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Porti chiusi. Per ‘ndrangheta

«Una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese», dice un imprenditore che ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta per i lavori al porto di Badolato, in provincia di Catanzaro

Badolato è un gioiello calabrese appoggiato sulla costa jonica. Un comune in provincia di Catanzaro che negli anni 90 si è salvato dal declino dello spopolamento grazie ai molti turisti che lì hanno comprato dei vecchi edifici che sono stati messi in vendita e sono stati rimessi a nuovo. A Badolato da più di vent’anni si parla del nuovo porto come fiore all’occhiello di una rinascita calabrese che passi attraverso nuovi servizi e nuove infrastrutture. La storia potrebbe sembrare un piccola storia locale ed è invece il paradigma attraverso cui leggere un argomento che di questi tempi sembra sia passato completamente di moda: le mafie.

Il clan Gallace-Gallelli spadroneggia. Un’inchiesta passata, la Itaca Free-Boat, aveva evidenziato gli interessi di uomini di ‘ndrangheta per il porto. Bene, seguitemi: Carlo Stabellini è l’amministratore della Salteg che si occupa dei lavori di costruzione. Stabellini ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta e le sue dichiarazioni hanno permesso di fare luce su un sistema di oppressione mafiosa.

Il sindaco di Badolato è Gerardo Mannello, in carica dal 2016. Pochi giorni dopo la sua elezione è stato accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso proprio con gli uomini del clan Gallelli e proprio ai danni della Salteg, di Stabellini e dei suoi soci dell’epoca. E per quelle vicende è adesso sotto processo. Scrivono i magistrati che Mannello con altri, tra cui il boss mafioso della zona, si sarebbe adoperato negli anni dal 2001 al 2004 “per garantire la tranquillità nell’esecuzione dei lavori”, costringendo la Salteg ad una serie di assunzioni e ad affidare lavori in subappalto “per sbancamento, movimentazione terra, realizzazione della diga foranea alle ditte riconducibili a Vincenzo Gallelli “Macineju” e formalmente intestate ai generi Andrea Santillo e Luciano Antonio Papaleo, a quella del nipote Pietro Gallelli e a quella del suo storico referente Angelo Domenico Papaleo”. Il tutto con un’ estorsione anche di 100mila euro per il clan Guardavalle al tempo guidato da Vincenzo Gallace e Carmelo Novella.

Arriviamo ad oggi: il sindaco in carica Mannello (che non è decaduto) ha dichiarato cessata la concessione alla ditta Salteg (la stessa che è accusato di avere minacciato) per “gravi inadempienze contrattuali”. E fa niente che il tribunale scriva che il “persistente tentativo della ‘ndrangheta di condizionamento e infiltrazione nella gestione dell’attività portuale deducendone ulteriormente, che, a causa delle vertenze penali, il porto di Badolato è rimasto sequestrato dal 4 agosto 2004 al 6 maggio 2006 e dal 19 gennaio 2015 al 23 ottobre 2017 e che, pertanto la società non ha avuto la possibilità di completare i lavori ad essa demandati”.

“La burocrazia badolatese, con a capo il Sindaco Mannello – scrive in un’accorata lettera aperta Stabellini – ha ottenuto, volente o nolente, quello che i vari Saraco, Antonio Ranieri, Gallelli, Ammiragli, condannati nel procedimento penale “Itaca-Free Boat” per reati aggravati dal metodo mafioso, non erano riusciti a fare con le loro macchinazioni. Vedremo se il Consiglio di Stato, cui la Salteg ricorrerà, tra un anno saprà mettere fine ad una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese”.

Dalla patria delle contraddizioni per ora è tutto.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

I medici ci sono ma non possono medicare

Vi è capitato di leggere il sottopancia durante una qualche trasmissione televisiva in cui lo Stato cerca urgentemente medici disponibili per riuscire a arginare la difficile situazione degli ospedali italiani? Quante interviste a primari o direttori di ospedali avete ascoltato in cui lamentano la mancanza di personale in corsia per riuscire ad assorbire la pandemia? Avete letto o visto di terapie intensive che sono già attrezzate ma non riescono a partire perché manca il personale sanitario?

