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costo del lavoro

Matteo risponde (male)

«Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico… è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». Lo ha detto il leader di Italia Viva in una intervista in cui ha parlato del suo viaggio in Arabia Saudita. Dove c’è una costante violazione dei diritti umani

Ieri Matteo Renzi è stato intervistato da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera. Chiamarla intervista in realtà è una parola grossa visto che l’ex premier, come spesso accade, ha potuto comiziare per iscritto praticamente intervistandosi da solo, come piace a lui. Poiché ormai la notizia del suo viaggio in Arabia Saudita è diventato un fatto non scavalcabile il senatore fiorentino è stato costretto a rispondere sul punto (senza rispondere, ovvio) e ha inanellato una serie di panzane che farebbe impallidire anche il più sfrontato dei bugiardi ma che Renzi invece ha sciorinato come se fosse un dogma.

«La accusano di avere fatto da testimonial del regime saudita», dice Maria Teresa Meli e l’ex presidente del Consiglio risponde: «Sono stato a fare una conferenza. Ne faccio tante, ogni anno, in tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Medio Oriente alla Corea del Sud. È un’attività che viene svolta da molti ex primi ministri, almeno da chi è giudicato degno di ascolto e attenzioni in significativi consessi internazionali». Renzi non è andato a fare una semplice conferenza ma siede nel board della fondazione Future investment initiative che fa capo direttamente al principe Bin Salman e per questo è pagato fino a 80mila euro all’anno. Non era lì in veste di conferenziere ma è uno dei testimonial dell’organizzazione di queste iniziative. La differenza è notevole, mi pare. Poi: Renzi dice che molti ex primi ministri svolgono questa stessa attività ma dimentica di essere un senatore attualmente in carica, l’artefice principale di questa crisi di governo, un membro della commissione Difesa nonché lo stesso che chiedeva di avere in mano la delega ai Servizi. Se non vedete qualche problema di conflitti di interessi allora davvero risulta difficile perfino discuterne.

Poi, tanto per leccare un po’ il suo narcisismo e il suo odio personale per Conte Renzi aggiunge: «Sono certo che anche il presidente Conte, quando lascerà Palazzo Chigi, avrà le stesse opportunità di portare il suo contributo di idee». Roba da bisticci tra bambini. E addirittura rilancia: «E grazie a questo pago centinaia di migliaia di euro di tasse in Italia». Capito? Dovremmo ringraziarlo che paga le tasse. Dai, su.

Ma il capolavoro dell’intervista renziana sta in queste due frasi: «Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico» e «Se vogliamo parlare di politica estera diciamolo: è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». E in effetti il senatore di Rignano deve avere dimenticato che 15 su 19 degli attentatori dell’11 settembre fossero sauditi (incluso Osama bin Laden) ma soprattutto che l’Arabia Saudita finanzi l’estremismo con molta indulgenza e pratichi l’estremismo proprio come forma di governo. Come quelli che sono interrogati in storia e non l’hanno studiata Renzi fa la cosa che gli viene più semplice: la riscrive. Infine, tanto per chiudere in bellezza, promette in futuro di rispondere «puntigliosamente in tutte le sedi» ventilando querele. Perfetto. Ovviamente nessuna osservazione da parte della giornalista: in Italia la seconda domanda è un tabù che non si riesce a superare.

Sarebbe anche interessante sapere da Renzi cosa ne pensi del “costo del lavoro” in Arabia Saudita che ha detto di invidiare, se è informato del fatto che il 76% dei lavoratori sono stranieri sottopagati che vivono in baracche malsane e che sono, di fatto, proprietà privata dei loro padroni che fino a qualche tempo fa addirittura tenevano i passaporti dei loro dipendenti come arma di ricatto per rispedirli a casa e che la situazione delle donne è perfino peggiore con “sponsor” che si spingono fino agli abusi psicologici e sessuali sulle loro dipendenti facendosi forza sul Corano che nella teocrazia saudita detta le leggi. E chissà se Renzi ha avuto il tempo almeno di leggersi una paginetta su Wikipedia (senza chiedere troppo) che dice chiaramente: «L’Arabia Saudita è uno di quegli Stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l’amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione per alcuni crimini come la cattiva condotta sessuale (omosessualità) e l’ubriachezza, lo spaccio o il gioco d’azzardo. Il numero di frustate non è chiaramente previsto dalla legge e varia a discrezione del giudice, da alcune dozzine a parecchie migliaia, inflitte generalmente lungo un periodo di settimane o di mesi. L’Arabia Saudita è anche uno dei Paesi in cui si applica la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione».

Non c’è che dire: è proprio aria di Rinascimento. Davvero. O forse semplicemente Renzi ha detto la verità: lui invidia un mercato del lavoro così, dove il Jobs Act è stato scritto proprio come lo sognano i ricchi padroni.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

L’arabo fenice

Prostrato al regime saudita in Arabia, alla disperata ricerca di visibilità in Italia. Ci sono due Renzi diversi, entrambi inopportuni, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi

Dunque ieri abbiamo avuto l’occasione di assistere in differita al doppio Matteo Renzi, quello in versione zerbino di fronte al principe saudita Bin Salman e quello che fa la voce grossa nella crisi politica che lui stesso ha provocato in piena pandemia. Sono due Mattei così lontani tra di loro, probabilmente anche molto inopportuni nei tempi, che meritano di essere osservati per avere contezza dello stato attuale di crisi che non è solo politica ma forse e soprattuto di credibilità.

