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Referendum: lasciate perdere Berlinguer

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È un nuovo must della narrazione renziana, una di quelle trovate che capisci che sono state organizzate dall’alto perché ti ritornano nei dibattiti dappertutto, ogni volta, come una tiritera: «Berlinguer avrebbe votato questa riforma costituzionale» dicono i sostenitori del Sì con la miseria di chi ha bisogno di trovare testimonial frugando nel passato per nascondere la pochezza dei presenti.

Il trucco è sempre lo stesso: una veloce googlata tra i discorsi del prescelto e poi l’estrapolazione (sempre piuttosto semplicistica) di qualche frase ad effetto che possa risultare funzionale alla propaganda. E così tutti quelli che negli ultimi decenni si sono espressi contro il bicameralismo perfetto diventano direttamente sostenitori della riforma Boschi. È un trabocchetto volgare eppure rischia di funzionare e per questo vale la pena approfondire, studiare e smentire.

Pierpaolo Farina è uno dei più appassionati e preparati studiosi di Enrico Berlinguer, ha fondato il sito enricoberlinguer.it e ha pubblicato un libro su Berlinguer, il suo coraggio e le sue idee (Casa per casa, strada per strada, Melampo Editore) nel quale riporta un articolo di Berlinguer che verrà pubblicato postumo su Rinascita il 16 giugno 1984 e che rappresenta il suo testamento politico.

Ne ho scritto qui.

Referendum: la lezione alla scolaretta Boschi

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“E’ una riforma perfettibile, ma va valutata nel suo complesso. Fatevi un’opinione, non subite le scelte di altri”. Così il ministro Maria Elena Boschi alla platea di Aiga, l’associazione nazionale giovani avvocati che ieri a Roma ha organizzato un convegno sulla riforma costituzionale. Il ministro si sofferma sul merito, niente riferimenti al governo. Ammette anche che il bicameralismo resterà, ma sarà differenziato. “E’ un’investimento per il futuro, sono davvero convinta che renderà il nostro Paese più efficiente e stabile” aggiunge. Ma se il presidente dell’Aiga si schiera per il sì – chiederà un voto affermativo all’assemblea dell’associazione – per il ministro arriva un confronto fuoriprogramma con il presidente emerito della Corte Costituzionale Annibale Marini, contrario alla riforma. “E’ una riforma di parte se il governo afferma che andrà casa se si boccerà la riforma. Questo parlamento è illegittimo, c’è una sentenza della Corte che lo dice, bocciando il porcellum, il principio di continuità non può significare far tutto, soprattutto riforme così ampie che toccano 40 articoli della nostra Costituzione”, sostiene Marini davanti alla Boschi seduta in prima fila. E si anima un battibecco. L’immagine finale è da esame di università, dove il professore con sarcasmo rimbecca l’alunna saccente. Per il presidente Marini non ci saranno chissà quali risparmi sui costi della politica, non ci sarà semplificazione, anzi il problema dell’Italia è che si legifera troppo, non troppo poco.

(il video è qui)

Sul referendum un manicheismo che fa male a tutti

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Bravissima Nadia Urbinati su La Repubblica di oggi:

Rispondendo alla domanda di Ezio Mauro se non avesse paura di passare per renziano confessando di votare Sì al referendum costituzionale, Roberto Benigni ha rivendicato il diritto di votare come pensa e non per conformarsi a chi non si conforma. E il diritto di votare implica il diritto di schierarsi: “Non voglio rimanere neutrale, lavarmene le mani dicendo che faccio l’artista, voglio essere libero.”

E la libertà non serve a nulla se non ti assumi la responsabilità di scegliere ciò che credi più giusto”. Risposta pertinente perché coerente ai due principi aurei della democrazia liberale e non plebiscitaria: votare con la propria testa e non con quella del leader, e rivendicare il valore del voto che è e non può che essere partigiano. Voto schierato non voto plebiscitario. È questa la distinzione che oggi è difficile fare e mantenere. All’origine della difficoltà vi è stata la decisione di Matteo Renzi di identificare il Sì con la sua persona e il suo governo, trasformando il No automaticamente in un giudizio sulla sua persona e in una causa di instabilità politica.

Questa trappola ci impedisce di battagliare da “partigiani amici”, come direbbe Machiavelli, e ci fa essere “partigiani nemici”. I primi sono quelli che si schierano nella libera competizione delle idee per favorire o contrastare un progetto politico. I secondi sono quelli che personalizzano la lotta politica mettendo nell’arena pubblica non le ragioni pro e contro un progetto, ma le rappresentazioni colorite delle tipologie di chi sta da una parte e dell’altra. I primi si rispettano come gli avversari di una battaglia legittima, i secondi si offendo e creano le condizioni per un risentimento che sarà difficile da dimenticare.

