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Crocetta

Ma guarda un po’: giudizio immediato per i “cronisti” del caso Crocetta-Borsellino

Io aspetto sempre quelli che “sapevano tutto”, quelli che urlavano “che schifo” e i cronisti sacerdoti dell’antimafia:

1438064658-0-intercettazione-crocetta-tutino-indagati-i-giornalisti-dell-espresso-dalla-procura(ANSA) Palermo. La procura di Palermo ha chiesto il giudizio immediato per Piero Messina e Maurizio Zoppi, i giornalisti dell’Espresso che, a luglio scorso, pubblicarono la notizia, poi rivelatasi falsa, di un’intercettazione in cui il medico Matteo Tutino (in foto) avrebbe detto al presidente della Regione Rosario Crocetta a proposito dell’ex assessore alla Salute, Lucia Borsellino“questa va fatta saltare come suo padre”. I due cronisti sono accusati di calunnia e di diffusione di notizie false ed esagerate.

Toh, non esiste nemmeno la fonte oltre che l’intercettazione

A proposito dell’intercettazione di Crocetta che non esiste (mentre tutti hanno pontificato) c’è una frase di Lo Voi, Procuratore di Palermo:

«Non si parli di fonte, perché l’intercettazione non esiste».

e poi

«Quando depositeremo le carte, e conto che avverrà presto, si capiranno un sacco di cose. Ora c’è il periodo feriale, ma a settembre…»

Applausi, eh.

espresso-crocetta

Crocetta: ognuno ha le fonti che si merita (e forse nemmeno più le prove)

intercettazioni-telefoniche-strumentoMolti mi chiedono un parere sull’intercettazione che non si trova. L’Espresso non pubblica l’audio perché non ce l’ha. E quell’intercettazione non è nemmeno tra gli atti secretati: al massimo era “fuori dai termini” e chi l’ha fatta ascoltare (anzi: l’ha addirittura “dettata” al telefono) al giornalista sembra non volerla esibire. Anzi, qualcuno dice che non esiste più. Con i colleghi di Fanpage abbiamo provato a fare il punto qui.

OPERAZIONE "COMPENDIUM" CONTRO COSCA GELA; 41 ORDINI CUSTODIA CONTROLLAVANO APPALTI, PIZZO E TRAFFICO DROGA ANCHE AL NORD

gelaLa polizia sta eseguendo 41 ordini di custodia cautelare nei confronti di altrettanti esponenti della cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela, nell’ambito di una vasta operazione antimafia tra la Sicilia, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria e la Toscana. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, su richiesta della Dda nissena. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito degli appalti e dei subappalti, intermediazione abusiva di manodopera, traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio di denaro sporco, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni. Tra le armi (pistole, fucili ed esplosivo) sequestrati dagli uomini della squadra mobile di Caltanissetta, del commissariato di Gela e delle altre questure che hanno partecipato all’operazione denominata «Compendium», c’è anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela, durante la guerra di mafia: quello di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del 91. La cosca Emmanuello aveva messo in piedi al Nord una ramificata organizzazione, con base a Parma, che controllava imprese, appalti e manodopera in cinque regioni. Tre suoi esponenti si erano persino candidati nella lista Udeur-Popolari alle elezioni comunali di Parma, il 27 e 28 maggio del 2007, senza però essere eletti. L’inchiesta si è avvalsa della collaborazione di una donna tedesca, ex convivente di uno dei fratelli Emmanuello, Alessandro. Una conferenza stampa è stata convocata dagli inquirenti in mattinata nella questura di Caltanissetta.

