(gran pezzo di Monrealepress, dedicato a chi all’informazione locale con la schiena dritta)
Durante la notte i Carabinieri del Gruppo di Monreale hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Palermo Guglielmo Ferdinando Nicastro, su richiesta della Procura distrettuale diretta da Francesco Lo Voi, nell’ambito di un’indagine coordinata dal Procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise e Siro Deflammineis, che ha riguardato 16 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, lesioni gravi, estorsione, illecita detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti, tutti delitti aggravati per essere stati commessi al fine di agevolare l’attività di Cosa Nostra.
L’operazione costituisce il compendio delle indagini condotte dal Nucleo Investigativo di Monreale relative al mandamento mafioso di San Giuseppe Jato all’esito delle quali, già lo scorso 16 marzo 2016 a conclusione dell’operazione denominata “QUATTRO.ZERO” – erano stati tratti in arresto numerosi esponenti apicali del sodalizio.
Nell’ambito di tale contesto di indagine, sviluppatosi sino alla fine del 2014, era emerso che nella zona di San Giuseppe Jato la fazione di Gregorio Agrigento, coadiuvato nella gestione del sodalizio mafioso, tra gli altri, da Ignazio Bruno e Antonino Alamia, si era imposta, anche con il ricorso alla forza, dopo un preoccupante periodo di fibrillazione e contrapposizione, sul gruppo costituito da Giovanni Do Lorenzo ed altri affiliati, anch’essi tratti in arresto con il medesimo provvedimento restrittivo. E’ stata anche documentata la riorganizzazione della famiglia mafiosa di Monreale, al cui vertice era stato designato Giovan Battista Ciulla, attivamente coadiuvato da Onofrio Buzzetta, Nicola Rinicello e Giuseppe Giorlando.
Le indagini svolte, a partire dalla fine del 2014 e nei primi mesi del 2015, hanno registrato in presa diretta l’evoluzione delle dinamiche interne dell’organizzazione mafiosa di San Giuseppe Jato e della famiglia di Monreale, con particolare riferimento alle successioni al vertice del mandamento e della dipendente articolazione mafiosa. E’ emerso, infatti, che, in considerazione dell’aggravarsi delle condizioni di salute dell’anziano boss Gregorio Agrigento, più volte ricoverato nei mesi di ottobre e novembre 2014, Ignazio Bruno ha ricoperto la reggenza del mandamento di San Giuseppe Jato, assumendo decisioni importanti sia nella ridefinizione dell’organigramma interno delle varie famiglie mafiose che lo compongono, in particolare quella di Monreale – che continuava a vivere un periodo di fibrillazione interna – sia accreditandosi e partecipando ad incontri e riunioni con esponenti apicali di altre articolazioni territoriali di cosa nostra, segnatamente del mandamento mafioso di Corleone.
Il mutamento di leadership della famiglia di San Giuseppe Jato da Agrigento a Bruno si è reso necessario per garantire la continuità nella gestione del mandamento, che risulta avere grande importanza strategica, in quanto di fatto controlla il cuore di un’importante zona economica della Sicilia occidentale.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI MONREALE
A seguito dell’operazione “NUOVO MANDAMENTO” conclusa nell’aprile 2013, si era venuto a determinare un vuoto nel panorama mafioso monrealese a causa dell’arresto del capo famiglia Vincenzo Madonia e di numerosi altri associati. Tale spazio di manovra veniva colmato con la decisione del nuovo vertice del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, nel frattempo ricostituitosi, di individuare il reggente della famiglia di Monreale in Giovan Battista Ciulla (poi arrestato il 16 marzo con l’operazione “QUATTRO.ZERO”).
Nel periodo compreso tra gli ultimi mesi del 2014 ed gli inizi del 2015 in seno alla famiglia mafiosa di Monreale venivano registrate fibrillazioni a causa dell’intenzione di Giovan Battista Ciulla e Onofrio Buzzetta di tessere nuove alleanze e di modificare in parte anche le strategie operative della locale famiglia mafiosa. Questa fibrillazione veniva ulteriormente amplificata dalla scarcerazione di Benedetto Isidoro Buongusto, avvenuta il 5 novembre 2014, dopo aver espiato la condanna ad 8 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso.