È da anni, da quando Silvio Berlusconi “scese in campo”, che la lotta politica ha preso la strada dello stile teatrale, della rappresentazione estetica — con forme mediatiche che hanno lo scopo di colpire le percezioni per mobilitare le emozioni e rendere la contesa radicale, non dialogica. Di creare identificazioni non forti nelle convinzioni ideali, ma forti nella vocalizzazione e nella pittorica rappresentazione. Come se ogni battaglia fosse l’ultima, come se la catastrofe e il diluvio seguissero ad una vittoria o ad una sconfitta. È questo stile populista del linguaggio estetico e tutto privato (ingiudicabile con la ragione pubblica) che ha corroso negli anni la nostra abitudine alla lotta partigiana, trasformandola in un Colosseo, uno spettacolo che vuol vedere il sangue che colora di rosso l’arena.

Le ragioni a favore o contro passano in secondo piano. Questo succede oggi. Per cui i blog e i social network assalgono chi si schiera con il Sì come fosse un rinnegato, e offendono gravemente chi vota No come fosse un nazi-fascista, un “falso” partigiano. A chi vota Sì è affibbiato il titolo di lacché del potere, a chi vota No è appiccicata l’immagine della “palude”. Chi vota No sarebbe per la conservazione e chi vota Sì sarebbe per l’innovazione e intanto non si riesce a spiegare senza essere sbeffeggiati e sbeffeggiare che cosa si vuole preservare e che cosa di desidera innovare.

Siccome i sacerdoti del Sì non possono vantare, proprio come quelli del No, alcuna privilegiata saggezza, mettiamo sul tappeto le questioni reali implicate in questa battaglia sulla nostra Costituzione: parliamo del carattere di questa nuova versione della Costituzione e degli effetti che potrebbe generare, soprattutto se accoppiata con l’Italicum.

Dicevano i teorici e i politici settecenteschi che hanno teorizzato e/o scritto le costituzioni che queste devono essere scritte per i demoni non per gli angeli. E come Peter sobrio che scrive le regole per Peter ubriaco, le carte di regole e di intenti servono proprio per esorcizzare e contenere il potere, in particolare quello istituzionalizzato, nell’eventuale occorrenza che venisse tenuto da mani sconsiderate.

Come Benigni, anche altri sostenitori del Sì riconoscono che il nuovo Senato è pasticciato; diversi, anche nel Pd, si preoccupano degli effetti combinati della riforma con l’Italicum, che contrariamente a quanto succede per i sindaci premia non chi ha raggiunto il cinquanta per cento, ma il quaranta per cento. È legittimo farsi queste domande e voler discutere di queste questioni. È legittimo che i cittadini democratici si preoccupino di sapere quanto potere resterà a loro, quanta forza avrà la loro voce.

E invece il clima, già da quando la proposta di revisione costituzionale era ancora in Parlamento, è stato rabbuiato dalla retorica del plebiscito. Il manicheismo fa spettacolo ma non fa prendere decisioni sagge — la deliberazione democratica deve poter contare sul fatto che si entra in una discussione con un’idea e se ne può uscire con un’altra.Ma in questa campagna referendaria abbiamo dismesso i panni della discussione: ciascuno resta dell’idea che aveva all’inizio, mentre gli incerti e gli indifferenti saranno probabilmente più colpiti da una battaglia personalizzata che ragionata. Chi sta con Renzi e chi sta contro Renzi.

Per dirla con Benigni — ci facciamo tutti conformisti. A questo si giunge quando la Costituzione è fatta oggetto plebiscitario, o usata come un programma elettorale — per contare nemici e amici. Di costituzionale vi è davvero poco. Figuriamoci se questo fosse stato il clima dei Costituenti! Avremmo avuto la guerra civile non settant’anni di vita civile.

#sivotanotraloro

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Lasciamo perdere Renzi, non diamogli questa soddisfazione e parliamo della riforma costituzionale. Proviamo, per oggi, anche a lasciare perdere chi l’abbia presentata (Boschi, Verdini o chi per loro) e immaginiamo che ce la stia proponendo la persona di cui ci fidiamo di più. Facciamo che il nostro collega o il nostro amico alla solita colazione insieme ogni giorno al bar ci dica che ha avuto una grande idea per superare il bicameralismo.

