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compagnia delle opere

Nessuno parla di Don Mercedes Inzoli

Il 27 giugno 2014 la stampa di Crema dà una notizia-bomba… che però rimane inesplosa: dopo una prima sentenza risalente al 2012, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha condannato in secondo grado per abusi su minori monsignor Mauro Inzoli, già presidente del Banco Alimentare e vicepresidente della Compagnia delle Opere, più volte mattatore al Meeting di Rimini nonché – si è scritto da più parti – confessore di Roberto Formigoni.
Inzoli era soprannominato «don Mercedes» perché amante del lusso e dei macchinoni, nella più pura osservanza dello stile evangelico. Se oggi tornasse tra gli uomini, lo stesso Gesù si sposterebbe in Porsche.
In rete, riferimenti a sue (presunte) molestie nei confronti di minoririsalgono almeno al 2007 e nessuno li ha mai rimossi.
Particolare importante, a Crema don Inzoli aveva fondato l’associazione «Fraternità», per anni affidataria di molti minori soggetti a tutela.

Ne parlano, per fortuna, i Wu Ming qui. Parlatene e leggetene anche voi. Vi farebbe bene.

Solidali tra sodali

A Milano i pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio stanno seguendo un’inchiesta che andrebbe studiata in sociologia e antropologia:

Il ‘metodo Kaleidos’. Una apparentemente modesta società di car sharing di Saronno, nel Varesotto, che improvvisamente, nell’arco di sei anni, mette le mani sui più succosi appalti pubblici regionali e sbaraglia ogni concorrenza. Tutto grazie a un dettaglio, raccontano oggi le carte di un’inchiesta: l’appartenenza dei manager Kaleidos, e dei funzionari regionali chiamati a indire i bandi di gara, alla Compagnia delle Opere. Tutti o quasi. Solo apparentemente aperti al mercato, alla concorrenza, a chi garantiva le condizioni migliori.

Kaleidos, raccontano le carte dell’inchiesta realizzata da carabinieri e Procura, dettava le linee per configurare gare su misura. Consigliava i funzionari regionali sulle condizioni da includere negli appalti, a volte chiedeva perfino che si “alzasse la base d’asta” per ottenere guadagni più vantaggiosi. Ovviamente, per garantirsi una vittoria scontata. Ed erano talmente sicuri di rimanere impuniti che tutte le irregolarità si consumavano senza alcuna precauzione, soprattutto attraverso i messaggi di posta elettronica. Dal 2005, per sei anni, sono stati 150mila quelli che i vertici della società Kaleidos – azienda con sede a Saronno, sulla carta esperta di auto a noleggio per aziende pubbliche e private – si sono scambiati con i funzionari della Regione, di Metropolitana Milanese, Aler e Ferrovie Nord.

Compagnia delle Opere, Comuione e Liberazione e Regione Lombardia. Solidali tra sodali, al solito. Tre o più persone che si mettono d’accordo per accrescere il proprio bene ai danni del bene pubblico. E’ così diverso dal reato di associazione a delinquere o dalla mentalità mafiosa?

Mafia messinese dentro EXPO

expo-internaDopo gli allarmi, le conferme. L’Expo si ritrova in casa un’azienda sospettata di avere rapporti poco chiari con uomini legati a Cosa nostra. Risultato: la Prefettura di Milano ha emesso un’interdittiva per la Ventura spa di Furnari, paese non lontano da Barcellona Pozzo di Gotto. Mafia messinese, dunque, da sempre alimentata da un brutto impasto tra criminalità, massoneria e grigi settori della buona borghesia locale. La ditta ha un’importante sede milanese nel comune di Pieve Emanuele.