Le indagini permettevano di disvelare le nuove strategie operative perseguite da Giovan Battista Ciulla e Onofrio Buzzetta, prevalentemente finalizzate a ricercare l’appoggio di Benedetto Buongusto e di altri due soggetti a lui vicini. La nascita di questa nuova alleanza, ha aggravato i risentimenti già nutriti dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato nei confronti del Ciulla, sempre più inviso per la cattiva gestione degli affari della famiglia di Monreale, nonché per aver sottratto parte dei ricavi derivanti dalla gestione degli stessi.
In particolare, le indagini hanno permesso di scoprire con precisione i reali motivi delle perduranti tensioni nella: gestione dei proventi di attività illecite perpetrate nel territorio di competenza, per i quali si imputava a Ciulla di avere trattenuto delle somme che sarebbero dovute confluire nella cassa del mandamento, detenuta da Antonino Alamia; mancata presentazione ad appuntamenti fissati per discutere della sua gestione della famiglia mafiosa; relazione extraconiugale con la moglie di un soggetto, all’epoca dei fatti detenuto, in violazione del codice d’onore che disciplina in maniera ferrea la vita di Cosa nostra.
Proprio sulla scorta di tali accuse si delineavano i contorni di un progetto omicidiario, avallato dai vertici del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, in danno di Giovan Battista Ciulla, Onofrio Buzzetta e Antonino Serio. “I propositi criminali – spiegano dal Comando – non avevano concreta attuazione solo perché il capo famiglia di Monreale, Giovan Battista Ciulla, si allontanò dalla Sicilia l’8 febbraio 2015 e trovando rifugio in un lontano comune della provincia di Udine”.
Con la fuga di Giovan Battista Ciulla nasceva, in capo ai vertici del mandamento jatino, l’esigenza di individuare un nuovo responsabile che si occupasse della gestione della famiglia mafiosa di Monreale. Su segnalazione dei componenti della famiglia Lupo, Domenico (imprenditore edile) ed il figlio Salvatore, veniva individuato Francesco Balsano, nipote del già capo famiglia Giuseppe Balsano, catturato latitante nel 2002 e morto suicida in carcere.
L’investitura di Balsano nasceva dall’esigenza di evitare la diretta esposizione degli appartenenti alla famiglia Lupo e, in particolare, di Salvatore Lupo, per il quale nel recente passato era già stato documentato il legame alla famiglia di Monreale, insieme a Giovan Battista Ciulla e a Onofrio Buzzetta. La formale attribuzione del mandato a Francesco Balsano avveniva nell’ambito di una riunione di mafia, tenutasi nel pomeriggio del 25 febbraio 2015, presso un capannone in agro di Monreale, di proprietà di Domenico Lupo, alla quale partecipavano, quali esponenti del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, Girolamo Spina (nipote ed autista di Gregorio Agrigento), Vincenzo Simonetti e Ignazio Bruno, mentre per la famiglia mafiosa di Monreale, Salvatore Lupo e Francesco Balsano.
Nel corso dell’incontro, oltre alla citata nomina, si stabiliva che il principale interlocutore di Balsano in seno al mandamento avrebbe dovuto essere Antonino Alamia e, soprattutto, veniva sancito di esautorare e punire i componenti del gruppo legato a Giovan Battista Ciulla. Da qui scaturirono una serie di episodi di intimidazione, aggressioni e minacce, il più eclatante dei quali risultava essere sicuramente, il 28 febbraio 2015, il grave atto intimidatorio ai danni di Buongusto, il quale denunciava di aver rinvenuto, davanti la porta della propria abitazione, una testa di capretto su cui era stata conficcata una pallottola da caccia, con annesso un biglietto recante testualmente la scritta: “Da questo momento non uscire più di dentro perchè non sei autorizzato a niente”.