Da oltre due mesi più di 23mila medici sono parcheggiati, inutilizzati, bloccati dal Consiglio di Stato che ha accolto l’appello cautelare del ministero dell’Università contro i ricorsi dell’ultimo bando e così nonostante il cronoprogramma prevedesse l’entrata in servizio con l’assegnazione del luogo di lavoro per migliaia di medici oggi rimane tutto fermo, tutto appeso.

La prova per i 24mila candidati avrebbe dovuto svolgersi a luglio ma si è riusciti a farla solo il 22 settembre. L’elenco degli ammessi avrebbe dovuto essere pubblicato alle 12 del 5 ottobre ma l’enorme mole di ricorsi ha spostato tutto al 26 ottobre. Non si muove nulla per un mese finché l’elenco definitivo non viene stilato il 23 novembre. Il giorno successivo il Mur pubblica anche la tabella riepilogativa per la scelta della sede, l’assegnazione e l’immatricolazione: 1 dicembre chiusura della fase di scelta per i candidati, 3 dicembre pubblicazione delle assegnazioni alle Scuole di specializzazione, entro il 10 dicembre immatricolazione dei futuri specialisti, 16 dicembre pubblicazione degli esiti delle immatricolazioni per ciascun candidato, ovvero il via libero definitivo alla presa di servizio. E invece? E invece niente. Tutto rimane in sospeso.

E sapete perché ci sono così tanti ricorsi? Perché il ministero ha compiuto un errore nella compilazione del bando che escludeva determinati titoli dal punteggio generale. L’errore sbagliato nel momento sbagliato. I medici sono esasperati. Immaginatevi noi a leggere notizie così.

Buon lunedì.

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Disabituati alla bellezza

(Post di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti per Nazione Indiana)

Come è andata a finire con l’Area ExEnel

di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti

enel1Nel gennaio del 2012 su questo blog era apparso questo articolo. Altri in contemporanea ne uscirono su vari blog e quotidiani, a firma di Marco Belpoliti, Luca Molinari, Marco Biraghi, etc.

Sollevavano un problema: la costruzione nell’area di fronte al Cimitero Monumentale di Milano di due edifici fuori scala, di un albergo inutile e di un parcheggio sotterraneo di 250 posti camuffato da piazza in una zona di rispetto architettonico, con un progetto che lasciava molto a desiderare dal punto di vista estetico e urbanistico. Ne era nato un dibattito (vedi ad esempio qui) che aveva coinvolto giornali, architetti, intellettuali, politici. La questione si era trasferita, dopo varie vicissitudini e discussioni, nelle aule del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, che aveva bocciato il ricorso del gruppo di cittadini che si erano organizzati nella sigla Area Ex Enel con un suo sito.

Ora sull’intera materia si è espresso il Consiglio di Stato (Sentenza Ex-Enel.1), dando ragione ai cittadini che hanno sollevato il tema della legittimità della scelte della giunta Moratti, prima, e Pisapia, poi. Tutto questo è succintamente spiegato nella lettera che segue indirizzata a “il Corriere della Sera” che, unico giornale milanese, ha dato alcuni giorni fa con un ampio articolo notizia della sentenza, intervistando l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano e vice-sindaco, Ada Lucia De Cesaris, sostenitrice della scelta urbanistica e giuridica bocciata dal Consiglio di Stato. Ora che Milano è sotto i riflettori dell’intero paese per l’apertura imminente dell’Expo a maggio, vale la pena di tornare a riflettere su questo caso (60 milioni di euro investiti da privati che ora non potranno proseguire i lavori iniziati) che ripropone le questioni della gestione politica delle nostre città, della partecipazione dei cittadini e della bellezza architettonica.

***

enel2Su queste pagine giorni fa è apparso un lungo articolo sul blocco del cantiere Ex Enel. Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’intera operazione illegittima, ha bloccato l’intero cantiere, dopo il ricorso intentato da alcuni cittadini. Quei cittadini siamo noi, ed è giusto che spieghiamo le ragioni del ricorso, e come si è arrivati a questo punto.

