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Cultura

Mondadori: mi sono giocato un sogno per un po’ di coerenza

Lo ammetto. Ho sempre sognato di scrivere un libro per Einaudi. Per due motivi: il primo, per nulla di spessore, è che sono rimasto appiccicato con la faccia per anni a quella magnifica copertina vuota del Giovane Holden di Salinger e alla fine mi è rimasta una voglia matta di avere il mio nome su quella grafica profumata così essenziale e un buon cappello a becco d’anatra da cacciatore vecchio stile, il secondo per amore di quello struzzo che Picasso regalò a Giulio Einaudi nel 1951 durante una visita dell’editore ad Antibes.

Sono stato contattato da una gentilissima lavoratrice di Einaudi (Gruppo Mondadori) che mi ha illustrato e proposto un nuovo progetto editoriale. Fin qui, dico, ha tutti i lustrini per essere l’inizio di una favola stellata. Anche perché bisogna dire che in quei mesi rispondevo perfettamente al prodotto editoriale perfetto: le minacce, la scorta, l’intimido perfetto per l’antimafia da souvenir. Quella tutta suppellettili e scaffali che ti soffia in viso e ti trasforma in icona. Eppure scrivere un libro e lavorare con le parole è sempre una presa di posizione, la costruzione inevitabile di un credito e di un debito: con sé stessi, con i lettori e con gli editori. Un manifesto in cui dichiari di riconoscerti il più pienamente possibile. Così come la buona politica che, mica per niente, Plutarco definiva la più alta delle arti. Ho declinato gentilmente l’offerta. Non mi vedevo negli scaffali con la matricola di un editore che “strozzerebbe” chi parla di mafia, non mi vedevo nemmeno a criticare in giro per le piazze un fascismo morbido mentre mi allattavo alla mammella del re e cagliavo nelle sue stalle. Per una questione di igiene e di bellezza.

Ammetto pure che non mi sono nemmeno sentito nemmeno per un secondo né eroico né resistente. Ma coerente sì. E la coerenza costa (e mi costa), ma è una coperta comoda la sera. Qualcuno mi dice che iniziare una carriera di scrittore con una testata sulla porta del re è il modo peggiore per costruirsi una carriera eppure, dopo l’ultima legge “ad aziendam”, ripenso con un sorriso al “filo sottile del compromesso” che riuscivano a cavalcare così bene i giullari che rifiutavano di abitare la corte del Re e preferivano le piazze. Anche se talvolta ci potevano rimettere la testa.

Ho grande ammirazione per molte delle firme del Gruppo Mondadori (penso a Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano e altri) e ho molta ammirazione per centinaia di professionisti seri e preparati che lavorano nel gruppo ma non amo gli arzigogolati professionisti della giustificazione. Quelli no. Ogni scelta è un’azione.

Ad ottobre uscirà il mio libro. Il mio editore (che non me ne vorrà ma di cui mi sembra inelegante fare il nome) è a capo di una piccola casa editrice che lavora e sogna di fare qualcosa di buono. E’ spettinato, dice troppe parolacce e non è per niente telegenico. Non ha l’amicizia o il parente giusto per evitarsi nemmeno un mese di spese condominiali eppure per me è stato il migliore editore possibile. Quando Corrado Stajano l’8 giugno del 2003 si dimise dal Corriere della Sera nella sua lettera d’addio scrisse “Mi dimetto per protesta. Contro l’arroganza del governo e dei suoi ministri, contro una Proprietà subalterna, contro le interferenze, difficili da negare, piovute dall’alto ai danni di un possibile libero giornalismo. In un momento grave per la Repubblica in cui non è certo il caso di fare gli struzzi”. Gli struzzi, appunto.