A tale messaggio dal chiaro contenuto mafioso, Salvatore Lupo e Francesco Balsano, con l’aiuto di Sergio Denaro Di Liberto (il picchiatore “prestato” dai vertici di San Giuseppe Jato) facevano seguire, la sera del 3 marzo 2015, una missione punitiva ai danni di Benedetto Isidoro Buongusto, il quale veniva rintracciato per le vie di Monreale e pestato violentemente con tubi in ferro, riportando diversi traumi e la frattura di una costola e venendo sottoposto d’urgenza ad intervento chirurgico per toracotomia. Ancora, il 6 marzo 2015 Onofrio Buzzetta, braccio destro di Ciulla, venne minacciato nella propria autovettura da Francesco Balsano, il quale gli puntò una pistola in bocca, pronunciando le seguenti parole “Sono autorizzato ad ammazzarti pure ora”.
Onofrio Buzzetta, temendo per la propria vita in relazione al progetto omicidiario di cui si è detto, chiedeva, per il tramite di un amico, un incontro con Rosario Lo Bue, capo mandamento di Corleone, unica persona in grado di intervenire in maniera determinante nei confronti dei vertici del mandamento di San Giuseppe Jato. Per questo motivo il 7 marzo 2015 si recava a Corleone, riuscendo ad ottenere la protezione.
Minacce erano state indirizzate anche a Nicola Rinicella da Balsano, il quale in un duro confronto precisava all’interlocutore “Ti è finita bene perchè dall’altra parte mi avevano detto di spaccarti le gambe”. Nel frattempo, l’intervento dei Carabinieri di Monreale faceva venir meno la reggenza della famiglia mafiosa di Monreale da parte di Francesco Balsano – incarico di fatto ricoperto per 10 giorni, dal 25 febbraio 2015 al 6 marzo 2015 – procedendo al suo arresto per detenzione illegale di una pistola automatica cal. 7,65 e relativo munizionamento, rinvenuta nel corso della perquisizione presso la sua abitazione.
Nel periodo successivo alle richiamate minacce ed azioni violente, fu registrata un’apparente posizione defilata del gruppo legato a Ciulla, a vantaggio della fazione emergente, che aveva ormai assunto il controllo della famiglia mafiosa, sotto la reggenza di Salvatore Lupo, appoggiato dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato. All’inizio del 2016, però, venivano intercettate alcune conversazioni nel corso delle quali Salvatore Lupo ed il capo decina Giovanni Pupella (incaricato della gestione dello spaccio nella piazza di Monreale) facevano riferimento ad una riorganizzazione del gruppo mafioso capeggiato da Benedetto Isidoro Buongusto, che aveva l’obiettivo finale di spodestare a qualsiasi costo i Lupo e di riprendere il controllo della famiglia.
Pupella, preoccupato da tale eventualità, consiglò a Salvatore Lupo di agire per tempo e soprattutto di intervenire mettendo in atto, all’occorrenza, anche atti violenti “TOTO’ LORO DEVONO BUSCARLE, TOTÒ, E BASTA, TOTÒ, A LORO NON DOBBIAMO… NON DOBBIAMO FARE CAPIRE NULLA, O FRATE, NOIALTRI… LORO DEVONO BUSCARLE… LORO DEVONO RIMANERE A PIEDI…”. In quella circostanza, Salvatore Lupo ribatteva che avrebbe immediatamente richiesto al vertice del mandamento di San Giuseppe Jato l’autorizzazione ad agire contro i rappresentanti del gruppo capeggiato da Benedetto Isidoro Buongusto, nel rispetto delle ferree regole gerarchiche di Cosa nostra.
Le parole di Salvatore Lupo non lasciavano dubbi sul fatto che un’eventuale azione da parte del gruppo retto da Benedetto Isidoro Buongusto, peraltro in cerca di vendetta per il violento pestaggio subito, potesse scatenare una vera e propria violenta faida tra le due fazioni antagoniste, tenuto conto della disponibilità del gruppo retto da Lupo di armi da fuoco, come accertato nel corso dell’indagine. Proprio con riferimento alla disponibilità di armi da fuoco da parte della famiglia mafiosa di Monreale, è importante sottolineare quanto già delineato in precedenza sulle acquisizioni investigative che hanno portato all’arresto di Francesco Balsano, avvenuto il 6 marzo 2015 per detenzione abusiva di una pistola clandestina del relativo munizionamento.