Attualmente la società siciliana fa parte di un’associazione temporanea d’impresa che si è aggiudicata l’appalto fino ad ora più goloso di Expo, vale a dire la costruzione della cosiddetta piastra sulla quale sorgeranno gli edifici dell’esposizione. Il tesoretto ammonta a 165 milioni e 130mila euro, portato a casa con un ribasso del 43%. Una percentuale pazzesca che ha fatto drizzare le antenne della procura di Milano. A tirare il gruppo è la veneta Mantovani, come venete sono la Silev e la Coveco, dopodiché c’è la romana Socostramo e quindi la Ventura, società quest’ultima iscritta alla Compagnia delle opere, il braccio finanziario del movimento cattolico Comunione liberazione.

All’azienda, seguendo una prassi ormai consolidata, verrà sospeso il certificato antimafia e dunque anche la possibilità di operare per Expo. Sospensione, si badi, che sulla carta può essere temporanea, visto che l’interdittiva può essere impugnata davanti al Tar. Così come fece la milanese Edil Bianchi, colosso del cemento al quale nel 2008 il Prefetto tolse la possibilità di operare dopo che le indagini certificarno l’affidamento di diversi subappalti a ditte calabresi in odore di ‘ndrangheta. Una decisione che fu però ribaltata dal Tribunale amministrativo che rimise in moto i camion della società. Questo per dire che, naturalmente, la scelta del Prefetto non qualifica la Ventura spa come ditta mafiosa, ma solo indica un sospetto ed evidenzia un rischio d’infiltrazione.

Un rischio che va cercato nelle carte dell’indagine Gotha tre, la maxi-operazione del Ros che nel luglio scorso ha portato in carcere dodici persone, tra cui l’avvocato Rosario Cattafi, oggi pentito e ritenuto uno degli uomini chiave per svelare finalmente i segreti della trattativa Stato-mafia. La Dia e il prefetto di Milano, però, non si sono spinti così in alto. Molto più banalmente, analizzando tutte le carte di quell’indagine, hanno incrociato più volte il nome della ditta Ventura. Ditta che, va detto, non sarà mai coinvolta penalmente in quell’operazione. A inguaiare gli imprenditori saranno,però, le dichiarazioni di alcuni testimoni verbalizzate dagli investigatori. Saranno loro, infatti, a coinvolgere la Ventura nel giro delle imprese collegate ai boss e alla grande spartizione degli appalti pubblici in tutto il Messinese.

Protagonista e puparo del gioco è Salvatore Sam Di Salvo, origini canadesi, ma curriculum (mafioso) tutto messinese. E’ lui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ad avere i rapporti con i Ventura. E così si scopre che nel 2003, durante una perquisizione in casa di Di Salvo i magistrati trovano una serie di certificati Soa, alcuni intestati alla ditta Ventura. Ma agli atti viene messo anche altro: e cioè la partecipazione della ventura a un consorzio temporaneo di imprese composto da ditte tutte (o quasi) riconducibili ai Ventura.

Racconta, invece, l’imprenditore Maurizio Marchetta: “Salvatore Di Salvo mi ha invitato, tra il fine 2002 ed i primi mesi del 2003 (…) a partecipare ad una riunione presso gli uffici dell’impresa Ventura Giuseppe. A questa riunione (…) Aquilla e Di Salvo (…) dicevano di voler organizzare in maniera più attenta, cioè più precisa, le turbative delle aste. Loro volevano coinvolgere Ventura e Scirocco per le sue conoscenze di altri imprenditori siciliani e del Nord. Infatti a loro interessava raccogliere un numero maggiore di offerte per condurre la turbativa con minimi margini di errore ed aggiudicarsi con maggiore certezza gli appalti di loro interesse (…) Sia io che Pippo Ventura abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alla riuscita di questa organizzazione delle turbative”.