Il Teatro alla Scala va sottoscala e Bondi stecca alla Prima

Alla luccicosa Scala di Milano (buona per le sfilate della prima dei presunti vip presuntuosamente amministratori con dietro tutta la coda delle sciantose) c’è un’addetta alla lavanderia con in tasca un contratto stagionale. Niente di strano, se non fosse che la “stagione” della signora dura per 11 mesi su 12 (ovviamente Agosto escluso) e ogni anno viene regolarmente rinnovata per la successiva: un cronico precariato di manovalanza con una parentesi estiva quanto basta per camminare sul bordo dell’annichilimento dei diritti dei lavoratori. Una collaboratrice sull’orlo del professionismo garantito se non fosse per un Agosto di troppo.

Eppure nel tempio milanese della lirica sono centocinquanta i “quasi professionisti per un pelo”: ballerini, orchestrali, coristi, coreografi, ma anche tecnici, falegnami, costumisti, truccatori e altre maestranze. Persone che sono state per anni (come la stragrande maggioranza dei precari in genere) prese in giro da leggine e decretini fatti apposta per impedire delle assunzioni regolari. Fino al 2005, quando “l’addetta alla lavanderia” riesce ad ottenere dal tribunale un’assunzione a tempo indeterminato. La sentenza parla chiaro: lavorare 11 mesi su 12 non può essere considerata una collaborazione stagionale. E così molti altri hanno seguito l’esempio: rivolgersi al tribunale per vedere riconosciuti i propri diritti da lavoratori. Battaglie che ricordano fabbriche mediorientali, cantieri sommersi, ordinarie storie di immigrazione e invece accadono nella bomboniera della lirica mondiale.

Alla guida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali siede un poeta dilettante ministro a tempo perso. Sandro Bondi è un ministro con una concezione palindroma delle trattative politiche: è arrabbiato per la reazione “irresponsabile” dei sindacati dei lavoratori dello spettacolo perché – racconta con il broncio – ha fissato proprio con loro un appuntamento per discutere della sua riforma per gli Enti Lirici. Nel frattempo (per sbadataggine concessa da sempre ai poeti) ha redatto e pubblicato un decreto: DECRETO-LEGGE 30 aprile 2010, n. 64, Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivita’ culturali. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e con decorrenza (per un gioco di assonanze) a partire proprio da quel primo maggio che davanti alle lotte dei lavoratori dovrebbe togliersi il cappello.

Bondi tratta una decisione cinque giorni dopo averla presa: un commediografo.

In quel decreto c’è il divieto assoluto di assumere a tempo indeterminato o di nominare concorsi, fatta eccezione per «quelle professionalità artistiche, di altissimo livello, necessarie per la copertura di ruoli di primaria importanza, previa autorizzazione del Ministero». Ovvero: le star, i grandi nomi, che riempiono le platee e brillano di luce propria. Per gli addetti alla lavanderia, truccatrici, sarte, tecnici è tutto da rifare. Il decreto prevede di annullare le assunzioni derivate da queste cause, e punta a sterilizzare le parti della legge 368 del 2001, cioè proprio quelle che finora hanno permesso ai precari di vincere le cause.

Un indulto precarizzante in piena regola. Un golpe come una spugna.

Chissà come si presenteranno l’assessore alla cultura (volutamente minuscola) Massimiliano Finazzer Flory, il sindaco Moratti e il neo assessore regionale Massimo Buscemi alla liturgia della Prima con tenori malvestiti e struccati. Chissà che non servano luci spente sul proscenio come tentativo ultimo di raccontare quanto siano fondamentali sopra un palco coloro che lavorano dietro alle quinte.

Comunque vada la Prima finirà celebrata sulle televisioni di tutto il mondo; del resto ci sono centometristi campioni del mondo con scarpe a forma di bambino. E’ lo spettacolo, bellezza.

Stiamo organizzando (oltre ad azioni nel Consiglio Regionale che si insedierà la prossima settimana) una serata di sensibilizzazione. Attori, musicisti, artisti, lavoratori interessati possono scriverci a staff@giuliocavalli.it