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denise cosco

Domani a Milano per Lea

Denise, la figlia di Lea Garofalo ci chiede di essere in tanti.

E non si può davvero mancare perché l’insegnamento che ci lascia Lea Garofalo, Denise e la condanna per Carlo Cosco e i suoi sodali è una lezione da non dimenticare.

Ore 10.30, Piazza Beccaria, Milano. Il funerale di Lea.

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Lea Garofalo e Carlo Cosco pentito “solo per limitare il danno”

Avevo già espresso i mie dubbi (conoscendo il soggetto e la storia) sul pentimento di Carlo Cosco. La pensa così anche il sostituto pg Marcello Tatangelo:

Tre ergastoli, una pena a 27 anni per il collaboratore di giustizia e due assoluzione. Sono le richieste, ai giudici della corte d’Assise d’appello di Milano, per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese uccisa a Milano il 24 novembre 2009 e il cui corpo venne bruciato. In primo grado erano stati inflitti sei ergastoli. Oggi però il sostituto pg Marcello Tatangelo, nel corso della sua lunga requisitoria, ha dovuto riqualificare le responsabilità degli imputati, anche alla luce delle dichiarazioni del pentito Carmine Venturino, che nel luglio scorso, dopo il processo di primo grado, ha iniziato a collaborare facendo anche ritrovare i resti del corpo della donna.

In particolare l’accusa ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Carlo Cosco e per suo fratello Vito, che avrebbero ucciso la donna al termine “di un piano criminoso andato avanti per anni”. Chiesta la conferma dell’ergastolo anche per Rosario Curcio, che avrebbe aiutato Venturino a far sparire e bruciare il cadavere. A nessuno dei tre, secondo l’accusa, devono essere concesse le attenuanti generiche. Attenuanti, invece, che il sostituto pg ha chiesto per Venturino. Il magistrato però ha sostenuto che a lui non può essere concessa “l’attenuante speciale che prevede un fortissimo sconto di pena per i collaboratori di giustizia”, anche perché questo, secondo l’accusa, non è un omicidio di ‘ndrangheta. Secondo l’accusa Carlo Cosco, dopo anni di silenzio “ha confessato” nelle scorse udienze “solo per limitare il danno”, ossia per escludere lapremeditazione e un “piano omicidiario coltivato per anni” parlando di un “raptus d’impeto”, “nutriva un odio profondo verso di lei che l’aveva abbandonato e soffriva del disonore tipico degli ambienti criminali mafiosi”. Cosco temeva che la donna non le facesse più vedere la figlia Denise, 21 anni, che con le sue dichiarazioni ha dato un impulso forte alle indagini, ha testimonianto ed è parte civile contro il padre. La ragazza non ha accettato le scuse del padre, che si era rivolto a lei in una delle scorse udienze. “Cosco – ha spiegato, infatti, l’avvocato della giovane, intervenendo come parte civile – ci viene a parlare di un fatto d’impeto e poi chiede scusa a una ragazza che oggi sta cercando di rialzarsi”. Il ritrovamento, grazie a un pentito, dei resti del corpo poi, ha concluso il legale, è stato “per Denise un grande regalo”.

L’accusa infine ha chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per l’altro fratello di Carlo, Giuseppe, e Massimo Sabatino, scagionati nelle dichiarazioni del pentito. “Non sono affatto certo – ha spiegato Tatangelo – che Giuseppe Cosco e Massimo Sabatino siano estranei all’omicidio, ma il dubbio ce l’ho e la mia coscienza di magistrato mi impone di chiedere che siano assolti”.

“Non abbiamo mai contestato l’aggravante mafiosa, malgrado le sollecitazioni della stampa e della parte civile – ha chiarito il pg – perché siamo convinti che in questo omicidio c’è una compresenza di fattori come il dolore di Cosco di essere stato abbandonato, il disonore, l’odio profondo che nutriva per questa donna sin dalla fine degli anni ’90”. Il processo proseguirà giovedì con gli interventi delle parti civili e delle difese e la sentenza potrebbe arrivare il 21 maggio.

(via)

Carlo Cosco che voleva bene alla figlia e la voleva ammazzare

Carlo-CoscoCarlo Cosco, dopo avere ammazzato la moglie Lea Garofalo (ex testimone di giustizia, la conoscono tutti quelli che seguono questo piccolo blog) qualche giorno fa si è immolato in una patetica richiesta di perdono alla figlia Denise. Ci si chiedeva, appunto, se fosse una vera illuminazione o una bieca strategia processuale, soprattutto conoscendo l’inumanità del soggetto e le diverse “piazzate” durante il processo di primo grado.