Il Renzi prostrato ai sauditi (per la modica cifra di 80mila euro l’anno) è quello che da senatore della Repubblica, da membro della commissione Difesa, quello stesso che da mesi vorrebbe avere in mano la delega ai Servizi segreti, riesce a fare la velina per il principe Bin Salman con il suo inglese alla Alberto Sordi celebrando l’Arabia Saudita (terra di principesca violenza e di diritti negati) come “terra di un nuovo Rinascimento” insozzando un po’ della sua Firenze di cui si sente padrone, è lo stesso Renzi che riesce a dirgli «non mi parli del costo del lavoro a Ryad, come italiano io sono geloso» dimenticando che da quelle parti siano vietati i sindacati (e quindi i diritti) e le manifestazioni (chissà cosa ne pensa l’ex ministra Bellanova), quello che si fa chiamare ripetutamente “Primo ministro” per celebrare e per autocelebrarsi. Una scena imbarazzante nei modi e nei contenuti da cui i renziani si difendono nel modo più bambinesco e cretino ripetendo all’infinito “e allora gli altri?” come avviene tra bambini dell’asilo.

Il Renzi italiano invece è quello che dopo il colloquio con Mattarella si ferma per un’ora davanti ai giornalisti scambiando come al solito una conferenza stampa per un comizio e raccontando ancora una volta un’impressionante serie di balle infilate una dopo l’altra, riducendo ancora tutta la crisi di governo alla difesa del suo partitino politico (indignato perché c’è qualcuno che non vuole più trattare con lui) e spiegando ai giornalisti di non avere posto veti su Conte al Presidente della Repubblica per poi smentirsi pochi minuti dopo con un suo stesso comunicato che invece chiede che l’incarico venga dato a un’altra personalità. «Oggi non si tratta di allargare la maggioranza ma di verificare se c’è una maggioranza: se vi fosse stata una maggioranza, non saremmo stati qui ma al Senato per votare la fiducia a Bonafede», ha detto ieri Renzi nel tentativo di fermare il tempo in questa fase che gli regala un po’ di visibilità e temendo tremendamente lo spettro delle elezioni che lo farebbero scomparire. Poi, sempre in nome della sua coerenza, è riuscito a stigmatizzare la nascita di un nuovo gruppo in Parlamento dimenticandosi che la sua stessa Italia viva sia frutto dello stesso trucco parlamentare. Ma si sa: per Renzi le stesse identiche azioni hanno dignità differente se è lui a compierle o se sono gli altri.

E così tra liti e tentativi di riconciliazioni si trascina una crisi politica che diventa ogni giorno di più una barzelletta, sfiancante per i toni e la bassezza dei protagonisti, sfiancante perché avviene in un momento di piena pandemia.

E viene voglia di dirsi che finisca tutto presto, il prima possibile.

Buon venerdì.

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Colloquio per Ryanair: racconto semiserio di una giornata di ordinaria precarietà

(Sandro Gianni racconta la sua esperienza per Clap, qui)

A giudicare dagli annunci nei portali per la ricerca di lavoro, sembra che sul mercato esistano solo tre tipi di occupazioni disponibili: sistemista Java, dialogatore e operatore call-center. Se non conosci Java e hai zero voglia di vendere il tuo tempo per delle chiacchiere con degli sconosciuti, al telefono o dal vivo, la ricerca pare senza possibili sbocchi. Aggiungi che la percentuale di risposta ai curriculum inviati rasenta lo zero e che la laurea e/o i master di cui sei in possesso non sono particolarmente quotati nella borsa degli skills… il quadro si complica parecchio.

Perciò, quando qualcuno ha finalmente risposto alla mia “iscrizione a un’offerta di lavoro” ho provato una strana sensazione, di affetto quasi. Ho pensato di dover ricambiare, presentandomi al colloquio. Ho detto “qualcuno”, ma in realtà avrei dovuto dire “qualcosa”: un algoritmo, un dispositivo automatico di risposta alle mail, un bot del portale. Non posso saperlo, ma l’invito a comparire in un hotel nella zona di Tor Vergata è arrivato pochi millesimi di secondo dopo l’invio della mia iscrizione. Ciò esclude la mediazione umana e, dunque, una seppur minima selezione del curriculum, che avrebbe potuto equivalere a qualche decimale in più nella stima probabilistica di un’assunzione .

Il lavoro non era proprio quello dei miei sogni, ma provavo a vederci delle sfumature positive: la possibilità di viaggiare, avere un contratto decente, ricevere uno stipendio non troppo basso. Ovviamente, mi sbagliavo.

Nell’atrio dell’hotel di lusso, nella periferia sud-est di Roma, una quarantina di ragazzi e ragazze tirati a lucido, con la barba fatta, il vestito e la cravatta siedono in silenzio. Tra loro, io. Alcuni si muovono sicuri nei completi eleganti, camminano come se nulla fosse, bevono il caffé senza bisogno di sistemarsi di continuo la giacca, muovono le mani sullo smartphone senza domandarsi perché la camicia faccia capolino solo da una delle due maniche. Altri sono impacciati, si toccano insistentemente la cravatta temendo che il nodo si sciolga, cercano delle tasche in cui infilare le mani senza trovarle, provano a controllare la continua fuoriuscita della camicia dalla giacca senza alcun successo. Evidentemente, non sono abituati a conciarsi così. Tra loro, sempre io. C’è anche un ragazzo che deve aver letto male le istruzioni per l’uso: si è presentato in jeans e camicia a quadrettoni, rossi e blu. È imbarazzato, ma resta. Sembra simpatico.

In sala nessuno fiata. Quasi che taller e vestiti abbiano trasmesso per metonimìa un certo dovere di contegno, di formalità. «Dicono che l’abito non fa il monaco, ma non è vero» – argomenta il Totò ladro vestito da carabiniere, nei Due marescialli – «Io a furia di indossare indegnamente questa divisa, marescia’… mi sento un po’ carabiniere».