Immaginate che vi dica che il Senato viene abolito, anzi no, vi dice che in realtà non viene abolito ma sensibilmente ridotto e diventa molto meno influente nella tenuta del governo.Non vota la fiducia, per esempio ma si occupa comunque di questioni importanti per il funzionamento dello Stato e le regioni. Vi dice, il vostro fidato amico, che i senatori non saranno mica pagati. Anzi, meglio: otterranno certo la diaria e il rimborso e godranno comunque dell’impunità dei senatori.

Detta così, pensate voi davanti al cornetto e cappuccino, non sembra nemmeno troppo male. Vi verrebbe da chiedergli però come saranno scelti questi senatori che, nella storia della repubblica, per com’era pensato il senato, dovrebbero essere degli eletti di cui andar fieri. Anche perché la nuova legge elettorale (un pasticcio come tutte le mediazioni che vorrebbero mettere insieme parti che non hanno interessi convergenti, tipo Cuperlo con Formigoni, per intendersi) premia con un importante premio di maggioranza il partito vincitore e gli “eletti” in realtà sono nominati dal segretario di partito. Che poi qui da noi un segretario di partito sia anche il Presidente del Consiglio (e autore della legge elettorale e di questa deforma costituzionale) è una coincidenza particolarmente sfortunata.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

A proposito di a-mafiosi

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Perché nella nostra campagna RiCostituente ci occuperemo anche di mafie:

Nei giorni scorsi c’è stata un’illuminante intervista di Vincenzo Iurillo a Isaia Sales, sociologo e fine conoscitore della criminalità organizzata nonché storicamente vicino al PD: uno di quelli che non può essere derubricato come “gufo”, per intendersi. Un’intervista preziosa perché entra nel merito della lotta alla mafia in un momento in cui regna la confusione tra i soliti patetici comunicati stampa trionfalistici dopo l’arresto di qualche mafioso (un ritorno ai tempi verdi di Maroni Ministro dell’interno) e il brutto silenzio sul torbido tentativo di indebolire Saviano e Capacchione nella loro rappresentanza antimafia (colpire loro per sbriciolare il movimento che rappresentano, ovviamente).

(continua qui)

Per noi è No: una campagna RiCostituente

 

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Ne avevo già scritto qui (anche se pochi se n’erano accorti) che non credo mi sia possibile esimermi dalla campagna referendaria da qui a ottobre. Non credo di potere stare fermo per una serie di motivi che passano dall’inconsistente inconcludenza di chi sembra non riuscire a liberarsi dal pensiero fisso di una sinistra renzidipendente, dai quintali di bugie che intossicano ancora una volta un dibattito che si riduce a tifo, dalla manipolazione di un populismo che sembra essere l’unica via del consenso fino alla brutta banda a cui permettiamo di fregiarsi del ruolo di padri costituenti senza nemmeno chiedere spiegazione sulle loro frequentazioni passate.

Forse davvero, come mi dice da tempo qualcuno, non riesco a non essere politico in quello che faccio. E allora sarebbe bello che fosse un’estate politica per davvero, dedicata allo studio piuttosto che ai tweet, passata ad ascoltare come davvero abbiamo potuto finire così scoraggiati e isolati senza nemmeno un sussulto. E io, per quel che mi riguarda, ci torno come un adulto che reimpara ad andare in bici per prendersi la briga di guardare e ascoltare tutto intorno.

Intanto c’è un sito (iovoto.no) che sarà il nostro diario, enciclopedia e ritrovo per tutti quelli che vogliono essere presìdi referendari: qui troverete anche tutti gli appuntamenti e, soprattutto, potrete organizzare i vostri. Poi c’è il materiale, come il manifesto e il bugiardino, per ripartire dalla verità, almeno. E ci siamo noi. tutti quelli che vogliono starci.

Saremo ovunque riusciremo ad esserci, per parlare di Costituzione ma anche di uguaglianza, mafie, potere, clientelismo e diritti in un Paese che sembra essersi arrotolato intorno alla retorica. Questo è il tempo di rimettersi ad amministrare i propri luoghi. Davvero. Io sono a disposizione. Attivo.

 

La differenza tra partigiani e fiancheggiatori

Poi a fine giornata lei, la ministra dei paninari arrivati al governo, ha cercato di minimizzare dicendo di essere stata fraintesa. Al solito: è difficile cercare l’ecologia delle parole in chi ha fatto del bullismo lessicale una matrice. Così la Boschi dice che ci sono partigiani veri e partigiani falsi. Partigiani millantatori. Come riconoscerli? I veri sono quelli che concordano con il suo capo Renzi. Gli altri? Partigiani da discount. Partigiani gufi.

