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I pessimi giudici amici della mafia

corruzione

Ne ha per tutti, il pentito Carmelo D’Amico, che nell’aula della Corte d’Assise, dove si celebra un processo per un omicidio di mafia, ha detto, ancora una volta, le ‘sue’ verità. Verità che adesso sono al vaglio degli inquirenti, e non quelli del tribunale di messina, ma quelli del tribunale di Reggio calabria, perchè D’Amico, stavolta, ha tirato in ballo giudici messinesi, e competenza territoriale vuole che a indagare non sia il distretto coinvolto dalle dichiarazioni.

Ha parlato con disinvoltura di fatti che, se davvero fossero accertati, sarebbero di una gravità assoluta.
“Abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale, e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante”. Così, come parlasse di quisquilie, Carmelo D’Amico, ex boss, oggi pentito, di Cosa Nostra barcellonese, ha parlato al processo che vede imputato Enrico Fumia per l’omicidio di Antonino “Ninì” Rottino, avvenuto nell’agosto 2006. Un delitto che per gli inquirenti ha segnato l’ascesa al potere del gruppo mafioso dei Mazzarroti capeggiato da Tindaro Calabrese.

Delle dichiarazioni di D’amico ne parla Nuccio Anselmo su Gazzetta del Sud.
Il pentito risponde alle domande del Pm Massara:

“Guardi – ha detto l’ex boss – io ho deciso di collaborare con la giustizia, perché sono stato sempre chiuso al 41 bis, da quando mi hanno arrestato dal 2009. Il 41 bis mi ha fatto riflettere tantissimo stando da solo, anche perché il 41 bis è un carcere duro, e niente ho deciso di cambiare vita, anche se avevo la possibilità può darsi, di uscire dal carcere, perché io ho esperienza nei processi perché abbiamo aggiustato, la nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ne ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante e quindi c’era possibilità che io potessi uscire dal carcere”.

Il processo ‘molto importante’, a detta del pentito, sarebbe stato quello scaturito dal triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino, avvenuto la notte del 4 settembre 1993 alla stazione di Barcellona: le vittime, tre ragazzi di Milazzo, furono giustiziate perchè superavano i confini territoriali del loro comune nel commettere reati, spingendosi sino a Barcellona.

D’Amico ha toccato anche l’Arma dei carabinieri con le sue ‘rivelazioni’:

“ Ho avvisato pure Carmelo Bisognano dell’operazione Icaro, l’ho avvisato io che c’era l’operazione in corso, perché avevamo saputo praticamente, tramite carabinieri corrotti che noi avevamo, che pagavamo sul libro paga dal ’90, carabinieri corrotti che era uno.. uno apparteneva alla.. alla squadra catturando latitanti, un altro era nella Dda… nella Dda che faceva la scorta.. e tanti altri carabinieri e poliziotti che sono sui libri paga, che ne ho parlato purtroppo”.

Infine, il passaggio alla Cassazione: “La nostra associazione – ha detto D’Amico – era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia, diciamo la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria. Noi siamo arrivati anche sino alla Cassazione a sistemare un processo molto noto. Abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io insieme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma, abbiamo comunque per questo le dico che io ero sicuro di uscire, perché sapevo che avevamo anche l’appoggio in Cassazione di questo giudice corrotto che era in Cassazione”.

(fonte)

Nessuno ne parla ma un ex (vice)presidente del Senato sbuca in un’inchiesta che scotta

NaniaE alla fine il pentito Carmelo D’Amico ha fatto il nome di Mister X: si tratta dell’ex vicepresidente del Senato Domenico Nania, già sottosegretario alle Infrastrutture, ex An, poi Pdl. Per il nuovo collaboratore, è lui il ”personaggio potente e misterioso”, ma soprattutto interno alle istituzioni, che avrebbe guidato una loggia massonica occulta, attiva tra la Sicilia e la Calabria, capace di condizionare le trame della politica e dei grandi affari, senza essere mai stato sfiorato dalle indagini.

Il nome di Nania, coperto dagli omissis, era già contenuto in due verbali depositati nei giorni scorsi, ma stamane in aula davanti alla Corte d’appello di Messina che processa l’avvocato Rosario Pio Cattafi, condannato in primo grado a 12 anni per associazione mafiosa, D’Amico per la prima volta lo ha accusato pubblicamente, facendo esplodere una vera e propria bomba nella palude di Barcellona Pozzo di Gotto, ma anche nei salotti buoni della provincia messinese, crocevia di molteplici interessi criminali finora sempre protetti da una granitica omertà.

Le accuse di D’Amico

Nei suoi verbali, il neo-pentito aveva raccontato: ”Sam Di Salvo (boss  italo-canadese condannato per associazione mafiosa, come uno dei capi del clan barcellonese, ndr) mi disse che Cattafi apparteneva, insieme a Nania, ad una loggia massonica occulta, di grandi dimensioni, che abbracciava le regioni della Sicilia e della Calabria. Sempre Di Salvo mi disse che Saro Cattafiinsieme al Nania erano fra i massimi responsabili di quella loggia massonica occulta”.