Ci chiamano e andiamo tutti insieme nel seminterrato dell’albergo, in una sala conferenze. Eliminata la prima decina di candidati con un test di inglese da seconda media, la selezione entra nel vivo. O meglio, nel video. Proiettano una presentazione del lavoro, divisa per sezioni: informazioni tecniche sulle diverse mansioni; procedure di inizio; questioni retributive e contrattuali; possibilità di carriera; criteri di premialità; caratteristiche dell’azienda che offre il lavoro e dell’agenzia di recruitment che assume (due cose diverse: una è Ryan; l’altra una fusione tra Crewlink e Workforce International… sì, si chiama proprio così!). In questa seconda fase, si rivolgono a noi come fossimo già assunti. L’uomo sulla cinquantina, inglese o irlandese, responsabile del reclutamento, allude più volte a quanto staremmo bene con indosso le nuove divise da hostess e steward.

Dalle immagini del video e dagli interventi del selezionatore si capisce che ci sono soprattutto tre caratteristiche importanti per fare questo lavoro: essere disponibili alla relocation immediata; parlare inglese; essere flessibili-e-sorridenti (insieme). Le immagini mostrano giovani di tutti i colori, che sembrano felici e raccontano la loro esperienza con Ryan di fronte a un bastone per i selfie. In particolare, insistono su quanto sia utile e divertente il corso di formazione per diventare personale di bordo. Si nuota, si spengono incendi, si salvano bambolotti, si incontrano persone. «You grow up like a man, not just cabin crew».

Ma è più avanti che le orecchie dei candidati si aguzzano: quando si inizia a entrare nel dettaglio del salario e dei tempi di lavoro. La retribuzione è organizzata secondo una serie di premi e possibili punizioni, un incrocio tra un videogioco e una raccolta punti del supermercato. «Your performance is continually monitored and assessed». Monitorare e valutare. Punire solo come ultima ratio. Soprattutto premiare: per far rispettare le regole, per aumentare la produttività, per migliorare le prestazioni. I like dei clienti danno diritto a delle ricompense: monetarie, ma soprattutto relazionali. Ad esempio, la penna nel taschino è indice di un certo numero di apprezzamenti. Costituisce dunque, tra i colleghi e nell’azienda, l’indicatore di uno status particolare.

Si viene pagati un po’ in base all’orario e un po’ a cottimo. Nel senso: un fisso non esiste; sono retribuite solo le ore di volo; si percepisce il 10% su ogni prodotto venduto (…adesso lo capite il perchè di tanto rumore?). Il contratto è registrato in Irlanda o UK. Si hanno delle agevolazioni sui viaggi in aereo.

Il salario mensile dovrebbe oscillare tra 900 e 1.400 euro lordi, in base al luogo di ricollocamento. «We try to keep the wages homogeneous among our workers». Bella l’uguaglianza, quando non schiaccia tutti verso il basso… penso io. Viene poi fatto cenno a un periodo annuale in cui non si lavora e non si ricevono soldi: da uno a tre mesi. Ma il selezionatore ci assicura che questa pausa non supera (quasi) mai i 30 giorni.

Fino a qui, niente di eccezionale. Ma il rapporto premi-punizioni è più complesso e configura per intero il sistema di retribuzione. Ovviamente, se i diritti diventano premi e i doveri debiti, tutto cambia. Non si parla di tredicesima e/o quattordcesima, ma di bonus, che si ricevono solo il primo anno. 300 euro il primo mese di lavoro, altrettanti il secondo, il doppio il sesto. Chi va via prima della conclusione dei primi 12 mesi, però, deve restituire questi bonus. Inoltre, la divisa (quella bella di cui sopra) costituisce un costo esternalizzato al lavoratore: il primo anno sono 30 euro al mese scalati direttamente dalla busta paga; successivamente pare si ricevano dei soldi, ma non si capisce bene per cosa, se per lavarla o non perderla. Per ultimo, il famoso corso di formazione per diventare hostess o steward si rivela qualcosa di più di un parco giochi in cui fare festini con altri esponenti multikulti della generazione Erasmus. Principalmente, si rivela un’enorme spesa. Se all’inizio era stato comunicato che, in via eccezionale, le registration fees del corso erano dimezzate a 250 euro, è alla fine che viene fuori il vero prezzo da pagare. Ci sono due modalità differenti: 2.649 euro se paghi prima dell’inizio e tutto in un colpo; 3.249 se decidi di farti scalare il costo dallo stipendio del primo anno (299 euro dal secondo al decimo mese, 250 gli ultimi due).

Si aprono le domande. Dopo alcune irrilevanti su sciocchezze burocratiche, alzo la mano. «Ci avete parlato di un massimo di ore di volo a settimana, ma mai delle ore totali di lavoro. Quante sono?», chiedo. «Voi siete pagati in base alle block hours, cioé le ore calcolate dalla chiusura delle porte prima del decollo, all’apertura dopo l’atterraggio. I tempi di preparazione dell’aereo, prima e dopo il volo, possono variare». Varieranno pure, ma di sicuro non vengono pagati, nonostante siano tempi di lavoro.

Alza la mano quello dietro di me. «Scusi la domanda, ma ho bisogno di fare dei conti. Diciamo che uno stipendio per una destinazione non troppo cara è di 1.000 euro. Ve ne devo restituire 330 al mese tra corso e divisa. Ne rimangono 670. Dovrò prendere una stanza in affitto, diciamo 300 euro. Ne rimangono 370. In più avrò bisogno di pagare un abbonamento ai mezzi per raggiungere l’aeroporto e coprire almeno le spese della casa anche nella pausa annuale in cui non si lavora. Diciamo che, se va bene, rimangono 300 euro. E non ho scalato le tasse, perché non so come si calcolano in Irlando o UK. Secondo lei, con questi soldi si può vivere?». Sbem.