Sono 40 le ordinanze di custodia cautelare eseguite fino ad ora in tutta Italia dalla polizia, nell’ambito dell’operazione «Compendium» contro la cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela (Caltanissetta). Uno solo degli indagati, infatti, è riuscito a sfuggire alla cattura. Questi i nomi degli arrestati. Carmelo Alabiso, 32 anni di Gela detto «u Mongolo»; Nunzio Alabiso, 30 anni di Gela ma residente a Varano Melegari (Parma); Francesco Aprile, 63 anni, di Niscemi detto «u Vecchiu»; Rocco Ascia, di 34 anni, Giuseppe Salvatore Bevilacqua, di 42, Giuseppe Billizzi, di 37, Massimo Carmelo Billizzi, di 34, Maurizio Bugio, di 39, Emanuele Caltagirone, di 33, Marco Gino Carfà, di 31, tutti di Gela; Rosario Cascino, 43 anni, nato a Gela e residente a San Zeno Naviglio (Brescia); Angelo Eugenio Di Bartolo, 32 anni nato a Gela e residente a Parma; Gianfranco Di Natale, 36 anni di Gela; Andrea Frecentese, 33 anni di Pordenone; Raimondo Gambino, 25 anni, Gianluca Gammino, di 35 e Salvatore Gravagna, di 27, tutti di Gela; Claudio Infuso, 31 anni nato a Gela e residente a Parma; Fabio Infuso, 37 anni di Gela; 39 anni di Gela ma residente a Parma; Nunzio Mirko Licata inteso Barboncino, 32 anni di Gela ma emigrato a Ghedi (Brescia); Claudio Lo Vivo 34 anni di Gela ma domiciliato a Pordenone; Crocifisso Lo Vivo, 44 anni di Gela; Marco Maganuco, 33 anni, Francesco Martines di 26, e Sandro Vissuto, di 21 anni, tutti di Gela; Claudio Parisi, 54 anni, domiciliato a Genova; Gianluca Pellegrino, 25 anni e Alessandro Piscopo, di 35, e Giuseppe Piscopo, di 33, tutti di Gela; Tommaso Placenti, 33 anni di Gela ma residente a Parma; Paolo Portelli, 41 anni di Gela; Bruno Salvatore Quattrocchi, 30 anni, di Gela, Nunzio Quattrocchi 34 anni di Gela residente a Sesto Fiorentino; Calogero Sanfilippo, 34 anni di Mazzarino; Gabriele Giacomo Stanzà, 39 anni nato a Capizzi (Messina) e residente a Valguarnera (Enna); Salvatore Terlati, 35 anni di Gela inteso «Ciap Ciap», Daniele Turco, 40 anni, Francesco Vella, di 34 anni e Domenico Vullo, di 33, anche loro di Gela.

Nell’ambito dell’operazione la Squadra mobile di Caltanissetta e gli uomini del Commissariato di Gela hanno anche trovato un arsenale vero e proprio, Tra le armi rinvenute ci sono pistole, fucili e persino esplosivo. Sequestrata anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica eseguita dalla Polizia, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela durante la guerra di mafia. In particolare, l’omicidio di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del 91.

Il clan Emmanuello era in possesso di una grande quantità di armi e munizioni. Durante le varie perquisizioni sono stati sequestrati un fucile a canne mozze, mezzo chilo di esplosivo, una decina di pistole e numerose munizioni. Dalle perizie balistiche, una delle pistole è risultata già usata in due omicidi di mafia, quello di Antonio Meroni, nell’89, e quello di Francesco Dammaggio, nel ’91. Ma nelle attività illecite c’era spazio anche per le ricettazioni. I malviventi rubavano ciclomotori da rivendere o da restituire agli stessi proprietari dietro pagamento di riscatto. Come covo usavano una vecchia casa del centro storico, dove nascondevano i proventi dei vari furti e dove si riunivano per programmare la loro attività criminale. L’organizzazione mafiosa non tralasciava alcun affare. Nei suoi traffici illeciti c’erano spazio anche per la ricettazione di reperti archeologici di età greca, tra cui un vaso e delle monete, definite di rilevante interesse storico-culturale.

CODICE DEONTOLOGICO PARTITI A GELA

«Un codice di autoregolamentazione e deontologico dei partiti a Gela in vista delle prossime elezioni contro la mafia». A suggerirlo  è stato il procuratore aggiunto della Dda di Caltanissetta, Domenico Gozzo. Il pubblico ministero parlando della «eccessiva drammatizzazione della situazione gelese al punto da proporre il ritorno dell’esercito in città» ha ribadito «il ruolo naturale ed insostituibile nella lotta alla mafia delle forze dell’ordine e della magistratura». Gozzo ha detto: «non condivido la battaglia e la contrapposizione politica tra destra e sinistra sul fronte della lotta alla mafia, piuttosto sarebbe opportuno che in vista delle prossime amministrative tutti si mettano d’accordo per tempo sull’azione politica contro la mafia».

LUMIA (PD), STRAORDINARIO COLPO A CLAN

«Un’importante operazione, un colpo straordinario inferto al clan Emanuello e alle sua rete di collusioni con i sistemi imprenditoriale e politico ramificati in tutta Italia». Così il senatore Giuseppe Lumia, componente del Pd in Commissione antimafia, commenta le 41 ordinanze di custodia cautelare eseguite nell’ambito dell’operazione Compendium della Dda della Procura di Caltanissetta. «Nessuno si illuda che a Gela l’azione antimafia si sia esaurita – aggiunge l’esponente del Pd – il cammino avviato dall’ex sindaco Rosario Crocetta e delle associazioni antiracket andrà avanti con maggiore intensità e determinazione. Non bisogna abbassare la guardia perchè le nuove leve sono pronte a prendere il posto dei capi colpiti duramente, in quest’ultimo periodo, dalle forze dell’ordine e dalla magistratura»

Lo schiaffo a cinque mani (e una carezza) sulla guancia di Rosario Crocetta

crocettaLa notizia dell’ennesimo agguato progettato ai danni di Rosario Crocetta è uno schiaffo. Uno schiaffo a cinque mani anche se di mezzo c’è pure una carezza. E’ un polipo che ti sbava in faccia, con la viscosità unta e senza dignità di quel mollusco senza spina dorsale che supplica di continuare a farsi chiamare mafia per farsi forza del marchio.