Nel dicembre 2012, un’inchiesta dell’Espresso aveva già messo in luce i rapporti opachi della Ventura con i professionisti dei clan. All’epoca, il numero del settimanale uscì il 6 dicembre, i vertici di Ventura risposero con un secco comunicato stampa dove si precisava “che non risulta coinvolgimento alcuno e ad alcun titolo di suoi soci o amministratori nelle indagini condotte dalle Procure della Repubblica evidenziate; come d’altro canto certificato da tutti gli organismi deputati allo scrutinio dei rigidi requisiti richiesti per l’aggiudicazione di gare d’appalto di tale rilevanza”. Una rigidità nel controllo, rivendicata nei giorni successivi, dalla stessa società che gestisce Expo 2015. Anche in quel caso si fece appello agli alti livelli di controllo. Conclusione: pochi giorni fa la decisione del Prefetto di escludere la Ventura per sospetti legami con i clan.

(di Davide Milosa da Il Fatto Quotidiano)

Mafie e Expo: to be continued

Dal sito de L’Espresso:

L’appalto principale e più pagato per l’Expo 2015 a Milano è andato a imprenditori già in affari con la mafia. 

E’ quanto ha scoperto ‘l’Espresso’ nell’inchiesta esclusiva di copertina pubblicata nel numero in edicola da venerdì 30 novembre. Nella stessa cordata vincitrice, le imprese di sostenitori e collaboratori di due ex ministri, Altero Matteoli e Giancarlo Galan.

L’impresa in contatto con i boss di Cosa Nostra è la Ventura spa, società appartenente alla Compagnia delle opere, il braccio economico di Comunione e liberazione. La ditta, con sede in provincia di Messina, è specializzata nella progettazione e costruzione di strade, parchi e strutture di ingegneria civile. 

Il nome della Ventura spa appare in un’indagine conclusa la scorsa estate dalla Procura sulla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, una delle cosche più sanguinarie della Sicilia, lo stesso clan che ha ordinato l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Secondo i verbali di un collaboratore e di un imprenditore, che ‘l’Espresso’ pubblica in esclusiva, i proprietari della Ventura spa erano in contatto con il presunto boss dei lavori pubblici, Sam Di Salvo, 47 anni, nel tentativo di pilotare le gare d’appalto in provincia di Messina. 

Con la Ventura, nella stessa cordata: la Mantovani spa di Mestre, il cui presidente Piergiorgio Baita, 64 anni, è socio e amministratore in altre aziende del gruppo con l’ex segretaria di Galan; la Socostramo srl, del costruttore romano Erasmo Cinque, 72 anni, sponsor, consigliere e tra i fondatori del movimento politico dell’ex ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli; un consorzio di cooperative rosse e un’impresa specializzata in impiantistica. 

L’appalto per l’Esposizione universale da loro vinto è quello da 272 milioni assegnato la scorsa estate con un ribasso record di 106 milioni. La cordata dovrà costruire la “piastra”, la base di cemento, strade, servizi su cui verranno innalzati i padiglioni. 

Nell’inchiesta, anche i legami tra le imprese concorrenti all’Expo di Milano e il loro ruolo di alleate nella gestione del progetto Mose a Venezia. La società organizzatrice dell’Esposizione ha negato l’accesso ai documenti della gara vinta da Ventura, Mantovani, Cinque e le coop rosse. 

Il rischio di un ulteriore aumento dei costi, per un evento che costerà oltre due miliardi e mezzo, e altre rivelazioni su ‘l’Espresso’ in edicola da venerdì.

Intanto, per l’accesso agli atti, ci abbiamo pensato noi. E a noi (per legge) non possono dire di no.

La lobby degli onesti

Mi capita spesso di parlarne durante gli incontri pubblici e le riunioni di partito. Il punto fondamentale sta in qualche cricca (in Lombardia molto spesso attaccate alla sottana di Comunione e Liberazione o alla loro ala confindustriale che è la Compagnia delle Opere) che pur in minoranza riesce spesso a nominare in quadri dirigenti nei più disparati settori. E la lobby degli onesti sembra non volere imparare il radicamento del 99%. Cosa manca? L’obiettivo comune (non mi pare), le modalità (come se non bastasse l’onestà e trasparenza come comune denominatore) o semplicemente la divisione tra partiti non disegna un reale perimetro di volontà e modi? Perché qui su al Pirellone sembra sempre più spesso che la rendita dello sconfitto per qualcuno non sia così male. E si finisce per non essere credibili. Nè pagatori né credibili e quindi in minoranza sistematica.