Scriviamo per spiegare ai lettori – ai milanesi e non solo a loro – cosa succede in città, e non tanto, come si usa in questi casi, per mandare messaggi a qualcuno.

Proviamo a raccontare brevemente la storia, per aiutare tutti a capire. L’area di fronte al Cimitero Monumentale, di ex proprietà dell’Enel, e dunque pubblica, molti anni fa fu svenduta a una società privata. Dopo lunghi anni di abbandono, e poi di occupazione da parte del centro sociale Bulk, durante l’amministrazione di Letizia Moratti, alcuni imprenditori decisero di costruire degli immobili residenziali.

Per fare questo, il Consiglio Comunale di allora (Moratti) approvò una delibera che modificava le cubature edificabili, triplicandole. In un colpo solo quel terreno, comprato per 10, valeva 300.

Per trasformarle in area residenziale, edificabile, e per aumentare le cubature consentite per legge e concedere le concessioni, l’amministrazione comunale si avvalse dello strumento del “programma integrato di intervento”, uno strumento che, nel diritto italiano, è consentito solo ed esclusivamente in casi di evidente interesse pubblico e strategico per la città.

Anni dopo la giunta Pisapia, durante un assolato agosto di quattro anni fa, tra i suoi primi provvedimenti importanti, riportò in consiglio comunale la delibera e la approvò: senza nessun comunicato stampa, e senza che la notizia venisse riportata da alcun giornale. Una procedura che, vista l’importanza dell’operazione riguardante una zona centrale della città, risultava quantomeno anomala.

Il progetto approvato prevedeva, in tre isolati situati di fronte al Cimitero Monumentale, il luogo più visitato dai turisti dopo il Duomo, tre palazzoni di più di 10 piani ciascuno, in un quartiere di edifici di 4 piani al massimo; edifici ad uso residenziale, brutti come raramente possono esserlo: talmente brutti da far apparire al confronto l’edilizia di Quarto Oggiaro come dei palazzi del Bernini.

Alla notizia di questo scempio, un gruppo di abitanti del quartiere e alcuni intellettuali, scrittori, architetti, ha provato a intervenire. Abbiamo chiesto di incontrare la proprietà, il Comune, cercando il dialogo, sostenendo che andava bene il profitto economico dei privati, ma che l’operazione avrebbe potuto essere un po’ meno spregiudicata, contenere qualche spazio pubblico, e concedere qualcosa alla qualità architettonica. Non chiedevamo di scomodare grandi architetti, semplicemente di evitare il ricorso in pieno centro storico a un’edilizia così sfacciata e imbarazzante. In sostanza chiedevamo l’adozione di una logica progettuale moderna, non tre palazzoni da edilizia speculativa.

Il Comune di Milano non ci ha voluto dare ascolto. Lo stesso atteggiamento hanno mantenuto i proprietari del terreno. Entrambi ci hanno detto soltanto di pure loro causa, che tanto l’avrebberio vinta.

Soltanto l’impresa costruttrice di una parte degli edifici si è mostrata invece disponibile, modificando le facciate di loro pertinenza in corso d’opera, e ridisegnando un piccolo parco. Da parte loro si trattava di un impegno ulteriore, che andava oltre il loro immediato interesse, e quindi da considerare assolutamente apprezzabile.

Avendo quest’unico interlocutore, ovviamente non trovammo un vero accordo. Il vero soggetto in grado di imporre un interesse pubblico all’area, vale a dire il Comune, mancò invece all’appello. Rimanendo convinti che l’operazione fosse sbagliata sotto il profilo architettonico, politico, urbanistico, e legislativo, e non riuscendo a ottenere altri risultati se non quello – comunque importante – di far riprogettare gli spazi aperti, fummo costretti a non ritirare il ricorso in tribunale.