Il primo  schiaffo ha l’odore sabbioso della polvere da sparo che si ficca in gola asciugandosi sotto la lingua. E’ la polvere dello sbriciolamento delle bande che infilano le idee dentro un buco, di questi mezzi uomini che sanguinano paura perchè se la fanno addosso. Saverio La Rosa e Maurizio Trubia oggi ci consegnano il solito Rosario che brilla con quel suo solito profilo senza macchie di unto ma ci ribadisce che oggi sono La Rosa e Trubia, ieri erano gli Emmanuello e domani saranno un cognome che non importa nemmeno come suoni ma che comunque puzza. Puzza di un ardimento mentale che stona come sempre per gli avidi che giocano solo fuori dalle regole. Il segno delle cinque dita è da incorniciare per ricordarci come giocano sporco.

Il secondo schiaffo ha l’odore acre della perseveranza. Ma la perseveranza marcia di ricondannare chi è già condannato a morte. Per ricordarci che la memoria asfittica che si ricorda di ammazzare non ha i tempi dei rinnovi di scorte, tutele e carte bollate.

Il terzo schiaffo è per la prepotente presunzione ebete di Milano che non vuole saperne. E la base degli assassini a progetto era proprio nel cuore della Milano bella addormentata. Per oliare per bene l’unico ponte che esiste già dalla Sicilia alla culla della finanza. L’unico ponte che si rinsalda anche a forza di spalmare calcestruzzo depotenziato.

Il quarto schiaffo è per l’uomo. Per il Rosario che abita dentro Rosario e che forse in questi giorni si è ranicchiato ancora più forte in un angolino. Il suo primo pensiero alla preoccupazione della madre e delle famiglie degli uomini di scorta è una lezione di lealtà. Quella lealtà che non costruisce la notizia, non lenisce il dolore ma riporta le persone tra le persone e le divide forte dal mucchio degli omuncoli.

L’ultimo schiaffo è quello degli omuncoli. Che non viene dato in faccia ma spesso si presenta con un sorriso di falsa cortesia e una stretta di mano. Profuma di quell’essenza vomitevolmente dolce delle puttane con il boa di struzzo che sorridono con la delazione continua, incapaci di costruirsi un sorriso tutto per loro. Di quei compagni che sparano senza sparare, che s’insinuano tra le pieghe delle ferite che fingono di capire. Quelle lingue di catrame che leccano la suola delle scarpe sperando di poter prendere una forma. Ma che rimangono mollusche, fetide e lumachesche mentre la testa rimbomba e il cuore ammuffisce. Come si conviene agli omuncoli.

Poi c’è la carezza. E quella non ha nemmeno bisogno di parole. Perchè Rosario è abituato agli spifferi,e tra gli spifferi arrivano anche gli abbracci.

Siamo con te, Saro.

Per esprimere solidarietà sosteniamocrocetta@gmail.com

Strategie di conquista e grandi affari lungo le vie dell’acqua. Il caso delle Eolie.

di Carlo Ruta

Una vicenda rappresentativa, triste, da scandalo, nelle mappe dell’appropriazione delle risorse idriche. Come viene trattato il disagio di Lipari e Salina, dove l’acqua, carente da sempre, rimane la più cara d’Italia. Gli accordi che vi fanno da sfondo, da Palermo a Roma. La stretta della Sogesid sulle isole.