Oggi Carmine Venturino (condannato anche lui all’ergastolo ed ex fidanzato di Denise al soldo della cosca) in Aula ha dichiarato:

“Dovevamo ammazzare anche Denise secondo Carlo Cosco”

Ora mi mancano le parole per descrivere un assassino bugiardo, falso, violento, criminale e così arrogante. La parola “padre” si mette una mano sugli occhi per la vergogna, vicino a Carlo Cosco.

Carlo Cosco, Lea Garofalo, il perdono e le strategie

CarloCoscoCarlo Cosco, assassino della moglie Lea Garofalo e padre della coraggiosa Denise, chiede scusa alla figlia rendendo dichiarazioni spontanee alla prima udienza del processo d’appello dopo essere stato condannato all’ergastolo in primo grado.

«Io adoro mia figlia, merito il suo odio perchè ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono»

Ha dichiarato davanti al Giudice, aggiungendo:

 «Mi assumo la responsabilità dell’omicidio, merito l’odio di mia figlia»

Un Carlo Cosco molto diverso da quello che spadroneggiava in aula negando e minacciando, e che dichiarava che Lea Garofalo probabilmente era semplicemente “andata all’estero” (questa era la tesi dell’avvocato della difesa, per dire). Che sia un pentimento o una strategia processuale sarà da vedere: la folgorazione in corso è comunque tardiva sui tempi della vita di Lea Garofalo.

Un corpo per Lea

Forse ritrovato il corpo di Lea Garofalo.

In certe storie è un conforto imbattersi almeno nelle macerie dei propri affetti e questo dà la dimensione della tragedia.

Mi piace pensare che per Denise sia un sollievo, anche se breve. E che per Carlo Cosco e gli altri sia un incubo davanti agli occhi che rimanga il più a lungo possibile.

 

L’odio di Carlo Cosco, i suoi “fratelli”, Lea Garofalo e l’orgogliosa Denise

Depositate le motivazioni del processo per l’uccisione di Lea Garofalo. Ci torneremo. Sicuro. Intanto il bel pezzo scritto da Giovanna Trinchella per Il Fatto Quotidiano. E le parole che scolpiscono una colte per tutte il vergognoso spessore criminale di Cosco e i suoi fratelli:

L’unica cosa certa è che Lea Garofalo è stata uccisa per “odio”. Massacrata da “criminali di mestiere e per scelta di vita”. Il suo corpo, dissolto in cinquanta litri di acido, non è mai stato trovato ma quella “donna fragile, sofferente, infelice” è morta assassinata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. I giudici della I corte d’Assise di Milano, che il 30 marzo scorso hanno mandato in galera per sempre sei uomini tra cui l’ex compagno della vittima Carlo Cosco, non hanno potuto concedere nessuna attenuante a chi, come scrive la presidente Anna Introni nelle motivazioni della sentenza, ha dimostrato solo “disprezzo della vita e dei più nobili sentimenti famigliari”.

E’ stato un processo difficile quello contro “imputati imperterriti e imperturbabili”, silenti tranne quando hanno scelto di parlare per dire “menzogne”. E’ più che un percorso giudiziario il film della vita di questa donna, che iniziò una collaborazione da testimone di giustizia solo per dare una chance di vita migliore alla figlia Denise, assomiglia a un romanzo. Una vita difficile ricostruita dai giudici con parole che entrano raramente in atti giudiziari: “Lea, orfana di padre dall’età di nove mesi, sin dalla prima infanzia respira e vive in un ambiente socio famigliare caratterizzato da povertà culturale, con elevati profili di illegalità patologici ed improntato a valori educativi deviati, la nonna le insegna che il sangue si lava con il sangue tanto da compiacersi dell’onore mostrato dall’altro suo figlio che aveva cercato di vendicare la morte del fratello con il sangue divenendo irrilevante che lo stesso fosse rimasto ucciso nell’ambito delle vendette incrociate”.