Il selezionatore della società di recruitment, fino a quel momento cordiale e spiritoso, accusa il colpo. Deglutisce. Tossisce. Arrosisce. Si butta sulla fascia, prova un diversivo. «With this work you don’t get rich, but it’s in accordance with your capacity and affords your lifestyle». Alla fine, anche qui le nostre capacità valgono poco più di un pacchetto di sigarette al giorno. Chissà, invece, come ha calcolato il nostro stile di vita!

Finito il video, io e gli altri candidati usciamo e andiamo a mangiare insieme. Da come siamo vestiti, sembriamo un gruppo di giovani businessmen in carriera, lanciati alla conquista del mercato e pronti a scalare colossi finanziari. Invece siamo lì per un colloquio che, se va bene, ci farà guadagnare meno della persona che ci serve la pizza.

Comunque, i calcoli veloci del ragazzo che ha fatto la domanda dopo di me hanno sciolto l’iniziale freddezza tra i candidati. In molti hanno perso interesse per questo lavoro. Anche per questo, si scherza e si chiacchiera. Alcuni hanno appena finito la scuola superiore, altri l’università. Altri ancora hanno già diversi anni di precarietà e i capelli brizzolati. Tra loro…

Rimango fino all’intervista, per sport. Mi capita la collaboratrice del selezionatore. Legge il mio curriculum. Niente di eccezionale, però insomma… neanche da buttare. Tutti i titoli di studio con il massimo dei voti, laurea e due master, cinque lingue, numerose esperienze di lavoro materiale e immateriale, in Italia e all’estero. «Are you sure you want to do this work?», mi chiede. Bleffo: «Eeeeeh. Why not?». «Do you know people working for us?». «No». «So, what do you know about this work?». «What you told me today», rispondo. Lei arriccia il labbro inferiore e muove la testa dal basso verso l’alto e poi in senso inverso, fissandomi con gli occhi corrucciati. Ho l’impressione che stia pensando sardonicamente “devi essere proprio una volpe, tu!”.

Saluto, me ne vado. Sulla vespa faccio i conti: due caffé al bar dell’albergo = 3 euro; un pezzo di pizza e una bottiglia d’acqua = 4 e 50; giri vari alla ricerca di vestito, cravatta e scarpe e poi fino al colloquio = almeno 5 euro; stirare la camicia = 2 euro; stampare 7 fogli di curriculum dal cristiano-copto su via di Torpignattara, che sembra sapere quando non puoi dirgli di no = 2,10 euro. Barba e capelli costo zero, taglio autoprodotto in casa. Alla fine, non mi è andata nemmeno tanto male. Qualcuno è arrivato in treno da lontano, spendendo molto di più. Per l’ennesima offerta di lavoro precario e sottopagato.

Almeno una cosa l’ho capita: nella compagnia aerea, quel low che precede il cost non è riferito soltanto ai prezzi dei biglietti, ma anche al costo del lavoro.

Alitalia: saper leggere i numeri

Documentazione: pratica civile di costruzione di un’opinione e rifiuto della comunicazione manipolata e normalizzata. Che bello leggere i numeri per fotografare un momento. Qualche numero per chiarirsi sugli “esuberi” che avrebbero ucciso Alibengodi:

ALITALIA: UN’ANALISI
Fonte: http://www.lapatriagrande.net/02_italia/notizie/notizie_2008/alitalia_2008.htm

Indice

* AEREI, DIPENDENTI E PASSEGGERI
* LOAD FACTOR E PASSEGGERI TRASPORTATI ANNUALMENTE PER AEREO
* FATTURATO – MEDIE
* SULLA FLOTTA
* IL COSTO DEL LAVORO

Fonte: http://docs.google.com/View?docid=dg6j9j4m_24f27mjqfc

AEREI, DIPENDENTI E PASSEGGERI

Al 31/12/2006 Alitalia aveva 11.430 dipendenti in servizio 186 aerei in servizio e nell’intero 2006 ha trasportato 24.090.800 passeggeri; il rapporto è quindi di 61,45 dipendenti per aereo, di 2.107,68 passeggeri trasportati annualmente per dipendente. Se aggiungiamo i dipendenti di Alitalia Servizi (manutenzione, assistenza passeggeri e bagagli, carico e scarico ed altri servizi indispensabili per una compagnia aerea) arriviamo 18.589 dipendenti portando a 99,94 dipendenti per aereo e scendendo a 1.295,97 passeggeri per dipendente.

Air France disponeva di 74.354 dipendenti per 282 aerei e 49.348.800 di passeggeri trasportati che fanno la bellezza di 288,19 dipendenti per aereo in servizio, 663,70 passeggeri trasporti per dipendente in servizio.

KLM disponeva di 36.738 dipendenti che facevano volare una flotta di 160 aerei ed ha trasportato nel corso dell’anno 22.366.200 passeggeri che si traducono in 229,61 dipendenti per aereo in servizio, 608,8 passeggeri trasportati per dipendente.

L’intero gruppo Air France KLM disponeva di 103.050 dipendenti per 418 aerei in servizio e nel 2006 ha trasportato 71.715.000 passeggeri. Air France KLM dispone quindi di 246,53 dipendenti per aereo in servizio ed ha trasportato solo 696 passeggeri per dipendente in servizio, contro i 2.107 di Alitalia e 1.295 di Alitalia più Alitalia Servizi.

British Airways disponeva di 44.645 dipendenti e di 282 aeromobili e nell’arco dell’anno aveva trasportato 36.086.900 passeggeri, quindi sono 158,31 dipendenti per aereo in servizio ed ha trasportato 808,30 passeggeri per dipendente.

Iberia contava 23.901 dipendenti a fronte di 150 aerei in servizio e 27.227.600 passeggeri trasportati; abbiamo quindi 159 lavoratori per aereo in servizio, 1.139 passeggeri trasportati per lavoratore.