E colpiscono le parole del PM Francesco Greco nell’articolo dell’Espresso su Mani Pulite che forse non si sono mai pulite per davveroEccola la parola chiave per capire il potere nell’Italia della recessione: lobby. I sinonimi possono essere nobili, come “élite” evocato anche per definire la composizione del governo Monti, o dispregiativi come “comitato d’affari”, “cartello” o “cricca”. Di sicuro è scomparsa la struttura verticistica dei vecchi partiti, che dominavano gli appalti e i contribuiti statali condizionando così la vita economica del Paese. Nel 2012 è l’economia ad avere la supremazia e a stringere patti con la politica e la pubblica amministrazione attraverso circoli ristretti dove spesso persino i burocrati contano più dei parlamentari. 

“Oggi ciò che conta veramente è far parte di una lobby”, sintetizza Francesco Greco, mente finanziaria dello storico pool e adesso procuratore aggiunto di Milano: “Con le indagini di Mani Pulite era emerso un sistema organizzato di finanziamento illecito della politica: uno scambio tra imprese e partiti, con ruoli abbastanza chiari e una gerarchia verticale. Oggi troviamo strutture complesse con ruoli confusi: politici accanto a imprenditori, faccendieri, personaggi di relazione. Più delle tangenti, che pure ci sono, conta l’appartenenza a una cricca che garantisce un potere di relazione: appoggi negli affari, nomine, ma anche ingressi in salotti, apparizioni televisive, perfino sesso”. 

Visto con gli occhi dei magistrati, si tratta di un nemico meno organizzato ma molto più difficile da colpire: spesso gli scambi indiretti di favori e appalti non possono essere qualificati come corruzione. Le indagini sulle varie P3 e P4 spesso ipotizzano reati, come la costituzione di associazione segreta, più difficili da dimostrare davanti a una corte. Anche per questo sono pochi a credere che si possa ripetere l’effetto a catena che tra il 1992 e il 1994 determinò la nascita della seconda Repubblica. 

E perché una lobby si rinforza inevitabilmente sulla consuetudine dell’esercizio (ecco perché il li limite di mandati diventa importante per tenere pulite le basi della democrazia) e se è vero che Formigoni è al suo quarto mandato è altresì vero che gli elettori lombardi hanno un numero di mandati certamente superiori. Ma noi in queste ultime quattro elezioni non siamo riusciti a convincerli. La banda degli onesti non copia in modo più etico i modi degli altri ma racconta un’alternativa, un altro modo. Un 416 quater che non sia un reato ma diventi obbligatorio per chi si propone per amministrare: tre o più persone che si mettono insieme per amministrare la cosa pubblica danneggiando con severità chi persegue il bene di pochi ai danni della comunità.

EXPO 2015: nutrire Compagnia delle Opere

E la fame nel mondo? Beh agli affamati offriremo del cibo virtuale, un’agricoltura virtuale, potranno nutrirsi via internet senza muoversi dal loro Paese. Così va il mondo. Formigoni si è anche accreditato dei rapporti con i Paesi espositori con i quali, giustamente fedele alle sue abitudini, cercherà di intessere affari, speriamo più decifrabili di quelli petroliferi d’antan. E la fame nel mondo? Beh era la ciliegina sulla torta anche se un po’ piccola per il miliardo di affamati nel mondo. Il Comune che fa? Giuliano Pisapia ci ha ripetuto qualche giorno fa: “Non lasciatemi solo!”. Siamo tutti qui, basta un fischio. Finalmente qualcuno lo dice. Su Arcipelagomilano.