Ma quella della Boschi non è una scivolata, tutt’altro: non può essere sdrucciolevole un concetto come quello dell’appartenenza. E sull’appartenenza questi, costituzionalisti allo sbaraglio, hanno costruito tutta la tessitura politica che ci ha ricamato questa classe dirigente di ex compagni del liceo che si ritrovano per il consiglio dei ministri piuttosto che la cena di fine anno. E per questo il concetto di partigiano (cioè di qualcuno che sa esattamente da che parte stare piuttosto che “con chi” stare) alla Boschi proprio non sembra riuscire ad entrarle in testa: l’appartenenza a un ideale è un valore troppo rarefatto per chi tra padri, testimoni di nozze, ex collaborazionisti e fratelli di dialetto ha costruito una banda chiamandola “partito”.


(il mio buongiorno per Left di ieri continua qui)

Per Renzi sarà durissima

Se l’apertura della campagna referendaria di Matteo Renzi ieri a Bergamo doveva essere la prova generale della strategia dei prossimi mesi non è andata benissimo, no. Le solite parole guida (inciucisti, gufi, cambiamento, sorriso) cominciano a cozzare contro una realtà che non si può continuare a pensare di potere nascondere e la spinta comunicativa del premier è apparsa a tratti addirittura caricaturale. E allora proviamo, con calma, a fissare alcuni punti.

Il portamento. Da non credere: ad un certo punto il premier (Presidente del Consiglio e segretario del partito più grande del Paese) ha scimmiottato l’opinione pubblica, i giudici costituzionali, i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, i giornalisti, i magistrati e tutti coloro che hanno osato mettere in discussione la bontà della riforma. Li ha imitati con la vocina stridula con cui ci si percula tra amici durante una partita di calcetto: se davvero Renzi considera la Costituzione (e le eventuali riforme) una cosa seria, beh, non è proprio riuscito a comunicarlo. Proprio no.

Gli inciuci. «Se le riforme non passano sarà il paradiso terrestre degli inciuci» ha dichiarato Matteo Renzi agitando per l’ennesima volta lo spettro del “non c’è alternativa”. Sfugge sinceramente come ci si possa liberare “dagli inciuci” (cit.) pensando ad un Senato che sarà figlio di un accordo tutto politico tra consiglieri regionali. La storia ci insegna che per evitare gli inciuci sia importante rafforzare le dinamiche di controllo; qual è l’azione di controllo che sostiene una democrazia? Le elezioni, appunto. Ed eleggere persone che poi si eleggeranno tra loro è un inciucio in piena regola.

Il sorriso. «Faremo una campagna con il sorriso. Cercheranno provocazioni, scontri, critiche» ha detto Renzi. E questo potrebbe anche poter essere vero poiché proprio sotto le mentite spoglie di un sorriso questo Governo è riuscito ad offendere intere categorie di persone senza rendersi conto che è un’aggravante. “Sorriso e buonumore” sono gli ingredienti di un premier che punta a “disneyficare” la campagna referendaria riducendola ad uno scontro tra pessimisti e entusiasti. Una banalizzazione che è un’offesa all’intelligenza e al buon senso, prima ancora che alla Costituzione.

(il mio pezzo per Fanpage continua qui)

Il raglio del dissociato

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Dice Matteo Renzi che i suoi avversari (che nei suoi incubi peggiori sono tutti quelli non iscritti al PD, non renziani e senza accento toscano) vogliono personalizzare il referendum. Giuro. Dice così. Lui che ha presentato il referendum dicendo “se perdo vado a casa”. Lui che ha diffamato chiunque non fosse d’accordo con lui. Lo stesso Renzi che ha trasformato il PD in un fan club. Ecco. Ne scrive anche Repubblica qui:

«”Personalizzare lo scontro” sul referendum costituzionale di ottobre “non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio”. Lo scrive il presidente del Consiglio Matteo Renzi,in un passaggio della sua e-news. “Ma davvero – scrive Renzi – vogliono mantenere tutte queste poltrone? Questo bicameralismo che non volevano nemmeno i costituenti e che furono costretti ad accettare per effetto dei veti incrociati? Questa confusione insopportabile sulla materia concorrente tra Regioni e Stato centrale che ha portato alla paralisi di cantieri, allo spreco di fondi europei, alla costante tensione istituzionale? Sui contenuti la stragrande maggioranza dei cittadini, di tutte le forze politiche – assicura il premier – vuole rendere più semplice l’Italia come fa questa riforma, finalmente”.»