La tedesca Lufthansa aveva in servizio 94.510 dipendenti per 407 aerei in servizio e 51.194.300 passeggeri trasportati; si tratta quindi di 232,21 dipendenti per aereo in servizio e 541,68 passeggeri trasportati nel 2006 per dipendente.

Virgin Atlantic aveva in servizio 8.400 dipendenti a fronte di una flotta di 37 aerei ed ha trasportato 4.906.900 passeggeri; abbiamo quindi in servizio 227 dipendenti per ogni aereo della flotta ed ha trasportato 484 passeggeri per ogni singolo dipendente.

Alla stessa data Air One disponeva di 1.549 dipendenti per 39 aerei in servizio ed ha trasportato 5.662.600 passeggeri, il che vuol dire 39,7 dipendenti in servizio e 145.194 passeggeri annuali per aereo; il rapporto dipendenti per aereo è bassissimo ma Air One affida a terzi i servizi indispensabili ad una compagnia aerea e quindi non è propriamente una full-service airlines; viste le dimensioni dell’azienda ciò è comprensibile; le compagnia aeree medio-piccole affidano in outsourcing tali servizi; il discorso che magari è conveniente ad una piccola azienda, può non essere altrettanto conveniente per una grande compagnia ed in genere non lo è affatto; i confronti con gli altri principali vettori sono abbastanza chiari ed indicano una larga propensione “a far da sé”; l’esternalizzazione nel caso della grande compagnia aerea può semmai risultare molto conveniente a chi gestisce i servizi esternalizzati; in questo contesto Air One viene citata perché parte in causa nella privatizzazione di Alitalia.

Riassumendo, il rapporto tra il numero di passeggeri trasportati annualmente ed i dipendenti in servizio vede nettamente primeggiare Air One (la quale come detto, non è un full carrier service) con 3.655 passeggeri per dipendente, seguita da Alitalia Fly con 2.107 passeggeri e poi da Alitalia fly più Alitalia Servizi con 1.295, seguite a ruota da Iberia con 1.139; le altre compagnie sono ampiamente distaccate, British Airways arriva ad 808 passeggeri per dipendente mentre Air France KLM ha trasportato solamente 696 passeggeri per dipendente in servizio ed ha un rapporto uguale alla metà di Alitalia Fly più servizi e di un terzo di Alitalia Fly; Virgin Atlantic si limita a 584 passeggeri per dipendente ed i tedeschi di Lufthansa si fermano a 541.

In termini prettamente aritmetici, il totale dei dipendenti di Alitalia ed Alitalia Servizi è in proporzione nettamente inferiore rispetto a quello delle altre principali compagnie europee “full service”, di conseguenza. In base a quanto visto fino ad ora, siamo ai vertici della produttività e quindi parlare di esuberi è assolutamente fuori luogo.

Le note dolenti certo non mancano e si presentano come rapporto tra passeggeri trasportati annualmente e numero di aerei in servizio; rapporto che vede primeggiare Air France con 191.274 passeggeri per aereo in servizio trasportati seguita da Iberia con 181.517; con forte distacco seguono Air One con 145.194 passeggeri, Virgin Atlantic con 132.618 passegeri trasportati poi Alitalia Fly (con o senza Alitalia Servizi non cambia, visto che Alitalia Servizi non dispone di aerei) con 129.520 che comunque precede i 127.967 di British Airways ed i 125.784 di Lufthansa.

LOAD FACTOR E PASSEGGERI TRASPORTATI ANNUALMENTE PER AEREO

Il Load Factor (coefficiente di riempimento degli aerei che viene calcolato sul numero dei posti occupati a fronte di quelli disponibili) vede invece primeggiare KLM che ha un Load Factor del 83,7%, Air France del 79,4%, Lufthansa del 78,6%, British Airways del 76,2% ed Alitalia si ferma al 73,6%; seguono Virgin Atlantic con il 73,1% ed Air One con il 57,8%; il load factor medio della AEA per l’anno 2006 è del 76,5%.

Sul Load Factor si può quindi lavorare per migliorare le performaces ma allo stato attuale non può far certo pensare al “disastro” che viene paventato da più parti.

In base a quanto scritto fino ad ora, il principale punto debole di Alitalia è il basso (rispetto agli altri competitors full carrier service) rapporto tra passeggeri trasportati ed aeromobili in servizio e ciò come abbiamo visto, anche a fronte di un load factor non di molto inferiore alla media; per provare a darci una risposta potremmo andare a confrontare la consistenza delle flotte aeree e vedere così che Alitalia ha 31 aerei a lungo raggio (2) contro i 117 di Air France a cui si sommano i 58 di KLM (7); British Airways ne conta 134, Lufthansa 114 (10), Virgin Atlantic 37 e 35 Iberia; Air One non dispone di aerei a lungo raggio; Alitalia quindi tra le compagnie prese in esame Alitalia è quella con il minor numero in assoluto di aerei a lungo raggio in servizio e lo stesso vale per il rapporto percentuale sul totale della flotta, anche in questo caso Alitalia è in coda.

Naturalmente gli aerei a lungo raggio, oltre ad avere maggiore autonomia, possono trasportare molti più passeggeri; per capirci meglio, se ho un aereo a medio raggio con 200 posti disponibili e li riempio tutti, ho un load factor del 100% mentre se ho aereo a lungo raggio da 400 posti e ne riempio 300 ho un load factor del 75% quindi inferiore rispetto all’aereo a medio raggio ma ho comunque un più alto rapporto passeggeri trasportati per aereo; ovvio che far volare, servire e mantenere un aereo da 400 posti costa più di un aereo da 200 posti ma meno di due aerei da 200 posti ed è pure ovvio che più passeggeri trasporto più fatturo.