Come era prevedibile, nella Sicilia della privatizzazione idrica, le anomalie, anziché esaurirsi con le gare d’appalto, in alcuni ATO con esiti da scandalo, presentano risvolti sempre più preoccupanti, mentre scorrono le vicissitudini di intere popolazioni che mancano dell’erogazione necessaria e pagano l’acqua più cara che in altre aree del paese. Gli ambienti interessati stanno provvedendo in effetti a porsi in regola, pagando l’obolo alla tradizione, facendo cioè i conti fino in fondo con i grovigli di poteri, legali e non solo, che serrano i territori. Gli equivoci del presente si fondono in sostanza con quelli del passato, con corrispondenze più o meno perfette. Le cose non potevano andare del resto diversamente. Lungo i decenni che hanno preceduto la legge Galli, la gestione dell’acqua nell’isola, curata dall’EAS e dalle municipalizzate, non è stata mai propriamente pubblica, chiamando bensì in causa interessi forti e consorterie di ogni tipo. I clamori giudiziari che hanno interessato l’ente regionale medesimo, dallo scandalo Gunnella alle tangenti dell’Ancipa, ne danno conto. La nuova situazione, già riprovevole per il declassamento del bene comune acqua a merce, nell’isola sta finendo comunque con il peggiorare le cose oltre ogni misura. E per saggiarne le atmosfere, lungo gli ambiti territoriali, è il caso di prendere le mosse dalle isole Eolie, dove, sulla scena convulsa dell’emergenza idrica convergono realtà influenti, a partire da una potente società di diritto pubblico: la Sogesid spa.
Per ragioni soprattutto geologiche, l’arcipelago è oppresso da una endemica carenza di acqua, cui si è cercato di ovviare, prima ancora che con rifornimenti da navi cisterne e autobotte, con un dissalatore, costruito a Lipari circa trent’anni fa dalla Regione Siciliana, amministrato lungamente dall’EAS e, come tutti gli altri in Sicilia, finito di recente in gestione a un privato, l’imprenditore nisseno Pietro Di Vincenzo, che ha messo in campo, allo scopo, una società ad hoc, la Gedis, adesso in amministrazione giudiziaria. Si tratta di un impianto obsoleto e poco funzionante. Con i suoi tre moduli, a pieno regime, dovrebbe produrre infatti 6000 metri cubi di acqua potabile al giorno. Invece ne produce poco più 2000 metri cubi, ben al di sotto cioè del fabbisogno. L’emergenza, che si somma nelle Eolie a quella dei trasporti, rimane quindi allo zenit, mentre il costo dell’acqua per gli abitanti di Lipari e delle altre isole, già elevato, è divenuto particolarmente esoso. L’acqua desalinizzata viene erogata a 4,80 euro al metro cubo, a circa 7 euro quella approvvigionata tramite autobotte, addirittura fino a 13 euro, iva inclusa, quella rilevata dalla nave cisterna. Ma a fronte di tutto questo, quali condotte si registrano nelle istituzioni che recano l’onere di risolvere le cose?
L’allarme sul deficit d’acqua è stato lanciato, negli ultimi anni, a vari livelli: dal prefetto di Messina Francesco Alecci; dai sindaci di Lipari, Leni, Malfa, Santa Marina Salina, Milazzo; dai parlamentari messinesi Germanà e D’Alia. Della questione sono stati investiti quindi il governo regionale e i responsabili del ramo. Se ne sono fatti carico in particolare, con Raffaele Lombardo, alcuni noti esponenti dell’entourage presidenziale: Rossana Interlandi, già assessore regionale all’Ambiente e oggi dirigente del medesimo assessorato; l’avvocato Felice Crosta, presidente dell’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, istituita da Cuffaro, poi formalmente abolita, ma ancora in attività; Ignazio Puccio, dirigente dell’ARRA e plenipotenziario di Crosta in numerose vertenze lungo gli ATO siciliani. Si tratta, come è evidente, dello stato maggiore che sta regolando i processi di privatizzazione, cui si associa una presenza che nella vicenda delle Eolie assume un rilievo determinante: quella dell’avvocato Luigi Pelaggi, consigliere di amministrazione della Sogesid spa. È il caso di definire allora cosa rappresenta tale società e con quale ruolo entra in questa storia.
Nata nel 1994 quale concessionario della gestione di alcuni impianti di depurazione nella Regione Campania, la Sogesit spa si è assunta l’onere di supportare la Legge Galli, attraverso la redazione dei piani d’ambito e l’attuazione di interventi industriali, in ambito acquedottistico, depurativo e fognario, lungo tutto il territorio nazionale. Per decisione del Ministero dell’Ambiente e del Ministero delle Infrastrutture è divenuta dal 2007 uno strumento in house, ma, in ossequio appunto alla legge Galli, ha insistito a muoversi in modo privatistico, tanto da ritrovarsi al centro di un vasto circuito d’interessi, pur mutuando nondimeno tratti e movenze dei tanti enti inutili che hanno fatto un po’ la storia della repubblica. Per tali ragioni, più volte è stata fatta oggetto di interrogazioni parlamentari. Il deputato Ugo Lisi ne ha chiesto la messa in liquidazione. Il senatore Roberto Della Seta ne ha denunciato, oltre che la mancanza di una qualche utilità pubblica, tanto più dopo l’istituzione recente dell’Ispra, recante funzioni analoghe, le oscurità operative, la mancanza di trasparenza nelle assunzioni del personale, gli altissimi stipendi degli ambiti dirigenziali. E con tale feedback, che combina le opacità del pubblico e del privato, la società in house ha puntato sull’affare Eolie, con l’irruenza di un potere forte, perché importante era divenuta intanto la posta in gioco.
