano i carabinieri: “Si registra una prima conferma che l’incontro di lavoro, presso la Live Nation Srl, è andato a buon fine. Nicola Castagna, conversando con una conoscente le riferisce di aver ‘preso’ il concerto del noto cantante Nek”.
Ma non è finita. Giuseppe Mancuso in Lombardia vuole investirci. E oltre ai concerti, mette in pista anche un incontro con un imprenditore vicino alla dirigenza della Chateau d’Ax, la nota azienda che vende mobili. Spiega il boss: “Domani andiamo a parlare con quello della fiera… del giro di chateau d’Ax… per vedere se riusciamo a entrare la… Chateau d’Ax… perché questo ci fa entrare”. La storia continua.