L.R. Long Range – Lungo Raggio
M.R. Medium Range – Medio Raggio
S.R. Short Range – Corto Raggio

Note:

(1) Per ciò che riguarda il numero di aerei in servizio, sono stati inclusi anche gli aerei cargo poiché alcuni modelli sono “combi” e possono svolgere sia attività passeggeri che attività cargo; nelle note a seguire viene di volta in volta ne precisata la presenza e la quantità.

(2) Compresi 5 aerei cargo a lungo raggio

(3) Alitalia Servizi – Forza media retribuita anno 2006: 7.159 dipendenti

(4) Alitalia Servizi non dispone di aerei

(5) Sull’AEA Yearbook 2007 viene fornito il totale del numero dei dipendenti di Air France e KLM, fonte Air France – KLM Corporate Social Responsability Report 2006-07, pag. 48.

(6) Compresi 17 aerei cargo a lungo raggio

(7) Compresi 20 aerei cargo e 17 “combi” a lungo raggio

(8) Esclusi 35 B757 “combi” a lungo raggio ed operati da British Airways World Cargo

(9) Compresi 3 aerei cargo e 17 “combi” a lungo raggio

(10) Compresi 19 aerei cargo a lungo raggio

FATTURATO – MEDIE

Per ciò che riguarda il fatturato medio per dipendente (tabella 4), se si considera solo Alitalia Fly, abbiamo il più alto fatturato medio per dipendente in servizio, superando anche Air One e doppiando quasi Lufthansa, Air France – KLM ed Iberia che al contrario di Alitalia Fly sono full service airlines; il confronto corretto con le altre compagnie europee va quindi fatto sommando al fatturato e ai dipendenti di Alitalia Fly anche i corrispettivi di Alitalia Servizi.

Il fatturato medio diminuisce poiché i servizi di terra fatturano (e costano) meno di una compagnia aerea; in questo caso a guidare la classifica è Air One, segue Alitalia (tutta) e poi le altre full airline service: British Airways, Air France – KLM, Iberia ed ultima Lufthansa.

Discorso diverso se andiamo a vedere il fatturato sviluppato per aereo in servizio; Alitalia è comunque penultima dopo Air One ed è ben distanziata dalle altre compagnie tra le quali la Lufthansa che ha un valore quasi doppio rispetto ad Alitalia Fly.

Stesso discorso per il fatturato medio per passeggero, penultima dopo Air One ma in questo caso il dato è leggermente inferiore a quello di Iberia mentre anche questa volta rappresenta la metà del fatturato Lufthansa; se si somma anche Alitalia Servizi si riesce però a superare Iberia.

Alitalia ed Iberia utilizzano per il medio raggio macchine uguali come gli Airbus A-319, A-320 ed A-321 ed altre simili come gli MD87 ed MD88; Iberia non ha però aerei a corto raggio ma disponeva di 35 aerei a lungo raggio contro i 31 di Alitalia a cui vanno inoltre sottratti 5 aerei usati esclusivamente come cargo.

In base a quanto visto fino ad ora, appare “aritmeticamente” evidente, fatte le debite proporzioni, che parlare di esuberi in Alitalia Fly ed in Alitalia Servizi è semplicemente insensato; che la produttività dei dipendenti di tutti i lavoratori Alitalia, sia in termini di passeggeri annui trasportati che di fatturato è in assoluto la più alta tra le altre full service airlines.

Per contro, a fronte di un load factor leggermente sotto la media, tra le compagnie prese in esame, abbiamo uno dei più bassi rapporti tra i passeggeri trasportati annualmente per aereo in servizio e peggio ancora il fatturato annuo medio per aereo in servizio ed il fatturato medio per passeggero trasportato.

Il basso rapporto tra passeggeri annui trasportati ed il fatturato medio per aereo in servizio, non possono certo prescindere dalla tipologia della flotta di Alitalia che come abbiamo visto, conta solo 26 aerei a lungo raggio e ciò è confermato da un load factor che pur al di sotto della media dovrebbe comunque garantire redditività; il basso fatturato per passeggero non può non risentire anche delle diverse condizioni socio economiche delle aree servite e quindi del tipo di mercato nazionale; va sottolineato che Lufthansa ha un fatturato per passeggero doppio rispetto ad Alitalia ma un numero di passeggeri annui trasportati per aereo addirittura inferiore anche ad Alitalia; ciò deve far riflettere seriamente su quali gravi conseguenze può avere l’abbandono di Malpensa o comunque il suo depotenziamento così come il ridimensionamento della flotta a lungo raggio. In ultimo va ricordato quando dichiarato dall’ex Capo Dipartimento Aviazione Civile Bruno Salvi durante un’intervista della trasmissione Report circa “valigie” di biglietti di favore rilasciati per ingraziarsi “tutti i sistemi, il sistema dei giornalisti, il sistema dei magistrati, il sistema dei politici”; ove confermato ciò sarebbe molto grave, ben al di là del semplice danno economico diretto ma questo argomento verrà trattato successivamente.

SULLA FLOTTA

Torniamo però alla consistenza ed alla tipologia della flotta Alitalia; domanda: perché Alitalia ha così pochi aerei a lungo raggio? Azzardiamo una risposta? Che me ne faccio di una flotta di aerei a lungo raggio per collegare Genova, Trieste, Palermo, Lamezia, Pisa, Firenze e Catania a Roma e a Milano? Alitalia è nata per svolgere un servizio pubblico, non per fare business, un servizio pubblico che si doveva affiancare ed integrare ad altri, alle Ferrovie dello Stato ad esempio, che dopo aver tagliato decine di migliaia di posti di lavoro, sono sempre con l’acqua alla gola, rendono un servizio la cui qualità è sotto gli occhi di tutti e ammettono candidamente che se si vogliono servire le tratte in perdita occorre un contributo del Governo; questa vale per i treni come vale per le scuole e gli ospedali che vengono chiusi nei piccoli centri e vale anche per gli aerei e gli aeroporti; le low cost atterrano ovunque, basta che ci sia da guadagnare e ovviamente, ben vengano i contributi pubblici nelle varie forme; quando si tagliano i contributi pubblici, non si atterra più o si minaccia di non atterrare più, come la RyanAir in Vallonia, nel momento in cui la Commissione Europea ha ordinato di restituire una parte dei quattro milioni di euro ottenuti dall’aeroporto belga di Charleroi.