L’allarme lanciato dal sindaco di Lipari Mariano Bruno, dai colleghi delle isole minori e dal prefetto Alecci, cui è stato conferito intanto l’incarico di commissario delegato per l’emergenza idrica, non poteva rimanere in realtà inascoltato, tanto più dopo l’implosione economica e giudiziaria del Di Vincenzo, che ha influito sensibilmente sulle inefficienze del dissalatore. Non potevano essere altresì sottovalutati i rischi per il decoro dell’arcipelago, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ne è sortito quindi, nel 2007, un superfinanziamento a opera del Ministero dell’Ambiente, retto allora da Alfonso Pecoraro Scanio, per circa 38 milioni di euro. Si è trattato tuttavia solo di un buon inizio, perché per il prossimo decennio altri contributi si annunciano da parte dell’Unione Europea e di altre sedi: quanto basta in definitiva perché interessi forti si volgano in direzione delle Eolie. C’è peraltro da attingere a sufficienza dall’amministrazione regionale, che da oltre un decennio riserva alle emergenze della Sicilia un cospicuo capitolo di spese, gestito in prima persona dai commissari straordinari, senza che, significativamente, siano venute meno, per calcolo o no poco importa, le problematiche dell’acqua.
L’ostacolo Di Vincenzo è stato rimosso agevolmente, perché il contratto che vincola il gestore del dissalatore alla Regione è prossimo a scadere, e l’imprenditore nisseno, messo alle corde dai giudici e dalle denunce del sindaco Rosario Crocetta, non è più in grado di sostenere la partita. Con perentorietà, a dispetto delle proteste di diversi consiglieri, che hanno scritto al prefetto Alecci, il comune di Lipari ha provveduto altresì a rimuovere un ulteriore problema, revocando un appalto di cui era stato aggiudicataria nel 2000 la Lotto spa. È stato infine superato l’ostacolo dell’Authority per la vigilanza sui contratti pubblici, che ha decisamente contestato la convenzione siglata fra società e il sindaco liparitano. Il centro-partita, da parte della Sogesid è stato quindi rapidamente conquistato, con la presentazione, approvata, di un progetto per il ciclo integrato dell’acqua, il primo, per 29 milioni di euro, da trarre dai 38 per il momento disponibili. D’altra parte, il direttore generale del Ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini, interpellato sull’accordo delle Eolie, non ha esitato a dire che si è trattato di decisioni prese ad altissimi livelli, in sede ministeriale, per interessi forti, quindi irrevocabili.
La connessione della Sogesid con l’arcipelago, e contestualmente con i vertici della Regione e con l’ARRA di Crosta e Puccio, viene comunque perfezionata il 17 febbraio 2009, quando uno dei tre consiglieri d’amministrazione della società, l’avvocato Luigi Pelaggi, componente della segreteria tecnica del Ministero dell’Ambiente, viene nominato, con ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi, commissario delegato per l’emergenza idrica nelle Eolie. Si tratta, come è evidente, di una nomina forzata, sovrapponendosi di fatto, senza alcuna ragione d’interesse pubblico, a quella del prefetto Alecci, che, da rappresentante del governo prima ancora che da commissario, è stato riconosciuto fra i più imparziali nell’affrontare l’emergenza. Un tale passaggio è apparso nondimeno necessario, per ricondurre tutto negli alvei stabiliti, senza intralci.
Esistono in definitiva i presupposti perché la Sogesid, nota appunto per gli stipendi d’oro di cui godono i suoi dirigenti, possa trarre dall’arcipelago profitti smisurati e duraturi, attingendo a risorse pubbliche a tutti i livelli: ma in cambio di quali benefici per gli abitanti di Lipari e delle altre isole? A conti fatti, nessuno. Come emerge dal progetto, il prezzo dell’acqua desalinizzata verrà mantenuto a 4,80 euro al metro cubo, cioè il più caro d’Italia, addirittura con possibilità di aumenti negli anni a venire. È già messo altresì nel conto che l’intervento della società non risolverà in via definitiva il deficit idrico delle Eolie. La prova? Una parte dell’approvvigionamento dell’acqua continuerà ad avvenire per mare, tramite nave cisterna. Come avviene già da quindici anni, dietro richiesta della Regione Siciliana, il 3 dicembre 2008 il Ministero della Difesa ha stipulato infatti con la società Marnavi di Napoli, con procedura negoziata ai sensi dell’art. 57 del decreto legge 163/06, un contratto di fornitura idrica all’isola di Lipari per un importo di 26.000.000 euro, iva inclusa, per soli 2 milioni di metri cubi. In sostanza, gli abitanti dell’arcipelago, sotto l’egida della società in house, dovranno continuare pagare l’acqua al prezzo, del tutto incongruo, di 13 euro al metro cubo.