Ed è per questa vita complicata che il pm di Milano Maurizio Tatangelo, ad apertura del processo, disse: “A questo processo vi appassionerete, è una vicenda umana tragica”. Perché non solo c’è un uomo che uccide la’ex compagna con l’aiuto dei parenti, ma una figlia che si costituisce parte civile contro il padre, l’assassino di sua madre: “La testimonianza di Denise Cosco, come già visto e come si vedrà soprattutto in seguito, è assai preziosa, Denise è il teste chiave – scrive il giudice Introini – e le sue dichiarazioni si pongono quali momenti fondamentale per la ricostruzione di alcuni eventi, di parecchi episodi, di tutto quanto successo che ha visto protagonisti i suoi genitori. La sofferenza di Denise unitamente ad altri nobili sentimenti manifestati nel corso delle sue deposizioni, quali il coraggio, il senso della conoscenza, della verità esimono dal commentare le sue dichiarazioni se non nei limiti in cui ciò risulti strettamente necessario per l’accertamento della verità (finalità cui deve tendere il processo penale)”.

Per il pubblico ministero, che aveva chiesto e ha ottenuto l’ergastolo per gli imputati, “quella di Lea Garofalo è stata una morte annunciata, da anni”. Forse da quando la donna, nel 1996, dopo l’arresto di Carlo Cosco, lo lascia. Di sicuro dal 2002 quando Lea, sfuggendo alla “mentalità mafiosa” in cui era cresciuta, decide di svelare tutto quello che sa di omicidi ed estorsioni. Fino al 2009 Lea e Denise fanno parte di un programma di protezione e vagano per l’Italia in una sorta di via Crucis. Ma in aprile del 2009 Lea, che aveva solo 37 anni, smette i panni della testimone, forse perché sente il fiato sul collo di Cosco (che ha saputo dove si trova da un carabiniere), e dopo tredici anni cerca un contatto con lui. Cosco però, affiliato a una cosca della ’ndrangheta di Crotone “chiede l’autorizzazione a due capi-cosca per uccidere la Garofalo”, vuole la sua “vendetta”. Il movente di quest’uomo , cui non veniva fatta vedere la figlia quando era detenuto, è tutto in questa riflessione: non solo “lo straziante dolore di un genitore che a causa delle scelte dell’altro non vede più la figlia, non sono solo sentimenti di rabbia, di odio, di vendetta che provano quei genitori ai quali per le scelte dell’altro genitore vengono privati della quotidianità dei figli, vengono privati della gioia di vederli crescere, è qualcosa di più è il disonore, l’umiliazione provata per essere stato lasciato da Lea nel momento del suo arresto e per non vedere più la figlia per una decisione unilaterale della moglie”.

Tra gli “impeterriti e imperturbabili” imputati – Carlo Cosco appunto, i fratelli Giuseppe e Vito, Rosario Curcio, Massimo Sabatino – c’è anche Carmine Venturino “al servizio stabile dei Cosco” che “non si è sottratto neppure all’ignobile compito di affiancare Denise ed intrattenere con la stessa una relazione sentimentale”. La “rara efferatezza”, la “fredda determinazione” di tutti non hanno risparmiato Lea e forse non avrebbero risparmiato Denise che consapevole delle responsabilità della sua famiglia per oltre un anno, e fino agli arresti degli assassini, ha dovuto vivere in una prigione di silenzio e paura: “Ho fatto finta di niente – aveva detto in aula la ragazzina nascosta dietro un paravento – come ho fatto finta di niente tutto l’anno successivo. Cosa dovevo fare? La stessa fine di mia madre?”. Lea, che con la figlia voleva scappare in Australia, scomparve fra il 24 e 25 novembre 2009; le telecamere del comune di Milano ripresero all’Arco della Pace di Milano i suoi ultimi istanti in vita. Alle 18,37 salì sull’auto guidata da Carlo Cosco. Fu portata in un appartamento, poi in un magazzino, interrogata, torturata. Tra il 26 e il 28 novembre fu dissolta nell’acido. Denise, difesa dall’avvocato Enza Rando, ora vive sotto protezione, (lontana da nonna e zia materne, anch’esse parti civili nel processo), ma “orgogliosa testimone di giustizia”.

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Il solstizio d’estate è in viale Montello, a Milano, dietro al sorriso di Lea e Denise

MILANO – Blitz delle forze dell’ordine giovedì mattina in viale Montello 6, lo stabile tristemente noto come il «fortino delle cosche». Dopo quarant’anni, finalmente è stata espugnata la più longeva roccaforte di spaccio e racket di Milano, creata dalla famiglia Cosco, coinvolta nel caso di Lea Garofalo, la donna sciolta nell’acido. Strada chiusa al traffico, impiegati una settantina di uomini delle forze dell’ordine tra polizia e carabinieri per liberare l’edificio. (il Corriere ne parla qui)

Chi passa di qui lo sa bene, su Lea Garofalo e il clan Cosco ci abbiamo lasciato una pezzo di lavoro e di cuore (qui tutti i post). E sulla loro ingombrante presenza in viale Montello un pezzo di Milano aveva già preteso una soluzione senza mediazioni. Per questo è una buona notizia. Ed è il solstizio d’estate più bello che potessimo augurarci in questo sole milanese.