LA FLOTTA

Sempre in tema di flotta aerea, un altro argomento usato contro Alitalia è l’anzianità della flotta, tra l’altro definita dal Prof. Marco Ponti “tragicamente obsoleta” e “con una gamma tipologica così variegata da generare rilevanti diseconomie gestionali”; correttezza impone però di sottolineare che obsoleta non vuol dire necessariamente vecchia d’età, può esserlo solo di concezione.

In merito all’età media della flotta Alitalia, che certo giovane non è, non da buttare e spesso le differenze con le altre compagnie non sono poi così abissali (tabella 5); anche se non inserite nella tabella, la flotta della JAL (Japan Airlines) ha un’età media di 11,5 anni (e gli MD 80/90 arrivano a 14,9 anni di servizio medi), la flotta di Delta Airlines ha un’’età media di 14 anni (e la flotta di MD80/90 arriva a 17,3) e American Airlines presenta un’età media di 15,2 anni (e gli MD80/90 arrivano a un’età media di 18,4 anni, MD Alitalia arrivano a 18,3).

Le statistiche va ricordato, sono manipolabili e quindi bisogna anche stare con gli occhi aperti; ad esempio se si sommasse la flotta di Alitalia con quella di Alitalia Express, l’età media si abbasserebbe.

Il più numeroso modello d’aereo in linea con Alitalia è l’MD80 che secondo un comunicato stampa della stessa Alitalia rappresenta il 40% della flotta Alitalia, l’81% della flotta di Meridiana, il 40% della SAS, il 26% di Iberia, il 40% di American Airlines ed il 30% di Delta e rappresenta una delle tipologie di aerei più sicuri al mondo classificandosi ai vertici delle statistiche per minori incidenti (su 33,3 milioni di voli hanno un rateo di soli 0,22 fatalità rispetto ad esempio allo 0,41 del Boeing 737.

Quindi la flotta è comunque efficiente e sicura anche se, ne viene decisa la svalutazione che fa andare letteralmente in fumo 197.266 milioni di euro il chè, per un’azienda in crisi in cerca di acquirente rappresenta la classica ciliegina sulla torta o meglio, una delle ciliegine.

Per un aereo però, l’età non è tutto, basti ricordare che il bombardiere Boeing B 52 entrò ufficialmente in servizio nel 1955 nella sua versione A e che la versione H, entrata in servizio nel 1961 è ancora in servizio attivo e lo resterà almeno fino al 2020; si tratta di macchine che hanno subito lavori di rimodernamento certo ma, se l’USAF affida ad aerei “vecchi” di 47 anni compiti di bombardamento strategico evidentemente vuol dire che l’età non è tutto; senza andar lontano si potrebbe ricordare il caccia F-104 Starfighter, la cui prima versione entrò in servizio con l’USAF nel 1958 e la cui versione S, venne usata in prima linea dall’Aeronautica Militare Italiana dal 1969 al 2004; gli aerei in questione sono stati più volte sottoposti ad ammodernamenti ma erano caccia intercettori da mach 2,2 (2.330 km/h circa); fermo restando la scontata differenza di ore di volo tra un aereo militare ed un aereo di linea, rispetto all’età media della flotta Alitalia siamo a meno della metà e onestamente non ricordo che all’Aeronautica Militare siano state mosse tante critiche come nel caso di Alitalia.

Anche l’Aeronautica ha avuto i suoi “prepensionamenti” come nel caso dei caccia AMX della prima serie che sono stati ritirati ben prima dei 10 anni di servizio mentre quelli delle serie successive sono stati più volte sequestrati dalla magistratura ma a questo punto viene da pensare che sia l’intero “sistema Italia” che non va ed a questo punto si deve scegliere tra il risolvere l’individuare e risolvere i problemi oppure vendere tutto e chiudere baracca affidando ai francesi oltre al trasporto aereo italiano anche la difesa aerea e giusto che ci siamo, anche quella marittima.

Tornando alla flotta di Alitalia, cosa dovrebbe fare una compagnia “al verde” che ha aerei validi ma che stanno invecchiando? Rafforzare la propria componente manutentiva già formata e rodata oppure disfarsene? Non avendo titolo per dare una risposta adeguata ci si limita a prendere atto delle decisioni di Alitalia e successivamente di Air France-KLM: cedere.

IL COSTO DEL LAVORO

Altro cavallo di battaglia della disinformazja che da anni caratterizza le vicissitudini di Alitalia, è quello del costo del lavoro in quanto si dice in giro ed come per il troppo personale, opinione largamente diffusa, che i lavoratori hanno stipendi altissimi contribuendo così notevolmente a far collassare Alitalia.

Certo, tant’è che l’Amministratore Delegato di Air France Jean Cyril Spinetta, nel novembre del 2005, quando era ancora nel Consiglio d’Amministrazione di Alitalia, dichiarò che lo sforzo di risanamento compiuto da Alitalia per ridurre i suoi costi “è impressionante, anzi spettacolare”; sempre secondo Spinetta, “l’Alitalia è la compagnia aerea «con i costi più bassi d’Europa»”; a fronte di queste parole troviamo per Alitalia Fly un costo del lavoro medio decisamente inferiore a British Airways, leggermente inferiore ad Air France ma superiore ad Iberia e a Lufthansa.