In realtà, la Sogesid, se reca buone ragioni per mantenere, di fatto, lo stato di cose esistente, tante più ne ha per scendere a patti con la Marnavi, che costituisce in campo armatoriale un potere consolidato, con forti referenti nelle istituzioni. Finisce in effetti con il servirsene, con mutuo guadagno, a titolo giustificativo e non solo, proprio perché restino spendibili e ben remunerativi i deficit di fondo. In tale logica, è significativo comunque il modo in cui la società navale napoletana si pone nel paese e, in particolare, nella vicenda delle Eolie.
Presieduta da Domenico Iervoli, la Marnavi, è specializzata nel trasporto di sostanze chimiche. È proprietaria di ventisette navi operanti sul mercato internazionale, otto delle quali adibite al trasporto di acqua e prodotti alimentari per le comunità delle isole italiane. Come altre società armatoriali, non appare particolarmente devota all’interesse nazionale. Ha fatto costruire infatti diverse navi nella Turchia asiatica, presso di Tuzla, nota perché ospita la maggiore concentrazione navalmeccanica della terra, con quarantacinque cantieri schierati fianco a fianco. Gode nondimeno di alta considerazione presso le sedi governative. E non può trattarsi di normale convenienza. Come riportato, da circa quindici anni la società rifornisce d’acqua le isole Eolie, con convenzioni annuali che, palesemente, prescindono da ogni calcolo di economicità, mentre Regione e Ministero della Difesa avrebbero potuto ricercare soluzioni più idonee, attraverso accordi meglio mirati oppure l’espletamento di regolari gare d’appalto. In merito poi all’opportunità, appaiono tutt’altro che irrisori gli inconvenienti che hanno presentato fino a oggi le operazioni di scarico nelle aree portuali di Lipari, prossime alle abitazioni civili: dalle perdite in mare di acqua potabile agli eccessi di rumore, in tutte le ore del giorno e della notte.
Evidentemente, malgrado i conti non possano tornare, i giochi sono fatti, nel pieno rispetto della tradizione. C’è stato tuttavia un inconveniente, che consente di chiarire meglio le cose e di rendere, soprattutto, misurabile l’affare dell’arcipelago. Si tratta dell’entrata in scena di una impresa tedesca, la Aqua Blue di Bubesheim, operante in vari ambiti: la depurazione, gli impianti idrici, l’energia solare. Klaus Dieter Simon, che conosce bene l’Italia per averla lungamente frequentata, ne è l’amministratore delegato. E in tale veste, nel 2007 ha presentato alle autorità territoriali e regionali una proposta di convenzione, ancora ai sensi dell’art. 57 del decreto legge 163/06, per la definitiva soluzione dell’emergenza idrica delle Eolie. L’impresa, in particolare, si è impegnata a installare, a Lipari e nelle isole minori, alcuni moduli di dissalazione di nuova generazione, quindi non ingombranti come gli attuali né inquinanti, atti a risolvere per intero il fabbisogno idrico, a costo zero per lo stato, la regione e i comuni, richiedendo di contro alla parte pubblica, solo a servizio erogato, il pagamento dell’acqua a un costo oscillate fra 1,05 e 1,21 euro, iva esclusa.
Tra la tariffa che ha proposto l’amministratore dell’impresa tedesca e i quasi 5 euro richiesti dalla Sogesid, che diventano addirittura 13 con l’intervento della Marnavi, corre evidentemente un abisso, che è in fondo quello che separa due precisi modi d’essere e di rapportarsi al bene pubblico. Da un lato c’è Klaus Dieter Simon, che ha deciso di non pagare alcun obolo alla tradizione, di fare impresa quindi nel modo più civile. Dall’altro stanno i potentati regionali, il braccio operativo dell’ARRA, i grandi feudatari delle risorse idriche, che, a ragion veduta, hanno stabilito di mantenere alti i canoni, nel caso appunto delle Eolie fino all’inverosimile, a dispetto dei bisogni delle comunità. Tutto questo, a riprova che nel tempo della privatizzazione, tanto più in Sicilia, la selezione dei convitati al grande affare dell’acqua, che include la partita dell’arcipelago, sta avvenendo al peggio.
Ecco comunque il seguito della storia. Dinanzi alle evidenti opportunità della proposta dell’impresa tedesca, il prefetto Alecci, quale commissario delegato per l’emergenza idrica nelle Eolie, si è dimostrato, una volta ancora, conseguente. Nell’incontro per l’esame tecnico della medesima, che si è tenuta il 28 ottobre 2008, presso il Ministero dell’Ambiente, ha relazionato infatti favorevolmente. Ha dovuto tuttavia fare i conti con l’opposizione, irriducibile e scontata, dell’ingegnere Puccio dell’ARRA, che, con ben poche argomentazioni, in quella sede ha decretato impossibile la desalinizzazione dell’acqua marina ai costi garantiti da Klaus Dieter Simon. I giochi erano fatti, appunto, e la nomina di Pelaggi, già nelle cose, era destinata a chiudere l’argomento.