Ilaria racconta Denise

Ilaria Ramoni, la brava e coraggiosa avvocatessa che ha seguito tutte le udienze del processo Lea Garofalo al fianco della figlia Denise, rilascia un’intervista su quello che è stato, cos’è e cosa sarà. E dice parole importanti.

Uno degli aspetti più particolari di questo processo è stato il clima che si è venuto a creare fuori e dentro l’aula. Tante persone, giovani e meno giovani, che hanno deciso di stare accanto a Denise e alla sua scelta. In modo discreto e responsabile. Tra questi, i ragazzi del Presidio giovani di Libera Milano dedicato a Lea Garofalo hanno deciso di starle vicino in aula durante le sue testimonianze. Mentre seguivano il processo e Denise era coperta da un paravento che non la rendesse riconoscibile, i ragazzi hanno scritto le loro impressioni, emozioni e vicinanza a Denise su dei bigliettini. Che poi noi avvocati le facevamo avere. Un piccolo gesto ma molto importante credo anche per i ragazzi. Denise ha conserva tutti quei messaggi. Ha ricevuto forza e coraggio. E me ne ha anche trasmessa molta.

Il resto qui.

Milano, presidio contro i fortini dei clan

Un elenco di novecento nomi, quelli delle vittime di mafia, letto a due passi da una delle enclavi della criminalità organizzata a Milano, lo stabile di viale Montello 6. L’iniziativa è dell’associazione Libera, che nella diciassettesima Giornata della memoria e dell’impegno antimafia ha raccolto i cittadini in un presidio a sostegno di Denise Cosco, la figlia ventenne di Lea Garofalo, rapita e sciolta nell’acido dopo aver deciso di testimoniare contro i Cosco, il clan che occupa lo stabile di viale Montello. Presenti all’iniziativa anche il sindaco Giuliano Pisapia e il consigliere regionale Giulio Cavalli (Sel), che ha ricordato la mozione votata ieri al Pirellone: “La Regione si farà carico degli studi di Denise Cosco”. “È molto significativo essere qui”, ha spiegato Ilaria Ramoni di Libera, anche avvocato di Denise Cosco, “ed è importante soprattutto che ci siano molti coetanei di Denise”. Ma nonostante la sentenza sull’omicidio di Lea Garofalo si avvicini, in viale Montello 6 i Cosco ci sono ancora. Più della metà dei 126 immobili dello stabile sono ancora occupati abusivamente. “Gli sfratti ci sono stati”, spiega il presidente della Commissione antimafia del Comune David Gentili, “ora la responsabilità è del prefetto” di Franz Baraggino

Regione Lombardia sosterrà gli studi della figlia di Lea Garofalo: Denise non sei sola

“Denise Cosco è la figlia di Lea Garofalo, rapita e sciolta nell’acido il 24 novembre del 2009 dai complici del marito ‘ndranghetista Carlo Cosco.

Da quando, con grande coraggio e dignità, si è costituita parte civile al processo contro il padre insieme alla nonna materna, alla zia e al Comune di Milano, Denise vive sotto protezione, condannata a sparire e a nascondersi per salvarsi.

E’ così che porta avanti la sua dignitosissima battaglia, in silenzio, lontana dall’antimafia televisiva per il grande pubblico.

Ed è per questo che ci rende orgogliosi aver ottenuto, con il voto unanime alla nostra mozione, un impegno concreto del Consiglio regionale sulla sua vicenda: Regione Lombardia, assicurandole almeno quella possibilità di studiare cui lei tiene così tanto, le restituisce un pezzettino di normalità.

Farsi carico in modo diretto delle vittime è la strada migliore per rivendicare la dignità e la civiltà delle istituzioni di fronte alle mafie.

Al di là dell’aspetto meramente economico di quello che sarà il sostegno regionale al percorso formativo di una giovane, coraggiosa testimone di giustizia, il vero significato di questo passaggio – come ha ben compreso la sorella di Lea, il cui ringraziamento ci commuove – è il messaggio fortemente simbolico: Denise non è sola”.

Milano, 20  marzo 2012