Il costo medio del lavoro può essere ulteriormente abbassato e quindi Monsieur Spinetta ha detto una balla? No, perché come detto, al contrario delle altre compagnie prese in considerazione, Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A. e le altre società consolidate del Gruppo, dopo la creazione di Alitalia Servizi ed il conferimento alla stessa di assetti comprensivi di servizi indispensabili per una compagnia aerea, Alitalia Fly non può essere considerata una “full-service airlines”, lo è nel momento in cui si sommano ad essa le altre società partecipate e principalmente Alitalia Servizi con le sue controllate; la differenza quindi, sta anche nelle professionalità impiegate e nel loro numero e nelle conseguenti differenze retributive.

Se si sommano gli organici di Alitalia Fly con quelli di Alitalia Servizi cominciamo o meglio, ricominciamo ad avere organici sicuramente più equilibrati e tendenzialmente in linea con le altre full airline services anche se, l’incidenza del numero del personale di volo sul totale resta più alta rispetto alle altre compagnie.

In termini di produttività andiamo a vedere l’utile medio per dipendente, calcolato sottraendo al fatturato medio per lavoratore il costo medio per lavoratore; rispetto ad Alitalia Fly British Airways ha un utile medio che si ferma al 58,74%, Iberia arriva al 48,84% precedendo Air France – KLM che si ferma al 46,6%; Lufthansa è ultima con il 44,98%.

Il calcolo anche in questo caso non è equo poiché il confronto con le altre full service airlines deve essere fatto sommando anche Alitalia Servizi, la famosa bad company di cui ci si vuol disfare.

Sommando anche Alitalia Servizi, British Airways arriva all’84,2%, Iberia al 70%, Air France al 65,37% e Lufthansa al 64,48%.

È evidente che trattandosi di medie, i distinguo vanno fatti, come detto un pilota costa molto di più rispetto all’impiegata del check o all’operaio che si occupa dei bagagli ma allo stesso tempo “fattura” di più; per i costi medi, secondo un’Ansa del 29 Marzo che si rifà a fonti del sindacato ANPAC, i piloti Alitalia percepiscono circa il 30% in meno rispetto ad Air France – KLM, British Airways, Iberia e Lufthansa.

Secondo “il Sole 24 Ore” (9 aprile 2008) che cita fonti AEA “nel 2006 i piloti Alitalia (comandanti compresi) hanno avuto uno stipendio complessivo medio di 121mila euro al lordo delle tasse, come quello dei piloti di British Airways”; i piloti di Swiss si fermerebbero ad appena 108mila euro mentre più sono più alti gli stipendi dei piloti di Iberia che arrivano a 147mila euro, di Lufthansa che ne paga 153mila e più in alto ancora troviamo Air France con 170mila euro medi a cranio di pilota.

Se i costi sono al livello delle altre compagnie o addirittura inferiori, a fare la differenza è il numero di piloti in servizio che secondo alcuni sono troppi, addirittura secondo il Segretario della UIL Luigi Angeletti su La Repubblica del 4 aprile 2008) “Alitalia ha tanti piloti che potrebbe permettersi il triplo di aerei”; peccato non conoscere fonti e parametri a cui fa riferimento l’esperto di turno , anche perché se andiamo a fare un confronto tramite bilanci ed annual report vari con Air France – KLM ed Iberia, il rapporto tra numero di piloti ed aerei in servizio di Alitalia è leggermente inferiore ad Iberia e quasi la metà rispetto ad Air France che con 175 su 418, ha certamente molti più aerei a lungo raggio di Alitalia.

Giusto per restare ai piloti va ricordato il settore Cargo che Air France – KLM voleva smantellare e che la stampa ha attaccato anche a causa del numero eccessivo (sempre secondo la stampa) dei piloti; se sul numero dei piloti e sui loro stipendi abbiamo già detto, possiamo ricordare che si vogliono mettere a terra i 5 MD11 Special Freighters sono stati trasformati in cargo da pochissimo tempo ed il primo esemplare trasfomato è infatti rientrato in servizio alla fine del 2004; in pratica si tratta di aerei seminuovi che si vorrebbero mettere a terra e vendere (svendere?) distruggendo le capacità cargo di Alitalia e lasciando il campo libero agli altri competitors; si tratterebbe dell’ennesimo danno al sistema Italia e regalo alla concorrenza costituita tra l’altro dalla stessa Air France – KLM che schiera 20 cargo e 17 “combi” e dalla Lufthansa che dispone di 19 MD11F di cui 3 sono ex Alitalia.

Va poi ricordato che il Ministero della Difesa si rivolge spesso a vettori civili per compiti di trasporto strategico sia per ciò che concerne il personale, sia per ciò che riguarda materiali e mezzi; com’è facile intuire, in questo caso non si tratta di trasportare mozzarelle borsette o componenti industriali e l’affidabilità del vettore è fondamentale. Va rilevato che “le gare vengono aggiudicate al miglior offerente o per lo meno sulla base di criteri tecnico – amministrativi e quindi tutti gli eventuali problemi emergeranno a gara ormai aggiudicata, quando i tempi stretti imporranno di procedere sulla strada intrapresa”; inoltre nel caso di inadempimenti nel rispetto delle clausole contrattuali le leggi italiane esistenti prevedono la possibilità di applicare penali assolutamente blande”; penali più alte fungerebbero da deterrente nei confronti di vettori poco affidabili ma il danno per le Forze Armate sempre più impegnate all’estero, potrebbe essere tragicamente non monetizzabile; inoltre nel caso di aerei stranieri “è impossibile il controllo sull’affidabilità degli equipaggi e dei vettori presi a nolo (con reali rischi di infiltrazione negli equipaggi di elementi terroristici)” (Rivista Italia Difesa agosto 2007).