Radio Mafiopoli 21- Nani alti e Bassezze basse

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TESTO:

Ci sono tre coccodrilli ed un orango tango, tre piccoli serpenti e tanti piccoli nani. Nani mica per l’altezza nana o per il cappello rosso blando, nani per la prevedibilità con cui li si può aspettare ogni mattina fuori da qualsiasi miniera dove succhiare un po’ di soldi sporchi e impolverati per bene perchè non si vedano per bene. E poi c’è Biancaneve. Ma non quella bianca neve che le ‘ndrine usano spolverata per bene sopra tutta la repubblica di Mafiopoli da nord a sud. No, c’è la Biancaneve quella un po’ mamma e un po’ puttana, quella che ha le gambe larghe da starci dentro tutti, una sorta di “mammasantissima”…
– Ciao a tutti sono un nano di Mafiopoli e mi chiamano Eolo. Eolo, sì, come il vento quello che ti entra nei capelli e ti esce dal ****. Io sono un nano allegro e forte e risiedo a Mazara del Vallo, vi racconto la mia storia. Allora, a Mazara volevamo io e tutti i nani piantarci una bella striscia di pale, per produrre energia, perché a Mafiopoli dal Vallo siamo bravissimi a fare girare le pale! All’appalto hanno partecipato in due, proprio come le pale. ENERPRO (per gli amici eolici ENERPROT) e SUD WIND, che in dialetto mafiopolitano vuol dire “sudo ma vinco”. E, infatti, hanno vinto loro, anche perché si dice che hanno letto il progetto dei concorrenti prima che venisse depositato! Insomma è uscito dall’ufficio del comune! Come mai? Questione di finestre aperte! Questione di venti e di correnti! Come la corrente politica di Vito Martino, che anche se non si capisce qual è il nome e quale il cognome si capisce benissimo da che parte sta. Tanto che Martino (che tra di noi chiamiamo Vitolo Martinolo) con tutto sto vento si è mica ritrovato in tasca trasportati dalla corrente 150.000 euroli per la mediazione tra i venti? Quello che si dice un politico sulla cresta dell’onda. Ma senza surf, che mammasantissima gli ha portato una Mercedes 220 fiammante e veloce come il vento. Storie da Mafiopoli. Storie di nani. Dal profilo basso come i nani. Eolo che sono io, Vitolo Martinolo il consigliere comunale e consigliore, Giovannolo Battistolo Agatolo (detto Agate) già bello che pregiudicatolo, Luigilo Franzinellilo, Melchiorre Saladinolo (che viene dalla zona di Salemi del nano buffo Sgarbolo) e poi c’è Sucamèli. Che l’architetto l’abbiamo messo al plurale perché ci sono anche i bambini. E dietro a tutto come sempre il terribile nano Obolo: per gli amici Matteo Messina Denaro detto Soldino. Evviva, evviva, urrà. Bum bum. Giù il cappello invece al sindaco gaio di Gela Rosario Crocetta, che nonostante il freddo ci crede sul serio che Mafiopoli possa essere pulita. Infatti, lui dice “l’avevo detto!”. E insieme ad un abbraccio gli affibbiamo il nome di Puffo Quattrocchi. Che anche se non è un nano è comunque all’altezza giusta per guardarli negli occhi.
– A Cerveteri ci ha lasciato le penne U Malpassotu Giuseppe Pulvirenti, il nano boss e moralizzatore detto il leone di Belpasso. Moralizzatore e leone, come i Gormiti della foresta. Leone perché si è divertito tanto a difendere il Santo Benedetto nella faida catanese. E fa niente se sono rimasti per terra morti in 100 l’anno, succede sempre nei cartoni animati. Ma Pulvirentolo era famoso per essere il nano più moralizzato della miniera: chiedere a Giuseppe Conti e Angelo Ficarra, sparati dalla pistola del nano perché adulteri. È tipico a Mafiopoli preoccuparsi delle cose serie con la serietà di nano Imbecillilo. Ed è tipico predicare bene e razzolare male. Perché U Malpassatu ci aveva un amante tanto da chiedere aiuto a nano Divorziolo. Ma Biancaneve cornuta era troppo, anche per le storie incredibili della Repubblica di Mafiopoli.
– A Messina in carcere un infermiere preso dalla sindrome di Biancaneve curava i boss del clan di Giostra e di Santa Lucia sopra Contesse con tutte le cure mafiopolitane. Infatti a Gaetano Barbera, Daniele Santovito e Luigi Gallo ci dava l’aspirina, la tachipirina e pure il telefonino per dare ordini all’esterno. Durante l’interrogatorio ha risposto: “telefono – casa”.
– Poi c’è un altro nano. Il principe dei nani. E c’è una storia che è peggio del peggiore cartone animato. Ma con uno sparo solo, in via D’Amelio e poi tutto intorno tanto silenzio. E c’è in via D’Amelio un signore, un capitano mio capitano che di nome fa Arcangioli e che cammina con una valigia in mano. La valigia è di Borsellino e dentro c’è tutto un mondo che non è più e dentro la valigia e dentro c’è tutto un mondo. E Arcangioli lui cammina con la faccia sicura della casalinga che ha assolto l’obbligo quotidiano della spesa per la famiglia. Quella con la F maiuscola. E c’è uno stato, lo stato di Mafiopoli che dice che quell’uomo non va processato. Ma Mafiopoli è uno stato che le cose le dice sotto voce. Piano piano. Con silenzio tutto intorno. Come vuole il Nano. Ma è una storia da raccontare con calma. Perché ogni tanto con i nani bisogna usare i picconi. Alla Disney.