“In merito ai canali di approvvigionamento di armi – aggiungono dal Comando – è utile richiamare anche l’arresto di Umberto La Barbera, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, al quale, il 28 dicembre 2015, nel corso di una perquisizione domiciliare, veniva rinvenuta sostanza stupefacente e 47 cartucce cal. 22 corto”. Lo stesso, poco meno di un mese dopo l’arresto, esattamente il 26 gennaio 2016, veniva denunciato in stato di libertà dal Comando Stazione Carabinieri di San Giuseppe Jato, a seguito del rinvenimento in un appartamento nella sua disponibilità, di un fucile cal. 12 con matricola alterata e diverse munizioni del medesimo calibro.
La disponibilità da parte del sodalizio mafioso di armi da fuoco ha ricevuto ulteriore conferma il 21 marzo 2016, quando in sede di perquisizione vennero rinvenute e sottoposte a sequestro una pistola cal. 9 con matricola abrasa e canna modificata e 122 cartucce di vario calibro, riconducibili a Domenico Lo Biondo, tratto in arresto nell’ambito dell’operazione del 16 marzo scorso “QUATTRO.ZERO”.
Infine, non di minor rilievo è l’arresto in flagranza di reato eseguito dai Carabinieri di Monreale il 29 marzo 2016 a carico di Pietro Lo Presti, appartenente alla famiglia mafiosa di Monreale, dopo il ritrovamento di una pistola marca “Valtro”, con matricola abrasa, modificata per permettere l’utilizzo di munizioni calibro 7,65 browning, nonché di 53 cartucce del medesimo tipo.
Gli approfondimenti investigativi condotti hanno anche consentito di evidenziare una serie di reati fine del programma criminoso della compagine mafiosa, tra cui particolare importanza rivestono certamente le quattro vicende estorsive ai danni di imprenditori del settore edile e di commercianti, ricostruite in modo compiuto nel corso dell’indagine.
Altrettanto rilevanti sono le attività investigative che hanno consentito di comprovare il reimpiego di parte dei proventi delle attività illecite nello spaccio di sostanze stupefacenti e nella realizzazione di una vasta piantagione di marijuana nelle campagne di Piana degli Albanesi. In tale quadro si innesta l’arresto di Michele Mondino e Gaetano Di Gregorio, eseguito dai Carabinieri di Monreale il 3 agosto 2015, con il recupero di 900 piante di cannabis sativa. Le successive analisi hanno evidenziato che dalle piante sequestrate sarebbe stato possibile ottenere circa 150 chuli netti di sostanza, per un totale di oltre 55 mila dosi singole, che – immesse nel mercato – avrebbero potuto garantire un guadagno di quasi un milione di euro.
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I NOMI DEGLI ARRESTATI
Antonino Alamia, 52 anni nato a San Giuseppe Jato, attualmente detenuto;
Sergio Denaro Di Liberto, 42 anni nato a San Giuseppe Jato, già detenuto;
Ignazio Bruno, 43 anni di San Giuseppe Jato, detenuto;
Giovan Battista Ciulla, 35 anni, di Monreale, nato a Palermo e attualmente detenuto;
Onofrio Buzzetta, 42 anni di Palermo, già in carcere;
Vincenzo Simonetti, 56 anni, nato a Palermo;
Domenico Lupo, 57 anni, di Monreale;
Salvatore Lupo, 28 anni, di Monreale;
Giovanni Pupella, 26 anni, di Monreale;
Benedetto Isidoro Buongusto, 66 anni di Monreale;
Antonino Serio, 62 anni, di Palermo;
Pietro Lo Presti, di Monreale di 32 anni;
Alberto Bruscia, 38 anni, nato ad Aqui Terme, residente a Monreale;
Francesco Balsano, 40 anni di Monreale;
Salvatore Billetta, 47 anni, di Monreale;
Giovanni Matranga, 54 anni di Piana degli Albanesi.