Ma non solo. Ai pm della Dda di Messina Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, il pentito D’Amico aveva fatto anche un altro nome: quello di Giuseppe Gullotti, boss e mandante dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano, nonché consegnatario (secondo il pentito Giovanni Brusca) del telecomando che nel ’92 servì ai corleonesi per commettere la strage di Capaci. ”Sam Di Salvo mi disse – racconta ancora D’Amico – che il Nania che apparteneva a questa loggia massonica, era un amico di Gullotti ma non in senso mafioso. Era cioè un conoscente di Gullotti ma non un soggetto organico della famiglia barcellonese; ciò a differenza di Cattafi. Aggiungo che Nania era un amico di Marchetta”.

A Barcellona, Maurizio Marchetta è un personaggio conosciutissimo. Architetto e titolare di un’impresa di costruzioni, dall’inizio del Duemila ha ricoperto la carica di vicepresidente del Consiglio comunale, quota An, sotto l’ala protettiva di Maurizio Gasparri. Nel 2003 fu coinvolto nell’indagine denominata “Omega”, per concorso in mafia, inchiesta poi archiviata dalla procura di Barcellona. Nel 2009 si trasformò in un ”dichiarante”, provocando l’apertura dell’indagine ”Sistema” e facendo rivelazioni sulla presunta loggia massonica ”Ausonia” che, secondo le sue accuse, Sarebbe stata coinvolta in un sistema di controllo di tutti gli affari pubblici. Marchetta denunciò anche di essere vittima di estorsioni commesse, tra l’altro, dagli uomini d’onore Carmelo Bisognano e dallo stesso Carmelo D’Amico, entrambi oggi pentiti. Le accuse di estorsione nei confronti dei mafiosi, confluirono in un processo denominato ”Sistema”, concluso in primo grado con le condanne degli imputati, poi assolti dalla Corte d’Appello di Messina in seguito alla collaborazione di Bisognano. Quest’ultimo dichiarò che Marchetta era associato al clan e che mai era stato vittima di estorsioni.

Nania, il Mister X e la ”Corda Fratres”

Ma chi è Domenico Nania? 64 anni, avvocato civilista, negli anni Settanta dirigente del Fuan, viene eletto deputato per la prima volta nell ’87 nelle file del Msi. Riconfermato nel ’92 e nel ’94, diventa sottosegretario ai Lavori Pubblici nel primo governo Berlusconi. E’ vice-capogruppo alla Camera di An tra il ’96 e il 2001, quando trasloca al Senato. Nel 2008 confluisce insieme a tutto il gruppo di Fini nel Pdl e viene eletto vice-presidente di Renato Schifani alla guida di Palazzo Madama. Arrestato a 18 anni e condannato in via definitiva a 7 mesi per lesioni, in seguito a scontri tra studenti per motivi ideologici, nel 2004 viene condannato in primo grado per abusi edilizi nella sua casa di Barcellona Pozzo di Gotto, sentenza poi annullata senza rinvio dalla corte di Cassazione.

Negli anni passati i nomi di Nania, Gullotti e Cattafi, ma anche quello del pg Franco Cassataerano saltati fuori dagli elenchi degli iscritti all’associazione culturale ”Corda fratres” spesso assimilata ad una vera e propria lobby di potere a Barcellona Pozzo di Gotto. Oltre a Nania, all’associazione risultano appartenere il cugino, l’ex sindaco barcellonese Candeloro Nania, ma anche l’ex di Pg di Messina oggi in pensione Franco Cassata e l’ex presidente della Provincia di Messina, Giuseppe Buzzanca. Una iscrizione che queste alte autorità dividono con due boss di prima grandezza: il primo è Gullotti, la persona che, secondo i magistrati, ha ordinato di uccidere il giornalista Beppe Alfano e ha consegnato il telecomando della strage di Capaci a Giovanni Brusca; il secondo è Cattafi, indicato come l’anello di congiunzione fra Cosa nostra, la massoneria e i servizi segreti deviati.

D’Amico ha parlato di 45 omicidi, a molti dei quali avrebbe partecipato in prima persona, ma anche dell’uccisione di Alfano e dell’esecuzione dell’editore Antonio Mazza, autoaccusandosi di quest’ultimo delitto, e, a quanto pare, contraddicendo addirittura la sentenza della Corte di Cassazione, che ha indicato Antonino Merlino quale killer del giornalista. Ma la parte più ”blindata” delle dichiarazioni del pentito barcellonese riguarderebbe proprio il patto tra mafia e massoneria, con tutte le coperture istituzionali fornite al sistema criminale, che finora è stato solo sfiorato dalle indagini.