Se ti è sfuggito qualcosa eccoti i link con le relative notizie:

Nuove dichiarazioni di solidarietà per l’attore Giulio Cavalli

Ieri (27 Novembre), durante la seduta alla Camera per discutere del decreto legge 1857, l’on. Luisa Bossa ha espresso solidarietà all’attore e autore teatrale antimafia Giulio Cavalli:

(…) Abbiamo letto stamattina che la giunta di destra di Milano ha negato la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano, lo scrittore perseguitato dalla camorra. A Lodi, mentre era lì per uno spettacolo, Giulio Cavalli, nonostante viva sotto scorta, ha trovato scritte minatorie sulla sua auto. Milano chiama Lodi: comuni del nord. Non vi è alcuna preoccupazione per la vita di questi ragazzi (…).

Ieri pomeriggio è arrivato anche l’attestato di solidarietà da parte del responsabile dei giovani dell’Associazione Mafia Contro di Palermo, Giancarlo Russello: « a Giulio Cavalli va tutta la nostra solidarietà. Non fermarti davanti a gesti così ignobili e compiuti da anonimi codardi! »

Dopo le minacce mafiose a Cavalli, continuano ad arrivare attestati di solidarietà e di stima nei confronti dell’attore lodigiano. Oltre le rilevanti e già citate di mercoledì da parte di Giovanni Impastato, Paolo Rossi, Antonio Ingroia, Pino Maniaci, Leoluca Orlando, Carlo Lucarelli (tornato sull’argomento stamattina con un editoriale sull’Unità), Giuseppe Lumia, Sergio Nazzaro, Pino di Maula, Vito lo Monaco, Vincenzo Conticello e Rosario Crocetta, giungono quelle di:

Salvatore Borsellino, Benny Calasanzio: Non esprimiamo soltanto solidarietà, ma ci impegnamo a partecipare in prima persona agli spettacoli e alle manifestazioni che vedranno protagonista Giulio, coscienti che non debba essere prerogativa solo dello Stato proteggere Cavalli, ma anche impegno dei suoi spettatori e dei suoi colleghi, perché a queste minacce si deve rispondere con la partecipazione, con la diffusione del messaggio di Giulio.
Solo così minacciare uno come Cavalli diventerà controproducente. Giulio rappresenta la prosecuzione di quello che fu il messaggio di Peppino Impastato e mette a nudo la pochezza e la nullità di questa gentaglia senza arte né parte che si fa chiamare “d’onore”.
Se vogliono far del male a Giulio devono prima farlo ai suoi spettatori, e Salvatore Borsellino e Benny Calasanzio saranno in prima fila.

Carlo Lucarelli (dall’editoriale di questa mattina sul quotidiano L’Unità): Giulio Cavalli come Peppino Impastato ride di mafia, (…) così Giulio è sotto protezione da parte delle forze dell’ordine (…), allora non dimentichiamoci che siamo in Italia, perché è da un po’ che sta succedendo questa cosa, che oltre a quelli che stanno in prima linea nella lotta alla mafia, come magistrati, forze dell’ordine, amministratori e giornalisti, vengono minacciati e colpiti anche gli scrittori, anche gli attori, anche i giullari, oltre che i semplici
cittadini. E questo significa due cose. Che la cultura fa paura come la legge e l’informazione perché è lei stessa legalità e informazione.

Davide Enia (attore teatrale): sono assolutamente solidale con Giulio. Il fatto che stia rompendo i coglioni è indice della bontà del lavoro che sta facendo ed è altresì evidente che questo sia il nervo scoperto di un paese che disconosce la legalità e la correttezza. Giustizia e legalità non sono parole, ma prospettive. In quanto tali hanno una capacità di raccontare il presente e questo presente, è fatto di strada che puzza di pisci, eroina che è tornata nei quartieri e di mala amministrazione.

Lorenzo Guerini, Sindaco di Lodi e Andrea Ferrari, Assessore alla Cultura: la nuova minaccia che ha colpito la Bottega dei Mestieri Teatrali e l’attore Giulio Cavalli che da molti mesi portano avanti un importante progetto di controinformazione rispetto alla criminalità mafiosa è un fatto grave che preoccupa, anche per le modalità con cui è avvenuto e in territorio, quello lodigiano, sostanzialmente estraneo a simili episodi.
Il Comune di Lodi è stato tra i promotori principali insieme al Comune di Gela e alla Bottega dello spettacolo Do Ut Des che ha aperto una importante collaborazione tra due Comuni apparentemente distanti ma uniti dalla voglia di combattere la cultura della illegalità.
La nostra solidarietà non è quindi formale ma vuole sottolineare il nostro impegno a non lasciare solo chi tenta di aprire, anche al nord, una importante operazione di carattere culturale rispetto a dei temi che, troppo spesso, vengono sottovalutati.