Oggi il Tribunale di Roma ha dichiarato l’intera operazione illegittima, in quanto priva del presupposto di un interesse strategico e pubblico. Ci ha dato ragione. Una pessima notizia, a ben vedere. Non soltanto perché ora il progetto è diventato un problema, ma soprattutto perché non eravamo e non dovevamo essere noi i paladini dell’interesse della città.

Non debbono essere i privati cittadini a vigilare sulla legittimità delle operazioni immobiliari, sulla qualità architettonica e sul rispetto delle norme urbanistiche. È un ruolo che spetta alle istituzioni.

Avere ragione non ci interessa: ci interessa, così come sin dall’inizio, che si costruisca bene, in modo sensato, intelligente, corretto, restituendo alla città vivibilità e bellezza.

Ci interessava allora, e ci interessa ancora di più adesso. Adesso che c’è un “buco” nel cuore della città, e non vediamo l’ora che questa sia l’occasione per dare a questa zona importante della città una soluzione degna di Milano. Soprattutto alla luce dei numerosi fallimenti urbanistici di questa città.

Ora non possiamo che augurarci che questo “buco” sia l’occasione per ripartire da una logica diversa, con un piglio diverso, con un orizzonte progettuale più alto e di più ampio respiro. L’orizzonte legittimamente alto e ambizioso di disegnare e pensare la città.

Si tratta di un compito arduo, che spetta in primo luogo al Comune di Milano. Speriamo che questa volta ci provi.

Marco Belpoliti
Gianni Biondillo
Marco Biraghi
Paola Lenarduzzi
Roberto Marone
Luca Molinari
Alberto Saibene

(pubblicato precedentemente su Il Corriere della Sera – Milano, il 22 marzo 2015. Questo post è da oggi on line anche su DoppioZero. Le vignette sono un regalo di Guido Scarabottolo)

A Formigoni non piacciono le donne

«II Pirellone? E’ un palazzo dove la discriminazione è di casa … ». Le responsabili dell’associazione «Articolo 51 – Laboratorio di Democrazia Paritaria» non usano mezzi termini per denunciare l’ultimo «abuso» subito tra le stanze della regione. L’associazione, che nei mesi scorsi aveva presentato l’appello al Consiglio di Stato per il «non rispetto delle quote rosa all’interno della Giunta Formigoni». E il consigliere leghista Fabrizio Cecchetti pubblica un opuscolo con le attività della Giunta dimenticandosi l’unica donna della Giunta (sua compagna di partito) Monica Rizzi.  «Noi siamo propense a pensare che sia stato un errore di impaginazione, che non ci fosse una volontà discriminatoria nei confronti dell’assessore Rizzi, né che il Consigliere abbia pensato che esistono assessorati di serie A e di serie B – concludono le donne di Articolo 51-. Vogliamo credere ad un disguido tecnico a cui presto si porrà rimedio. Il Consigliere Cecchetti dovrebbe sapere che, qualora 1’8 novembre la Consulta decidesse in favore di una “sospensiva”, l’unico assessore non sospeso risulterebbe essere proprio Monica Rizzi. Dimenticare di menzionarla nell’opuscolo ufficiale è stato un gesto poco edificante». E sarebbe proprio un bel vento.

Formigoni e Cota: l’operoso nord (falso)

La questione giuridica delle false liste di Cota e Formigoni è ben più che aperta. E potrebbe tradursi in un bel problema per i governatori di Lombardia e Piemonte. La sentenza con la quale il Consiglio di Stato, ribaltando quanto deciso dal Tar della Lombardia, ha accolto il ricorso elettorale dei radicali contro la proclamazione dei risultati delle regionali lombarde dell’anno scorso costituisce un brutto colpo per Roberto Formigoni. Non che il presidente della Lombardia (beffardamente definito Firmigoni dai radicali, per le fi rme irregolari con le quali sarebbe stata presentata la sua lista «Per la Lombardia») abbia da temere, nell’immediato, di dover ripetere le elezioni. (E in Consiglio non sono solo nel centrodestra a pregare a mani giunte di non ripresentarsi ai cittadini).