Serviva il Consiglio di Stato?
No alle proroghe automatiche e generalizzate (e ai privilegi) delle concessioni balneari. Lo hanno stabilito i giudici. E ora la politica deve decidere cosa fare
Dove non arriva la politica arrivano i tribunali e non è mai una buona notizia per chi alla politica si ostina a crederci ancora e soprattutto per tutti quelli che la sfiducia nella politica la dimostrano in maniera crescente a ogni tornata elettorale.
Nel 2009 l’Europa aveva bacchettato l’Italia per le spiagge praticamente regalate ai gestori di stabilimenti balneari che sono diventati una delle tante caste intoccabili in Italia, bravi a fare imprenditoria con un canone irrisorio (nel 70% dei casi meno di 2.500 euro all’anno) e prezzi alle stelle. Le vacanze italiane costano 400 euro al giorno per un ombrellone e un lettino all’Hotel Romazzino di Porto Cervo mentre tutte le 59 concessioni del comune di Arzachena in Costa Smeralda portano nelle casse dello Stato 19mila euro all’anno. Non è mica difficile fare impresa così, se ci pensate bene, ottenendo un bene pubblico a un prezzo irrisorio e rivendendolo come pregiatissimo bene privato.
Qualche giorno fa il governo (dei migliori) aveva preferito decidere di non decidere (com’è nelle corde dei governi che si preoccupano innanzitutto di non scontentare nessuno) prendendosi anche il richiamo della Commissione europea che aveva spiegato che «è una prerogativa italiana decidere come procedere sulla riforma» e che è «importante che le autorità italiane mettano rapidamente in conformità la loro legislazione, e le loro pratiche relative alle attribuzioni delle concessioni balneari, con il diritto europeo e la giurisprudenza della Corte di Giustizia».
Del resto proprio Draghi a giugno aveva promesso a Von der Leyen di mettere mano alla questione. Promessa non mantenuta. Ora il Consiglio di Stato ha affermato che la perdurante assenza (nonostante i ripetuti annunci di un intervento legislativo di riforma, mai però attuato) di un’organica disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime genera una situazione di grave contrarietà con le regole a tutela della concorrenza imposte dal diritto dell’Ue, perché consente proroghe automatiche e generalizzate delle attuali concessioni (l’ultima, peraltro, della durata abnorme, sino al 31 dicembre 2033), così impedendo a chiunque voglia entrare nel settore di farlo. Secondo il Consiglio di Stato – si legge in un comunicato – il confronto concorrenziale, oltre a essere imposto dal diritto Ue, «è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita».
Ora tocca fare politica. A Draghi toccherà fare i conti con Salvini (del resto è troppo comodo tenersi al governo qualcuno che si fa finta di incrociare per caso) e finalmente si scoprono le carte. Nei partiti non è difficile prevedere chi sta dalla parte del mantenimento del privilegio e chi no. Quale sarà la sintesi del governo invece sarà una fotografia finalmente politica di chi caracolla sperando di fare i conti senza dover perdere troppe scomode decisioni. Attendiamo.
Buon giovedì.
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